Sembra un controsenso, ma all’interno di un realtà in cui tutti i giorni sono media days, il Media Day dell’NBA acquisisce sempre maggiore importanza. La capacità comunicativa dei giocatori, grazie anche ai social network, ha raggiunto livelli mai visti prima e i nostri occhi sono costantemente puntati su di loro e sulle dinamiche che regolano le loro carriere. Come non bastasse uno dei mercati più movimentati di sempre, giocatori che frequentano Twitter con l’assiduità delle fan dei One Direction e le perenni prove fotografiche e video dei loro allenamenti (anche incappucciati), è arrivata la polemica con il “leader del mondo libero” a tenere banco.
LeBron James sembra fin troppo contento del Media Day.
Se un tempo il Media Day serviva quindi all’NBA per mettere in brutte pose i suoi atleti e ricordarci che nel giro di qualche settimana il carrozzone sarebbe ripartito, oggi questa giornata di foto e interviste serve per iniziare a dipanare tutte le questioni venute a galla durante il periodo off della stagione, approfondire con i giocatori temi che non stanno in 140 caratteri (e neanche in 280), capire l’aria che tira all’interno delle varie franchigie e permettere ai giornalisti di ascoltare qualche bugia a fin di bene. Il Media Day anno domini 2017 è stato pieno di battute, momenti di riflessione, foto in posa per mostrare le nuove maglie (per la prima volta con gli sponsor), altri momenti assurdi e surreali, ma soprattutto è stato il giorno in cui abbiamo iniziato a toccare con mano la nuova stagione.
Trump Talk
Inutile girarci intorno, l’argomento più dibattuto al Media Day non è stato di natura tattica o tecnica, ma politica. A seguito dei forti dubbi espressi dai Golden State Warriors sull’accettare o meno l’invito alla Casa Bianca in quanto campioni in carica, Donald Trump stesso ha ritirato l’invito con un tweet rancoroso, attirandosi ancor di più l’attenzione di tutta l’NBA, a cominciare dal suo giocatore migliore che l’ha chiamato - senza mezzi termini - bum (straccione, fannullone, fondamentalmente co****ne).
Anche the Point God non le ha mandate a dire.
L’NBA è la lega sportiva americana con più visibilità nel resto del mondo e le posizioni espresse dai suoi atleti acquisiscono sempre molta rilevanza all’interno del dibattito pubblico. Anche per questo durante il Media Day a molti tra giocatori e allenatori è stato richiesto di esprimere un proprio parere riguardo il comportamento tenuto dal Presidente degli Stati Uniti sia riguardo la polemica con gli Warriors che con gli atleti della NFL. LeBron ha rincarato la dose, mentre Steve Kerr ha parlato di questi come di tempi “non normali”. “Sono probabilmente i tempi più divisivi nella mia vita” ha detto l’allenatore, approfondendo i suoi pensieri in una lettera su Sports Illustrated.
Bradley Beal ha definito Trump “un clown”, dicendo che “non è questo quello che fa un leader”. John Wall ha invitato Aaron Rodgers e Tom Brady (due delle figure più visibili dell’NFL tra i giocatori bianchi) a prendere posizione, aggiungendo che “nulla cambierà per il meglio finché i nomi e le stelle più grandi della lega non guideranno la carica per farlo cambiare”. Kyle Lowry e DeMar DeRozan, evidentemente legati da un filo indissolubile, hanno sottolineato come il comportamento di Donald Trump sia simile a quello di un bambino capriccioso. DeMarcus Cousins ha detto che Trump “needs to get his shit together" (non serve tradurre). J.J. Redick molto semplicemente ha affermato che “essere anti-Trump è come fare colazione al mattino”.
Il più diretto è stato l’allenatore dei Memphis Grizzlies, David Fitzdale, che senza giri di parole ha detto “If my guys take a knee, I’ll take a knee", ovvero che se i suoi giocatori decideranno di protestare inginocchiandosi durante l’inno, lui lo farà insieme a loro.
Senza voler entrare nel merito della protesta, l’NBA durante il Media Day ha dimostrato di essere unita e di stare andando nella stessa direzione, anche se questa è contraria a quella del Presidente degli Stati Uniti. Sicuramente un bel messaggio per tutti quelli che amano il basket e l’NBA, ma soprattutto sono vicini ai messaggi di uguaglianza che nel suo piccolo l’NBA ha sempre provato a dare in questi anni, sintetizzati incredibilmente bene da Gregg Popovich, uno dei veterani di questo mondo, ma soprattutto un uomo mai banale.
P.S.: A dimostrare che la NBA è realmente una lega aperta a tutti, basti considerare la presenza di Dwight Howard.
Nuova squadra, nuova maglia
Se non vi interessa la politica, il Media Day è anche il giorno in cui i giocatori indossano maglie dai nuovi colori, e mai come quest’anno giocatori tanto importanti hanno cambiato casacca, ecco solo alcuni nomi:
Ma anche i due italiani hanno cambiato squadra, qui fotografati rigorosamente di spalle:
Melo prova a diventare un meme
L’arrivo di Carmelo Anthony ai Thunder ha reso sicuramente più competitiva la franchigia da Oklahoma City, ma anche aperto delle domande di natura tattica. La convivenza tra 'Melo, Russell Westbrook e Paul George è infatti tutta da costruire, soprattutto per quanto riguarda la divisione dei ruoli di 3 e 4, per quanto abbia ancora senso parlare di ruoli nella NBA moderna. Billy Donovan ha davanti 82 partite per costruire questa intesa e affinarla, decidere come dividere i minuti e i compiti in campo, ma dalla risposta di “Hoodie Melo” alla possibilità di partire dalla panchina… beh ecco, fossimo in Donovan staremmo molto attenti a come iniziare le partite (difatti ha già detto che sarà lui il 4 titolare).
Stoppando al momento giusto si può individuare il secondo preciso in cui il cuore di Carmelo Anthony si spezza in una risata isterica.
Melo non contempla l’idea di partire dalla panchina e chissà se contempla almeno l’idea di togliersi il cappuccio dalla testa come è stato invitato a fare dal suo nuovo compagno Paul George, oppure se dovremo tenercelo così per tutta la stagione.
Esprimi un desiderio Mike
Mike D’Antoni ha detto che Houston deve entrare nella top 5 dell’NBA per quanto riguarda la difesa. L’anno scorso hanno chiuso al 18° posto per quanto riguarda il rating difensivo, dietro anche a Philadelphia. Considerando che hanno aggiunto una guardia dal talento difensivo come Chris Paul, ma anche perso il loro miglior difensore in Patrick Beverly, quante speranze ci sono per i Rockets di fare questo regalo al suo allenatore?
Giannis Antetokounmpo racconta barzellette al Media Day
“The Greek Freak” ha una tradizione al Media Day: raccontare brutte barzellette, quelle che negli Stati Uniti chiamano dad jokes. Nel 2016, ad esempio, c’è stata quella su Obama (quanto sembrano lontani quei tempi?). Ma se anche in questo tipo di barzellette si può spesso trovare qualcosa di divertente, o almeno quasi divertente, il segreto dei jokes di Giannis è che non fanno ridere per niente. Quest’anno si è probabilmente superato.
Serve tradurre? Non serve tradurre.
Insomma questo è, prendere o lasciare. Ma se il core della barzelletta lasciava a desiderare, bisogna lodare l’interpretazione di Antetokounmpo: la mimica ricercata, la pausa scenica quando tutti avevano capito dove sarebbe andato a parare, ma soprattutto la fuga da fanciullo beccato con le mani nel barattolo di Nutella (se non fosse che ne servirebbe uno delle dimensioni di quello usato da Nanni Moretti in Bianca per farci stare le sue mani).
Il Media Day serve anche a scoprire che tipo di ironia possiede un playmaker di 211 centimetri.
Le chiavi dei Cavs
LeBron ha dominato il Media Day parlando con i giornalisti per ben 42 minuti e toccando molteplici argomenti. Oltre ad essere tornato su Donald Trump, come abbiamo visto, ha espresso il suo desiderio (poi velocemente esaudito) di riunirsi con Dwyane Wade, ha parlato del suo futuro a Cleveland, ma soprattutto è tornato sull’addio di Kyrie Irving.
Ha detto di non averlo più sentito da quando è a Boston - “sapete come è fatto”, ha sottolineato -, ma è andato anche oltre. “Ero pronto a dargli le chiavi della squadra” ha sostenuto LeBron, aggiungendo che “ho provato a fare tutto quello che potevo per renderlo un giocatore migliore”. Non è bastato, evidentemente.
Chicago Tank
Mentre “D-Wade” rescindeva il proprio contratto con i Chicago Bulls, il resto della squadra, quella che non può rescindere, era costretta a presentarsi al Media Day di squadra fingendo che le cose stiano andando alla grande. Ma come vanno le cose a Chicago?
Non benissimo.
Coppie che si dividono, coppie che si riuniscono
L’NBA è un business, lo dicono tutti. Per questo non è facile costruire rapporti interpersonali tra compagni di squadra, perché un giorno sei qui, l’altro chissà dove. Eppure esistono delle eccezioni (molte eccezioni a dire il vero), ad esempio coppie di compagni diventate coppie di amiconi. Tra queste la più irsuta (e divertente) era sicuramente quella composta da Steven Adams e Enes Kanter, gli “Stache Brothers”. I due sono stati divisi solo pochi giorni fa, all’improvviso, dalla trade per Melo che ha portato il turco a New York, ma Adams non ne fa un dramma.
Fortunatamente per una coppia che viene divisa, un’altra è stata rimessa insieme. I Golden State Warriors, che evidentemente avendo uno spogliatoio troppo stabile, hanno pensato di riunire Nick Young e JaVale McGee, compagni di squadra dal 2008 al 2012 ai Washington Wizards e grandi amici. Ed è stata subito storia di Instagram, con la speranza di future storie a venire, che 82 partite sono tante pure nella baia e il tempo va fatto passare in qualche modo. Ovviamente il tema centrale del loro Media Day è stato il mai dimenticato cinnamon challenge, un video che se non avete mai visto vi consiglio vivamente di guardare (non fosse altro per i capelli di Nicolino).
Los Angeles Hype
Nonostante non siano ancora usciti dal fango, c’è un certo friccicore intorno ai Los Angeles Lakers, soprattutto dopo l’acquisizione al Draft di Lonzo Ball. Se da un punto di vista dei risultati la squadra non ha molte pressioni e nessuno si aspetta una stagione vincente, il Presidente delle basketball operation dei Lakers ha pensato di mettere un po’ di pepe sui suoi migliori giovani. Secondo Magic Johnson, Ball e Ingram possono diventare come lui e James Worthy. Noi umili esseri umani non possiamo sperare che ci sia un po’ di verità su quello che dice Magic e impostare le sveglie per seguire i gialloviola sul League Pass.
Photo Day
Come dicevamo il Media Day non è solo il giorno delle buone intenzioni, è anche il giorno in cui i giocatori si mettono in tiro e si fanno fare foto sceme. Ecco alcune delle migliori:
Chris Paul ad un barbecue finito male.
Shabazz Muhammad convinto di giocare nei Minnesota Bears.
Perry Jones III prende familiarità coi pellicani o forse sta provando a diventare Pirata Perry Jones III (manco un brutto nome).
Kendrick Perkins che somiglia ogni giorno di più alla Cosa.
Lo sguardo di Nikola Jokic terrorizza anche l’occidente.
Jeremy Lin e D’Angelo Russell pronti per il remake di Grosso Guaio a Chinatown.
Oppure il pallone da basket che conosce i vostri peggiori segreti.
Jusuf Nurkic
Nurkic aveva molto da dire e l’ha detto. Purtroppo poi ha anche detto che i giocatori non dovrebbero avere una voce politica, mandando a monte la sua candidatura a MVP del Media Day.
Spezziamo una lancia in favore dei giornalisti
Tutti che pensano ai giocatori, a quanto stanno in forma i giocatori, quanti muscoli hanno messo su in estate i giocatori, come si trovano nella nuova squadra i giocatori, quanto pensano di poter andare avanti nel corso della stagione i giocatori. Tutti a concentrarsi sui giocatori, mai nessuno che pensa ai giornalisti. Anche per loro inizia una nuova stagione, piena di incertezze e tagli al bilancio sempre pronti a lasciarli a casa. Fare il giornalista in NBA deve essere maledettamente divertente, ma anche maledettamente stressante. Per cui può succedere di essere nervoso per fare una domanda all’MVP della scorsa stagione. Peccato che questi sia Westbrook, che quando è nervoso fa 30+10+10.
L’angolo dei consigli di Rasheed Wallace
Nonostante abbia smesso ormai da un po’, lo spirito di Rasheed veglia sull’NBA ancora incontrastato, e se dovessi dare un premio speciale per la migliore frase estemporanea detta durante il Media Day, lo darei sicuramente a lui.
Non fa una piega, no?