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Fate largo a Mbappé
01 lug 2018
Nella partita contro l'Argentina, Mbappé ha dimostrato un tipo di talento che non avevamo mai visto.
(articolo)
8 min
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Negli ultimi tempi, il futuro si presenta quasi sempre in una forma spaventosa: le Torri Gemelle, i video dell’ISIS, Donald Trump. Il futuro che oggi ci si presenta davanti agli occhi è il più delle volte distopico, una prospettiva che non solo non possiamo ancora capire ma che qualcosa dentro di noi (dentro alcuni di noi, almeno) ci invita a rifiutare.

In Kylian Mbappé, invece, non c’è niente di terrificante, neanche quando sceglie un ottavo di finale di un Mondiale per mostrarci che lui, se tutto va bene, è il calcio del futuro. Quando, contro un’Argentina emersa in qualche modo dopo un girone passato con la testa sott’acqua, segna due gol e procura un rigore con una facilità e una naturalezza che non ha mostrato nessuno, persino in una Coppa del Mondo ricca di gesti tecnici incredibili come questa.

Questi, al contrario, sono i Mondiali della fatica.

Delle facce stanche di Cristiano e Lionel, che trascinano le loro rispettive nazionali fin dove possono ma non oltre, come qualcuno gli chiede. Delle lacrime di Neymar alla fine della partita con la Costa Rica, della perla di Kroos contro la Svezia che ha del miracoloso ma non basta a evitare che la Germania per la prima volta nella storia esca dopo solo tre partite, da campione in carica. E sono anche i Mondiali in cui Deschamps deve comunicare alla stampa che Kylian Mbappé non parlerà più fino alla fine del Mondiale, perché troppo criticato sul suo contributo in fase difensiva. E deve difenderlo Paul Pogba (che a sua volta è tornato a parlare dopo quattro anni - quattro anni! - di assenza davanti ai microfoni in occasione di una partita della nazionale): «Kylian ha cambiato lavoro. Prima, giocava a calcio. Adesso, gioca per mettere a tacere le voci su di lui».

Sono anche i Mondiali in cui, finita la sbornia di un 4-3 per certi versi epico, la Francia migliore degli ultimi 20 anni ha fatto una fatica tremenda contro l’armata dei morti viventi di Sampaoli, andando in svantaggio e facendosi riavvicinare ancora a pochi minuti dalla fine, giusto in tempo per uscire dal campo senza possibilità di pensare che fosse stato facile. Se non fosse per quei tre gol in 11 minuti a metà del secondo tempo, si sarebbe potuto quasi dire che la Francia - troppo passiva senza palla, disposta ad abbassarsi negli ultimi venti metri di campo e fragile sui palloni buttati al centro dell’area - ci ha lasciato più dubbi che certezze.

Se non fosse per Kylian Mbappé (e per Pavard, anche se in modo estemporaneo, con un gol difficilmente ripetibile) non ci sarebbe stato niente di leggero nella vittoria della Francia.

Il futuro è sempre difficile da accettare, e per questo ci consoliamo con il passato, ci chiudiamo nei ricordi e ci illudiamo che in fondo non ci può aspettare niente che non abbiamo già visto. Per questo Mbappé è stato paragonato prima a Thierry Henry e adesso a Ronaldo Luis Nazario de Lima, perché guardarlo per quello che è - qualcosa di totalmente nuovo - ci lascerebbe senza appoggi.

Mbappé non ha “l’intensità da tarantolato” che aveva Ronaldo, quella di un giocatore che può giocare senza tenere conto di niente: degli avversari, dei compagni, né di quanto è lontana la porta. Ma forse arriva ai suoi livelli di ricercatezza: anche Mbappé non fa quasi niente di semplice, gioca spesso di prima e usa il tacco e l’esterno del piede destro praticamente al posto del sinistro, ed è veloce in maniera assurda (oltre ad avere lo stesso sorriso infantile).

Mettiamola così: se Ronaldo era una pura forza della natura, una foresta selvaggia e rigogliosa, il gioco di Mbappé ha qualcosa di teatrale che ricorda i giardini barocchi alla francese, in cui la bellezza della natura segue comunque dei principi d’ordine formali (tipo la simmetria). Se Ronaldo era un giocatore totalmente autosufficiente, Mbappé ha bisogno di compagni all’altezza del suo gioco. Che seguano il suo gioco di prima, offrendogli scambi e appoggi, e le sue corse senza palla, permettendogli di mettere in mostra le sue qualità in un calcio il più diretto possibile (non ci pensa neanche a fare da raccordo, a tornare indietro, ad aspettare i compagni prima di partire).

Jonathan Liew sull’Indipendent ha scritto che: «Non c’è niente di esplosivo o violento [in Mbappé]. Niente di bruciante o agitato o potente o che richiedesse grande sforzo. Solo un lungo e aggraziato movimento d’aria, come se scivolasse su dei binari magnetici».

Nel rigore procurato nel primo tempo, poi trasformato da Griezmann, dopo essersi avventato su una palla persa dall’Argentina nella trequarti difensiva francese ed essere passato accelerando tra Tagliafico e Mascherano, Mbappé allunga la traiettoria per girare intorno a Rojo, che prova a spostarlo con il gomito - e a dir la verità riesce a sbilanciarlo - ma non a rallentarlo. Mbappé gli passa davanti e Rojo gli frana addosso. L’errore del difensore argentino è stato quello di pensare di poterlo fermare, anziché accontentarsi di deviarlo come si fa con i corsi dei fiumi.

Mbappé arriva primo sul pallone con la sua elasticità, grazie alla possibilità di allungare e accorciare i propri passi senza perdere velocità. Come sul gol del momentaneo 3-2, quello in cui controlla la palla in un’area piena di gente individuando un corridoio in diagonale, calciando di sinistro (non benissimo, ma angolato e forte quanto bastava perché Armani non ci arrivasse scendendo a terra con le mani).

Oppure come sul gol del 4-2, il modo in cui cambia passo, come un cavallo da corsa prima di una curva, per arrivare sul pallone in modo da colpirlo di piatto destro, bruciando il recupero di Fazio e adattandosi alla traiettoria stretta dell’assist di Giroud.

Il modo in cui Mbappé riesce a mantenere pulito il proprio gioco arrivando all’impatto con il pallone in modo mai approssimativo o casuale, anche quando sbaglia, come se fosse sempre in anticipo sul contesto che lo circonda, è la cosa veramente spaventosa del suo gioco. Mbappé non sembra mai sotto sforzo. Anche senza equilibrio, anche volando sulle punte e in iperestensione, mangiandosi il campo con falcate ampie e leggere (in questo sembra, invece, una versione aggiornata e potenziata del giovane Cristiano Ronaldo).

Mbappé si è mosso tra le rocce della difesa Argentina facendo scorrere il suo talento là dove possibile. Nel terzo gol, come in altre occasioni, Mbappé deve solo correre velocissimo alle spalle della difesa, aspettando che qualche altro giocatore sintonizzato sui suoi tempi di gioco (Pogba? Griezmann?) gli dia un pallone, un pallone qualsiasi, tanto sarà lui ad adattare la propria forma al passaggio in arrivo, in modo da non perdere velocità.

Ed è proprio la naturalezza con cui Mbappé a 19 anni ha fornito una delle prestazioni più dominanti del Mondiale in corso (ha provato 10 dribbling, di cui 7 riusciti; a un certo punto ha anche recuperato una palla in difesa, alla faccia dei detrattori) a dirci che qualcosa non torna nei nostri ragionamenti comuni. Se è così difficile per Messi e Cristiano, se Cavani deve elevare il proprio gioco a un livello che gli richiede un evidente sforzo (e che forse lo ha portato all’infortunio) per decidere la partita con il Portogallo nel pieno della sua maturità, perché per Mbappé sembra tutto così facile?

Mbappé sembra nato per giocare a velocità incredibili, ma non ha bisogno di mezzo campo libero davanti. Diventa devastante in contropiede, certo, ma sembra totalmente a suo agio anche negli spazi stretti. La sua velocità, di pensiero e di azione, non cambia se si trova in spazi congestionati in cui altri calciatori perdono letteralmente la bussola. Oggi, Mbappé rappresenta il miglior compromesso tra la velocità e la tecnica pura, che però sono, e resteranno sempre, nemiche tra loro.

Il futuro di Mbappé (e di giocatori come Ousmane Dembelé, per fare un esempio a lui vicino) è quello di un calcio senza controllo, in cui i migliori calciatori non saranno i pensatori, quelli in grado di rallentare e di vedere passaggi che altri non vedono, ma quelli che sapranno improvvisare meglio, agendo (e reagendo) quasi senza pensare ai singoli momenti di una partita. Un calcio - lo dico meglio - in cui l’unico controllo è quello dei riflessi e dell’istinto dei giocatori più tecnici, in cui la capacità di improvvisare sostituisce quella di prendere decisioni giuste.

In questo senso non assomiglia a nessun calciatore delle precedenti generazioni (Ronaldo, semmai, era l’agente che portava caos in un contesto tutto sommato controllato) e anticipa un calcio che andrà sempre più a una sola velocità, quella massima. Mbappé è una moto lanciata in discesa, ha un controllo eccezionale delle frenate e delle sterzate, ma spesso e volentieri va a sbattere contro il muro degli avversari, ed è impossibile che non sia così.

Il futuro stavolta si è presentato sotto forma di un ragazzo umile, che se lo paragonano a Pelé - è il secondo più giovane di sempre a segnare almeno due gol in una fase finale del Mondiale, dopo il brasiliano - dice che “è di un’altra categoria”. Un aggraziato androide di metallo liquido (come T-1000 in Terminator 2) che non ha niente di brutale o violento (come Gareth Bale, ad esempio) o di innaturale (come Cristiano, che sta spingendo il suo corpo al limite). Mbappé sembra solo - in senso tecnologico - di una nuova generazione: è più elastico, più flessibile, più brillante e ha un processore più rapido per calcolare le opzioni a disposizioni. Non ha l'imprevedibilità o il contatto adesivo con la palla che aveva Ronaldo, ma gioca con eleganza e leggerezza, con un gusto spiccato per la ricerca del gesto tecnico individuale e per la combinazione con il copmagno esteticamente apprezzabile.

E forse è proprio questa sua aria innocua, il fatto che Mbappé non ci sbatta in faccia il suo talento in nessun modo, a non farcelo riconoscere come qualcosa di completamente nuovo. Ma, al di là dei paragoni che possono aiutarci a capirlo, Mbappé è un tipo di fenomeno che non avevamo mai visto.

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