UFC 264 era l’evento più atteso e spettacolare dall’inizio della pandemia: pubblico al completo nella T-Mobile Arena di Paradise (vicino Las Vegas), la chiusura di una trilogia memorabile, la presenza del fighter che più di tutti ha aiutato la fama delle MMA. Tuttavia nell’ultimo e più importante match della serata non tutto è andato come doveva andare. Non per la proclamazione del vincitore, giusta: gli infortuni portano inevitabilmente al TKO a meno che l'incontro non sia appena iniziato, ma per la modalità in cui è giunto al termine.
Andiamo con ordine: McGregor ha aperto il round in maniera estremamente aggressiva, puntando verticalmente Poirier e cercando di stenderlo col suo pugilato, dopo averlo fiaccato alle gambe. L’utilizzo dei calci non è stato inaspettato: McGregor aveva promesso di tornare alle origini, che lo avevano visto come un atleta completo nello striking. Ad esempio ha aperto il match con il col suo classico spinning back kick.
McGregor lavora coi leg kick per rallentare il footwork di Poirier
La reazione di Poirier è stata pazzesca e del tutto inaspettata: dopo aver preso le misure, ha cambiato stance da ortodossa a mancina (probabilmente anche per via dei leg kick subiti), ha risposto ai leg kick, ha avuto la meglio negli scambi ravvicinati, schivando al millimetro gli incroci di Conor e ha iniziato ad inseguirlo per tagliare le distanze, arrivare a parete e cercare il takedown. Per quanto il takedown sia arrivato in maniera abbastanza agevole, arrivarci non è stato altrettanto semplice: Poirier si è dovuto adattare al ritmo di McGregor e ha dovuto anticipare il suo laser jab rubandogli spazi e tempi; un’impresa che solo l’ultimo Poirier poteva centrare.
Anche Poirier si ricorda ancora come si fa. Dustin in questo momento è in guardia mancina e non si trova affatto male.
L’azione successiva è stata caratterizzata da uno scambio pugilistico di pregevole fattura. McGregor, nei leggeri, è dotato probabilmente del colpo singolo più forte in circolazione. Quando però si parla di combinazioni, è Poirier il migliore. A dimostrazione di un momento di forma eccezionale, e di una fiducia nei propri mezzi unica, il fighter statunitense non ha avuto paura di forzare l’avanzamento e colpire ripetutamente. Il risultato ha visto l’irlandese indietreggiare visibilmente e venire centrato da una scarica fatta di jab, diretti e montante al mento.
Azione successiva: Poirier, dalla guardia southpaw, schiva il mancino di McGregor e lo centra perfettamente con questo incrocio; il mancino sembra quasi lui.
Una delizia stilistica che ha pagato i dividendi: dopo questo scambio ha costretto McGregor a parete, dove si è spinto nel tentativo di difendere il takedown.
Poirier ha messo in mostra tutta la sua crescita, quando è diventato un fighter completo. Il suo wrestling è ormai al livello dei migliori della divisione (almeno dopo il ritiro di Khabib). Considerando anche che il suo submission game è sia offensivo che difensivo. Da parete infatti, Poirier ha voluto rischiare portando giù l’irlandese mentre la posizione poteva favorire una guillotine proprio da parte di McGregor.
Poirier però ha pensato bene di passare con le gambe dal lato opposto prima ancora di ottenere il completamento del takedown e, seppur con pochissimo spazio fra McGregor e la parete, è riuscito a sfruttarlo al massimo, liberandosi poco dopo ed iniziando un vorace lavoro in ground and pound fatto di gomitate e pugni. McGregor ha provato a rispondere con i gomiti, da posizione di schiena a terra e all’inizio sembrava poter sopraffare l’avversario, almeno finché Poirier non ha aumentato il ritmo, divorando spazio e tempo all’irlandese e travolgendolo coi suoi colpi. Ad ogni percezione minima di spazio, Conor ha tentato dei velleitari upkick che non hanno sortito l’effetto sperato. La top position di Poirier è stata qualitativamente troppo anche per lui e probabilmente, in forma forse meno asfissiante, davanti a lui si è materializzato il fantasma di Khabib.
Il feroce ground and pound da parte di Poirier; McGregor ha potuto solo subirlo e rispondere occasionalmente con degli upkick.
Messo alle strette, all’apice della frustrazione, McGregor ha commesso un gesto antisportivo: ha afferrato Poirier all’interno del guantino (una mossa illegale, oltre che sleale) e ha cercato di colpirlo con un upkick preciso, ma fortunatamente Poirier si è girato e ha assorbito il colpo sulla spalla. L’americano ha anche cercato di avvertire Herb Dean, come ha poi raccontato nell’intervista post-match, ma l’arbitro non ha ritenuto fondamentale l’azione e si è limitato a richiamare McGregor chiamandolo per nome.
Sequenza dell’azione nella quale Conor afferra il guantino e prova l’upkick.
Quest’azione, che avrebbe dovuto essere punita, considerando anche il fatto che Poirier aveva perso la posizione, non ha portato a nulla sul piano delle penalità, ma ha avuto ben altre e più drammatiche conseguenze.
A seguito di un incrocio di diretti andati a vuoto, McGregor ha effettuato uno step back, un passo indietro per riguadagnare lo spazio ideale, ma ha appoggiato male il piede e la sua tibia si è spezzata, interessando anche la caviglia. Il round è finito con Poirier ancora in ground and pound e McGregor che ha provato a contenere i danni.
Il medico, rilevata l’entità dei danni, ha deciso ovviamente di fermare l’incontro.
Il momento dell’infortunio. Non adatto ai deboli di cuore.
Nell’intervista post-match, Poirier ha spiegato come secondo lui la tibia si fosse fratturata su un suo check e che il twist, la torsione per tirare il diretto, abbia poi finalizzato la rottura. Il fighter statunitense ha poi parlato del momento in cui Conor ha offeso sua moglie parlando di un messaggio su Instagram ed alludendo a delle sue avances: «Mia moglie è solida come una roccia e non ho dubbi su di lei», avrebbe detto Dustin. Inevitabilmente, però, la dichiarazione che più ha indignato Poirier è stata quella in cui McGregor ha promesso che lo avrebbe ucciso. Il fighter statunitense ha dichiarato che è sbagliato giocare col trash talking arrivando a promettere l’uccisione di un avversario, visto che la morte è qualcosa che nell’ottagono e nel ring può - nei casi più tragici ed effettivamente non comuni - accadere.
Forse intervistare un fighter che ha appena perso e che si è infortunato in maniera seria non è la migliori delle idee, per usare un eufemismo, ma come al solito McGregor è andato fuori le righe. Il fighter irlandese, ancora una volta, è sembrato vittima di se stesso e degli eccessi del personaggio che lui stesso si è costruito. Quello di McGregor infatti è ben al di là di quello che di solito chiamiamo trash talking, ed è lontanissimo dagli esempi “nobili” - se davvero si può utilizzare questa parola - di Muhammad Alì e Jack Johnson. «Non è finita, la concluderemo fuori, non me ne frega un cazzo!», ha urlato ieri in trance agonistica.
E poi ancora: «Tua moglie è fra miei messaggi privati (di Instagram, ndr)!». Non c’è stata nessuna redenzione dopo la sconfitta e il grave infortunio, nessun pentimento. E se anche fosse vero, come ha twittato Khabib, che il bene vince sempre sul male, e che i cattivi possano attirare una simpatia perversa, anche i cattivi da film senza alcuna finezza come McGregor, nelle MMA qualcosa si incrina quando si sente un fighter minacciare di morte un altro uomo persino in un momento in cui si dovrebbe arrivare a una riappacificazione con l’avversario e con lo sport.
Burns è ancora nel contesto titolato
Un altro incontro della serata è stato quello tra Thompson e Burns. La difficoltà nell’affrontare un fighter come Stephen “Wonderboy” Thompson sta nel fatto che da un punto di vista tecnico è un fighter unico. Totalmente a suo agio con entrambe le guardie, stance elusiva e a braccia basse, ci sono stati davvero pochi match nella carriera di Thompson che il trentottenne statunitense non sia riuscito a controllare. Lo sapeva bene Gilbert Burns, che, come tanti altri, aveva preparato un game plan specifico per affrontarlo.
Per raccontare bene un match del genere, ci vengono incontro le statistiche. Stephen Thompson oggi detiene una difesa dei takedown del 73%; Burns ha puntato questo suo punto di forza. Formatosi striker col passare del tempo infatti, Burns è un grappler fenomenale, campione del mondo di jiu-jitsu gi e no-gi. In questo match Burns ha pareggiato il suo record di takedown a segno (3) ed ha avuto un controllo praticamente totale una volta messo a terra Thompson. Già dal primo round, Burns ha tentato di accorciare le distanze: di fronte a sé però ha trovato un muro quasi impossibile da scalare. Alla veneranda età di 38 anni, Thompson rimane un fighter d’élite e uno di quei fighter che fanno del controllo degli spazi il loro punto forte. Burns ha subito qualche colpo, ma ha più volte fintato l’overhand ed ottenuto il takedown, lavorando da terra sia in ground and pound che nel controllo, pur non tentando la sottomissione se non per un attimo agli sgoccioli dell’ultimo round. Anche Thompson ha avuto dei buoni momenti, su tutti uno spinning heel kick ed un incrocio di diretti seguito poi da una fase di legata alla quale Burns lo ha costretto.
Una mini galleria fotografica dell’incontro
Dal clinch non c’è stata storia, così come dalla fase al tappeto, nella quale Burns ha imposto il proprio controllo ed il proprio peso, senza subire praticamente mai tentativi di ribaltamento.
Una sola nota negativa: negli ultimi secondi dell’incontro, dopo che Thompson aveva concesso la monta per difendere un tentativo di guillotine choke, Burns ha cominciato a colpire con pugni a martello senza guardare il bersaglio ed ha raggiunto Thompson dietro la testa (in maniera irregolare, quindi), come nel match di Poirier e McGregor, senza vedersi sanzionato. I due comunque si sono abbracciati dopo il verdetto unanime di 29-28 in favore di Burns, che ha sfidato praticamente metà top 5, da Masvidal a Edwards ed aggiungendo anche Nate Diaz all’equazione. Masvidal, ripreso dalle telecamere nell’arena, pareva aver gradito.
Welcome back to the Sugar Show
Interessante anche l’incontro tra O’Malley e Moutinho. Quando l’avversario originale di Sean O’Malley, Louis Smolka, ha dato forfait a causa di un infortunio non meglio specificato, trovare un avversario con breve preavviso era chiaro che non sarebbe stato facile. A raccogliere la sfida è stato il coriaceo Kris Moutinho che, presentatosi con dei capelli verde evidenziatore e la carica di chi non ha nulla da perdere, anche nella sconfitta è riuscito a non sfigurare e ad infiammare il pubblico.
Nulla di completamente inaspettato: O’Malley ha fatto O’Malley, avrà pensato chi ha iniziato a vedere Suga offrire il solito spettacolo portando a spasso il suo avversario, centrandolo coi diretti al volto e mandandolo spesse volte a vuoto già nel corso del primo round. Ma Moutinho è stato un avversario più ostico degli agnelli sacrificali che di solito vengono dati in pasto a O’Malley.
Con aggressioni verticali perpetue, Moutinho ha assorbito una quantità incredibile di colpi, fra jab, diretti e calci alla figura, ma senza mai fermarsi ha continuato ad attaccare verticalmente, basti pensare che i colpi significativi a segno dopo il primo round da parte di O’Malley sono stati ben 89. Il modo spocchioso alle volte di condurre il match da parte di O’Malley (che in questo incontro ha addirittura mimato il gesto di palleggiare con un pallone da basket) può risultare antipatico ad alcuni, ma non può non destare la sensazione di sorpresa e sbigottimento per la precisione e per la conduzione del match. Ora, è chiaro che il livello fra i due è diverso e che c’è un abisso fra O’Malley e Moutinho in termini di gestione del match, una differenza così abissale che sembrerebbe quasi sportivamente illogico mettere i due l’uno contro l’altro; ma Moutinho si è ingraziato così i favori dell’UFC ed ha mostrato allo stesso tempo al pubblico che non è esattamente un fighter facile da spezzare.
Nel terzo round però O’Malley aveva ormai ogni singolo numero di Moutinho in memoria ed è stato per lui più facile che nei round precedenti colpirlo a piacimento. Non ancora alla fine del round, Moutinho aveva già assorbito 229 colpi significativi, contro i 64 del suo avversario. Con 30 secondi sul cronometro e O’Malley che continuava a colpire al volto Moutinho, Herb Dean (che magari poteva concedere la gloria della decisione dei giudici) ha deciso che aveva visto abbastanza ed ha fermato il match, decretando così la vittoria di O’Malley per TKO.
La vittoria di ieri notte è stato un altro mattoncino nel record di “Sugar” Sean, che lo ha fatto arrivare ad un record di 14 vittorie e una sola sconfitta. Per la prova del nove sul suo valore, però, UFC deve alzare l’asticella ed offrirgli un avversario ben più di livello, come aveva fatto quando gli presentò di fronte Chito Vera. Vedremo in futuro, per adesso non possiamo che goderci questo straordinario fighter che ancora una volta ci ha offerto uno spettacolo unico.