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Un po' di ordine sulla questione dei diritti TV
09 mar 2018
Non è così semplice capire l'ingresso di Mediapro nel calcio italiano.
(articolo)
15 min
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Ogni tanto si torna al punto di partenza. O forse siamo sempre fermi lì. Il calcio italiano e i suoi eterni giochi di potere sembrano dipendere dai diritti TV. Soldi che, in un modello di business insostenibile e dipendente dalle emittenti televisive, rappresentano la quasi totalità dei ricavi delle società italiane.

La grande novità, com’è noto, è rappresentata dall'assegnazione dei diritti domestici della Serie A per il triennio 2018-2021 e, dopo il fallimento della prima asta, ci sono voluti sette mesi per arrivare alla seconda, con un nuovo bando e sempre lo stesso obiettivo: incassare un miliardo e 50 milioni. Anche la seconda, però, non è andata come previsto, perché la somma messa insieme all'apertura delle buste era di poco inferiore agli 800 milioni di euro (di cui 580 milioni messi da Sky) e la Lega ha provato la via della trattativa privata «con l’obiettivo di ottenere non meno del prezzo minimo complessivo già previsto dal relativo bando, che equivale a 1 miliardo e 50 milioni (per i pacchetti principali ed opzionali)».

Questa frase va collegata con quella successiva utile a fare pressing, perché oltre alle offerte dei broadcaster italiani, è arrivata l'offerta di un intermediario indipendente estero (MediaPro), possibile grimaldello per il portafogli delle aziende interessate: «Giova ricordare che, qualora le trattative private non andassero a buon fine, la Lega si riserverà di valutare l’offerta presentata dall’intermediario indipendente». Un po' come l'uomo nero di cui si parla ai bambini disobbedienti, ma questo viene dalla Spagna.

Rimettendo in ordine: Sky aveva offerto 261 milioni per il pacchetto A (le gare di otto squadre: dovrebbero essere Juventus, Milan, Napoli, Inter, Lazio, Fiorentina e due di fascia bassa per la piattaforma satellitare), 60 milioni per i diritti opzionali esclusivi, e 170 milioni per il pacchetto C (stessi contenuti di A per Internet, senza i diritti a trasmettere in bar e hotel e altri accessori). Tutte offerte superiori alla base d'asta. Per il pacchetto B (stesse squadre del pacchetto A, ma sul digitale terrestre), invece, Mediaset aveva dato la sua disponibilità per 200 milioni, ma con una base d'asta di 260. Il problema è sorto dunque per questo pacchetto e per i pacchetti D1 e D2 (le partite delle altre 12 squadre, inclusa la Roma), per cui Sky avrebbe offerto meno della metà del prezzo minimo complessivo (310 milioni di euro), e per i relativi diritti accessori, contenuti nei pacchetti Platinum D1 e Platinum D2. Per questi pacchetti (B, D1 e D2, più quelli per i diritti accessori delle altre 12) si è andati alla trattativa privata e Sky ha offerto per i pacchetti D1 e D2 70 milioni in più rispetto alla prima offerta, rimanendo però sotto la base d'asta, mentre Mediaset non ha aggiunto nulla.

Questo è stato l'ultimo atto di una partita che sembrava avere un finale scontato: cioè che i diritti finissero nelle mani di MediaPro, che ha offerto poi mille euro in più del miliardo e 50 milioni che aveva fissato la Lega come limite minimo, e ha preso tutto, da intermediario indipendente, in attesa di capire che ne farà di questi diritti: potrà gestirli direttamente? Dovrà affittarli? Vorrà forzare per il canale della Lega?

Da dove viene MediaPro

MediaPro è l’azienda leader nel mercato iberico per la gestione dei diritti sportivi attualmente responsabile della distribuzione del segnale TV della Liga. Uno dei principali gruppi media d’Europa che può essere alternativamente broadcaster (con canali propri, come beIN Sports España, partecipato al 50%) e intermediario. Questo è uno dei primi nodi irrisolti: come va considerata MediaPro, un broadcaster o un intermediario?

Foto di Denis Doyle / Stringer

A questo interrogativo si è aggiunto recentemente quello relativo alla proprietà di MediaPro. Proprio nei giorni scorsi, infatti, il 53,5 per cento della società è stata acquistata, per 1,01 miliardi dal fondo cinese Orient Hontai Capital. Un'operazione ora soggetta alle autorità di controllo (l'approvazione è attesa nel secondo trimestre di quest'anno), che ha due curiosità: la prima è che nonostante la maggioranza sia cinese il comando di tutte le operazioni rimanga, per un patto di sindacato, nelle mani di due dei fondatori di MediaPro, gli imprenditori catalani Tatxo Benet e Jaume Roures (entrambi con il 12%). La seconda è che un esborso di tale portata da parte di un fondo cinese arriva nel momento in cui il calcio è diventato in Cina un settore oggetto di limitazione per gli investimenti esteri: i grossi capitali che avevano contraddistinto i primi anni dell’espansione cinese in Europa si sono prosciugati, riducendo sensibilmente anche la circolazione di denaro nella Chinese Super League, e persino un colosso come Wanda adesso sembra in crisi. Il gruppo cinese che aveva rilevato proprio Infront, per restare nel campo dei diritti tv, capitanato da Wang Jianlin, terzo uomo più ricco della Cina, sta cercando di dismettere gli asset sportivi, partendo dal 17% di partecipazione nell'Atletico Madrid (venduta al miliardario israeliano Idan Ofer).

È difficile capire da fuori perché un fondo cinese abbia deciso di sborsare una cifra simile per una società impegnata in un’operazione così importante, in un momento in cui il Partito Comunista di Pechino sembra aver declassato il calcio nella scala delle sue priorità.

È una questione che resta sospesa, mentre un altro pezzo di Spagna che doveva sbarcare in Italia ha già fatto adiós con la manina: Javier Tebas, attuale presidente della Liga Spagnola, era stato individuato da un gruppo di società come il prossimo amministratore delegato della Lega di A, chiamato a ricoprire un ruolo in realtà mai esistito. L'offerta era un contratto di quattro anni a 1,2 milioni di euro annui, cioè il doppio di quanto guadagnava in Spagna. Tebas, da presidente della Liga conosceva MediaPro, anche in virtù soprattutto dell'amicizia con Jaume Roures, uno dei due potenti soci della società spagnola con il quale aveva fondato nel 2014 la Spanish Soccer International Marketing, sempre attiva nel campo dei diritti TV. In questo senso Tebas rappresentava per il gruppo che voleva portarlo in Italia una sorta di garante degli investimenti di MediaPro.

La Liga, però, ha spinto molto per trattenerlo, votando il raddoppio dello stipendio e preparando un nuovo contratto con una clausola di non concorrenza (in caso di risoluzione, cioè, non potrà lavorare per due anni in un'altra lega europea). Il campionato spagnolo ha fatto quadrato intorno al suo presidente, grazie anche alla spinta delle piccole società coalizzate contro le grandi. È un modello, questo, che sembra funzionare molto nel mondo del calcio (come per il nuovo presidente della UEFA), e il modo in cui si è costruito il potere Tebas, che funziona anche in Italia, dov’è incarnato da Claudio Lotito, improvvisamente sodale di Urbano Cairo.

L'ascesa di Cairo, il patto con Lotito

In questa vicenda gioca infatti un ruolo importante Urbano Cairo, presidente del Torino. Sempre piuttosto defilato nelle attività della Lega, è diventato uomo di riferimento delle operazioni più delicate e anche più spregiudicate in questo momento di vuoto di potere: non solo ha spinto per MediaPro, ma è stato anche il principale sponsor di Tebas come amministratore delegato della Lega, l'uomo che lo ha proposto e che ha cercato in tutti i modi di portarlo in Italia.

Cairo ha visto nella gestione della Liga un modello, ma il suo interesse per MediaPro è acceso anche da alcuni interessi imprenditoriali. Il presidente del Torino, che è proprietario in Spagna (tramite Rcs MediaGroup) delle testate “Marca” e “El Mundo”, sarebbe infatti interessato, in caso di creazione del canale della Lega, alla raccolta pubblicitaria dello stesso canale che, secondo le stime riportate da Repubblica, garantirebbe un giro d'affari di 120 milioni di euro l'anno.

Cairo non ha mai smentito questa eventualità in maniera convinta. A ItaliaOggi ha detto: «Ormai la nostra attività (di Rcs, ndr) punta soprattutto sui mezzi di proprietà. Siamo molto finalizzati a questo, e meno interessati a mezzi di terzi. Però, vediamo cosa succede». E poi: «Vediamo se c'è la possibilità di fare un terzo bando. E in base al bando faremo le nostre valutazioni, anche per eventuali pacchetti che potrebbero interessare a La7».

Foto di Claudio Villa / Stringer

In ogni caso, Cairo sembra volersi ritagliare un ruolo da protagonista. In ogni modo possibile. Il presidente del Torino ha cercato di chiudere la partita della Lega lontano dagli occhi di Gianni Malagò, attuale commissario, che era impegnato in Corea del Sud per Olimpiadi invernali. In accordo con Lotito, ha tentato il blitz nel giorno di San Valentino, provando a convocare l'assemblea elettiva, presentando la richiesta di otto società (oltre a Lazio e Torino, anche Atalanta, Genoa, Verona, Milan, Napoli e Udinese) e mettendo all'ordine del giorno le modifiche allo statuto e l'elezione del presidente e dell'AD. Una sorta di golpe sportivo, sventato dalla mancata partecipazione dell'ala riformista della Lega (Benevento, Bologna, Fiorentina, Inter, Juventus, Roma, Sampdoria e Sassuolo), che ha fatto mancare il numero dei partecipanti necessario per tenere l'assemblea e permesso il rinvio di una discussione tanto importante al 27 febbraio, quando Malagò ormai era rientrato.

Cairo, peraltro, secondo una ricostruzione di Dagospia sarebbe andato con Galliani ad Arcore nei giorni scorsi proponendo a Berlusconi un accordo con MediaPro per mettere a disposizione la piattaforma di Mediaset Premium per la trasmissione delle partite (gli spagnoli, giova ripeterlo, non hanno acquistato i diritti come broadcaster), con l'ex premier che avrebbe anche promesso al presidente del Torino un futuro che appaghi le sue ambizioni politiche. Una sorta di “affitto” o di ponte per creare il canale della Lega con altri strumenti.

Il presidente del Torino si sta alleando con chiunque ci sia, anche se richiama il vecchio blocco di potere dal quale era distante. Ma chi ha una sfrenata ambizione come lui e trova Lotito con un blocco di società dalla sua parte - a sua volta fortemente intenzionato a non perdere i residui di potere che gli sono rimasti a disposizione - ovviamente comincia a pensarla alla stessa maniera. È un'operazione che comincia la vigilia di Natale del 2016. Sembra, volendo leggere più a fondo, che l'attivismo sfrenato di Cairo coincida con una conversazione riportata da L'Espresso nella quale, si legge, il presidente della Lazio Lotito “gli propone di sdoppiare la Lega in una direzione sportiva e una commerciale da affidare a un personaggio di profilo internazionale. «Comincia a lavoracce tu che c’hai il lavoro tuo e quindi chi più di te può dare un contributo»”.

Arriva Miccichè, l'uomo che va bene a tutti. Ma soprattutto a Cairo

Saltato, il “golpe” con Tebas, è tornato Malagò. E un presidente di Lega andava trovato. Infatti il 19 marzo verrà eletto Gaetano Miccichè, l'uomo proposto dal presidente del Coni. Perché Malagò è uomo politico e ha individuato un nome a cui nessuno poteva dire no: non potevano dirlo, ovviamente, le società che hanno evitato il colpaccio di Cairo e Lotito, di fatto schierandosi con l'attuale commissario di Lega. I maggiori attori del rinvio dell'assemblea che avrebbe permesso la nomina di un presidente e di un AD mentre Malagò era in Corea sono stati Giuseppe Marotta, Mauro Baldissoni e Antonio Romei, direttori generali di Juve, Roma e Sampdoria, alla guida del fronte riformista o, comunque, nel gruppo di coloro che vogliono liberarsi del sotto potere di Lotito, con il quale invece si è schierato – come si diceva - Cairo. Ma Malagò non poteva andare allo scontro e ha messo sul tavolo Miccichè perché non poteva non essere gradito a Cairo: da presidente di Banca Imi, la banca d'investimento di Intesa Sanpaolo, ha sostenuto l'acquisizione di Rcs da parte di Cairo, vincendo il confronto con Mediobanca che invece si opponeva. Di Rcs Mediagroup, poi, Miccichè è diventato a sua volta consigliere d'amministrazione, proprio su indicazione di Cairo. Ed era difficile che si dicesse contrario anche Claudio Lotito, visto che Gaetano Miccichè è fratello di Gianfranco, luogotenente di Berlusconi (che ha candidato al Senato tanto Lotito – non eletto per un pugno di voti - quanto Galliani) in Sicilia.

Il colpo di Malagò è stato questo: accontentare l'ambizioso Cairo (peraltro in forte calo di popolarità a Torino e quindi bisognoso di acquisire peso per mostrare la sua importanza) e Lotito, anestetizzare il loro consenso e trovare un nome che piacesse anche agli altri, soprattutto dietro la garanzie dello stesso presidente del Coni. Così si è arrivati al consenso formale delle venti società di serie A, che nella prossima assemblea, eleggeranno all'unanimità il nuovo presidente. Non l'amministratore delegato, però: per quello si attende prima che l'Antitrust, il 25 marzo, si pronunci sull'operazione Mediapro. L'autorità ha posto dei quesiti alla Lega: ha chiesto informazioni sulla natura e la struttura di Mediapro, ottenendo alcune risposte, ma non tutte perché la Lega ha sostenuto di non essere titolata a fornirne alcune. Il dubbio rimane soprattutto nel prodotto che Mediapro dovrà fornire, senza che questo valichi la propria natura di intermediario indipendente: su questo balla il parere dell'Antitrust, ma comunque l'attesa è quasi alla fine.

Bogarelli e le coincidenze di un piano

Si sta, in ogni caso, materializzando un progetto nuovo. O forse un progetto vecchio. Il gioco è unire i puntini e gli accadimenti per provare a vedere meglio. O quantomeno vedere una serie di coincidenze.

Vanno messi in fila i fatti. Partendo dalla base: a novembre 2016 il contestatissimo Marco Bogarelli, fondatore ed ex presidente di Infront, lascia la sua creatura, travolto dalle inchieste (dalle quali è uscito indenne, con la richiesta di arresto respinta e l'accusa di associazione a delinquere caduta, declassata dal gip a una lobby con Galliani e altri) firmando oltre alle sue dimissioni un patto di non concorrenza proprio con Infront di 30 mesi. Caduto Bogarelli viene meno la rete di potere che si era in qualche modo assunto l’onore e l’onere di promuovere il calcio italiano.

Quindi ci sono ansie e un'ovvia riprogrammazione delle strategie.

Guardiamo le coincidenze. In un'informativa di marzo 2017 la Guardia di Finanza, che stava approfondendo i legami Galliani-Lotito-Preziosi-Bogarelli e l’influenza di Infront, aveva manifestato ai PM quella che secondo le indagini sembrava una forte criticità: «La fuoriuscita di Bogarelli da Infront ha di fatto determinato la necessità di individuare un nuovo punto di riferimento, questa volta direttamente in seno alla Lega, cui delegare la vendita dei diritti tv». Nelle carte del Nucleo Tributario che hanno portato poi all'inchiesta c'è una telefonata di Galliani a Lotito, nella quale l'ex ad del Milan dice: «Siamo totalmente nelle mani di Infront, dobbiamo prendere l'interfaccia della Lega», alludendo evidentemente al progetto che poi la Guardia di Finanza esplicita in altri passaggi. Intanto «estromettere dai processi decisionali Infront, che era diventato un soggetto non più gradito» e poi individuare un'altra figura, «un top manager, di esperienza internazionale e da remunerare adeguatamente, da inserire nell'organigramma della Lega calcio quale direttore commerciale» a cui affidare «la gestione della commercializzazione dei diritti televisivi delle squadre di calcio».

Foto di Claudio Villa / Stringer

A questo punto è utile riguardare alle vicende sulla vendita dei diritti TV degli ultimi mesi. La trattativa privata per i diritti TV, dopo l'asta andata male, si è arenata perché mentre Sky ha incrementato la sua offerta, Mediaset Premium è rimasta a quanto già indicato nella busta, ovvero una cifra inferiore alla base d'asta. E il presidente di Mediaset Premium fino all'altro ieri era proprio Galliani, ed è molto probabile che abbia mantenuto un’influenza anche dopo la sua uscita di scena. Di fatto la società guidata da Galliani ha offerto meno di quanto chiesto dalla Lega di A aprendo in questo modo il varco a MediaPro, di cui in pochi prima di questo momento conoscevano l'esistenza. In questo contesto, è utile anche ricordare che MediaPro ha anche creato e prodotto nel 2014 il museo “Mondo Milan”.

Quindi entra in scena Mediapro, che può essere una nuova interfaccia della Lega (era un auspicio di Galliani) e che doveva portare con sé un nuovo AD della Lega, cioè Javier Tebas. Ora, rileggendo, sembra che Tebas sia il personaggio di profilo internazionale immaginato dalla Guardia di Finanza e che, fortemente sponsorizzato da Cairo, fa risentire Lotito che dice: «Comincia a lavoracce tu che c'hai il lavoro tuo».

Tebas, peraltro, doveva venire in Italia e diventare interno alla Lega in un ruolo che non esisteva prima con un contratto, come detto, di quattro anni a 1,2 milioni di euro all’anno, più un direttore generale di sua fiducia, scelta che aderisce con l'ipotesi della Finanza secondo cui l'idea era di aggiungere all'organigramma della Lega un top manager internazionale.

Sono due cose magari incidentalmente sovrapponibili, ma di sicuro sovrapponibili. Poi, se all'improvviso compare l'ombra di Bogarelli allora le coincidenze aumentano. In uno scenario che ad oggi rimane di totale incertezza, è interessante ricapitolare cosa ha fatto Bogarelli dalle sue dimissioni a oggi. Siccome la clausola di non concorrenza era per la Serie A e per la Serie B, ha prestato la sua consulenza per la Lega Pro, curando la cessione dei diritti tv a Eleven Sports (il gruppo che ha rilevato Sportube e il canale della Lega), come racconta il Fatto Quotidiano. Per un altro evidente gioco del caso, Eleven Sports (che gestisce anche la “Serie A Tim Tv”) appartiene al Gruppo Aser Media di Andrea Radrizzani, ex socio storico di Riccardo Silva (antico sodale di Bogarelli e fondatore di Infront) di Mp&Silva, la società che ai tempi del “vecchio” advisor commercializzava i diritti TV della Serie A per l'estero (cambiata la governance di Infront, i diritti se li è aggiudicati IMG).

Ma soprattutto, nel frattempo, per sua stessa ammissione, Bogarelli ha dato una mano a titolo gratuito a MediaPro per l'acquisizione dei diritti TV: «Ma quale presidente. Gli sto solo dando una mano. Ma non ho firmato nulla, è solo gente che mi ha aiutato quando mi serviva. Mi sono simpatici», ha detto l'ex Infront a Repubblica. MediaPro, in fondo, ricalca il progetto di Bogarelli, a cui fra poco scade il patto di non concorrenza, di una TV della Lega, al momento come si diceva al vaglio dell'Antitrust perché gli spagnoli hanno comprato da intermediario unico e non da broadcaster, quindi non potrebbero trasmettere. Lo stesso Bogarelli, poi, ha coperto di elogi l'operazione di MediaPro, manifestando affetto ma tenendo lontana l'ipotesi di un coinvolgimento, almeno immediato: «Conosco le persone di Mediapro dal 1983, sono dei cari amici, ma non ho nessun ruolo. Sono persone che stimo e conosco da più di trent'anni. Non ho nessun ruolo in questo momento». In questo momento.

E MediaPro che dice? «Marco Bogarelli non lavora per il gruppo, anche se ne conosciamo il gran prestigio professionale». Insomma, se proprio non lavorano insieme sicuramente si vogliono molto bene.

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