Nella tradizione islamica i sogni hanno un ruolo importante. Nelle varie raccolte di storie dei profeti non è raro imbattersi in rivelazioni avvenute proprio durante un sogno, come nel caso di Abramo, e in diversi hadith (detti attribuiti al profeta Muhammad) ricorrono situazioni in cui il Profeta chiedeva ai suoi compagni di raccontargli i loro sogni, con l'obiettivo di derivarne un insegnamento. All'interno della cerchia intima della prima umma, quella dei primi discepoli di Muhammad, dei “rashidun” (i ben guidarti) e di suo cugino, fratellastro e genero Ali Ibn Abi Talib, proprio quest'ultimo - figura fondante di quello che più avanti sarà lo “sciismo” - diventerà particolarmente esperto nell'interpretazione onirica.
I sogni fanno tutti parte del “mondo dell'occulto” (al alam al akhira) ma non sono tutti uguali: in particolare nella tradizione sciita duodecimana, un sogno per essere considerato portatore di un messaggio reale deve essere del tutto intellegibile, chiaro. Non deve lasciar spazio ad ambiguità - pur tipiche dei molti sogni -, deve in poche parole essere un “sogno veritiero” (al ru'ya al sadiqa), che non necessita di spiegazioni, che al risveglio appaia ancora lineare. Se un sogno è opaco, sfumato, ambiguo, è molto probabile che sia opera di Shaytan (Satana) o del proprio ego, trainato dalle passioni, dalle convinzioni e dai pregiudizi. Si può trattare di un sogno chiaramente negativo, come quelli in cui l'Imam Ja'far Sadiq - sesto imam duodecimano - appariva severo, con l’intento di spaventare un fedele nel sonno, affinché smettesse di peccare nella veglia; e può essere un sogno premonitore di natura positiva, ben augurante.
Mehdi Taremi, 29enne attaccante iraniano del Porto, è musulmano sciita come gran parte dei suoi connazionali. In una intervista rilasciata ad una emittente del suo paese, qualche giorno dopo Porto-Juventus, ha rivelato che la notte precedente al match coi bianconeri (vinto 2-1 dal Porto) aveva fatto un sogno in cui segnava un gol nelle fasi iniziali della partita. Questo sogno «mi ha fatto ridere mentre dormivo», ha raccontato Taremi.
In Porto-Juventus, Taremi viene schierato da Conceicao da titolare per la prima volta nella Champions League 2020-2021. Dopo sessantatré secondi di gioco, intuisce che Bentancurt nella sua area sta per scaricare una palla un po’ sciatta su Szcesny. L’uruguagio non si cura di ruotare lo sguardo di quei dieci gradi che gli avrebbero permesso di vedere l’attaccante iraniano appostato dietro di lui, pronto ad entrare furtivamente nel suo campo visivo quando ormai l’intercetto è inevitabile. Prima che Bentancurt calci, Taremi scatta e si butta in tackle sul pallone - nel frattempo arrivato pigramente tra i piedi di Szcesny - e con un rimpallo porta in vantaggio i suoi.
È un gol che forse a Taremi ricorda le risate nel sonno - «ho ringraziato Dio per aver fatto accadere quel che avevo sognato, lì per lì non riuscivo nemmeno a rispondere ai miei compagni», conclude nell’intervista -, un gol che contiene caparbietà e furbizia. E che evoca l’idea di “o bichinho”, l’insetto, soprannome affibbiatogli dal medico dello staff di Carlos Queiroz, ex allenatore della Nazionale iraniana. Il gol dell’iraniano a Oporto contro la Juve sarà decisivo per il passaggio del turno maturato al ritorno, in un 3-2 per i bianconeri nel quale Taremi si guadagnerà un rigore con sorprendente maestria - sulla quale si tornerà più avanti - ma si farà anche espellere al 54’, per poi esplodere a fine match in un pianto carico di sensazioni ambivalenti, di tensione emotiva. Non era la prima volta che Taremi piangeva nella sua carriera.
Negli ultimi due mesi di Champions League, i primi di Taremi da titolare, ha segnato un gol “sporco” e decisivo contro la Juventus e uno spettacolare, in rovesciata, allo Stamford Bridge, che però non basterà per passare il turno. È stato il primo gol di un iraniano nelle fasi a eliminazione diretta di Champions League ma non l’unico gol in rovesciata segnato da un iraniano in casa del Chelsea: ci era riuscito un anno fa anche Alireza Jahanbaksh del Brighton. In mezzo a questi due mesi, così come in mezzo all’intensa carriera di Taremi, ci sono diversi momenti in cui ha dimostrato di avere delle qualità particolari.
Taremi è nato nel 1992 e il suo fisico non rimanda certo a quello di un insetto. Taremi è pesante, potente, spigoloso e agile allo stesso tempo: sembra portarsi dietro decine di chili di ferraglia e piombo, ricoperti però da una membrana di gomma che sembra facilitarne gli spostamenti, attutirne gli attriti. Ci sono momenti in cui sembra macchinoso al punto da sembrare più grosso di quel che è, complice anche una tecnica un po’ rudimentale; altri in cui la sua esplosività e la certosina capacità di trovare gli spazi giusti sembrano ridurne le misure e aumentarne l’agilità. Un po’ come il Porto di Conceicao, è in grado di generare impressioni diverse a seconda del la partita, del contesto tattico e delle richieste dell’allenatore. Agli attaccanti è richiesto un enorme lavoro senza il pallone. Marega e Taremi si sobbarcano il primo pressing con un'applicazione quasi militare; con la palla, quelle di appoggio quanto di fornitura della profondità: sanno passare intere partite giocando spalle alla porta, fungendo da inneschi per l’inserimento dei centrocampisti ma anche ricercando ossessivamente la profondità con tagli in mezzo ai centrali, o l’allargamento della linea avversaria con i tagli interno-esterno.
È la posizione dell’iraniano, più che di Marega, a far scivolare talvolta il Porto dal 433 al 4-4-2, quando si posiziona a destra sulla linea di centrocampo. Paradossalmente non eccelle nell’utilizzo del corpo, che gli fa perdere molti duelli (ne vince il 48%) in rapporto alla stazza che ha, ma questo difetto in qualche modo concorre a produrre, come effetto collaterale, una sua qualità particolare, certificata dai numeri.
Mehdi Taremi adora il contatto coi difensori, specie se può “sentirli” alle spalle, se può andare ad occupare con visibile senso di urgenza quei 40 centimetri che separano l’avversario dalla palla. Lo adora nel senso che lo ricerca, lo preferisce a tanti altri gesti, quasi lo insegue. L’obiettivo indiretto è quello di farsi fare fallo, possibilmente in zone pericolose. Magari in area. Lo si era visto già nel 2015, quando si guadagnò questo rigore tra le fila del Persepolis nella Champions League asiatica, trasformandolo poi con il cucchiaio.
Se però Taremi, dopo aver dominato in Iran e in Qatar, era noto sopratutto per la sua freddezza nel calciarli, i rigori, dopo aver accettato l’offerta del Rio Ave in Portogallo (rifiutando uno stipendio cinque volte maggiore nella Penisola arabica) si presenta dapprima con una tripletta all’esordio contro il Deportivo Aves; poi, sette giorni dopo, al Josè Alvalade di Lisbona, si fa fare tre falli da rigore da Sebastian Coates, difensore dello Sporting con una discreta esperienza internazionale, che se lo ritrova davvero ovunque, proprio coma una zanzara ad agosto. Finirà 2-3 per il Rio Ave e Taremi non lascerà più la titolarità. C’è da dire - ma forse ciò valorizza ulteriormente la sua scaltrezza, considerando che parliamo di un giocatore alla prima settimana di calcio europeo - che il secondo lo guadagna forse simulando, quasi creando un contatto, inseguendo un pallone che aveva stoppato verso la sua porta e piuttosto male, ma che passa troppo vicino a Coates per esimerlo dal lanciarsi coi suoi polpacci nei pressi del piede dell’ex Liverpool, palesemente di proposito, come se pensasse a quello ogni volta che è in area.
Nei tre rigori che Taremi guadagna contro lo Sporting non c’è nulla di casuale e c’è molto della sua già sviluppata intelligenza calcistica, della sua combattività e del suo intuito. C’è un giocatore “raffinato”, come lo ha definito Conceicao, anche se siamo abituati ad associare la raffinatezza al tocco di palla, ad aspetti più luccicanti del gioco. A fine stagione 2019/20, oltre a 18 gol in 30 presenze (che gli permettono di vincere la classifica cannonieri in coabitazione con Pizzi del Benfica), i rigori ottenuti da Taremi saranno otto: tanti quanti quelli concessi allo Sporting o al Famalicao, e più di quelli assegnati a qualunque squadra portoghese, escluse Benfica, Porto, Tondela e il suo Rio Ave. Alcuni rigori guadagnati da Taremi sembrano davvero dipendere da un gusto perverso per lo scherzo ai difensori: guardate questo guadagnato a fine aprile contro il Famalicao.
A fine stagione, tra le offerte di Benfica, Sporting e Porto, sceglierà i Dragoes, riuscendosi poi a guadagnare giorno dopo giorno la stima di Conceicao. Oggi - in una squadra che ha meno possibilità di attaccare con spazio rispetto al Rio Ave - ha messo a referto 13 gol (su 12,50 expected goals) in Liga Nos, 7 assist, 0,9 passaggi chiave a partita di media, oltre al costante lavoro di sfiancamento che permette al Porto di cambiare pelle durante e tra i match. «Un mal di testa permanente, una fonte di destabilizzazione», aveva scritto entusiasta, un anno fa, il giornalista Nuno Dias, per poi indulgere nella metafora geopolitica, descrivendo l’iraniano come una “spia di spazi che il nemico lascia liberi”, come un giocatore che “cerca di invadere terre di nessuno con costanza e minuziosità”.
Se Taremi è in grado di credere ai sogni che fa, il modo in cui ha lavorato sulle sue qualità, conservandole, gestendole e ampliandole - un assistente di Queiroz dice di averlo conosciuto alla fine di un allenamento, dopo il quale Taremi ha passato diversi minuti ad assillare il tecnico portoghese su come eseguire un taglio tra centrale e terzino -, senza avere un particolare talento naturale, suggerisce anche si tratta anche di un giocatore pragmatico, realista, che ha sempre mantenuto i piedi per terra. Emotivo ma capace di disporre delle sue emozioni e metterle al servizio della sua competitività, come quando dopo Porto-Juventus ha rifiutato la maglia di Cristiano Ronaldo - suo idolo in adolescenza - autografata e recapitatagli dal compagno Pepe, perché “voglio quella del ritorno a Torino”. Cioè la risposta di chi non ci sta a fare il groupie del proprio idolo ma crede fortemente di poterlo battere.
Non poteva, forse, essere altrimenti, per un giocatore che ha esordito nel massimo campionato iraniano a 23 anni, in Europa a 27, e che ha “smesso” di giocare a calcio ben due volte: la prima, a vent’anni, quando non riesce a trovare una squadra iraniana legata alle Forze armate - con la quale molti giocatori assolvono all’obbligo di leva - ed è costretto a fare il militare in una vera guarnigione nel sud del Paese; la seconda quando viene squalificato per quattro mesi in seguito al mancato rispetto di un pre-contratto siglato con i turchi del Caykur Rizespor. Ma forse, più di tutto, sullo spirito che Taremi mostra in campo influisce una enorme sliding door che gli si è chiusa di fronte alla Mordovia Arena di Saransk, una sera di fine giugno.
Capita sul suo sinistro - un tiro che oggi difficilmente sbaglierebbe - la palla che al 94’ di Iran-Portogallo, sul punteggio di 1-1, può garantire all’Iran un incredibile passaggio agli ottavi, all’interno di un girone proibitivo con Spagna, Marocco e Portogallo. Taremi la lascia scivolare verso sinistra forse una frazione di secondo di troppo, quando ormai l’angolo è troppo acuto, e tira da pochi passi sull’eterno della rete. Quella sera, di fronte a milioni di iraniani davanti alla tv, sarebbe potuto diventare un vero e proprio eroe nazionale, superando giocatori del passato che pure hanno una dimensione tecnica superiore alla sua. Non diventarlo, e in quel modo lì, è un peso che solo i giocatori convinti delle proprie qualità possono sopportare, un peso che solo pochi sanno trasformare nella miccia che accende una carriera.