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Memphis Depay, ribelle nato
19 dic 2018
Al Lione il talento dell'olandese sembra finalmente esploso.
(articolo)
11 min
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Quando lo scorso marzo gli è stato chiesto cosa gli mancasse per diventare il migliore calciatore al mondo, Memphis Depay ha risposto con la modestia che lo contraddistingue: «Nulla in termini di qualità, forse solo continuità». A 24 anni, mentre tutti lo davano più o meno per finito, l’olandese ha avuto la migliore annata della sua vita: nel 2018 è a quota 23 gol, a cui aggiunge 23 assist e la percezione netta di poter cambiare con le sue giocate l’andamento di ogni partita sia del Lione che della sua Nazionale. È la prima volta che nella sua carriera Delay riesce a far parlare di sé più per quello che fa dentro al campo di quello che combina fuori.

Anche durante un periodo positivo come questo, Depay non perde occasione per alimentare la sua fama da sbruffone, rendendo ancora più precario l’equilibrio tra la fiducia in sé stessi e l’arroganza, e di conseguenza ancora più forte ogni sua caduta. A Manchester ha ridicolizzato un consiglio del suo capitano Rooney, in Nazionale è venuto alle mani con Robin Van Persie durante un allenamento e a Lione non sta risparmiando nessuno tra dirigenza, allenatore e compagni.

Tutti questi atteggiamenti sono il riflesso più evidente della sua idiosincrasia verso qualunque tipo di autorità. Un aspetto che magari si riflette anche nella scelta di portare sulla maglia il suo nome e non il cognome del padre, Dennis Depay, che lo ha abbandonato quando aveva quattro anni.

Il fallimento di Manchester

Sono passati tre anni dal suo esordio in Champions League con il Manchester United, una prestazione così dominante che ha spinto la BBC a scrivere che «probabilmente la maglia numero 7 dei Red Devils ha finalmente trovato un erede degno di Cristiano Ronaldo». In quella gara dei playoff contro il Brugge ha realizzato una doppietta e servito l’assist del definitivo 3-1, trascinando la squadra con grande personalità in una partita molto delicata a soli 21 anni. A fine partita Van Gaal – il principale artefice del suo trasferimento in Inghilterra – era così contento del suo giocatore che ha detto che l’avrebbe voluto baciare.

Una fonte anonima interna alla squadra ha recentemente parlato a Espn, fornendo un interessante punto di vista sulle prime settimane di Depay a Manchester: «Era un ragazzino, ma pensava di essere già un campione anche se non aveva ottenuto ancora niente. Ha avuto un’ottima partenza, ma probabilmente la partita contro il Brugge è stata la peggior cosa che gli potesse capitare. La sua crescita si è arrestata in quel momento, ma tutti sapevano fosse un talento vero».

L’incredibile primo gol di Memphis con la maglia dello United, quello dell’illusione.

Dopo alcune partite convincenti, il livello di Depay si è normalizzato nelle settimane successive - com’è anche normale per un ragazzo di 21 anni che arriva dal campionato olandese; da quel momento un contesto così esigente come quello dello United ha iniziato a pesare. Prima del suo arrivo il Guardian ha scritto: «Memphis è più potente di Januzaj e Ashley Young, più veloce e diretto di Angel Di María, più mobile di Falcao e van Persie e ha un tiro migliore di tutti loro»; personaggi del calibro di Koeman, Van Basten, Robben e Ronaldo hanno detto che sarebbe diventato il giocatore più forte del mondo. Tutto l’hype creato intorno a lui, unito alla prestazione contro il Brugge, ha generato una pressione troppo forte che ha finito per schiacciarlo lentamente.

A Manchester la spavalderia di Memphis, che era inizialmente vista come un’attitudine da vincente, si è presto rivoltata contro di lui e ha iniziato a essere percepita come arroganza; anche la richiesta di avere la storica maglia numero 7 appena lasciata libera da Di Maria, originariamente percepita come sintomo di personalità, con il passare delle settimane è diventata il simbolo della sua immaturità ed eccessiva fiducia. La sua azione tipo “dribbling-rientro-tiro” che aveva fatto le sue fortune con il PSV, in Inghilterra si è rivelata molto poco efficace: solo il 42% dei suoi 3.8 tiri per partita ha preso lo specchio della porta e la sua inefficienza è diventata un lusso non sostenibile prima per Van Gaal e poi per Mourinho.

Con la complicità di un’infelice intervista alDe Telegraaf in cui si lamentava per l’eccessiva intensità del calendario inglese e un litigio con i giornalisti per un cappello indossato in conferenza stampa, Depay viene relegato nella squadra riserve per un breve periodo, ma qui si consuma la rottura definitiva con l’ambiente. Il capitano Rooney lo critica pubblicamente per mancanza di umiltà, dicendo che pensa più ai suoi vestiti appariscenti che al campo; in risposta lui si presenta alla partita successiva a bordo di una Rolls Royce da 250mila sterline, vestito totalmente di pelle e con in testa un cappello da cowboy. Il caratteraccio gli impedisce di avere un buon rapporto sia con il suo capitano che con il suo allenatore. Nemmeno Van Gaal, che lo aveva allenato nella Nazionale olandese con ottimi risultati, riesce a gestirlo ed evitare la sua involuzione, che si completa nei primi mesi della gestione Mourinho.

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@waynerooney : Mem... can you borrow me your red leather jacket for tonight please? 👹 #ithoughtwewerepastthat

Un post condiviso da Memphis Depay (@memphisdepay) in data: Set 16, 2018 at 4:58 PDT

Lo scorso settembre Memphis ha scherzato sulla storia della giacca di pelle in occasione del suo ritorno a Manchester per la sfida di Champions League contro il City.

Un anno e mezzo dopo il suo arrivo viene ceduto al Lione; a Manchester ha chiuso con 53 presenze, 7 gol e la sensazione di aver perso una grossa occasione. Nel momento in cui sarebbe dovuto maturare come uomo e professionista, Depay è rimasto bloccato nel suo conflitto interiore irrisolto.

L’eredità dell’infanzia difficile

Nel 1998 suo padre Dennis lascia la famiglia per tornare nel suo paese nativo, il Ghana. Poco dopo la madre trova un nuovo compagno, descritto da Memphis come un violento con dieci figli che, invidiosi del suo talento calcistico, lo prendono di mira e lo bullizzano. Un ambiente ostile che lo porta a rifugiarsi nella strada, dove gioca a calcio e si appassiona al rap, catalizzatore della rabbia verso il padre che lo ha abbandonato.

La strada diventa il suo rifugio durante l’adolescenza, come testimonia il suo tatuaggio più famoso, l’enorme leone che gli copre totalmente la schiena: «Rappresenta me. Ho sempre sentito di essere cresciuto nella giungla. Ero sempre fuori, mi sono trovato in strade molto pericolose e ho dovuto affrontare periodi difficili. Per me il leone rappresenta il re della giungla, e io sono sempre uscito da tutte le situazioni, anche se a volte è stato difficile».

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Showtime

Un post condiviso da Memphis Depay (@memphisdepay) in data: Gen 24, 2018 at 10:53 PST

Memphis è dovuto rimanere sdraiato per più di 24 ore consecutive per la realizzazione del tatuaggio del leone.

Nel 2009, il giorno dopo il suo quindicesimo compleanno, muore il nonno Kees, quanto di più vicino abbia avuto a una figura paterna nella sua vita. La morte dell’ultimo punto di riferimento maschile della sua infanzia spinge Memphis a mettere da parte il rap per concentrarsi esclusivamente sulla sua carriera calcistica; in un video documentario sulle sue origini realizzato da Adidas, l’olandese ha parlato della perdita del nonno: «È stato un uomo che mi ha dato molta forza e si è preso cura di me. Ricordo che quel giorno pensai: “Devo farcela. So chi voglio diventare, il migliore”».

Dopo aver segnato il suo primo gol in nazionale durante i Mondiali del 2014, l’olandese si è inginocchiato, ha baciato il tatuaggio dedicato al nonno e ha alzato le mani al cielo. Foto di Juan Barreto / Getty Images.

Vittima della sua immagine

La rabbia che lo ha sempre spinto ad andare avanti e che ha forgiato il suo carattere lo ha reso un elemento praticamente ingestibile in un contesto calcistico: avere un buon rapporto con lui partendo da una posizione autoritaria è difficile, se non impossibile. Uno dei pochi a riuscirci è stato Mart Van Duren, uno dei suoi allenatori nelle giovanili del PSV, che ha spiegato quanto Memphis sia diverso dall’immagine che lascia trasparire di lui e come in qualche modo ne sia vittima: «Quando lo vedo parlare in tv penso che dovrebbe essere molto più aperto e rilassato, per lui sarebbe più facile. Ma questo con Memphis non succede, devi ottenere la sua fiducia per rompere una diffidenza nata durante l’infanzia». È un concetto che hanno ripetuto in momenti diversi quasi tutti i suoi allenatori, da Cocu che lo ha fatto esordire al PSV, passando per Van Gaal e Koeman che lo hanno allenato in Nazionale, fino a Génésio a Lione.

Dopo l’arrivo dei primi contratti Depay è rimasto coerente con il suo background e ha iniziato a vivere come i rapper americani che arrivano al successo partendo dalla strada, “started from the bottom”. Durante la sua carriera è stato attaccato diverse volte per il suo stile di vita eccentrico, testimoniato in modo fiero sulla sua pagina Instagram: jet privati, yachts, catene, anelli e orologi d’oro, vestiti di lusso, sigari, studi di registrazione e i suoi tatuaggi, intervallati da qualche foto di gioco che ci ricordano che è un calciatore. Memphis ha fatto gli auguri a Floyd Mayweather per il suo quarantesimo compleanno pubblicando una foto con dei guanti da boxe di Louis Vuitton, che indossa per allenarsi nel ring di dimensioni reali che si è fatto costruire nella sua casa di Rotterdam.

Il rap è sempre una parte importante della vita di Memphis. Nell’ultimo anno ha registrato un pezzo in collaborazione con due artisti olandesi; tutto il ricavato è stato utilizzato per un progetto di beneficienza in Ghana.

La nuova posizione e i vecchi problemi

Se a Lione aveva già ricominciato a far vedere alcune delle sue migliori doti già da inizio 2017, durante il 2018 è arrivato il definitivo salto di qualità, soprattutto grazie a una mossa del ct dell’Olanda Ronald Koeman. Vista la mancanza di centravanti di livello, lo scorso marzo l’ex allenatore dell’Everton ha deciso di utilizzare Depay in posizione più centrale. Il risultato è stato così positivo da convincere anche l’allenatore del Lione Bruno Génésio ad adottare una soluzione simile.

Scaricato delle responsabilità difensive richieste ai giocatori esterni, Memphis ha potuto utilizzare al meglio la sua creatività, trovando più spazio per le sue incursioni e più occasioni per concludere a rete. Con l’Olanda è andato a segno nell’amichevole contro il Portogallo e una volta tornato a Lione ha partecipato con gol o assist a 12 reti nelle successive 5 partite.

L’olandese ha parlato dell’importanza che ha avuto il cambio di posizione nell’interpretazione del gioco: «Libero da un ruolo sono al massimo, è sempre stato così. Non sono un attaccante centrale, sono più pericoloso quando posso sfruttare i corridoi liberi e seguire il mio istinto senza limitazioni, così sono anche più utile alla squadra». Nella nuova posizione che gli consente di svariare molto ha scoperto l’esistenza di un mondo di possibilità al di fuori dell’azione che ha contraddistinto gran parte della sua carriera: partenza dalla sinistra, dribbling a rientrare e tiro; azione verso cui aveva sviluppato qualcosa di molto simile a una dipendenza.

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Un post condiviso da Memphis Depay (@memphisdepay) in data: Gen 22, 2018 at 5:10 PST

Ora riesce a declinare il suo talento in molte altre forme, ma quando la sua specialità viene eseguita per segnare il gol vittoria contro il Psg al 95’ è comunque un bello spettacolo da vedere.

La nuova posizione gli ha restituito fiducia, sia come creatore che come finalizzatore. Ultimamente Génésio sta schierando il Lione con il 3-4-1-2, in cui l’olandese parte nella coppia offensiva senza dare molti punti di riferimento; abbandonando la fascia sinistra Memphis è riuscito a sviluppare l’aspetto più associativo del suo gioco, a cui non si era dedicato molto nella prima parte della sua carriera. In questa stagione di Ligue 1 è leader della classifica degli assist con 7 e secondo solo a Payet in quella di passaggi chiave per partita (3.1, la passata stagione 2.1); in Champions League fa ancora meglio: è primo con 4 assist in 6 partite e dietro solo a Kroos nei passaggi chiave (3.7, più del doppio rispetto agli 1.5 della scorsa annata in Europa League).

In un’intervista lo scorso ottobre ha parlato in termini positivi della sua crescita a Lione: «Sono migliorato molto, non solo come giocatore ma come persona. Sono maturato». Poco dopo però, nella trasferta di Angers, è stato lasciato in panchina, salvo poi entrare e segnare il gol della vittoria. Al termine della partita è andata in scena un’altra puntata della sua lotta personale contro qualunque autorità: «Non mi sento sempre rispettato come giocatore. Io lavoro sempre, devo accettare le decisioni dell’allenatore ma merito più di questo e dovrei giocare ogni partita».

L’insoddisfazione dell’olandese è stata evidente per tutta quella settimana: durante il match di Champions contro l’Hoffenheim è sbottato contro i compagni dopo il pareggio negli ultimi minuti dei tedeschi; ad Angers si è addirittura rifiutato di prendere parte al riscaldamento con il resto della squadra, rimanendo seduto su un pallone a guardare i compagni.

A quel punto Génésio – che fino a quel momento lo aveva difeso e lo aveva definito «un ragazzo molto intelligente e diverso dall’immagine che dà di sé» - ha cercato di dargli una lezione di vita in una conferenza stampa molto ironica: «Voglio chiedere scusa a Memphis. Scusa per tutte quelle volte che sei arrivato in ritardo, per tutte le volte che indossi una maglietta di una squadra che non è la nostra, per come ti sei comportato durante il riscaldamento contro l’Angers, per i tuoi ritardi e la tua mancanza di impegno». Poi ha chiuso con un consiglio paterno che Memphis non ha mai potuto avere: «Se vuoi una grande carriera devi avere umiltà».

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