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Come è finito Menez alla Reggina
17 giu 2020
Houdini sta tornando.
(articolo)
9 min
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Jeremy Menez alla Reggina. Basta una semplice proposizione per far esplodere due universi che non sembrava potessero mai toccarsi. Mentre scrivo l’accordo non è ancora ufficiale ma se ne parla da giorni. Il nome è prima circolato come semplice indiscrezione, e si faceva fatica a crederci, poi ha parlato Massimo Taibi - quel Massimo Taibi - che oggi fa il direttore sportivo della Reggina e che ha confermato che “ci sta lavorando da giorni”. La Reggina è già ufficialmente promossa alla Serie B del prossimo anno e Menez sarebbe il diamante da mostrare nella nuova categoria. Secondo Sky la prossima settimana potrebbe arrivare l’ufficialità.

Come da tradizione, a fomentare l'attesa ci sono gli “indizi social”: dettagli insignificanti da interpretare come un ermeneuta medievale per capire le prossime mosse di mercato. Qualcosa con cui i calciatori stessi amano giocare per manipolare le attenzioni del pubblico. Menez sui social ha provato ad alimentare l’hype sul suo trasferimento come se stesse per andare al Real Madrid. Qualche giorno fa, su Instagram, aveva pubblicato una foto in cui copriva il naso con le mani. I tifosi della Reggina, con grande autoironia, avevano commentato: «sente già la puzza di spazzatura, altro indizio». I tifosi hanno preso d’assalto il suo profilo con commenti su vari gradi di surrealismo: da un prevedibile «Preparati ad esultare sotto la curva più calda d’Italia» a un più intraducibile «Jeremy ndi mangiamu nu paninu cu satizzu a festa maronna e ndi imu e giostri me cumpari ❤️». Per arrivare a un tifoso italiano del Paris FC (?), l’ultima squadra di Menez, che gli dà del mercenario: «Sei solo un mercenario!! Hai fatto bene ad andare via da Parigi, camminavi in mezzo al campo, sei lo stesso livello di Balotelli! Scendi dal piedistallo».

Domenica l’indizio definitivo: una foto in aereo con scritto “Sud, j’arrive”, con una connotazione terzomondista in linea col personaggio. Lunedì mattina su Wikipedia era già un calciatore della Reggina.

Riassunto delle puntate precedenti

Senza mancare di rispetto a nessuno, è naturale chiedersi come si sia ridotto Jeremy Menez per finire alla Reggina. Una futura neopromossa in Serie B, che ha appena acquistato un calciatore che dieci anni fa era ancora considerato un talento generazionale. E per quanto ci possa suonare strano, Menez non è ancora così avanti con l’età.

Menez ha ancora 33 anni, gli stessi di altri giocatori ancora fra i migliori al mondo, e il cui talento da giovani non era considerato superiore al suo: Luis Suarez, Karim Benzema, Arturo Vidal, Gerard Piquè, Edinson Cavani. Ma Menez fa parte della maledetta generazione dell’87 francese, quella che ha vinto l’Europeo U-17 nel 2004, composta da giocatori baciati dal talento e dalla sfortuna. Come altri di questa generazione, Menez ha avuto una parabola decadente e a tratti incomprensibile. Il suo talento è rimasto un’astrazione.

Menez, Ben Arfa e Nasri si sostengono reciprocamente.

Quando era stato comprato dalla Roma, nell’estate del 2008, la sua fama lo precedeva. Nei forum dei tifosi circolava un video fantasmagorico di YouTube con le sue giocate. Era davvero così forte? Nel video, sotto il lieve piano di Yann Tiersen, le persone parlano di lui come si fa di un grande artista. Dicono abbia il talento di Trezeguet o di Henry; lui dice che deve imparare a essere efficace, che nel calcio di oggi non basta il bel gesto - come a dire che se fosse nato trent’anni prima si sarebbe potuto concedere più ozio. Spicca la sua giocata più bella, un tunnel di tacco a cui segue un altro tunnel, di suola. Quando dribbla Menez tiene la testa alta e il busto piuttosto rigido, come i dribblatori elusivi e slanciati sembra riuscire a muoversi sulle punte. I suoi dribbling sono un mistero ed è per questo che Carlo Zampa, il telecronista tifoso giallorosso, lo soprannomina “Houdini”.

Con una provocazione potremmo dire che quel video è stato il punto più alto della carriera di Menez, che solo per brevi momenti è riuscito a dare carne a quell’idea impalpabile. Alla Roma nel suo gol all’Udinese, quando dribbla sciando alla Prosinecki; o nel leggendario secondo tempo contro il Bayern Monaco, quando era un rebus irrisolvibile per la difesa avversaria. Poi è finito al Paris Saint Germain, che è dove bisogna andare per finire presto la carriera. Menez aveva 24 anni ma il meglio era già passato.

Quando andò al Milan, nel 2014, era già postumo a sé stesso: un giocatore decadente in una squadra decadente. Menez con le rasature a righe sui lati della testa, con la maglia dallo stemma vintage, segnava senza mai sorridere, agitando l’indice della mano come se solo dopo aver segnato il mondo tornasse al suo posto. Filippo Inzaghi aveva avuto l’intuizione di spostarlo punta e aveva funzionato, dandogli la sua miglior stagione in carriera: 16 gol in 34 partite. «In allenamento mi dicevano che ero forte come Kakà, poi in partita ero discontinuo». Segnò quel gol al Parma, con il tacco dopo aver girato attorno a porta e avversari come in un circuito, e forse a Menez stava bene così. Che carriera è quella che ricorderemo soprattutto per un gol del genere, inutile e aristocratico? In quello che da molti viene ricordato come il peggior Milan di sempre, mentre il popolo chiedeva pane, Menez lanciava brioche.

Il Milan è l’unica squadra in cui qualcuno ancora lo rimpiange, e il sentimento è reciproco. È stata pur sempre la miglior esperienza della sua carriera. In un contesto senza troppe pressioni, in una squadra troppo disgraziata per poter deludere davvero, Menez era a proprio agio. Vedendo i video di quell’anno si possono chiudere gli occhi e immaginare un altro multiverso, in cui San Siro è ancora La scala del calcio e Menez il suo primo violino.

Ad aprile, in pieno lockdown, parlava già da ex calciatore, ricalcando le frasi dei talenti bruciati: «Avrei potuto fare molto di più ma non ho lavorato abbastanza. Pensavo che il talento era sufficiente». Si lamenta che la stampa è stata perfida con lui, che non è riuscito a convivere con l’etichetta di “bad boy”. Bisogna ammettere che negli ultimi tempi ha fatto di tutto, piuttosto, per coltivarla.

Al Bordeaux vive una stagione grigia, ricordata per un tackle che gli mozzò l’orecchio: «Ero là senza essere là» dirà poi. A fine stagione, a 30 anni, inizia il suo personale Grand Tour del talento europeo con poco da dire. In Turchia, all’Antalyaspor, viene accolto all’aeroporto come un divo: fumogeni, cori, sciarpe stese. Lui sorride, firma palloni, scatta qualche foto. Giocherà nove partite, nessun gol. Leonardo, per qualche ragione capitato sulla panchina del club turco, si lamentava che doveva “dare di più”. In quel periodo dice di aver perso «Il gusto per il lavoro. Ero stufo del mondo del calcio. Gente falsa, che si fingeva amica. Non lo reggevo più. Ma dopo un po’ dici a te stesso «Divertiti, fregatene degli altri. Quando tutto sarà finito, sarà già troppo tardi».

Città del Messico > Parigi > Reggio

È forse con questo spirito che prende l’aereo e va in Messico, al Club America. Altra accoglienza da eroe, altri cori, foto con i tifosi, una nuova maglia da onorare. Il terminal dell’aeroporto è così pieno di gente che oggi, in epoca di distanziamento, ci dà i brividi. Questa è una delle cose più pure del calcio: ci sarà sempre una tifoseria, in un angolo del mondo, pronta a credere con fiducia cieca al talento più logoro. Perché non bisognerebbe credere alla bella idea per cui la classe è eterna?

Al suo esordio, dopo pochi minuti, segna un gran gol di interno destro, di controbalzo. Esulta correndo con l’indice sulla bocca, poi indica il suolo in una comica reinterpretazione del “Yo estoy aqui” di Cristiano Ronaldo. Il telecronista non è certo meno enfatico “Que pintura! que obra de arte!”, “El piojo” Herrera in panchina è paonazzo, la faccia deformata come i quadri di Otto Dix. Il contesto sembra troppo emotivo per Menez, che ha spesso espresso il suo rapporto controverso col calcio anche attraverso un certo distacco. Le cose, come sempre per Menez, sembrano andar bene, finché non vanno male. Segna altri 4 gol, ma tutti su rigore; a luglio si fa male al legamento crociato del ginocchio - perché come potete immaginare neanche gli infortuni gli hanno dato pace -, Herrera dice che deve lavorare di più ma a gennaio rescinde il contratto. All’aeroporto un tifoso prova a farsi una foto con lui, ma viene spinto via. Il portale messicano TV Notas diffonderà poi le immagini di un festino con escort e stupefacenti. Secondo la testata argentina Info Bae «L’allenatore non lo convocava neanche in allenamento e nello spogliatoio nessuno voleva averci a che fare».

Dove può andare allora Menez, dopo aver fallito anche in Messico, qual è il prossimo girone del purgatorio?

Al Paris FC, all’inizio di questa stagione, torna a casa e scende di categoria. Persino nel primo video che i social del club gli dedicano, quello che serve per caricare di hype i tifosi, Menez appare incredibilmente pigro e imbolsito.

Le cose in effetti non sono cominciate bene, ma sono migliorate proprio all’inizio del 2020, quando a febbraio ha segnato 4 gol in 3 partite. Poi è arrivata la pandemia, Menez è tornato libero da contratti e ora sta per firmare con la Reggina, squadra con una delle più belle storie del calcio italiano degli ultimi anni. Sei anni fa, nel 2014, la società ha festeggiato i propri cento anni retrocedendo in Serie C, e l’anno dopo ha sfiorato la caduta nei dilettanti, salvandosi ai playout grazie alla vittoria nel derby dello stretto contro il Messina. Una sfida decisa da un gol di testa a tre minuti dalla fine. L’anno dopo però la Reggina non riesce a iscriversi al campionato di Serie C e cambia nome. Oggi si chiama ufficialmente Urbs Reggina 1914, è guidata da una dirigenza romana che ha sanato i debiti ed è stata promossa in Serie B dopo la sospensione del campionato, arrivata mentre era in testa al proprio girone. Il presidente Gallo aveva detto che il suo compito sarebbe finito una volta portata la Reggina in Serie B, ma oggi dice di voler seguire “Il modello Atalanta”. Lo scorso anno il DS Massimo Taibi ha puntato su German “El Tanke” Denis, ancora non abbastanza sfinito da non fare la differenza in Serie C (12 gol quest’anno). Con Menez si cerca forse di ripetere lo stesso tipo di operazione - e in queste ore si parla anche di Mauro Zarate! - sperando che “Houdini” abbia ancora voglia di giocare a calcio, anche in un contesto complicato e rocambolesco come quello della Serie B italiana.

Nel sistema dantesco Menez finirebbe probabilmente tra i negligenti, quelli che indugiano a pentirsi delle loro colpe, e che comunque lo fanno troppo tardi. Magari sarà proprio Reggio a donargli la redenzione. Un ottimo motivo per seguire la prossima Serie B.

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