18 punti di differenza in classifica dividono una parte e l’altra della città di Barcellona, Mecca del calcio dell’ultimo decennio, ma non nella sua interezza. Perché se c’è nel panorama calcistico una città in cui il derby è una sfida storicamente poco equilibrata questa è il capoluogo catalano. Da sempre FC Barcelona e RCD Espanyol hanno dato vita a un derby sentito, ma squilibrato nei valori in campo. Un dislivello ancora più ampio negli ultimi anni, quando i blaugrana di Guardiola e Messi hanno sconvolto gli equilibri del calcio europeo.
La seconda parte di questa stagione metterà in scena tre derby di Barcellona, tutti incredibilmente a gennaio. Il primo sarà in campionato e gli altri due verranno disputati per il doppio confronto degli ottavi di finale della Coppa del Re. Una buona scusa, dunque, per analizzare nel profondo cosa significhi oggi essere dell’Espanyol a Barcellona, nel momento in cui il Barça torna dal Giappone con il quinto trofeo conquistato negli ultimi 6 mesi.
La squadra campione di Catalogna nel 1904.
L’Espanyol fu la prima società a dare spazio a calciatori catalani e spagnoli—il Barcellona fondato dallo svizzero Joan Gamper prevedeva l’impiego di soli giocatori stranieri inizialmente—e oggi può vantare 28mila soci ufficiali. Una fede basata sull’idea della propria diversità, trasmessa di padre in figlio, nonostante gli scarsi risultati sportivi. Tra i club spagnoli più storici l’Espanyol infatti è l’unico a non essersi neanche mai avvicinato a un titolo in Liga.
Con una nuova dirigenza di origine cinese—il Radstar Group, da poco azionista di maggioranza—quella che da sempre è la seconda squadra catalana potrebbe dar vita a un processo di crescita importante, spinto dai capitali orientali e pronto a ottimizzare uno stadio nuovo ed efficiente, con una capienza di oltre 40mila spettatori.
Un progetto ambizioso
L’estate del 2009 il capitano dell’Espanyol Daniel Jarque calcava per la prima e ultima volta il terreno di gioco del nuovissimo stadio Cornellà-El Prat, oggi Power8 Stadium. Pochi giorni dopo sarebbe morto per un attacco cardiaco a Coverciano, lasciando la moglie e un figlio, per essere poi ricordato da Andrés Iniesta il 12 luglio 2010 a Johannesburg, quando la Spagna alzò per la prima volta al cielo la coppa del mondo.
La struttura era la prima pietra di un tentativo di ripresa da parte dell’Espanyol, quasi da sempre all’ombra del Barcellona e con in bacheca qualche Coppa del Re e negli albi d’oro una medaglia d’argento nella Coppa UEFA 1988 e nell’Europa League 2007. Con quattro stelle UEFA, adatto quindi a ospitare anche finali di eventi come l’Europa League, lo stadio dell’Espanyol è una casa che i tifosi pericos (l’emblema del club è un “periquito”, un parrocchetto) hanno cercato per tutti i dodici anni in cui sono stati costretti all’esilio forzato allo stadio Olimpico di Montjuïc dopo la demolizione dello storico stadio di Sarriá.
Lo stadio Sarriá prendeva il nome dal quartiere Sarriá-Sant Gervasi, dove sorgeva. La foto risale ai Mondiali del 1982, quando ospitò anche la partita tra Italia e Argentina.
L’importanza di uno stadio di proprietà ha avuto un ruolo chiave nell’arrivo della nuova dirigenza cinese, che intende far grande l’Espanyol e parte proprio dalla struttura di Cornellà. Rastar, il nuovo "padrone" della società spagnola, è un’azienda cinese specializzata in giocattoli, cinema e videogiochi, a capo della quale vi è il presidente Chen Yangsheng, che ha deciso di acquistare l’Espanyol proprio per la sua ubicazione a Barcellona, città che da sempre lo affascina, come riportato in un’intervista recente al quotidiano iberico As.
In Cina Rastar spicca come la seconda azienda del settore di giochi e videogiochi in quanto a fatturato—300 milioni di euro nel 2014 per un aumento dei benefici del 91%—e dato che il 65% delle sue vendite hanno luogo in Europa, il presidente Chen ha pensato di creare un hub amministrativo e commerciale a Barcellona. L’ufficio catalano sarà, infatti, piazzato proprio nella sede dell’Espanyol del municipio di Cornellà, a pochi km a ovest dal centro della città spagnola. Stadio e ufficio, oppure casa e bottega, neanche fosse il laboratorio di un presepe napoletano.
Il controllo di Rastar sulla società sarà praticamente totale, tanto che è stato costruito un ufficio apposito per il "controllo dello sviluppo del calcio" nel quartiere generale dell’azienda a Canton, al 49.esimo piano dell’emblematico edificio Ying Kai. La connessione tra Barcellona e la Cina sarà dunque continua, il che lascia ben sperare i tifosi, che nel mercato di gennaio si aspettano già qualche rinforzo.
La prima vittoria importante della storia dell’Espanyol, la Coppa del Re del 1929, si è giocata nella “Final del agua” contro il Real Madrid. Una partita che ben rappresenta lo spirito dell’Espanyol.
Poveri ma grintosi
In attesa degli investimenti nella rosa, l’Espanyol spicca oggi come una squadra composta soprattutto da giovani dal profilo interessante.
Oltre al portiere Pau López, nel giro dell’Under-21 spagnola e diretto concorrente di Francesco Bardi, ex capitano dell’Under-21 nostrana, vi sono Marco Asensio e Burgui, due talentuose mezzepunte di proprietà del Real Madrid. Questi due, insieme a Gerard Moreno, un giovane attaccante mancino della cantera, sono la catapulta ideale per lanciare Felipe Caicedo, centravanti dell’Ecuador capace di zittire il Monumental di Buenos Aires qualche mese fa. Questi quattro elementi insieme in campo sono la principale scommessa di Constantin Galca, nuovo allenatore dell’Espanyol con alle spalle due Mondiali giocati con la maglia della Romania. Grintoso in panchina come lo era in campo, Galca intende dare un’identità di gioco offensiva e punta a un 4-2-3-1 d'attacco nel quale a proteggere la difesa restano solo il capitano Victor Sánchez e il senegalese Pape Diop.
Il talento di Marco Asensio.
A 20 punti e al tredicesimo posto della classifica attuale della Liga, l’Espanyol ha cercato un cambio di rotta a metà dicembre, quando ha esonerato Sergio González, tecnico aziendalista e poco incline ai rischi. Con Galca, che ha indossato la maglia perica dal 1997 al 2001, si è cercato quindi di proporre un calcio più coraggioso, che nel derby sarà messo di fronte alla prova più dura. Contro il Barça verosimilmente l’ordine dell’allenatore sarà quello di pressare alto per tappare le uscite palla al piede dei freschi campioni del mondo. Cercando magari di replicare la prestazione difensiva del Deportivo, che è riuscito a bloccare il Barça sul 2 a 2 grazie a una pressione molto organizzata. Per l’Espanyol il tradizionale vantaggio di avere poco da perdere.
Il 28 dicembre, dopo la rifinitura allo stadio di Cornellà, sono accorsi centinaia di bambini alla ricerca di una foto o un autografo dei loro beniamini, un rituale frequente alla fine degli allenamenti a Sant Adrià de Besos. L’ultimo a uscire dalla struttura è Tommy N’Kono, preparatore dei portieri che non può vedere neanche un maglione di colore simil blaugrana, mentre Bardi, che giocherà negli incontri di coppa in programma a metà mese, ha detto di essere eccitato dall’idea di giocare contro Messi e compagni, «un’occasione perfetta per prendere tanti tiri in porta e divertirmi».
Per conoscere meglio l’Espanyol, cercando anche di capire le intenzioni dei nuovi proprietari, ho parlato con due leggende del club come Raúl Tamudo e Moreno Torricelli, che dopo aver vinto tutto con la Juventus ha subito lo shock culturale di ritrovarsi in una squadra che si dichiara nel proprio motto: "Meravigliosa minoranza".
Raúl Tamudo, goleador eterno
Se ogni minuto 21 lo stadio di Cornellà dedica un sentito applauso all’ex capitano Dani Jarque, è però chiaro che il calciatore più glorioso della storia biancoazzurra è Raúl Tamudo, miglior goleador catalano di sempre in Liga. Durante la conversazione avuta con lui, si è partiti proprio da questo punto.
Tamudo ha iniziato la propria carriera nell’Espanyol B nel 1992.
Sei il più grande marcatore catalano di sempre in Liga, eppure non hai mai giocato nel Barça, che rivendica il ruolo di paladino della catalanità…
In effetti è strano! (ride). Di solito è il Barcellona a tirare fuori i principali interpreti calcistici di origine catalana, ma nel mio caso non è stato così, lo dice la storia. E personalmente credo che essere il più grande realizzatore catalano di sempre, avendo vestito la maglia dell’Espanyol vale ancora di più.
Sei sempre stato perico (dell’Espanyol, ndr)?
Da quando ho memoria. Mio padre mi portava sempre allo stadio di Sarriá e non ho mai avuto tentazioni di essere del Barça. Poi a 14 anni si è realizzato un sogno entrando nel settore giovanile dell’Espanyol, e così via fino a far parte della prima squadra e a diventarne il principale cannoniere.
Cosa significa essere dell’Espanyol in una città e in un ambiente dove il Barcellona divora tutto ciò che incontra?
Per me è tutto. Ma soprattutto significa soffrire e amare la squadra anche in mancanza di titoli e risultati. Vincere con l’Espanyol ha un sapore unico, perché si sa che alcune vittorie sono fini a sé stesse, ma anche per questo motivo assumono un’altra valenza. È qualcosa che sto provando a insegnare anche a mio figlio, che ha solamente 3 anni, ma è già socio e quando posso me lo porto allo stadio.
Come vivevi i derby contro il Barça e con quale compagno di squadra ti trovavi meglio?
Con l’adrenalina a mille. Il derby è sempre una partita speciale e per me. Non dimenticherò mai gli scambi con Iván de la Peña, un ex Barça che si giocava tutto in quell’incontro.
Il tuo miglior rivale invece?
Ho sempre avuto grande ammirazione per Xavi, con il quale ho condiviso tanti momenti nelle Nazionali giovanili, dai 17 ai 21 anni. Mi elettrizzava giocare un derby contro di lui.
Hai segnato tanto in carriera. Eppure nella storia dei derby resterà per sempre immortale la doppietta del 9 giugno 2007 al Camp Nou…
Quel giorno non ci giocavamo niente. Venivamo dalla sconfitta in finale dell’Europa League contro il Siviglia e scendemmo in campo per fare il nostro lavoro e rovinare la festa al Barça che con una vittoria avrebbe conquistato la Liga. A pochi minuti dalla fine il pubblico cantava "campeones, campeones", io in realtà non sapevo che il Real Madrid stesse vincendo e mi limitai a fare quanto mi spettava.
La partita passò alla storia come “El Tamudazo”.
Qual è invece il tuo miglior ricordo contro il Barça giocando in casa?
Un’altra doppietta, quella in un incontro prima di Natale. Non ricordo esattamente quando fu, ma era da tanto che non battevamo il Barça e si trattò della mia prima doppietta con la maglia dell’Espanyol. (L’Espanyol vinse per 2 a 0 il 22 dicembre 2001, ndr).
Ora che il Barça sembra imbattibile, può davvero l’Espanyol sconfiggerlo in uno scontro diretto?
Perché no? Ricordo che abbiamo battuto il Barcellona anche quando eravamo ultimi in classifica e lo allenava un certo Pep Guardiola. Alla fine le partite vanno giocate, sempre. Nessuno vince prima di scendere in campo.
Moreno Torricelli, difensore tuttofare
Tra i primi italiani a giocare nella Liga, Moreno Torricelli ha alle spalle un anno intero vissuto all’Espanyol, nel 2003-04. Molto amico di Tamudo, l’ex difensore di Juventus e Fiorentina ricorda con piacere quei mesi passati a Barcellona. In quel periodo, in una partita casalinga contro il Celta, finì persino col giocare l’ultimo quarto d’ora in porta a causa dell’espulsione di Lemmens, allora portiere titolare.
Moreno Torricelli, che recentemente ha dichiarato che il tridente del Barça si ferma «con bombe e pistole».
Come sei finito all’Espanyol, una squadra poco conosciuta in Italia?
La Fiorentina era fallita da poco tempo e io ero stato 6 mesi senza giocare. Mi contattò il mio procuratore, che aveva contatti a Barcellona, e presi al volo l’opportunità che mi offriva l’Espanyol. Per fortuna in quel periodo mi ero allenato e passai il provino. Già conoscevo la squadra perché ricordavo che aveva sconfitto il Milan in Coppa UEFA nel 1988, anche se in effetti in Italia si parlava solo di Barça, Real e Valencia…
Fu difficile integrarsi?
Non tanto, anche perché c’erano dei calciatori che avevano militato in club italiani come Milosevic e Domoraud. Poi feci molta amicizia con Tamudo, Jiménez e Morales, con i quali andavo a pranzo almeno una volta a settimana, una sorta di rito.
Tamudo è stato il migliori goleador catalano. Non trovi che sia stato poco considerato in Spagna?
Senza dubbio il suo talento e la sua prolificità non sono stati riconosciuti. Si trattava di un calciatore dai grandi numeri e dal gran carattere, era un capitano vero al quale hanno chiuso le porte della Nazionale nonostante le sue ottime prestazioni.
Già all’epoca il divario con il Barcellona era elevato. Cosa ha significato per te giocare nell’Espanyol?
Era una sensazione stimolante, soprattutto durante i derby. Il divario tra le due squadre era elevato e cercare di dare una gioia ai nostri tifosi era una motivazione extra. I derby erano partite a sé stanti. Giocare al Camp Nou, poi, dava emozioni uniche: davanti a 90mila spettatori me la dovevo vedere con gente come Ronaldinho e Quaresma…
Un’altra vittoria dell’Espanyol nel derby. Gol di Luis García, Tamudo e Rufete.
In cosa è speciale l’Espanyol?
Al di là dei risultati della prima squadra, che sia ai miei tempi sia ora lotta per la salvezza, credo che l’Espanyol si distingua per puntare molto sui giocatori della cantera, quegli elementi fatti in casa e ai quali si danno spazio e responsabilità. Ecco, questo si vede molto poco oggi in Italia.