Sembrava stessimo andando incontro a una chiusura del mercato NBA piuttosto tranquilla, dove i rumor parevano sempre più grossi dei fatti. Per quanto la NBA ci abbia insegnato, soprattutto nel corso di questi ultimi anni, a diffidare di ogni situazione e aspettarsi di tutto, le cose sembravano essersi consolidate a tal punto da limitare la fantasia dei General Manager. Ma la NBA sa sempre come regalare sorprese, e negli ultimi tre giorni prima del gong finale delle 21 italiane di giovedì sera anche questa trade deadline ha avuto qualche fuoco d’artificio.
Colpi mirati, calibrati quasi con precisione scientifica, permettendoci di digerire le conseguenze e iniziare a chiederci quanto queste mosse realmente avranno successo e quanto incideranno sul proseguo della stagione e sul prossimo futuro. Per quanto la pausa per l’All-Star Game sia alle porte, dalle 21.01 italiane di ieri sera la NBA è entrata ufficialmente nel vivo dell’azione: da adesso in poi si fa sul serio.
Il ritorno dei Miami Heat
I Miami Heat sono stati la squadra più aggressiva di questi ultimi tre giorni. Hanno provato seriamente a portarsi a casa Danilo Gallinari e soprattutto hanno vinto la corsa per Andre Iguodala. Utilizzando Justise Winslow come pietra angolare dello scambio, gli Heat non solo hanno portato a casa il tre volte campione NBA, ma hanno anche scambiato i contratti di Dion Waiters e James Johnson (garantiti per circa 30 milioni anche nella prossima stagione) con quelli di Jae Crowder e Solomon Hill (in scadenza in questa estate). Miami è riuscita nell’intento di migliorare sensibilmente il proprio roster attuale (Crowder e Hill, 38% da tre su tre tentativi in questa stagione, possono essere altrettanto utili) e aprire oltre 20 milioni di spazio salariale in vista della prossima estate.
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Justise Winslow è l’ennesimo prospetto intrigante aggiunto dal Progetto Grizzlies. 23 anni, multi-posizionale sui due lati del campo, 38% da tre punti combinato nelle ultime due stagioni. Memphis ha accettato di assorbire nel proprio spazio salariale i contratti di Waiters e Johnson, poi scambiato con Gorgui Dieng, pur di averlo, ma le 136 partite saltate in quattro anni di carriera sono un campanello d’allarme.
Il fatto che siano stati gli Heat a togliere Andre Iguodala dai campi da golf della California e rimetterlo sul parquet ci dice sostanzialmente due cose: 1) Pat Riley non ha perso il tocco per le Arti Oscure; 2) i Miami Heat hanno tutte le intenzioni di rimettersi a sedere al tavolo delle Contender della Eastern Conference. Contender con la C maiuscola.
Iguodala era forse il pezzo più pregiato e al tempo stesso misterioso di questa trade deadline. Campione di tutto, fulcro fondamentale della Dinastia Warriors, arma tattica; ma anche 36enne fermo da sette mesi e che lo scorso anno sembrava aver perso lo smalto dei tempi migliori. La questione Iguodala pesava quasi più sul piano psicologico che su quello tecnico: se-lo-prendiamo-noi-non-possono-averlo-gli-altri. Riley non si è mai fatto scrupoli a cogliere un’occasione e la sua aggiunta regala a Miami una chance per un ulteriore salto di livello in vista dei prossimi playoff, dal momento che il reparto esterni degli Heat era piuttosto scarno.
Sulla carta Iguodala centra tutti i requisiti della Heat Culture: duttile, alto QI cestistico, in grado di effettuare una giocata per sé e per i compagni grossomodo con la stessa efficacia; e in più diventa in automatico il primo marcatore su Giannis Antetokounmpo in un ipotetico match-up contro i Milwaukee Bucks. La sua tenuta fisica è tutta da scoprire, ovviamente, ma Miami non ha bisogno di spremerlo nelle trentina di partite che restano per finire la stagione regolare e l’ex Golden State potrà acclimatarsi alle temperature della Florida senza fretta.
La trade di Iguodala rischia di pesare un granello in più sulla bilancia dell’Est anche perché gli Heat, alla fine, sono stati gli unici a muoversi. Milwaukee, Toronto e Boston non sono riuscite a trovare qualcosa che facesse al caso loro, mentre Philadelphia si è limitata a convertire James Ennis (ceduto ai Magic) e Trey Burke (tagliato) in Alec Burks e Glenn Robinson III – girando ai Golden State Warriors tre seconde scelte future. Nel pezzo di preparazione a questa chiusura del mercato scrivevo che molto probabilmente Iguodala sarebbe finito nella squadra più volenterosa di fare un atto di fede e così è stato per gli Heat, che hanno scommesso sul loro presente riuscendo anche a posizionarsi splendidamente anche in vista del futuro. Battere Antetokounmpo ai playoff sarebbe la fatality definitiva da accoppiare alle spiagge di Miami e il talento di coach Spoelstra per convincerlo a lasciare il freddo Wisconsin. I Miami Heat sono tornati.
Minnesota e Golden State: tutti felici?
Lo scambio che tutti ormai da tempo si aspettavano è senza dubbio quello tra T’Wolves e Warriors, con Andrew Wiggins spedito nella Baia – insieme alla prima scelta 2021 (protetta 1-3; poi non protetta) e la seconda scelta 2021 – in cambio di D’Angelo Russell, più Jacob Evans e Omari Spellman per far quadrare i conti. Minnesota è riuscita a completare un inseguimento durato quasi un anno e allo stesso tempo ha definitivamente risolto il nodo Wiggins, la cui avventura ai T’Wolves aveva raggiunto un impasse già da tempo. L’obiettivo principale fin dal primo giorno in cui Gersson Rosas è diventato Presidente della franchigia non era solo quello di trovare una point guard da affiancare a Karl-Anthony Towns, ma che quella point guard fosse proprio D-Lo. La loro amicizia non è un segreto per nessuno ormai, così come il desiderio di giocare insieme. Il fit nella metà campo offensiva sarà istantaneo: due giocatori troppo tecnici e completi per non essere compatibili. Discorso diverso per quanto riguarda la difesa: toccherà a loro rispondere sul campo, ma il fatto che Towns sia andato all’aeroporto ad accogliere l’amico deve far ben sperare.
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Gli Warriors hanno anche rimpolpato i propri asset, aggiungendo una prima (Minnesota 2021) e quattro seconde (Utah 2020, Dallas 2020, Denver 2021, Minnesota 2021, Toronto 2022) al proprio arsenale.
Capire in anticipo cosa gli Warriors volessero ottenere da Russell era compito piuttosto arduo: tenerlo per vederlo al fianco di Steph Curry almeno per un mese e mezzo; aspettare l’estate e scatenare una guerra al rialzo; attaccare la propria pick al suo contratto per andare a caccia di un quarto All-Star. Secondo i rumors Golden State non era interessata a prendersi scelte in questo Draft (sempre più snobbato dalle franchigie), né in vari role players come Robert Covington. La scelta di puntare su Wiggins resta comunque curiosa: l’ex Kansas ha giocato forse, nel complesso, le migliori 42 partite della carriera NBA (23.6 punti, 5.5 rimbalzi e 3.8 assist rappresentano il massimo in carriera per 36 minuti) e almeno a inizio stagione sembrava aver iniziato una lenta operazione di rilancio individuale. prima di afflosciarsi di nuovo sui suoi limiti. Wiggins deve ancora compiere 25 anni e Golden State può convincersi di avere il potenziale per cambiare la traiettoria della sua carriera.
In ogni caso, la ridistribuzione tattica è migliore nella metà campo difensiva con Wiggins al posto di Russell. Il canadese ha una base fisica e tecniche-personali per poter maturare in un buon difensore, soprattutto sulla palla, e la sua presenza risolve i dubbi sul giocare perennemente sottodimensionati. Nella metà campo offensiva ci sarà da lavorare di più: Wiggins non sarà mai un tiratore affidabile (33% da tre in carriera) ma negli anni ha saputo lavorare per rendere il suo jumper credibile quantomeno in situazioni di catch-and-shoot (36% in questa stagione) e sa convertire se lasciato solo sul perimetro (43% su 1.5 triple a partita completamente aperte in questa stagione). La sua struttura gli permette di prendersi vantaggi in post-up (70° percentile) e per quanto le sue letture dal palleggio restino oltremodo scolastiche, c’è da dire che non hai potuto condividere il campo con giocatori come Klay Thompson e Steph Curry. Wiggins non ha mai (o quasi mai) giocato pallacanestro competitiva in NBA e Curry, da solo, è in grado di esercitare una pressione tale sulle difese avversarie da aver reso pericolosi giocatori con un terzo del suo talento. Adesso tocca a lui.
Morris ai Clippers e l’esperimento dei Rockets
Gli L.A. Clippers erano tra le poche contender ad avere il materiale umano per mettere in piedi qualcosa di concreto - e così è stato. Sfruttando gli 11 milioni in scadenza del contratto di Moe Harkless e il fatto di essersi lasciati (sapientemente) la possibilità di muovere la loro prossima prima scelta, i Clippers hanno aggiunto al loro arsenale già stracolmo di esterni un pezzo come Marcus Morris, che in questa stagione, oltre ai 21.8 punti e 6 rimbalzi su 36 minuti, è anche il miglior tiratore per volume dal perimetro dell’intera NBA con il 44% su 7 tentativi.
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Morris inclina la bilancia dell’Ovest verso la sponda rosso-blu di Los Angeles. La sua duttilità tattica nella metà campo difensiva, la sua capacità di punire sugli scarichi e creare dal palleggio (93° percentile in situazioni di pick and roll giocati da ball handler) lo rendono un upgrade terrificante come spalla di Kawhi Leonard e Paul George. I Clippers avevano provato a prenderlo già la scorsa estate e la dirigenza guidata da Lawrence Frank e Jerry West ha dovuto sacrificare anche una seconda 2021 di Detroit e il giovane Jerome Robinson, ma era difficile trovare un giocatore di quella qualità che si sposasse così bene in un match-up contro i cugini dei Lakers – in attesa del mercato dei buyout per poter rispondere.
Il reparto dei lunghi dei Clippers lascia qualche perplessità, tra la durabilità di Zubac sopra un certo livello e i limiti fisici di Harrell, e forse sarebbe servito puntare su un ball handler in più. La moneta più preziosa della NBA attuale, però, sono le combo-forward in grado di sdoppiarsi in un compiti e funzioni - e nessuno in questo è più ricco dei Clippers. Credere alle proprie idee è importante.
Chiedete agli Houston Rockets, per esempio, la franchigia che più di tutte si è esposta in questa finestra di mercato, togliendo il velo a un esperimento che potrebbe portare grossi dividendi così come clamorosi licenziamenti. La trade a quattro squadre che ha portato Robert Covington in Texas, Clint Capela agli Atlanta Hawks, Malik Beasley e la prima scelta 2020 dei Nets (protetta in lotteria) a Minnesota, e la prima scelta 2020 di Houston a Denver è notizia di qualche giorno fa, ormai, ma continua a far parlare. Non solo perché è la trade più grossa dal 2000 a oggi e neanche tanto perché i Nuggets hanno fatto un po' di pulizia su quei giocatori che non avrebbero potuto comunque rifirmare in estate (l’aver convertito Shabazz Napier in Jordan McRae è una mossa interessante, per quanto sposti relativamente).
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Daryl Morey non un dirigente che si fa scrupoli nel prendere una decisione coraggiosa e se le cose devono andare male, tanto vale fare tutto il possibile per inseguire le proprie convinzioni. La scelta di rinunciare a giocare con un centro vero (lo stesso Jordan Bell è stato subito scambiato con un altro esterno come Bruno Caboclo perché YOLO!) per giocare costantemente con cinque esterni ha fatto arricciare tutti i nasi tradizionalisti della lega e rischia di costare caro ai playoff, ma non si può dire che non abbia una sua logica. In questa prima parte di stagione i Rockets hanno avuto la definitiva conferma che non ci si può fidare del jumper di Russell Westbrook: i minuti in cui Russ e Capela condividevano il campo rischiavano di costare caro a una squadra che fa del flusso perimetrale il proprio credo. Il successo dei Rockets di Morey e D’Antoni verrà sempre (ed è stato sempre) definito dal tiro da tre. Non serve ritirare fuori lo 0/27 nel cuore di Gara-7 contro gli Warriors nella finale di Conference di due anni fa: come riprova basta guardare la partita di ieri notte sul campo dei Lakers, dove LeBron e compagni hanno tirato con oltre il 50% dal campo ma i Rockets hanno segnato 10 triple in più e hanno vinto la partita. La matematica non mente: la questione semmai è riuscire ad avere la costanza necessaria da giustificarne l’utilizzo e sostenerne lo sforzo fisico nella metà campo difensiva.
Togliere Capela sbilancia l’equazione sotto canestro, dove Houston rischia di concedere una marea di seconde opportunità agli avversari. I Rockets sono convinti che i loro esterni sia in grado di tenere botta, e sbilanciarsi a rimbalzo offensivo significa aprire alla possibilità di farsi infilare da Westbrook in transizione, cosa che toglierebbe pressione dalle spalle di Harden in attacco – fondamentale per preservalo fisicamente. Covington darà stazza al reparto esterni prendendosi gli accoppiamenti difensivi più scomodi ogni sera, e sembra fatto dal sarto per giocare la pallacanestro dei Rockets in attacco. Il suo talento resta comunque limitato: Covington difficilmente sarà in grado di spostare gli equilibri di una serie di playoff da solo, ma la sua presenza certifica la volontà di Morey e D’Antoni di estremizzare la propria visione.
Chi rischia di rimetterci è PJ Tucker, che a quasi 35 anni dovrà fare gli straordinari fino al termine della stagione. Un suo infortunio chiuderebbe ogni speranza di riuscita dell’esperimento. Il mercato dei buyout dovrebbe permettere a Morey di aggiungere un centro quantomeno in grado di togliere qualche minuto dalle (grosse) spalle dell’ex Montegranaro, ma con una situazione così fluida in classifica i Rockets non possono permettersi pause: il fatto di essere 5-0 in stagione nelle partite disputate senza un giocatore sopra i due metri può aiutare a crederci ma come sempre, parafrasando uno dei mentori di Morey, quello che conta è solo l’ultima partita della stagione.
Morey è andato all-in sulla sua idea di basket. Dovremo aspettare i Play-off per girare le carte.
Guizzi e tristezze dalla bassa Eastern Conference
La perdita di Capela rischia di compromettere anche la difesa interna dei Rockets, ma potrebbe aiutare quella della sua nuova squadra, gli Atlanta Hawks. La squadra di Trae Young ha la terz’ultima difesa della lega, è quart’ultima per rimbalzi catturati e terz’ultima per quelli difensivi: lo svizzero in questo darà inevitabilmente una grossa mano. Inoltre dopo aver visto il suo utilizzo nella metà campo offensiva ridotto all’osso nell’ultimo anno e mezzo, con Houston che gli faceva portare un terzo dei blocchi sulla palla rispetto al passato, è probabile che il feeling con Young lo riproporrà come un rim-runner di livello.
Prendere un giocatore di 25 anni in grado di viaggiare in doppia-doppia di media in cambio di una scelta a metà giro in un Draft che si preannuncia mediocre è un bel colpo per il General Manager Travis Schlenk, che ha deciso di ristrutturare interamente il proprio reparto lunghi riprendendo anche DeWayne Dedmon, rispedito indietro dai Sacramento Kings – che in appena sei mesi hanno già sconfessato l’80% della loro ultima free agency (sigh).
Prima di prendere Capela e Dedmon, gli Hawks erano stati tra i più interessati ad Andre Drummond, la cui cessione ai Cleveland Cavaliers in cambio dei contratti in scadenza di Brandon Knight e John Henson e una misera seconda scelta nel 2023. Era facile ipotizzare che i Pistons non potessero ottenere granché da una cessione così attardata di Drummond, ma qua siamo realisticamente nel campo del salary dumping per timore che esercitasse l’opzione a suo favore per l’anno prossimo. Era facile ipotizzare anche la reazione di Drummond, ma la NBA è un business che non guarda in faccia nessuno, e per quanto (quasi) regalare il proprio giocatore di riferimento sia una brutta mossa d’immagine, in questo caso, forse, col tempo, potrebbe aprire scenari più rosei sul futuro dei Detroit Pistons, che nell’estate prossima avranno quasi 35 milioni da spendere per riprogrammarsi.
Drummond avrà la possibilità nei prossimi tre o quindici mesi (dipende dalla player option da 28.7 milioni di dollari) di dimostrare il proprio valore a Cleveland, ma se c’è una cosa che appare evidente è che la figura del centro “classico” continua a perdere sempre più di valore nella NBA attuale - o quantomeno sembra essere la posizione più facilmente sostituibile. Una situazione da tenere in considerazione in vista del futuro, soprattutto quando il mercato riaprirà l’estate prossima.