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Quando Messi ha fatto sparire Boateng in una buca
30 ott 2020
Un dribbling entrato nella storia.
(articolo)
11 min
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Il 6 maggio del 2015 Jérôme Boateng aveva ancora ventisei anni e poteva già dire di aver già vinto tre volte consecutivamente la Bundesliga (l’ultima in quella ancora in corso, con un mese di anticipo), due volte la Coppa di Germania e una la Supercoppa tedesca, la Champions League, la Supercoppa europea e il Mondiale per club. Quindi, a livello di club, aveva vinto tutto. Giusto l’estate prima, inoltre, aveva vinto da titolare la quarta Coppa del Mondo della storia della Germania. Il 6 maggio del 2015, però, Jérôme Boateng ha tirato una riga su tutta la sua storia passata, riscrivendo la propria memoria sulla base di una sola azione sfortunata. O forse mi sbaglio, non è il suo passato che ha cancellato quanto piuttosto il proprio futuro – tant’è che qualcuno si è affrettato a inserire su Wikipedia la data della sua morte: 6 maggio 2015, appunto, giorno della semifinale di andata tra Bayern Monaco e Barcellona, giocata al Camp Nou. Da quel giorno in poi Jérôme Boateng verrà ricordato (solo? soprattutto?) per l’azione del secondo gol del Barcellona, del secondo gol di Messi.

Non ci sarebbe neanche bisogno di ricordarlo, per quanto si tratta di un momento entrato nell’immaginario comune. Pochi mesi fa, a maggio 2020, sono usciti addirittura articoli nostalgici e lo stesso Boateng ha provato a rispondere alle prese in giro postando la foto di quella famosa azione, commentando: «Eccovi, avete qualcosa su cui ridere in questi giorni», era da poco passata la prima ondata di Covid-19, magari intendeva che ridere di lui potesse avere un'utilità sociale. «Io intanto prendo i popcorn e mi riguardo la finale del 2014», ha aggiunto Boateng, con l'emoticon dei popcorn e due smiley morti dal ridere. Come si dice in questi casi? Fail.

Nella finale del Mondiale Boateng aveva contribuito a battere l’Argentina di Messi e, anche se le loro traiettorie in campo si sono incrociate tutto sommato poco, ci sono almeno due occasioni in cui se Boateng non fosse stato al suo posto e non fosse intervenuto nel modo giusto Messi avrebbe potuto rompere la sua maledizione e regalare il Mondiale all’Argentina. La prima arriva dopo mezz’ora di gioco, quando Messi viene lanciato alle spalle della difesa tedesca, con una linea alta nella propria metà campo, e resiste a Hummels che prova a recuperarlo. Venendo da destra, Messi in qualche modo riesce ad anticipare Neuer in uscita e a girargli intorno portando la palla verso il centro della porta, a quel punto potrebbe segnare a porta vuota, o lasciar segnare il “Pocho” Lavezzi che arriva di corsa, ma Boateng riesce a spazzare cadendo all’indietro dentro la propria porta. La seconda occasione arriva a quattro minuti dalla fine dei tempi regolamentari, quando Messi controlla un pallone di petto a metà campo e avanza velocissimo palla al piede, deviando verso sinistra per preparare il tiro: al limite dell’area si trova davanti Boateng e non fa in tempo a cambiare direzione. Il difensore tedesco scivola col destro e respinge l’assalto.

In realtà, però, ci sarebbe anche un’azione che, se Boateng l’avesse rivista davvero nel 2020, avrebbe potuto fargli salire un brivido lungo la schiena. A inizio secondo tempo Lucas Biglia, a palla totalmente scoperta, serve Messi di esterno in linea con la difesa tedesca, tra Boateng e Hummels. La palla rasoterra di Biglia è forte e precisa e il controllo d’interno di Messi è così rapido che Boateng non riesce più a recuperargli quel metro e mezzo di vantaggio conquistato: Messi arriva al tiro da dentro l’area, defilato a sinistra ma completamente solo, per fortuna (di Boaeteng e della Germania) chiude troppo l’angolo e la palla esce fuori. Certo, se Messi avesse segnato in ogni caso non ce lo saremmo ricordato come un errore clamoroso di Boateng.

Nulla a che vedere con quello che è successo nel 2015 in Champions League.

https://twitter.com/ChampionsLeague/status/1258015336261173248

«Cosa puoi fare quando un giocare come Messi, Ronaldo o Neymar ti punta alla massima velocità?», si chiedeva Boateng in un articolo sull’arte difensiva pubblicato su The Players’ Tribune nel febbraio 2016 (quasi un anno dopo il fattaccio, quindi). «Controlli la situazione tattica. Sono coperto alle spalle? Posso provare a togliergli il pallone? Ma se sono ultimo uomo non posso rischiare il tackle. Devo fare il possibile usando la posizione per rallentarlo». E poi dice qualcosa che forse è direttamente riferito a quel dribbling subito: «Qualsiasi opzione scegli, è difficile. Perché sono semplicemente troppo veloci. Neymar e Messi hanno il baricentro basso e possono cambiare direzione velocemente, è dura per i centrali difensivi alti come me (sono un metro e novanta)».

A questo punto va comunque descritto per bene cosa è successo, quel 6 maggio 2015. Il Bayern Monaco affrontava il Barça della MSN (Messi-Suarez-Neymar) e aveva passato un primo tempo difficile, riuscendo però a cambiare l’inerzia della partita, gestendo più possessi e allontanando il tridente più pericoloso al mondo dalla propria area di rigore. L’azione in questione inizia al 79esimo minuto, con un cambio di campo di Jordi Alba per Messi, che stoppa di petto il suo lancio. La palla rimbalza e Boateng non gli lascia neanche il tempo di pensare la giocata successiva che entra con la gamba alta e un tempismo da karateka, pulito sul pallone che si allontana. Fino a qui, tutto bene. Il resto dei suoi compagni, però, è lontano e la palla torna in possesso del Barça. Rivedendo quell’azione oggi, sapendo quello che sta per succedere, trovo che la difesa del Bayern Monaco sia troppo rilassata: Bernat si alza di un paio di metri rispetto ai centrali di difesa, mentre Boateng stringe vicino a Benatia, distratto da Luis Suarez. Va bene non marcare a uomo Messi sempre e comunque, ma quanto meno tenerlo d’occhio mi sembrerebbe ragionevole.

Invece, quando una manciata di secondi dopo Rakitic riceve da Sergio Busquets alle spalle di Thiago Alcantara e Goetze, con Xabi Alonso troppo lontano per mettergli pressione, vede Messi più o meno libero alle spalle di Bernat e a un paio di metri di distanza da Boateng. Stavolta la palla arriva a Messi in verticale, rasoterra e sulla corsa, e il suo controllo è un tutt’uno con la conduzione. La palla tocca l’esterno del suo piede sinistro e non si stacca più. Messi non sembra portare palla con piccoli tocchi, ma con un solo lungo contatto adesivo. Se in post-produzione togliessimo la palla dal suo piede, Messi sembrerebbe corricchiare normalmente in direzione della porta. E se i primi tocchi sono già incredibilmente ravvicinati, gli ultimi due, quelli con cui cambia direzione appena entrato in area, sterzando a destra di Boateng, sull’esterno anziché puntare l’interno dell’area, sono quasi senza soluzione di continuità, come se fosse un elastico. Anche al replay, sono difficili da separare, si direbbe anzi che Messi tocchi la palla con l'esterno e con l'interno del piede sinistro contemporaneamente. Così, come è normale che sia, Messi salta Boateng, che cade, si affloscia, come quelle marionette a molla che se smetti di premere collassano su se stesse, e con il suo piede debole, il destro, scavalca con un pallonetto Manuel Neuer, ovvero uno dei migliori portieri al mondo in uscita, un innovatore del ruolo e in particolare di quel fondamentale, anzi.

Ma per capire le ragioni della caduta, letterale e metaforica, di Jérôme Boateng, va analizzato come aveva messo il corpo in quella situazione. Inizialmente corre verso la porta con il corpo in diagonale, accorciando la distanza dalla palla il più possibile e indirizzando Messi verso il proprio piede destro. Se Messi se la fosse allungata lungolinea Boateng sarebbe stato pronto a scattare, se Messi invece avesse deciso di sterzare verso l’interno il corpo di Boateng avrebbe rappresentato un ostacolo difficile da aggirare. Certo non impossibile, per uno come Messi, ma Boateng avrebbe avuto comunque la possibilità di intervenire con il piede destro. Quello che però il tedesco non aveva considerato, e che rende quel dribbling praticamente indifendibile, è che Messi avrebbe fatto entrambe le cose.

I meme a distanza di cinque anni non fanno più ridere, restano solo a imperitura (?) memoria dell’umiliazione subita da Boateng.

Quando Messi fa quel tocco con cui finge di rientrare sul sinistro, Boateng allarga il compasso delle gambe, poggia il peso sulla gamba sinistra e si prepara con la destra a cercare il pallone. La sua gamba destra è sollevata da terra, ma in quel momento non ha ancora perso l’equilibrio. Quando Messi si allunga il pallone verso l’esterno Boateng prova a riportare il piede destro a terra, girando la parte superiore del corpo verso la palla, ma la gamba sinistra è rimasta piantata a terra. Quel movimento era semplicemente impossibile, almeno per un uomo con il corpo di Boateng, lungo un metro e novanta, come detto, e composto per circa la metà di gambe.

Qualche settimana dopo la partita, Boateng ha raccontato a ESPN che ripensando a quel momento rideva di se stesso. «Non mi dà fastidio. Sono cose che capitano. A me, agli altri giocatori, non mi importa di questo genere di cose». Ha anche aggiunto: «Sono un difensore, non è che mi uccide». Non è difficile immaginare, comunque, che non sia piacevole quando anni dopo continuano a ricordarti quegli unici due secondi della tua vita che vorresti dimenticare. Lo scorso marzo Boateng ha fatto un AMA su Twitter, uno di quegli eventi in cui i fan possono chiederti tutto. Un tale @bajo_s, con la foto profilo da troll, gli ha chiesto: «Cosa ti è passato per la testa quando Messi ti ha fatto QUELLA COSA. Sai di cosa parlo». Una domanda in fin dei conti educata e angolata: non lo ha preso per il culo, gli ha chiesto semplicemente cosa ha pensato. Una cosa che vorrei sapere anche io. Boateng però non risponde, sembra offeso quando twitta: «Francamente vorrei vedere ognuno di voi difendere contro Messi». (Fail, again.)

Nell'articolo uscito su The Player's Tribune, un anno dopo quella partita quindi, Boateng ha scritto anche che uno degli aspetti fondamentali per un difensore è la fiducia in se stesso. «Ronaldo, Messi, Suarez, Neymar, possono sentire se hai paura di affrontare un duello con loro. Una minima esitazione e ti distruggono. Devi essere pronto». Adesso, non c’è ragione di pensare che Boateng quell’azione abbia fatto diminuire la fiducia nei propri mezzi a Boateng – che nel frattempo è invecchiato andando incontro a un normale declino del proprio fisico e delle proprie performance. A memoria non ricordo altri “incidenti” di questo tipo, ma sarebbe potuto succedere a un giocatore forse più giovane e inesperto, con meno vittorie alle spalle, magari. Quando succede una cosa del genere è questo che temiamo: che possa succedere di nuovo, che sia solo la prima di molte umiliazioni a venire. Che quella in cui gli avversari ti saltano e te cadi come se un cecchino ti avesse sparato dal tetto dello stadio sia la tua nuova normalità. Non è questa, anche, la nostra idea di vittoria "definitiva"? Spingere il nostro avversario al ritiro, a mettere in questione la legittimità del suo posto? Si direbbe che il sogno della nostra epoca competitiva non sia altro che poter gridare da in cima un grattacielo al resto del mondo: «Datevi tutti all'ippica!».

Non penso che Boateng, riguardando quell’azione, abbia potuto trovare molto di cui rimproverarsi. Oltretutto, non è l’unico giocatore demolito da Messi nell’uno contro uno. Eppure a noi piace ricordare quella specifica azione. E non ci piace farlo con Messi, non è a lui che scrivono che cinque anni prima ha eseguito una giocata pazzesca, scrivono a Boateng che l’ha subita. Siamo così ossessionati dalla paura del fallimento che ci dimentichiamo della grandezza degli altri, anche quando ci sbattiamo contro (o ci sbatte contro qualcuno che stiamo osservando). E perché, in fondo? Perché Boateng cade. E per noi diventa immediatamente ridicolo: ha perso la faccia, la sua maschera di invincibilità, si è mostrato umano. Fallibile. E il fatto che Boateng sia considerato un grande giocatore ci consola della nostra mediocrità.

Jan Olsson è il difensore svedese che fa da comparsa involontaria in uno dei momenti più iconici della storia del calcio: la nascita della “Cruyff turn” durante il Mondiale del 1974. È il giocatore che va dalla parte sbagliata quando Johan Cruyff si gira su stesso con l’eleganza di un ballerino classico, e che poi scivola quando prova a ricominciare a correre. «Ho fatto del mio meglio, ma era un giocatore di classe mondiale, che avrei potuto fare?», ha detto in un’intervista del 2016. Sottinteso: io non ero un giocatore di classe mondiale. Ecco un uomo che conosce il suo posto nel mondo. Dopo quell’azione, ogni volta che Cruyff prendeva palla Olsson pensava: «Ti prego non farlo di nuovo», ma a fine partita, anche se è finita 0-0, Olsson ricorda di aver ringraziato Cruyff e di essersi congratulato con lui.

Ancora pochi anni fa quando gli ricapitava di vedere quell’azione, Olsson restava ogni volta stupito. «Penso sempre che sto per colpire la palla. Quando lui sta per calciare sono sicuro che gliela sto per togliere, ma ogni volta mi prende di sorpresa. Adoro ogni dettaglio di quel momento». Per strada le persone gli chiedevano di rimettere in scena quel momento e lui lo faceva perché si sentiva «orgoglioso» di aver fatto parte di quel momento. «Lo ricordo ogni giorno. Ogni giorno penso al calcio e ogni giorno penso a Johan Cruyff».

Jan Olssen mi fa pensare che forse i momenti di disgrazia altrui diventano un’ossessione per noi perché ci proiettiamo le nostre stesse paure. Perché in ognuno di noi c’è il terrore che un solo momento terribile ci possa definire, che il nostro ricordo possa essere corroso, pervertito, da una singola immagine, che un errore più imperdonabile di altri diventi la croce a cui verremo inchiodati. La soluzione ce la offre proprio Olssen stesso: riconoscere che ogni tanto ci troviamo in una situazione, incontriamo qualcuno, che è più grande di noi. Adorare i nostri fallimenti. Jérôme Boateng, dall’alto del suo metro e novanta, se n’è reso conto quando Messi gli ha rimboccato le coperte nel cuore della sua area di rigore.

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