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La comparsa di Mesut Ozil ai Mondiali del 2010
25 mar 2020
Abbiamo riguardato le sue partite in Sudafrica.
(articolo)
16 min
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Le compilation sui giocatori possono essere un buon modo per trascorrere la quarantena. Due mercoledì fa, mentre aspettavo che iniziasse Liverpool-Atletico Madrid, mi sono imbattuto in una clip con la didascalia “Mesut Özil - 2010 World Cup”. Ozil entra in campo col kit super aderente disegnato da Adidas per quel Mondiale e, in sottofondo, lo accompagna “Crazy” dei Gnarls Barkley. Ozil in Sudafrica è circondato da un’aura divina, è la novità più bella di quel torneo e la prima azione è un filtrante visionario per il taglio di Podolski alle spalle di Ivanovic della Serbia. Bastano quei primi dieci secondi di video per capire le intenzioni dell’autore: farci ricordare quanto fosse unico e ammaliante il talento di Ozil in quello scorcio d’estate. “Crazy” di per sé è una canzone dal mood malinconico; accostare, per contrasto, la decadenza del trequartista dell’Arsenal in pieno 2020 alla freschezza da rookie e alle giocate sbalorditive di quel Mondiale, non può che far esplodere il cuore cupo del tappeto musicale.

L’evoluzione del calcio tedesco

Ozil è il capofila di una generazione di giocatori tedeschi pronti a prendersi il palcoscenico europeo nelle stagioni successive. Nel 2009 aveva spadroneggiato all’Europeo Under-21, (aperto anche alle generazioni '86 e '87, lui è un '88), stravinto dalla Germania con un 4-0 sull’Inghilterra in finale. Loew all’esordio contro l’Australia aveva puntato su ben quattro protagonisti dell’Under-21 campione d'Europa: Neuer tra i pali, Badstuber in difesa, Khedira in mezzo e Ozil sulla trequarti (c’era anche Müller, che però non aveva giocato quasi mai nelle nazionali giovanili). Un cambiamento epocale se si pensa alla Germania di Euro 2008, appena due anni prima.

In Austria e Svizzera Loew aveva proposto un 4-4-2 scolastico, con Ballack e Frings in mezzo e l’attacco pesante col duo Klose-Gomez. Una squadra fisicamente intimidatoria, con la coppia di “panzer” davanti, un elogio alla tradizione del calcio tedesco. Il CT poi aveva cambiato in corsa, passando al 4-2-3-1 con Ballack trequartista. La Nazionale del 2010 mantiene lo stesso modulo, ma gli interpreti ne cambiano da cima a fondo lo spartito. Ozil prende il posto di Ballack sulla trequarti (l’ex Bayer, arretrato in mediana, si sarebbe infortunato per colpa di Kevin Prince Boateng, generando un incidente diplomatico all’interno della famiglia del futuro incursore del Milan); l’esecuzione dei compiti da rifinitore non potrebbe essere più diversa. Meno presenza fisica, meno bolidi da fuori, più scambi corti e pennellate d’autore. È l’evoluzione del calcio tedesco, culminata nel 2014 in una Nazionale votata al dominio del pallone. Quella del 2010 non è ancora una squadra dall’identità così definita. La Germania in Sudafrica alterna momenti di costruzione paziente e organizzata a fasi in cui abbassa il baricentro per giocare in transizione.

È comunque una proposta di gioco ben orchestrata, che risalta ancora di più nella prima giornata di un Mondiale un po’ noioso, in cui nessuna delle grandi squadre riesce a divertire il pubblico. Francia e Italia non pervenute, Argentina e Brasile arrancano con Nigeria e Corea del Nord, l’Olanda è insolitamente pragmatica e la Spagna addirittura perde con la Svizzera. Il 4-0 con cui la Germania travolge l’Australia è una ventata d’aria fresca: nomi nuovi, quasi tutti U-21, combinazioni in velocità da stropicciarsi gli occhi e Mesut Ozil autore di una delle prestazioni individuali migliori dell’intera competizione.

Ozil tra le linee

Ozil è il cuore pulsante del 4-2-3-1. Molte squadre che oggi adottano questo sistema sono solite accentrare le tre mezze punte per lasciare le corsie ai terzini. Un’immagine distante da quella della Germania nel 2010. Müller e Podolski, trequartisti laterali, giocano a piede naturale e rimangono larghi sulla fascia. La posizione aperta serve a sgomberare la trequarti per i movimenti in orizzontale di Ozil, libero di trovare la posizione su qualunque lato per espandere il suo talento tra le linee.

I compagni cercano di agevolare le sue ricezioni alle spalle del centrocampo, soprattutto sul centro-destra. Da buon mancino Ozil ama muoversi verso quella corsia per giocare a piede invertito. È il lato forte del possesso tedesco: da quella parte infatti agisce Philipp Lahm. Inizieremo ad apprezzare a pieno le doti in distribuzione del capitano del Bayern grazie a Guardiola, ma già in Sudafrica è un regista occulto. Il destinatario dei suoi passaggi è soprattutto Ozil. Contro avversari che difendono quasi sempre col 4-4-2, il numero otto trova la zona di luce alle spalle di mediano ed esterno e detta a Lahm il passaggio diagonale tra le linee. I compagni si muovono per favorire la sua ricezione: Müller aperto tiene occupato il terzino e Klose si sposta verso il lato palla per bloccare il difensore centrale più vicino.

Quella posizione non solo favorisce il gusto per la rifinitura di Ozil, ma genera continui dubbi negli avversari, che non sanno chi mandare su di lui in quella terra di nessuno. L’Inghilterra per esempio, nel disastroso 4-1 degli ottavi di finale, non riesce mai a leggere il movimento di Ozil tra le linee. La difesa si disordina nel tentativo di neutralizzarlo e apre spazi alle proprie spalle di cui possono approfittare maestri del movimento senza palla come Müller e Klose.

L’azione del 2-0 nasce proprio dall’incapacità degli inglesi di decrittare la posizione intermedia di Ozil. La squadra di Capello difende col 4-4-2. Khedira porta palla sul centro-destra e attrae il mediano del lato, Barry. Il centrocampista di Stoccarda scarica largo per Müller, su cui scivola Ashley Cole, terzino sinistro. Ozil staziona qualche metro più avanti, in diagonale rispetto a Müller, nel mezzo spazio alle spalle di Barry. Dovrebbe uscire su di lui Upson, centrale sinistro, ma Klose con intelligenza si è spostato sul lato forte e lo tiene ancorato alla linea. Terry dal centro-destra della difesa britannica capisce il pericolo e corre verso Ozil, ma c’è troppo spazio da coprire: Ozil controlla e scarica in diagonale per Klose largo. Adesso Upson va su Klose: col centrale sinistro largo sulla futura punta della Lazio e Terry alto su Ozil, l’Inghilterra non ha più nessuno a coprire il centro della difesa. Müller ha letto lo spazio libero e ci si fionda con uno scatto alle spalle del suo uomo, Ashley Cole. Klose alza il pallone verso la prateria inglese sulla corsa di Müller, che serve in mezzo Podolski per il suo classico sinistro incrociato sul secondo palo. La posizione di Ozil ha totalmente destrutturato la difesa di Capello.

Negli anni successivi lo spazio vitale tra le linee sarebbe diventato sempre più decisivo per il dominio delle partite. Oggi tutte le migliori squadre d’Europa provano a colpire l’avversario attivando i giocatori più talentuosi alle spalle del centrocampo. Non era un concetto così scontato nell’estate del 2010 e non è un caso che le squadre migliori di quel Mondiale, Germania, Olanda e Spagna, siano tra le poche a saper manipolare quella porzione di campo: con Ozil i tedeschi, con Sneijder gli Oranje, con Xavi, Iniesta e Pedro i futuri campioni del mondo.

Un passatore unico

La capacità di galleggiare tra le linee sarebbe diventata prerogativa di tutti i migliori trequartisti del quinquennio successivo. Ciò che ha reso unico Ozil fin da subito però è stata la sua qualità di passatore, sia sul corto che sul lungo. La zolla di campo prediletta per armare i compagni è ovviamente il lato destro, che gli permette di rientrare sul sinistro e guardare frontalmente l’area. Se non c’è spazio nel corridoio intermedio, allora migra verso la fascia, dove è più facile ricevere già orientati verso il centro. Da quella posizione nessuno meglio di Ozil legge gli spazi che concede la difesa, le piccole smagliature che si aprono per pochi secondi ogni volta che un terzino scivola sull’esterno e il centrale deve abbandonare la posizione per coprirlo.

La quantità di filtranti dietro la difesa durante lo scivolamento pennellati dal tedesco in quel Mondiale è ridicola. Il terzino esce sulla fascia, il centrale lo segue e in automatico Khedira, Müller o Lahm devono solo correre alle loro spalle: in qualche modo Ozil gli recapiterà il pallone sulla corsa. Se c’è abbastanza spazio li manda in porta con la classica imbucata rasoterra che affetta la difesa. Se l’uscita del terzino è precisa e la linea di passaggio è chiusa, non è comunque un problema: basta alzare il pallone. È difficile calibrare un lancio su distanze medio-corte, si rischia di far uscire il pallone dal piede troppo lentamente, o al contrario, non si ha abbastanza spazio per farlo scendere. Il collo interno del sinistro di Ozil non ha di queste preoccupazioni. Le sue parabole sono sempre arcuate, morbide ma decise, mai tese e violente: i difensori possono solo osservare impotenti la sfera che passa sulle loro teste.

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La linea australiana si disordina nello scivolamento e c’è spazio per l’inserimento di Lahm, puntualmente servito da Ozil. Sul cross del capitano arriva Khedira che di testa non centra la porta.

Dettaglio in più per apprezzare il piede di Ozil: il pallone era il Jabulani, uno strumento del demonio, capace di prendere potenza come niente. Rivedendo le partite di quel Mondiale, cecchini come Schweinsteiger, Gerrard, Rooney e Messi avevano difficoltà a mantenere le traiettorie del Jabulani sotto controllo.

Ozil X Podolski

Il filtrante da destra dietro la difesa che scivola, per quanto frequente, non è comunque il tipo di assist più ricercato da Ozil in quel Mondiale. La connessione più esplorata – e affascinante per il grado di difficoltà del passaggio da eseguire – è quella sul centro-sinistra con Lukas Podolski, un giocatore che, se fosse esistito solo il calcio per nazionali, sarebbe stato ogni anno un serio candidato al Pallone d’Oro.

Se Ozil in conduzione o attraverso le triangolazioni riesce a spostarsi da destra verso il centro-sinistra, Podolski non ha dubbi su cosa fare: tagliare profondo alle spalle del terzino. Senza palla l’ex Colonia è una freccia, sempre disposto ad attaccare le spalle della difesa per ricevere sulla corsa e calciare in porta. Ozil è il compagno perfetto per innescare l’arma migliore del repertorio di Podolski, il suo sinistro al tritolo. Per converso, un’ala infaticabile nella ricerca della profondità è proprio ciò che serve ad Ozil per sfogare il suo genio creativo.

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Filtranti per Podolski, collezione primavera-estate 2010.

Anche a distanza di trenta-quaranta metri dal compagno, per la stella del Werder è facile disegnare rasoterra a lunga gittata che tagliano come una spada il corridoio tra centrale e terzino destro della difesa avversaria. La palla prende velocità a contatto con l’erba, curva verso l’esterno e, sul finale, rientra verso l’interno, in modo da indirizzare lo scatto del compagno verso l’area e non semplicemente verso il fondo. La traiettoria del passaggio che punta verso la porta spinge Podolski ad arrivare sul pallone col corpo già coordinato per il tiro in corsa, a volte non c’è neanche bisogno di addomesticarlo per preparare la conclusione. Ozil insomma non solo detta legge nello sviluppo della rifinitura, ma decide anche il modo in cui gli attaccanti devono finalizzare e in effetti forse è questa la miglior qualità degli assist di Ozil, non solo in quel Mondiale ma in tutta la sua carriera: raramente necessitano di controlli elaborati o pongono all’attaccante dubbi sulla soluzione da adottare.

Il mio filtrante preferito per Podolski è quello nella gif più sotto, nel secondo tempo contro la Serbia. Il rasoterra di quaranta metri con cui lancia il compagno è sbalorditivo, ma la preparazione contiene sfumature tecniche ancora più preziose. C’è un dettaglio in particolare che mi manda fuori di testa, ed è un fondamentale che probabilmente appartiene solo ad Ozil: il controllo orientato d’esterno sinistro per saltare l’uomo. Una giocata estemporanea, che lascia di sale l’avversario ma che in realtà nasconde una lacuna, la poca confidenza col piede debole.

Ozil si posiziona tra mediano (Stankovic) ed esterno sinistro (Jovanovic) e detta il filtrante a Schweinsteiger. Vorrebbe ricevere per orientare il controllo verso l’interno, ma il centrocampista del Bayern lo serve sul destro. Ozil lascia sfilare il pallone come se volesse stopparlo col piede debole. Stankovic intanto si stacca lateralmente per aggredirlo. Proprio quando la palla sembra arrivare sul destro, Ozil allunga il sinistro ed esegue un controllo orientato d’esterno che manda la palla all’indietro, dove Stankovic col tackle non può arrivare. Una giocata poco convenzionale, che gli istruttori delle scuole calcio cercano di far evitare ai bambini, ma che un genio con le gambe lunghe e con quella sensibilità tecnica può permettersi, alla faccia dell’ambidestria.

Superato Stankovic, Ozil è ancora sul centro destra quando alza la testa. È il segnale per Podolski: deve scattare dietro Ivanovic. Dal cerchio di centrocampo il sinistro di Ozil fa partire un rasoterra obliquo che curva verso l’interno man mano che si avvicina al compagno. Nel suo percorso, il pallone affetta le linee composte da Ninkovic e Kuzmanovic a centrocampo e da Ivanovic e Vidic in difesa: se fossimo in una puntata di Dragon Ball, questa sarebbe la scena in cui Trunks del futuro taglia in due Freezer. Podolski controlla al limite dell’area, ha tutto lo specchio a disposizione ma calcia fuori di piatto.

Il dominio tecnico di Ozil

Gli assist da quarterback non sono le sole giocate preziose di Ozil in quel mese e mezzo d’estate. Ci sono piccole pepite sparse in ognuno dei suoi sette incontri, alcune molto appariscenti, altre più nascoste nelle pieghe della partita ma non per questo meno rappresentative del suo talento.

Parlo, ad esempio, della qualità eccezionale nel gioco di prima, sia frontale che spalle alla porta. Sempre dalla partita con la Serbia, c’è un appoggio eseguito in maniera controintuitiva rispetto alle intenzioni della difesa che è la definizione in carne e ossa del concetto di “pensiero laterale”. È una gara compromessa dall’espulsione nel primo tempo di Klose, in cui Krasic sembra davvero Nedved, la Serbia segna con Jovanovic e Podolski si divora un rigore e una discreta quantità di cioccolatini offerti da Ozil. A metà secondo tempo la Germania spinge a sinistra con Badstuber che, quasi dal fondo, crossa rasoterra per Ozil di poco dentro l’area. Avrebbe il tempo di controllare e calciare, soluzione troppo banale per un genio poetico come Ozil del giugno 2010.

Con la coda dell’occhio si accorge infatti che Vidic, al centro dell’area, vuole alzarsi per chiudergli il tiro, lasciando però Podolski libero sul suo fianco destro. Mentre il difensore dello United fa il primo passo per andargli incontro Ozil spalanca la gamba, chiude il piatto sinistro e di prima trafigge la salita di Vidic con un filtrante corto che finisce qualche centimetro davanti al sinistro di Podolski, coi giri giusti per essere colpito al volo. Purtroppo l’attaccante è poco ispirato e scaraventa sull’esterno della rete.

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Questo è solo il più vistoso degli eccezionali appoggi di prima di Ozil. In ogni partita ce ne sono almeno un paio di qualità rara, a volte eseguiti con l’uomo addosso, altre volte addirittura di petto. Era uno dei tanti modi in cui Ozil velocizzava il palleggio della Germania, soprattutto in transizione: a campo aperto cercava di indirizzare la sponda nello spazio per permettere al compagno di accelerare e non perdere neanche un secondo a sistemarsi il pallone. La dimensione tecnica di Ozil in quel Mondiale è eterea, quasi zidanesca per la coordinazione con cui esegue alcune giocate, e va al di là dell’incredibile qualità dei suoi passaggi.

La Germania si muove in simbiosi con le sua tecnica e anche le esecuzioni meno appariscenti, come le brevi conduzioni nel corridoio centrale, influenzano l’atteggiamento dei compagni. Delle volte i giocatori di Loew sembrano semplicemente muoversi intorno a Ozil per abbeverarsi alla fonte del suo talento, sia quelli lontani – Podolski sulla sinistra – che quelli vicini, un po’ come accadeva quattro anni prima con Riquelme nell’Argentina di Pekerman. Se quella del 2014 è la Germania di Toni Kroos, quella del 2010 è senza dubbio la nazionale di Mesut Ozil.

Le conduzioni corte, centrali o a sinistra, con le gambe affusolate che gli permettono di scoprire il pallone senza saltare l’uomo, attraggono nugoli di avversari che lo circondano, allettati dalla possibilità di recuperare palla per attaccare in ripartenza, senza preoccuparsi dello spazio alle proprie spalle. Il magnetismo della tecnica di Ozil, in altre parole, invita gli avversari a lasciare buchi in cui possono banchettare Khedira e Schweinsteiger alzandosi o Müller e Klose coi movimenti incontro. Anche tra tre uomini, il futuro dieci del Madrid trova il modo per far filtrare il pallone, che passa negli spiragli più piccoli come l’acqua che scorre inesorabile in mezzo alle rocce: appoggi minimali, sempre e solo d’interno sinistro, flemmatici, di quelli che, una volta superata la gabbia di difendenti, lascia l’avversario a chiedersi «come ho fatto a farmi fregare da un passaggio così lento?».

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Passaggio corto a Klose con tunnel a Burdisso dopo averlo attratto fuori dalla difesa.

Osservando il rovescio della medaglia, l’indolenza di quei raffinatissimi tocchi corti era la stessa che lo dissuadeva, anche quell’estate, dal contendere qualsiasi palla sporca, e che qualche anno dopo avrebbe pervaso il suo modo di stare in campo.

Non è un caso forse che l’assist più lascivo, più sadico per il piacere con cui umilia il povero Ashley Cole, lo abbia riservato proprio all’Inghilterra, la nazione in cui nelle ultime stagioni il talento di Ozil ha faticato a esprimersi. Sul 3-1 la squadra di Capello non approfitta di un calcio d’angolo e concede il contropiede alla Germania. Dalla difesa arriva un lancio per Ozil sulla sinistra. Barry prova ad andargli addosso ma va completamente fuori strada e difatti lo lascia solo in campo aperto. Ozil converge verso la porta e più si avvicina al lato corto dell’area più rallenta, perché Cole sta stringendo su di lui e ha bisogno di un compagno che arrivi sul secondo palo. Il terzino del Chelsea gli piomba addosso a tutta velocità e, mentre Ozil si coordina, apre il destro per intercettare l’eventuale cross. La calma di Ozil è l’esatto opposto della foga con cui Cole lo invita al tunnel: il trequartista di Gelsenkirken gli fa passare la palla tra le gambe per servire Müller che segna il 4-1.

La regia, ancora più sadica, piazza l’inquadratura dal basso per permetterci di apprezzare meglio l’umiliazione di Ashley Cole.

Sono passati dieci anni ormai dall’estate in Sudafrica ed è difficile esprimere un giudizio univoco sulla carriera di Ozil. Non si può nascondere una certa amarezza pensando alla sua parabola, al modo in cui è scomparso dai radar della Champions League man mano che l’Arsenal ha peggiorato il suo rendimento in campionato. I Gunners non arrivano tra le prime quattro in Premier da più di tre stagioni e anche la superiorità tecnica di Ozil è stata messa in discussione, anche per una flessione atletica che lo ha reso un giocatore via via più peculiare, con un rapporto sempre più sbilanciato fra tecnica e atletismo.

Emery non lo considerava ed è servito l’arrivo di Arteta per rivederlo di nuovo titolare. Due Europei e due Mondiali più tardi si è anche interrotto il suo rapporto con la Nazionale: è stato lui stesso a rinunciare alla Mannschaft per via delle polemiche sui suoi rapporti col governo turco.

Insomma, a trentadue anni Ozil ha imboccato ormai da tempo la parabola discendente e c’è la sensazione che, pian piano, il suo smisurato talento si sia adeguato alla decadenza dell’Arsenal. Nonostante i numeri dicano sia stato uno dei migliori assistman della storia recente del calcio europeo. Non sarebbe giusto però sminuire i suoi traguardi, il dominio col Real Madrid dei record in Liga e il trionfo al Mondiale 2014. Forse non avrà la bacheca dei suoi compagni di Nazionale del Bayern Monaco e avrà maledetto l’addio a Madrid nell’anno della decima. Le vittorie però non sono il solo modo per marchiare il proprio nome negli annali. Se è vero che i Mondiali restano impressi nella nostra memoria più di ogni altra manifestazione, pochi giocatori nella loro storia recente lo hanno fatto come Ozil del 2010.

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