La varietà tattica della Serie A era ben rappresentata dai candidati come miglior allenatore della stagione. Simone Inzaghi è forse riuscito nella migliore sintesi tra il calcio reattivo tipico della scuola italiana e concetti moderni come la circolazione bassa per attirare le linee di pressing avversarie o l’occupazione di tutti i corridoi verticali nella trequarti offensiva. Roberto De Zerbi è stato invece il miglior interprete del gioco di posizione, un modello spesso frainteso, soprattutto in Italia, e con il suo Sassuolo si è posto ai vertici dell’innovazione tattica, importando presto anche l’utilizzo del portiere come libero. A chiudere la lista c’erano poi due allenatori dalle idee simili, tra le più originali del campionato, che prevedono marcature a uomo aggressive e l’ampio utilizzo delle catene laterali per far avanzare l’azione. Uno era Gian Piero Gasperini e l’altro il suo allievo, Ivan Juric, che ha giocato per Gasperini al Crotone e al Genoa ed è stato un suo assistente dopo essersi ritirato.
Tutti hanno migliorato in qualche modo le loro squadre, le hanno portate a rendere oltre le attese. Inzaghi ha fatto della Lazio la principale rivale della Juve per lo scudetto per buona parte del campionato, e forse sarebbe stato il candidato più forte come miglior allenatore della stagione se le tante partite ravvicinate giocate dalla ripresa del torneo non avessero svelato le fragilità della sua squadra. De Zerbi ha migliorato il Sassuolo in quasi ogni aspetto rispetto a un anno fa: nella posizione in classifica, nei gol segnati (69, da quando è in Serie A il Sassuolo non aveva mai segnati così tanti) e, più in generale, nella qualità della sua proposta di gioco, capace di mandare in crisi tutte le migliori squadre del campionato. Juric ha tenuto il Verona nella metà sinistra della classifica e a un certo punto lo aveva portato a lottare per la qualificazione in Europa League. Un risultato straordinario per una squadra partita con l’obiettivo di una retrocessione dignitosa, come ha rivelato il suo allenatore.
Nessuno è però riuscito a superare nelle preferenze Gian Piero Gasperini, premiato come miglior allenatore del campionato per la terza volta negli ultimi quattro anni. Gasperini aveva già vinto nel 2017, quando aveva guidato l’Atalanta al quarto posto con il record di punti nella storia del club (72). Poi aveva vinto di nuovo l’anno scorso, dopo aver conquistato il terzo posto e la qualificazione in Champions League. La parabola dell’Atalanta sembrava arrivata troppo in alto per crescere ancora, e invece ha toccato un nuovo picco, così alto che prima della partita contro la Juventus non era strano considerarla una concorrente per lo scudetto. Con una vittoria la “Dea” si sarebbe infatti portata a sei punti dal primo posto, a sei giornate dalla fine. E in effetti una vittoria stava per arrivare, dopo una partita dominata a lungo, ma un rigore di Cristiano Ronaldo al novantesimo ha portato il risultato sul 2-2.
La conferma del terzo posto è sembrata la normalità, come per le squadre abituate a giocare ogni anno in Champions League, un traguardo raggiunto anzi con qualche rimpianto per aver perso lo scontro diretto con l’Inter, e quindi la possibilità di scavalcarla in seconda posizione. Un anno fa la qualificazione in Champions all’ultima giornata era un risultato storico e sembrava quasi impossibile da ripetere, oggi è quasi una cosa normale, un obiettivo mai messo in discussione. Basta questo a mettere in prospettiva il campionato dell’Atalanta.
E poi ci sono i record: quello dei punti fatti (78), delle vittorie ottenute (23), e soprattutto dei gol segnati, 98, una cifra enorme che mette l’Atalanta sullo stesso piano delle migliori squadre d’Europa. Solo il Manchester City (102 gol) e il Bayern Monaco (100) hanno segnato di più in campionato, e in Serie A era dagli anni Cinquanta che una squadra non segnava così tanto (più precisamente dalla stagione 1949/50, quando il Milan segnò 118 gol).
Ogni anno sembra impossibile che l’Atalanta riesca a migliorarsi, ad alzare il livello del suo gioco rispetto all’anno prima, a tirare fuori qualcosa in più dai suoi giocatori. E puntualmente siamo costretti a ricrederci, a sorprenderci, a ricalibrare le nostre aspettative di pari passo con la crescita delle sue ambizioni.
Questo rinnovamento continuo, all’interno del gioco più riconoscibile e originale del campionato, è forse la qualità più incredibile e sottovalutata di Gasperini. Tutti sanno come gioca l’Atalanta eppure ogni anno è più difficile contrastarla, un paradosso in un campionato in cui gli allenatori sono così abili a trovare le contromisure al gioco avversario, a mostrarne le debolezze. E non è solo la superiorità fisica, il fatto che l’Atalanta è quasi sempre la squadra più intensa e aggressiva. Il suo sistema ha trovato un equilibrio unico tra quanto riesce a ottenere dal talento dei suoi giocatori e quanto restituisce loro in termini di fiducia e riferimenti.
L’Atalanta è capace di sovrastare fisicamente qualsiasi avversaria, è la migliore del campionato dal punto di vista statistico per occasioni create dopo il recupero della palla, ma è sempre più una squadra paziente col pallone, a suo agio in ogni situazione, che si tratti di aprire e attaccare schieramenti chiusi o di aggirare palleggiando linee di pressing più aggressive. Una squadra tra le più moderne del campionato, che distribuisce le responsabilità tra i giocatori senza un leader illuminato su cui accentrare ogni possesso, e che però ha trovato spazio nel suo sistema per un ruolo ormai scomparso, il cosiddetto enganche, cucito sulle caratteristiche del “Papu” Gómez.
Forse nessuno meglio di lui restituisce i paradossi e la complessità del gioco atalantino. Gómez è l’enganche che ordina il possesso della squadra fino a ricevere davanti o di fianco ai difensori a inizio azione, ma è anche il giocatore che può risolvere da solo le cose nella metà campo avversaria. È capitato contro il Parma, quando ha ricevuto sulla trequarti offensiva, decentrato sulla destra, con le linee avversarie schierate, e ha semplicemente deciso di attraversarle palla al piede. Ha evitato Karamoh con il primo scatto, ha saltato Kurtic con un tunnel e ha segnato calciando con il sinistro da fuori area, infilando la palla nell’angolo in basso alla destra di Sepe, che non ha nemmeno provato a intervenire.
Gasperini ha spostato così in là l'asticella che l'unico modo per migliorarsi adesso sarebbe lottare per lo scudetto. Un passo che ancora ritiene impossibile, ma parlando dei piani futuri dopo la sconfitta contro l’Inter non ha dato l’idea di accontentarsi: «Noi non possiamo pensare di colmare questo gap con la Juve, semmai possiamo cercare di migliorare ogni anno. Abbiamo raggiunto la qualificazione Champions con grande anticipo con la possibilità di programmare il futuro. È chiaro che l'obiettivo deve essere quello. La decrescita felice non mi piace, ma bisogna sempre alzare l'asticella, migliorare la squadra, compatibilmente con le disponibilità che non possono essere quelle delle grandi squadre».