Gennaro Gattuso guarda un punto fuori dall’inquadratura alla sua sinistra. È uno sguardo serio, riflessivo, impostato come se dovesse finire sulla copertina di una rivista patinata. Eppure non è uno scatto di moda, il contesto anzi è strano. Gattuso è dentro una stanza completamente bianca, l’immagine è quasi claustrofobica. Se fate attenzione nel riflesso degli occhiali infilati nel colletto della felpa si può vedere chi scatta la foto.
Formalmente questa foto è “solo” la copertina social della nota con cui la Fiorentina ha comunicato che società e allenatore, di comune accordo, “hanno deciso di non dare seguito ai preventivi accordi e pertanto di non iniziare insieme la prossima stagione sportiva”, ma in un mondo in cui tutto è documentato, è molto di più. Tornando un po’ indietro, infatti, si scopre che è la versione tagliata di una foto di Gattuso che comprendeva anche, bello grosso, lo stemma gigliato della Fiorentina.
Un tweet in cui si presentavano le prossime mosse, si organizzava il calendario intorno a Gattuso, date che ora suonano vuote come le promesse di ritrovarsi tra vecchi compagni di scuola che si incontrano in strada. Gattuso e la Fiorentina si sono lasciati 23 giorni dopo essersi trovati e giustamente il reparto media non aveva una foto adatta a raccontare un addio improvviso. L’ex allenatore del Napoli non aveva neanche firmato il contratto, l’avrebbe fatto il 12 luglio, e sarà stato facile salutarsi con vincoli appena accennati a tenerli insieme. I motivi della separazione sono ancora un po’ nebulosi, ma il nodo della discordia sembra sia stato il mercato. Se accade qualcosa a giugno, è sempre il mercato. Le ambizioni tra allenatore e squadra non sembravano combaciare, alle spalle l’ombra lunga di Jorge Mendes, procuratore di Gattuso e figura oscura del calciomercato, capace di gestire intere squadre sparse per l’Europa comodamente seduto sul divano di casa.
Quello di Gattuso non è il primo caso di un allenatore durato neanche il tempo di una cotta estiva. Il calcio è pieno di esoneri lampo, rapporti burrascosi, contratti strappati. Lo stesso Gattuso durò appena 96 giorni con Zamparini: doveva essere il giovane condottiero del nuovo ciclo del Palermo, fu esonerato dopo appena 6 partite. Altri allenatori sono stati esonerati dopo appena una o due partita: Tesser al Cagliari, con Cellino che prima dell’esordio gli dice: «Vediamo se lei è un uomo fortunato» (no); Maifredi al Brescia, per fare due nomi ma sarebbero molti di più. Niente tuttavia è più strano degli allenatori che non arrivano neppure a sedersi in panchina, che lasciano o vengono cacciati ancora prima di fare quello per cui sono stati assunti, ovvero dirigere la squadra, far decidere le loro fortune al campo.
Magari non sono tutti, ma eccovi una interessante e varia selezione di allenatori che, per scelta loro o altrui, hanno firmato un contratto per allenare, ma ad allenare non ci sono arrivati.
Marcelo Bielsa alla Lazio - 48 ore
La voce di Bielsa come nuovo allenatore della Lazio inizia a crescere i primi giorni di giugno. Lo fa abbastanza rapidamente: giorno dopo giorno piccoli frammenti di informazioni si aggiungono a quella che sembra una pazza idea estiva, come il soprannome dell’allenatore dopotutto. Rapidamente le distanze si riducono, gli incontri diventano decisivi, fino a correre verso il sì. Bielsa, pare, abbia studiato tutte le partite della Lazio insieme ai suoi collaboratori, prima di dare il suo assenso. Tutto quello che riguarda l’allenatore argentino è avvolto in una patina di realismo magico da sempre, ma tra la richiesta di cambiare praticamente due terzi della rosa e altri dettagli strampalati, le parti si avvicinano in maniera dannatamente reale. Il 16 giugno il dirigente della Lazio Armando Calveri vola in Argentina per far firmare il contratto all’allenatore. L’impresa si rivela più difficile del previsto: Bielsa fa aggiungere clausole e clausolette di ogni tipo, costringendo la Lazio a riscrivere il tutto. Alla fine il 20 giugno, con Lotito collegato al telefono, arriva la firma.
Mentre i giornali si sbizzarriscono su tutti i giocatori che potrebbero ingrossare le fila della Lazio di Bielsa, l’arrivo - fisico - dell’allenatore diventa un mistero. A piccoli problemi burocratici, si aggiunge l’assenza di Bielsa, atteso a Roma ma fermo in Sud America. Il 30 giugno dovrebbe arrivare il 4 luglio, il primo luglio diventa il 6. C’è già un posto sull’aereo da Buenos Aires a Roma prenotato. Il 6 però Bielsa non si vede, chiede tempo, chiede acquisti che non sono arrivati. Intanto però la panchina dell’Argentina si è liberata e Lotito teme la fregatura. Blocca la presentazione di Simone Inzaghi come tecnico della Salernitana e in un comunicato dice che il contratto di Bielsa è stato appena depositato. L’allenatore, come da comunicazione ricevuta, arriverà il 9 luglio.
L’8 luglio, invece, Bielsa annuncia le sue dimissioni. La Lazio risponde a colpi di comunicati: “Prendiamo atto con stupore” scrivono da Formello, ricordando come sia una “palese violazione degli impegni assunti con i contratti sottoscritti la settimana scorsa e regolarmente depositati presso la Lega e la FIGC con i relativi adempimenti previsti”. Come Achille e la tartaruga, la Lazio e Bielsa non si raggiungono mai. In serata Inzaghi diventa l’allenatore della Lazio, l’inizio disperato di quella che sarà una bella storia, durata 5 anni.
Bielsa sarà sempre criptico su questo suo improvviso dietrofront, scaricando la colpa sui mancati acquisti. Dovevano essere 5 prima del 4 luglio, non erano mai arrivati. Lotito proverà a ribaltare l’episodio per farne una sua vittoria: «Bielsa vive nella pampa sconfinata, qua invece ce stanno le norme, i regolamenti. Ho sbagliato. [...] Inzaghi era la prima scelta, ho provato con Bielsa pe fa’ contenti i tifosi» dirà qualche giorno dopo. Minaccia azioni legali, cita Machiavelli, racconta retroscena assurdi, come quella passata alla storia della richiesta di Bielsa di avere delle sagome per le punizioni di una specifica marca tedesca, molto più costose di quelle già presenti a Formello. L’anno dopo si prenderà addirittura il merito di averlo mandato via lui durante una call.
Pirlo alla Juventus U23 - 9 giorni
Il matrimonio tra Pirlo e la Juventus U23 è durato appena nove giorni, senza finire però in un divorzio. In un’evoluzione difficile da far ricadere nella metafora del matrimonio, Pirlo ha firmato da allenatore della squadra B il 30 luglio, per poi ritrovarsi l’8 agosto a essere l’allenatore della prima squadra.
Durata più la presentazione che la carriera di Pirlo nel Under-23.
I suoi nove giorni da allenatore dell’Under-23, a rivederli oggi, sono assurdi. La conferenza stampa con Agnelli, i proclami di grandezza, una strana vibrazione davvero poco consona per un neo allenatore in una squadra giovanile, anche se di nome fa Andrea Pirlo. Dal suo arrivo, infatti, la sensazione che potesse pugnalare Sarri era palpabile dentro e fuori il palazzo. Una scimmia sulle spalle di Sarri che intanto stava preparando il ritorno con il Lione. Pirlo non ha fatto neanche in tempo a crearsi l’aurea di umile studente, di wannabe Guardiola, partito da La Masia per conquistare il mondo, che è diventato direttamente l’Amleto bianconero, accoltellatore di allenatori della prima squadra. Non è andata bene.
Sinisa Mihajlovic allo Sporting - 9 giorni
Il 18 giugno 2018 lo Sporting annuncia Sinisa Mihajlovic come nuovo allenatore. Dopo l’esonero con il Torino, per il tecnico serbo il Portogallo sembra il posto dove ricostruirsi la carriera, in una squadra storica ma dal presente tremebondo. Il 15 maggio, dopo una sconfitta col Maritimo costata la qualificazione alla Champions League, circa 50 tifosi incappucciati avevano fatto irruzione nel centro sportivo aggredendo i giocatori e l’allenatore Jorge Jesus. Ad avere la peggio era stato Bas Dost, che aveva avuto bisogno di diversi punti di sutura alla testa.
Dopo quell’episodio, ben sei giocatori avevano chiesto la rescissione consensuale del contratto rendendo di fatto l’ambiente una polveriera. A peggiorare il tutto, una parte della stampa che accusava il presidente Bruno de Carvalho di essere il mandante dell’agguato. In un ambiente del genere, allo Sporting avranno pensato che un allenatore focoso e passionale come Mihajlovic avrebbe potuto risollevare l’ambiente in qualche modo.
L’allenatore serbo si era ritrovato però in una di quelle dispute che sembrano esistere solo nelle serie televisive. Neanche il tempo di disfare le valige che il board dello Sporting, guidato da Sousa Cintra, aveva esautorato il presidente Bruno de Carvalho, quello che aveva scelto Mihajlovic per la panchina. Il primo atto della nuova dirigenza era stato proprio quello di esonerare il nuovo allenatore, il cui contratto era stato firmato appena 9 giorni prima. Le motivazioni erano state trovate nella volontà di Mihajlovic di spostare la sede del ritiro estivo con costi maggiorati di 300mila euro. Inoltre, secondo la nuova dirigenza della squadra portoghese, il contratto di Mihajlovic prevedeva un periodo di prova di 15 giorni e quindi erano a posto così, potevano rescinderlo senza tanti problemi e amici come prima.
Non era però d’accordo Mihajlovic, neanche avvertito dell’esonero, che da quel momento ha iniziato una battaglia legale con lo Sporting. Una battaglia infinita che ha visto l’allenatore chiedere addirittura 11 milioni di euro di risarcimento e che sembra essersi conclusa con il pronunciamento del TAS della scorsa estate, che ha intimato la squadra portoghese a pagargli i 3 milioni previsti dal contratto, pena l’esclusione dalle competizioni UEFA.
Luigi Delneri al Porto - 37 giorni
Ancora il Portogallo a mostrare la porta, anche se in questo caso è quasi più curiosa la firma del rapido esonero. Il Porto vince la Champions League con Mourinho, che scappa a Londra e viene sostituito da Luigi Delneri, capace di portare il piccolissimo ChievoVerona in UEFA alla prima stagione di sempre in Serie A e poi di tenerlo per altre due stagioni tra le prime 10. Il suo 4-4-2 è considerato all’avanguardia e lui è ritenuto uno degli allenatori italiani più preparati, ma il salto è grande. Delneri partito dal Pro Gorizia che arriva alla squadra campione d’Europa. Delneri che non parla l’italiano e deve imparare il portoghese. A chiamarlo al Porto era stato Jorge Mendes (sì, quel Jorge Mendes) con l’allenatore italiano che aveva commentato in maniera assolutamente non scaramantica la firma, arrivata il 1° luglio 2004: «Mi avessero detto alcuni mesi fa che mi sarei giocato l'Intercontinentale, sarei caduto dalla sedia...». Non ci arriverà.
L’aspettativa però si scontra con la realtà: Delneri arriva in un Paese col morale sotto i tacchi a causa dell’incredibile sconfitta nella finale degli Europei di casa a opera della Grecia. Tra campo e panchina quella sera c’erano ben cinque giocatori del Porto, cinque senatori, che tornano dalle vacanze e trovano un allenatore che vuole abiurare tutte le idee di Mourinho e portare il suo 4-4-2 fatto di zona pura e attacco super verticale che sfrutta le fasce: «I cambiamenti che volevo portare hanno un po’ stravolto quello che voleva fare la squadra», racconterà anni dopo l’esonero, che arriva il 7 agosto, dopo una tournée negli Stati Uniti.
Negli anni si è parlato molto di questo esonero improvviso: per qualcuno la causa fu l'inflessibilità di Delneri, con la società che voleva valorizzare i giovani Carlos Alberto e Diego (sì, quel Diego) che però non rientravano nei piani dell’allenatore. Per altri furono, appunto, i rapporti con i senatori. La motivazione ufficiale del Porto fu trovata nelle ripetute assenze. L’episodio scatenate fu il mancato ritorno dall’Italia di Delneri, dopo 48 ore di libertà concesse alla squadra. Assente all’allenamento, si giustificò dicendo che aveva avuto problemi nel viaggio avendo perso la coincidenza tra Madrid e Porto. Il presidente Pinto da Costa prese la decisione dell’esonero in prima persona, convocando d’urgenza una riunione del consiglio di amministrazione alle 3 del mattino, come se non volesse dargli neanche un’ora in più.
Non è neanche l’unica esperienza terminata prima di sedersi in panchina per Delneri, che già nel 1998 era stato esonerato dall’Empoli dopo appena un mese estivo, fatto fuori dai giocatori (forse il modo peggiore di essere esonerato).
Francesco Graziani all’Ascoli - 100 giorni (circa)
Dopo aver guidato la Fiorentina alla finale di Coppa UEFA con due mesi di fuoco (era arrivato a fine aprile sulla panchina viola, poco prima della cessione di Baggio alla Juventus, contro cui la Fiorentina perderà la Coppa), Graziani si fa convincere dal presidente dell’Ascoli Rozzi a scendere in Serie B per riportare la squadra nella massima serie. L’allenatore viene accolto come un eroe a Ascoli, una piazza poco abituata ad avere a che fare con dei campioni del mondo. L’esperienza però fu un disastro: mentre la squadra era in ritiro a Pesaro, il presidente passò per caso al campo d’allenamento dove però non trovò l’allenatore a dirigere la squadra, bensì due suoi collaboratori. Graziani, racconta la leggenda, era rimasto in albergo a giocare a carte, comportamento che mandò su tutte le furie il presidente.
A far precipitare la situazione arrivò, qualche giorno dopo, una sconfitta per 5-1 in amichevole contro la Vis Pesaro (squadra di Serie D). Nel giro di 24 ore Rozzi contattò Nedo Sonetti e lo mise in panchina al posto di Graziani, commentando l’esonero con il fatalismo di chi aveva commesso un’ingenuità: «Graziani? È ancora un giocatore». La sua grande colpa, almeno a parole, fu il fallimento della sua zona.
«Credevo ciecamente nel mio modulo», disse Graziani mentre salutava tutti. «Ma in un mese non si acquistano certezze. Nessuno della società mi ha mai detto apertamente di essere contrario alla zona. Anche quando Sacchi arrivò al Milan tutti rimasero contrariati, ma poi...». Anni dopo Graziani tornò su questo esonero accusando il presidente di avere troppe ingerenze: «Faceva casino in panchina con questi calzini rossi». Quando l’aveva preso di petto, quello gli aveva risposto: «Ciccio mi sa che uno dei due è di troppo in panchina» e sappiamo sempre chi è a pagare in questi casi.
Leroy Rosenior al Torquay - 10 minuti
Da qualche parte doveva infilarsi il ridicolo e, forse non a caso, è toccato alla serie inferiori inglesi. Il 17 maggio 2007 il Torquay richiama in panchina Leroy Rosenior dopo appena un anno (aveva allenato la squadra tra il 2002 e il 2006). Arrivato in sede per firmare il contratto, fa appena in tempo a prendere parte a una piccola conferenza stampa di presentazione, che scopre di essere stato esonerato. Nello stesso momento, infatti, il proprietario del club aveva ufficializzato la cessione del 51% delle sue quote a un consorzio cittadino, che decise immediatamente di bloccare l’insediamento del nuovo allenatore.
Internet ha raccontato il suo interregno come lungo solo 10 minuti (lunghezza citata anche dalla BBC). Difficile credere che qualcuno avesse il cronometro in mano, ma rimane una storia curiosa. «Non prevedeva di vendere il club nel prossimo futuro», è stata la giustificazione che si è dato Rosenoir per spiegare il suo rapido addio. Anche lui conferma la durata lampo della sua seconda esperienza da allenatore del Torquay: «Ho fatto la conferenza stampa giovedì, ho fatto tutte le interviste e nel giro di 10 minuti Mike mi ha chiamato per farmi sapere che aveva effettivamente venduto il club. Sapevo che sarebbe successo, ma non pensavo che sarebbe successo dopo 10 minuti».