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I migliori centrali in impostazione (2000-2020)
23 giu 2020
Abbiamo scelto i migliori a costruire l'azione da dietro degli ultimi vent’anni.
(articolo)
20 min
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Da qualche anno ormai abbiamo accettato, tranne qualche irriducibile reazionario, che il gioco col pallone è importante per un difensore quasi quanto quello senza. Non è questo l’articolo per parlarne, ma basta dire che avere difensori bravi a impostare permette di provare a trarre vantaggio dai sistemi di pressing, sempre più complessi, messi in piedi dalle squadre contemporanee. Oggi per attaccare con efficacia bisogna cominciare anche molto lontano dalla propria porta, dove la resistenza al pressing, e la capacità di giocargli alle spalle, è la chiave per avere più spazio. In questa rubrica consideriamo un arco temporale di vent’anni, ma è soprattutto in questa puntata che i nomi saranno sbilanciati più verso gli anni recenti, quelli in cui l’evoluzione del calcio ha prodotto difensori sempre più tecnici e lucidi nella distribuzione della palla. Come sempre, per fermarci a dieci nomi, abbiamo dovuto lasciar fuori difensori dei primi 2000 con piedi raffinatissimi, come Rafa Marquez, Christian Chivu e Frank De Boer, e fra quelli degli ultimi anni sono rimasti a semplici menzioni il grande Jerome Boateng (c’è già Hummels) e Rafael Varane (c’è Sergio Ramos). Abbiamo tenuto fuori a malincuore anche grandi specialisti come Aymeric Laporte, Marc Bartra; ma anche i brasiliani Thiago Silva e Marquinhos. Quando si fanno le liste, lo sapete, manca sempre qualcuno, ma l’importante è che si descrivano bene quelli che ci sono, no?

Le altre puntate le trovate qui, cominciamo.

Leonardo Bonucci

Tra tutti i centrali di questa lista, Leonardo Bonucci è quello che forse più direttamente associamo all’evoluzione tattica che nel calcio contemporaneo ha portato sempre di più i difensori a farsi carico della creazione di gioco. Uno status che si è cementato soprattutto nella prima metà degli anni ‘10, in cui Bonucci era di fatto il trigger di una buona fetta delle azioni d’attacco delle squadre di Antonio Conte, che gli chiedeva di raggiungere direttamente la coppia d’attacco che cercava di muoversi alle spalle della difesa avversaria. Il passaggio-manifesto del centrale della Juventus, in questo senso, non può che essere il lancio per il movimento in area di Giaccherini scagliato da dietro la linea del centrocampo nella partita d’esordio dell’Italia agli Europei del 2016, contro il Belgio.

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Come ha scritto Fabio Barcellona in un pezzo a lui dedicato proprio in quel periodo: “Leonardo Bonucci è il prototipo del difensore moderno. La sua sicurezza nel ricevere e non buttare mai via la palla, i suoi ottimi fondamentali con entrambi i piedi e le sue spiccate abilità di interpretazione delle situazioni di gioco disegnano il profilo preciso del centrale difensivo ideale per il calcio estremamente tattico di quest’epoca. Bonucci prosegue la lunga tradizione dei difensori italiani innovandola, interpretando tutte le fasi di gioco con grande padronanza del tempo e dello spazio. Padronanza del tempo e dello spazio quando in fase di non possesso gioca sulle traiettorie avversarie o copre con precisione le aggressioni palla dei propri compagni di reparto. Padronanza del tempo e dello spazio quando si trasforma nel primo regista della propria squadra, ponendo le fondamenta della fase offensiva”.

L’esperienza disastrosa al Milan e il rendimento altalenante in un sistema diverso come quello della Juventus di Sarri hanno dimostrato poi quanto Bonucci fosse un difensore da sistema, che avesse bisogno cioè di un gioco in cui potesse sentirsi a suo agio, e non solo per coprire i suoi limiti difensivi. In questo senso, si potrebbe quasi dire Bonucci è stato superato dalla stessa evoluzione tattica che lui stesso ha incarnato, che oggi porta i centrali anche a salire sulla trequarti e a giocare soprattutto sul corto con passaggi a bucare le linee di pressione avversarie. Questo però non scalfisce il suo ruolo per l’evoluzione del gioco, che senza di lui avrebbe forse preso strade diverse.




Yaroslav Ratzisky

Yaroslav Rakitskiy è rimasto per tutta la sua carriera ai margini del calcio europeo ma la sua sensibilità tecnica in impostazione, la scelta quasi artistica delle linee di passaggio, fuoriusciva in maniera talmente luminosa in tutte le partite di coppa che è stato sempre riconosciuto come uno specialista del ruolo, anche nei paesi in cui del campionato ucraino o di quello russo non si conoscevano manco le squadre.

Di Rakitskiy esistono a malapena i video Goals&Skills su YouTube, che conservano solo le sue bombe pazze dalla trequarti e le sue punizioni dal limite. Su di lui si sa pochissimo, ha un’aura da artista in esilio da uno sconosciuto paese lontano.

Rakitskiy è una combinazione per certi versi assurda (e per questo ancora più affascinante) di fisicità e tecnica, con una visione di gioco da numero 10 intrappolata in un corpo da prima punta sovrappeso anni ‘50. Il suo sguardo da orso nasconde un’intelligenza non convenzionale per quanto riguarda le scelte di passaggio, sempre originali e controintuitive. Per questo motivo, non si può certo dire che Rakitskiy sia un modello, tanto è originale il suo gioco.

È possibile insegnare un lancio in area direttamente dalla propria difesa?

Oltre che della tecnica di calcio, Rakitskiy è un maestro anche dell’utilizzo del corpo per disorientare gli avversari e creare spazio dietro la linea di pressione. Uno strumento di cui si parla poco ma che è fondamentale per manipolare il pressing avversario in assenza di sufficienti movimenti senza palla da parte dei propri compagni. Rakitskiy sembra che possa tirare fuori il coniglio dal cilindro anche in situazione estreme di pressing avversario, e con il corpo orientato verso la propria porta.

A volte pare che sia lui stesso a volersi mettere in situazioni difficili solo per uscirne con una delle sue geniali linee di passaggio, come un prestigiatore che si fa chiudere in una cassaforte con le mani e i piedi legati.

Dopo una vita passata allo Shakhtar Donetsk, Rakitskiy un paio d’anni fa ha deciso di passare allo Zenit di San Pietroburgo nel bel mezzo della crisi del Donbass e per questo provocando un piccolo incidente diplomatico. Forse per questo motivo, sono quasi due anni che Rakitskiy non viene più convocato dalla Nazionale ucraina. Dato che una piccola dose di incoscienza sembra contraddistinguere tutto ciò che fa in campo, non vedo perché lo stesso non dovrebbe succedere anche con ciò che fa fuori.




Fernando Hierro

Fernando Hierro è uno di quei rari casi - ancora più rari vent’anni fa - di difensori centrali che avrebbero potuto giocare in qualunque altro ruolo. In carriera ha segnato oltre 160 gol, di cui 128 con il Real Madrid e 29 con la Spagna. Può sembrare assurdo vedendo il fisico massiccio e autoritario di Hierro, ma nei primi anni di carriera Hierro giocava a centrocampo, addirittura per una stagione nel Real Madrid fu schierato mezza punta da Antic, per sfruttare la potenza del suo tiro e le sue capacità creative.

In quella stagione segnò la bellezza di 26 gol. Fu poi Valdano a spostarlo in difesa intravedendo in lui quelle qualità che lo hanno reso un totem della storia del Real Madrid.

Ovviamente Hierro ha vissuto un calcio precedente alla crescita dell’importanza dell’impostazione dal basso. Ai difensori era richiesto meno lavoro di raccordo, anche le squadre che non lanciavano lungo appena recuperato palla, difficilmente usavano i propri difensori per far salire la squadra, organizzare il gioco e controllare il ritmo. Hierro, forse per l’imprinting ricevuto nella prima parte di carriera, però non era un difensore che cercava di liberarsi del pallone appena recuperato.

Al contrario quando riusciva a recuperare palla in maniera pulita amava partire in progressione, grazie a delle lunghe leve che gli permettevano di mangiare il campo davanti a sé. Era anche un difensore incredibilmente sicuro, tanto da non disdegnare dribbling e finte di corpo in zone di campo molto rischiose. Una volta rotta la prima linea di pressione, Hierro era poi in grado di trovare un compagno tra le linee, con dei filtranti molto precisi o lanciare sugli esterni grazie ad un piede molto preciso con cui in carriera ha segnato anche diverse punizioni.

Hierro ha toccato solo in maniera tangente questo secolo brevissimo, ma la sua qualità con il pallone tra i piedi lo ha reso un difensore unico, una specie di unicorno che ancora oggi sarebbe difficile da imitare.




David Luiz

Col cespuglio di capelli, il colorito cadaverico e la strana somiglianza con Telespalla Bob, David Luiz è stata una delle figure più riconoscibili del calcio contemporaneo. Lo è stato nel bene, ma lo è stato anche nel male, va detto. David Luiz ha un’interpretazione coraggiosa e svagata del ruolo del difensore, è una specie di fantasista improvvisato centrale, pronto a grandi giocate estemporanee che assecondano una vena creativa e individualista. A volte, semplicemente, sembra che David Luiz non giochi di reparto, che non consideri proprio altri difensori attorno a lui e che il reparto debba muoversi in modo corale.

Questa sua attitudine istintiva ha prodotto momenti infinitamente drammatici: quello in cui Suarez gli ha fatto un tunnel da ultimo uomo - portando all’intervento della madre di David Luiz. Soprattutto, è stato il volto principale della disfatta del Mineirazo, dove è finito tra le tenaglie delle geometrie tedesche. Affondato per primo nel mare in tempesta che ha fatto naufragare un paese intero con la sua cultura calcistica. Anche per questo forse la sua migliore stagione l’ha giocata nella difesa a 3 di Conte, dove aveva le spalle più coperte in un sistema molto organizzato.

Al suo arrivo il tecnico italiano era stato interrogato su un suo impiego a centrocampo - non infrequente negli ultimi tempi - e aveva scansato ogni dubbio:«So che a volte ha giocato a centrocampo ma nella mia testa c’è l’idea di usarlo nella giusta posizione che, per me, è quella di difensore centrale». È interessante sapere che la primissima volta che Luiz ha giocato in difesa - come potete immaginare è nato numero dieci - lo ha fatto proprio in una difesa a tre. Anche lo scorso anno con Sarri ovviamente si è trovato bene, arrivando a giocare il massimo storico di passaggi per novanta minuti, circa 75 (con una riuscita non altissima, intorno all’85%, che fa capire anche il suo coraggio in impostazione).

Solo pochi giorni fa David Luiz si è reso protagonista di un’altra partita sciagurata dell’Arsenal. Ma se nella sua carriera ha indossato alcune delle maglie più prestigiose del calcio europeo - Chelsea, PSG, Arsenal, Benfica - è perché le sue qualità con la palla compensano ampiamente i suoi difetti. È stato fra i primi a metterci di fronte il paradosso di un difensore più a suo agio quando deve impostare che quando deve difendere, e in questa sua battaglia d’avanguardia ha dovuto subire diverse critiche.

In impostazione David Luiz ha tecnica, varietà, estro. È un fenomeno del lancio lungo ma quasi mai scolastico. Come Bonucci, è quel tipo di difensore che prova gusto a mandare direttamente in porta gli attaccanti, anche da altezze molto differenti - non è infrequente, come nell’occasione del gol di Kanté nel video - vederlo all’altezza del centrocampo scucchiaiare un assist.

David Luiz però non è solo questo. La sua impostazione da dietro è estremamente varia e i modi in cui riesce a bucare le linee di pressione sono diversi: in conduzione, con passaggi diagonali, con rasoterra rischiosi e complessi. Alla base c’è una qualità speciale nel modo in cui calcia la palla, visibile in maniera più macroscopica quando tira verso la porta - ha segnato pochi gol in carriera, ma tutti incredibilmente belli. A 33 anni non è più nel suo prime e i suoi difetti cominciano a superare i suoi pregi, ma ancora oggi - pur con tutta la nuova generazione di difensori allenati con paradigmi e principi diversi dai suoi - David Luiz è uno dei migliori quando deve far ripartire la sua squadra da dietro.


Javier Mascherano

Il posto di Mascherano in questa classifica nasce come sacrificio. Se in molti casi il cambio di ruolo sembra un’evoluzione naturale, l’arretramento dell’argentino dal centro del campo al centro della difesa è dovuto anche al fatto che al momento del suo arrivo il centrocampo del Barcellona era troppo forte anche per Mascherano.

Arretrando il proprio baricentro, l’argentino ha forse snaturato la propria natura di volante, un ruolo che in Argentina ha anche un valore carismatico (non a caso il suo soprannome era Jefecito, piccolo capo), ma ha certamente permesso la sublimazione dell’idea di Guardiola di avere una squadra di tutti centrocampisti. Un’evoluzione non immediata: quanti dei migliori centrocampisti difensivi potrebbero essere anche difensori centrali?

Mascherano è diventato il leader difensivo del Barcellona nel breve spazio di tempo tra il declino di Puyol e la crescita di Piqué. Senza avere delle doti fisiche importanti, si è imposto nel ruolo grazie ad una capacità di controllare il reparto difensivo con una concretezza e un’intelligenza impressionati. Ovviamente nel Barcellona - non a caso ci sono tre difensori blaugrana in questa classifica- a un difensore viene chiesto anche di essere decisivo in fase d’impostazione.

Mascherano è stato spostato in difesa da Guardiola esattamente per comandare il possesso dal basso della squadra che aveva rivoluzionato il concetto di impostazione dalla difesa. Credo sia questo l’attestato più evidente delle qualità di Mascherano come difensore “dai piedi buoni”.

Al contrario dei migliori difensori in impostazione, Mascherano non era appariscente o spettacolare, non dava l’idea di poter essere un trequartista o comunque un calciatore geniale. Quando doveva muovere il pallone era semplice e pulito, mentre senza palla era sempre in grado di offrire uno scarico sicuro ai compagni.

È diventato un’icona di YouTube per le sue scivolate e i suoi recuperi, ma forse il fondamentale dove lasciava trasparire di più il suo dominio era il lancio lungo: Mascherano lanciava lungo con la facilità e la precisione dei passaggi corti, lo faceva senza mai strafare e sempre al momento giusto. Non si è mai sentito un difensore fino in fondo, ma certamente è stato uno dei maestri nell’arte dell’impostare partendo dalla difesa.




Mats Hummels

Un’analisi pubblicata qualche mese fa sul sito ufficiale della Bundesliga definisce Mats Hummels il miglior quarterback del calcio. Forse l’associazione non è così immediata. È più facile ad esempio associare Bonucci o Jérome Boateng, suo ex compagno di reparto al Bayern Monaco e nella nazionale tedesca, all’abilità nei lanci lunghi, l’aspetto che ha permesso a entrambi di diventare così influenti a inizio azione nelle rispettive squadre. In questa stagione però, in cui è stato spesso schierato da centrale della difesa a tre, Hummels ha servito due assist con due lanci dietro la difesa, ed è proprio su questi che si concentra l’analisi del sito della Bundesliga.

Il primo è un lancio di 37 metri scagliato col piede sinistro dalla trequarti difensiva che ha trovato Sancho dietro la difesa dell’Augsburg. Il secondo, arrivato una settimana dopo contro il Colonia, è invece un lancio con l’esterno destro di oltre 50 metri che ha messo Reus davanti al portiere.

Se è vero che statisticamente Bonucci e Boateng sono due lanciatori più assidui ed efficaci, Hummels ha un modo di lanciare molto tecnico. Usa soprattutto il destro, ma è preciso anche con il piede sinistro e ama dare alla palla traiettorie arcuate colpendola con il collo esterno. I lanci di esterno sono i suoi preferiti e li utilizza in ogni situazione: quando è schierato da centrale sinistro della difesa a quattro e cambia il gioco a destra, il tipo di lancio più frequente e quello in cui può dare maggiore effetto alla palla, quando si allarga a sinistra e lancia lungolinea oppure quando è al centro e lancia in verticale dietro la difesa, come in occasione dell’assist a Reus contro il Colonia.

Hummels comunque non è solo un lanciatore molto tecnico, è anche uno dei migliori difensori a distribuire il gioco palla a terra, con passaggi di ogni tipo, in verticale o in diagonale verso il giocatore aperto in ampiezza, a tagliare le linee verso la trequarti o direttamente sugli attaccanti. Se pressato, sa uscire palla al piede con eleganza e può avanzare fino al limite dell’area avversaria e cercare rifiniture complicate da numero 10 con l’esterno del piede destro.

Specie quando era allenato da Klopp nei suoi primi anni al Borussia Dortmund, la distribuzione di Hummels era ambiziosa e aveva percentuali di precisione basse per un difensore, al di sotto dell’80%. Hummels cioè non si accontentava di appoggiare la palla al compagno più vicino ma si prendeva dei rischi, ispezionava il campo davanti a lui per trovare la soluzione più efficace per far avanzare la palla ed era il principale innesco delle azioni del Dortmund.

Passato al Bayern Monaco, non è riuscito a incrociare Pep Guardiola, che probabilmente avrebbe reso ancora più efficace la sua distribuzione. Anche senza aver incontrato Guardiola, Hummels resta comunque un riferimento per i difensori tecnici che ambiscono a impostare l’azione.




Sergio Ramos

Oggi che è uno dei più forti difensori centrali al mondo è strano pensare che Sergio Ramos ha passato buona parte della carriera come terzino destro, e che talvolta è stato impiegato come mediano. È capitato ad esempio in un derby tra Real e Atlético Madrid ai quarti di Champions League di cinque anni fa, una mossa ritenuta decisiva per la vittoria (1-0, gol del "Chicharito" Hernández) da Iker Casillas, allora capitano dei "Merengues": «Ne abbiamo beneficiato tutti, Sergio è stato fondamentale». Interrogato sul nuovo ruolo, Ramos aveva dato merito ad Ancelotti: «Ci avevamo pensato prima, ma il merito va tutto a lui. Mi piacciono gli allenatori che sono brave persone, ma più di tutti quelli di carattere che hanno le palle».

L'avanzamento a centrocampo è una mossa che di solito riguarda i difensori più tecnici, e in questo senso è logico che a un certo punto della sua carriera sia toccato anche a Sergio Ramos, uno dei difensori più tecnici della sua generazione. In carriera, tra club e nazionale spagnola, ha segnato oltre 100 gol, ma è un dato che rivela più che altro la sua eccezionalità come colpitore di testa e la personalità nell’imporsi come battitore di rigori e punizioni in due squadre ricche di talento come il Real Madrid e la Spagna.

Ramos ha comunque una tecnica di calcio notevole che, quando imposta, utilizza in particolare per cambiare gioco da sinistra a destra (gioca infatti da difensore centrale sinistro) o lanciare dietro la difesa. Palla a terra il suo talento è meno sollecitato, ma solo perché ha sempre potuto contare su centrocampisti fenomenali davanti a lui, ai quali poteva lasciare la responsabilità di far avanzare l’azione. Se però vede che può tagliare le linee di pressione con un passaggio, o portando la palla, non gli mancano certo tecnica e sensibilità per farlo.

Magari non è il difensore più influente a inizio azione (ma in questo caso c’entra soprattutto lo stile delle squadre in cui ha giocato e i compagni che ha avuto davanti a lui) o quello con la visione di gioco più luminosa, stando però alla base del possesso del Real Madrid e della nazionale spagnola Ramos è una delle ragioni che le ha rese così dominanti.




Gerrard Piqué

Il piqué è un passo del balletto classico che inizia con una gamba in dégagé avanti, di lato o dietro e continua con lo spostamento del corpo sulla medesima in punta o mezza punta. Non sappiamo perché si chiami così, ovviamente non c’entra niente con Piquè il calciatore del Barcellona, ma è curioso come in questo passo la gamba d’appoggio sia un fulcro del movimento, come potremmo azzardare Piqué è un fulcro del Barcellona.

Dopo essere cresciuto ne La Masia ed essersi affermato al Manchester United, Piqué è tornato al Barcellona crescendo di importanza nel sistema della squadra di anno in anno. Con la maglia blaugrana non esegue mai meno di 60 passaggi ogni 90 minuti a stagione. Questo vuol dire che praticamente la manovra passa per i suoi piedi più di una volta ogni minuto e mezzo. Essere cresciuto all’interno della rivoluzione di Guardiola gli ha dato sicuramente la confidenza necessaria per giocare il pallone in difesa come se fosse la cosa più naturale del mondo. Con il pallone tra i piedi Piqué sembra un pesce nell’acqua, cosa non così scontata per un difensore, grazie ad una tecnica di base davvero notevole.

In questo video postato dal Barcellona si vede Piqué nel riscaldamento, la tecnica con il pallone è cristallina.

Piqué è uno dei migliori difensori al mondo nel stoppare un pallone, nell’usare il corpo per orientare la giocata, nel liberarsi dalla pressione avversaria con il corpo. Sono queste piccole cose che poi gli permettono di avere una percentuale di passaggi riusciti sempre altissima. Anche in base al compagno di reparto - negli anni il Barcellona non sembra aver trovato chi affiancargli con sicurezza - Piqué ama salire palla al piede, saltare la pressione avversaria, entrare dentro al campo, essere il fulcro della manovra in una squadra che fa del controllo del pallone una religione.

Stilisticamente è un difensore un po’ diverso in impostazione rispetto ad altri che sono veri e propri playmaker (Bonucci, ma anche Van Dijck, Hummels). Più che lanciare lungo con continuità Piqué preferisce un palleggio fitto e corto, salire anche insieme alla squadra, usando il lancio lungo - fondamentale in cui è comunque molto educato - soprattutto quando è sicuro della traccia da disegnare.

Passano gli anni ma a Barcellona Piqué rimane il difensore più affidabile, un leader sia fuori dal campo che dentro, quando ha il pallone tra i piedi. Negli ultimi dieci anni forse nessuno come lui è stato un riferimento per una generazione di difensori che amano avere il controllo del pallone.




Paolo Maldini

Inserire Maldini in questa classifica può essere considerato un trucco, visto che ha passato una consistente parte della carriera da terzino - un ruolo a cui abbiamo deciso di dedicare un articolo a parte. Da terzino Maldini spiccava, più che per la sua solidità difensiva, soprattutto per la qualità della sua distribuzione palla e per una capacità di dribbling in leggera dissonanza con una reattività di certo non eccezionale. Maldini dribblava di pura tecnica, con gambete e cambi di direzione calmi ed eleganti. Non era raro vederlo fare un tunnel a qualcuno, anche in tarda età.

Bisogna però dire che dal 2000 in avanti - che è il nostro periodo di riferimento - Maldini ha giocato di più da centrale, dove aveva una qualità tecnica poco ortodossa per un difensore centrale ai suoi tempi.

Per descrivere la qualità del suo calcio - praticamente ambidestra - cito il lungo articolo che Gianmarco Porcellini ha dedicato a Maldini: «Sotto questa luce appare ancora più sconcertante la qualità tecnica con cui calciava e soprattutto lanciava, indifferentemente con entrambi i piedi, sia sulla figura che sulla corsa. Maldini sapeva imprimere al pallone traiettorie tese utilizzando il collo interno, ma anche più litftate “scavando” la palla con entrambi i piedi. La sua preferenza per il destro si notava solamente in due giocate: nelle aperture cosiddette “in extrarotazione” (cioè quando utilizzava il destro per passare alla sua destra, ma agendo da sinistra, quindi in maniera “controintuitiva” rispetto alla coordinazione del corpo) e nel lancio in verticale verso l’ala di fronte a lui (realizzate sempre con il destro dall’out basso di sinistra)».




Virgil van Dijk

Si è parlato molto, e giustamente, di quanto l’ingresso in squadra di Virgil Van Dijk abbia stabilizzato la tenuta difensiva del Liverpool. Il dato che viene subito in mente quando pensiamo a lui, almeno nella scorsa stagione, quella della vittoria in Champions League, è quello che non è mai stato saltato in uno contro uno. Ma il contributo con la palla che van Dijk ha dato al Liverpool è importante quasi allo stesso modo.

L’arrivo suo e di Alisson hanno migliorato e consolidato l’impostazione bassa del Liverpool, ma hanno prodotto anche momenti eccezionali, come l’assist in extra-rotazione servito a Mané in Champions League, reso glorioso dall’inquadratura da dietro. Nel video sopra van Dijk offre i suoi consigli per lanciare da dietro. Dice che la cosa che ha più migliorato nel tempo è non pensare solo alla potenza, come faceva invece agli inizi: «È più come il golf, devi dosare lo slancio della gamba». Poi dice che l’altra cosa importante da fare è “scannerizzare” tutto il campo davanti a sé prima di compiere una scelta - se andare lungo, cambiare gioco in diagonale, oppure cercare direttamente le punte o andare sugli esterni bassi.

Nel suo gioco sono particolarmente iconici i lanci in diagonale verso il lato destro, il più creativo del Liverpool, quello occupato da “Momo” Salah e, soprattutto, Trent Alexander-Arnold. Come spiega anche nel video, in questi lanci a volta è importante stare attenti a non alzare troppo il pallone, facendolo diventare troppo difficile da controllare per gli attaccanti - specie per i tempi sempre contratti della Premier League.

È proprio la completezza, l’integrazione tra il suo gioco con e senza palla, oltre alla sua attitudine coraggiosa e la capacità di difendere in situazioni limite, a rendere van Dijk un prototipo quasi creato in laboratorio del difensore contemporaneo.




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