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I migliori giocatori dei quarti di Champions League
15 apr 2021
11 calciatori che hanno nobilitato il momento di calcio più bello dell'anno.
(articolo)
18 min
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I quarti di Champions League sono il miglior momento di calcio dell’anno: otto squadre si sfidano in quattro partite tra andata e ritorno che esprimono il meglio del calcio europeo. Sono partite che arrivano in un momento perfetto. Gli ottavi di finale in genere hanno un livello più basso, mentre le semifinali e la finale sono rese drammatiche dalla posta in palio, dall’ansia di sbagliare. Ai quarti invece ci sono il numero giusto di squadre e partite, la giusta biodiversità tra gli stili di gioco collettivi e individuali, una quantità di giocatori forti sufficiente per appagare qualsiasi palato. Avete preferito la monarchia tecnica di Neymar o le sgasate negli spazi di Mbappé? La tenacia difensiva di Lucas Hernandez o il controllo onnisciente di Toni Kroos? L’intelligenza senza palla di Ilkay Gundogan o la solidità inumana di Neuer?

Abbiamo messo in classifica undici giocatori che hanno usato questi quarti di Champions come palcoscenico per mettere in mostra il loro valore, cambiando leggermente la nostra percezione su di loro.

11. Jude Bellingham

Bellingham è arrivato al Borussia Dortmund lo scorso luglio, e pochi acquisti simboleggiano meglio il cambio di strategia nel mercato dei grandi club contemporanei. Il grosso del budget non viene più destinato a giocatori già affermati ma a giovani semi-sconosciuti che, al contempo, contengono grandi rischi di fallimento ma potenzialità suggestive. È arrivato per venticinque milioni, non era ancora maggiorenne e non aveva giocato una singola partita in Premier League. Dalla quarantina di presenze giocate col Birmingham portava evidenti segni di predestinazione e il BVB ha cominciato a corteggiarlo ai limiti dello stalking. Gli ha mandato magliette, video del muro giallo e promesse su uno sviluppo tagliato su misura per un giovane. Poteva guardare l’esempio di Jadon Sancho per avere garanzie.

Difficilmente questi predestinati poi riescono ad andare oltre le aspettative nel breve periodo, l’idea era di farlo diventare titolare dopo la pausa invernale e neanche il più ottimista al Borussia Dortmund avrebbe pronosticato l’importanza che Bellingham ha assunto subito in Germania. Alla prima in Bundesliga era già titolare e, dopo un breve periodo passato in panchina a sgranchirsi le idee, è tornato nell’undici con l’arrivo di Terzic. La sua influenza cresce partita dopo partita. E neanche nel più puro dei racconti di predestinazione Bellingham poteva immaginare di segnare ai quarti di finale di Champions contro il Manchester City, e di farlo in quel modo.

Al 14’ gli è finita tra i piedi una palla in area di rigore, cosa avrebbe fatto con quella fortuna? Con idee affilate Bellingham l’ha fermata con l’interno sinistro, se l’è spostata con l’esterno destro, e poi con l’interno destro, senza guardare mai la porta, ha calciato sul palo lontano inarcando il corpo come un tennista al servizio. La lentezza della traiettoria ne ha evidenziato la bellezza. Un quarto d’ora dopo, con una certa preveggenza, ha corso dietro il suo portiere per fermare un tiro di Mahrez indirizzato all’1-1; e insomma, se il Borussia Dortmund per un’oretta ha fatto venire a Guardiola gli incubi di Goya è soprattutto grazie al talento di Bellingham e a una capacità di incidere a questi livelli impronosticabile a questo punto della carriera.

Bellingham sa fare tutto, e lo sa fare così bene che diventa difficile capire che tipo di giocatore è di preciso: ha una grande tecnica, porta bene palla, dribbla, è creativo e a inizio carriera giocava soprattutto negli ultimi trenta metri; ma al Borussia è arretrato nel mezzo del centrocampo svolgendo compiti complessi in modo impeccabile. È intenso e preciso nel pressing offensivo, ma anche nelle letture senza palla ha una disciplina inspiegabile per un teenager che ha sempre giocato in attacco. La disciplina difensiva non fa perdere una virgola al suo impatto offensivo: è uno dei migliori cinque in Bundesliga per passaggi verso l’area di rigore. Questa Champions League non ci ha detto che Bellingham arriverà, ma che è già qui.


10. Manuel Neuer

Intorno al Bayern Monaco sono almeno un paio d’anni che si parla del presunto declino di Manuel Neuer. In questo articolo di qualche mese fa, per dire, si dice che Alexander Nübel dovrebbe contestargli il posto da titolare. L’episodio spartiacque era stato il grave infortunio della stagione 2017/18, che lo ha obbligato a un lungo recupero dopo il quale non sembrava poter tornare ai suoi livelli. Guardando le statistiche, Neuer sembra aver raggiunto il proprio picco tra il 2013 e il 2016. Nel 2018 il suo punto più basso, quando perse palla a pochi secondi dalla fine della partita dei Mondiali contro la Corea del Sud. Neuer che non domina più il rischio come aveva fatto lungo tutta la carriera con freddezza macchinica. Ha rivoluzionato il suo ruolo, ma poi sono arrivati interpreti più freschi e persino più completi di lui, che tra i pali del Bayern ha cominciato a sembrare postumo a sé stesso: venerato maestro, ma ormai pensionabile.

Ecco, in questi quarti di Champions Neuer è tornato a sprigionare la sua forza magnetica a difesa della porta. Dopo una partita d’andata in cui aveva mezzo gol di Mbappé sulla coscienza, al ritorno è stato in diversi momenti l’unico ostacolo fisico tra il Paris Saint-Germain e la qualificazione, o anche: tra Neymar e una prestazione dai contorni leggendari. Se il brasiliano ha fallito cinque “big chances”, cioè il termine statistico per definire “grandi occasioni”, è grazie al suo tempismo, ai suoi riflessi, alla sua tecnica in uscita. Tra le sue parate, ce ne sono per tutti i gusti. Preferite l’uscita bassa con cui ha respinto, piedi e gambe belle tese, il tiro di Neymar a incrociare? Oppure la corsa profetica in avanti con cui ha stoppato il brasiliano al limite dell’area a un minuto dalla fine?

Neuer ha ormai 35 anni e secondo tutti i parametri statistici il suo declino è già iniziato, lo stiamo vivendo, ma non è detto che dietro questo tramonto Neuer non potrà, in certi momenti, ancora brillare come nessun altro. Nonostante l’eliminazione, è stato il miglior portiere dei quarti di finale, in mezzo ad altre prestazioni notevoli come quelle di Keylor Navas (andata) e Courtois (ritorno).


9. Leandro Paredes

Leandro Paredes ha avuto una carriera strana che sembrava finita anzitempo, quando a 23 anni era finito all’improvviso a San Pietroburgo, a giocare i suoi cambi di campo da videogioco sui prati innevati della Prem'er-Liga. Quando è andato al PSG, a gennaio del 2019, sembrava altrettanto strano: perché un calciatore dalla carriera in regressione doveva meritare un salto di carriera, in una delle squadre più forti al mondo?

A volte le risposte sono semplici: la sensibilità tecnica di Paredes è abbastanza rara da poterlo considerare all’altezza dei migliori giocatori al mondo. A Parigi non è stato sempre importante, ma con l’arrivo di Pochettino le cose sono cambiate e senza Verratti in questi quarti di finale è stato essenziale per dare supporto creativo a Neymar. Dopo il brasiliano, è stato il giocatore del PSG con più tocchi e una precisione di più del 90%; il migliore a mantenere la calma in mezzo al caos portato dal pressing del Bayern. Guardate in quest’occasione il suo coraggio e la sua ambizione, oltre ovviamente a un controllo in spazi stretti che diamo più per scontato.

Ha mostrato però la qualità più impronosticabile, ha giocato una grande partita difensiva contro una squadra con cui è difficile difendere. Era il singolo aspetto che sembrava renderlo inadeguato a giocare ai massimi livelli, quello per cui è sempre stato considerato un lusso inaccettabile nelle squadre in cui ha giocato. Ricordate che non ha ancora 27 anni.


8. Lucas Hernandez

Come si fa a elogiare il difensore di una squadra eliminata che ha subito tre gol in due partite da avversari che hanno dato tangibili segni di onnipotenza?

Dietro al dominio tecnico e atletico di Neymar e Mbappé la prestazione di Lucas Hernandez rischia di passare inosservata. Quanti difensori riescono a contenere gli attaccanti del PSG in campo aperto? Lucas Hernandez è l’unico che è sembrato avere la concentrazione e le doti atletiche per scegliere bene i tempi dell’intervento, concedendosi il lusso di lasciare agli altri la prima mossa e accorciare le distanza in un secondo momento. Riassorbire i vantaggi concessi in modo subdolo, sempre un po’ imprevisto.

Vale la pena ricordare che Lucas Hernandez non è un difensore centrale ma un terzino, e che ha giocato difensore per necessità nella partita di ritorno. Eppure le sue letture e la sua capacità di difendere in quelle situazioni di campo aperto in cui “nuoti o affoghi” potrebbero rivelarsi preziosi per il Bayern, una squadra che accetta di sbilanciarsi a volte in modo radicale. Negli ultimi venti minuti, con la squadra sparata in avanti, Hernandez ha dovuto affrontare una serie di transizioni da incubo, uscendone spesso vincitore, come quella al 91’ in cui ha toccato in calcio d’angolo il pallone a Neymar che correva da sinistra verso la porta. Alaba e Boateng sono in scadenza, e il suo ruolo potrebbe diventare più importante il prossimo anno. Era stato acquistato due anni fa, il giocatore più caro della storia del Bayern Monaco e lo scetticismo non lo ha mai abbandonato; ma è anche questo quello che fa una grande società: aspetta che i propri investimenti vengano ripagati.


7. Mason Mount

Quando a gennaio Frank Lampard è stato esonerato il pensiero di molti sarà andato a Mason Mount: che ne sarebbe stato del suo pupillo? Alla prima partita di Tuchel, contro il Wolverhampton, è finito in panchina e sembravano poter arrivare tempi duri. In realtà nessun giocatore ha giocato tanto quanto lui con l’allenatore tedesco. In Inghilterra viene descritto come un secchione, uno che si ferma dopo l’allenamento a guardare i video del Bayern Monaco per capire come gioca; che non smette di voler migliorare. Il modo in cui corre e porta il pallone, del resto, sembra quello di un talento che ha messo insieme i pezzi del proprio gioco nel tempo. Eppure la naturalezza del suo primo controllo e del suo tiro in porta è sempre magnifica. Contro il Porto ha segnato il gol più importante: quello che ha inclinato una partita bloccata dalla parte della squadra di Tuchel. Sul passaggio di Jorginho sui piedi ha intuito che il difensore era in ritardo, ha messo il corpo per ricevere col sinistro e girarsi verso la porta in un unico movimento. Un controllo orientato complesso che lui fa sembrare semplice, così come il tiro di destro a incrociare sul secondo palo.

Mount ha solo 22 anni, e in un Chelsea così giovane che sembrava in fase di ricostruzione, era difficile immaginarlo così presto protagonista in Champions League.


6. Phil Foden

Foden ha vent’anni ma si parla di lui da così tanto tempo che quasi ci eravamo stancati di aspettarlo. Non era certo colpa sua se è almeno dal 2016 che si parla di lui come il nuovo fenomeno del calcio inglese. Guardiola ha fatto di tutto per non far calare di mezzo centimetro l’attenzione su di lui. I complimenti che gli ha rivolto erano così sopra le righe da suonare sarcastici. Non ha solo detto che un tifoso del City dovrebbe essere fiero ed eccitato di avere un ragazzo della zona diventare un calciatore con quel talento, no, ha anche detto che Foden è il calciatore più talentuoso che abbiamo mai allenato. Ok, lo ha detto anche di altri giocatori, ma gli altri giocatori avevano il livello di Messi, a cui Foden non sembrava neanche poter aspirare. Quando se ne è andato David Silva il tecnico non era preoccupato, sarebbe diventato Foden «il nostro nuovo mago». Più lo elogiava meno lo faceva giocare, e Foden ha iniziato a impazzire. Dopo una partita con la nazionale inglese aveva detto: «Sarebbe bello se Guardiola avesse visto la partita contro la Turchia. Credo però fosse in vacanza o a giocare a golf». Era l’unico sopravvissuto del formidabile trio che formava con Brahim Diaz e Jadon Sancho, e chissà se non stava pensando che avrebbe fatto meglio ad andarsene.

Tutto questo travaglio e quest’attesa che sembrava flirtare apertamente con la tragedia e lo sperpero, è sembrata finalmente risolversi nel singolo momento che abbiamo vissuto ieri sera. Il City fermo sull’1-1 contro il BVB, a un solo gol di distanza dallo psicodramma; arriva una palla a Foden al limite dell’area dopo un calcio d’angolo con un BVB particolarmente sbadato. Foden la controlla e lascia partire un tiro dritto e secco che è come immagineremmo i tiri di un calciatore inglese archetipico, se Foden non fosse tutto il contrario, con quel controllo palla e quel senso tecnico del gioco quasi spagnolo.

Dopo il gol Foden è corso ad abbracciare Guardiola, forse pacificando una volta per tutte un rapporto controverso sembrato più volte vicino alla rottura. Foden era stato decisivo anche nella partita d’andata, quando aveva spinto in porta un’azione tra De Bruyne e Gundogan di qualità tecnica inspiegabile. È stata forse la singola rete più pesante nel doppio confronto. Per la prima volta in carriera ha superato i mille minuti in stagione, e ha triplicato la quota di gol e assist. Il gol di ieri però ha avuto anche un peso simbolico, rompendo definitivamente la maledizione dei quarti di finale per il Manchester City, un grosso passo in avanti per il club.


5. Vinicius Jr

Forse non esiste un giocatore di questi quarti di finale capace di modificare la propria percezione come Vinicius Jr. È ormai alla sua terza stagione al Real Madrid ma, a vent’anni, ci sembrava distante dal poter diventare un fattore per gli standard elevatissimi della sua squadra. Il suo talento è auto-evidente, il modo in cui porta palla in spazi stretti, la difende, accelera e decelera con la completezza di quelle ali che possono diventare tiranne; per questo era frustrante vederlo così fumoso. Vinicius sembrava portare palla per narcisismo, dribblare per noia. Dal suo arrivo al Real Madrid, prima di questi quarti, aveva segnato appena 10 gol. Lo scorso ottobre, nel tunnel degli spogliatoi nella partita contro il Borussia Mönchengladbach, Benzema si era lamentato con Mendy: «Fa come gli pare, gioca contro di noi, non passargli la palla». Se qualcuno aveva qualche dubbio su quanto Benzema credesse alle sue parole, beh, non gli ha effettivamente passato un pallone per i 25 minuti in cui è restato in campo nel secondo tempo. Non sapersi associare con compagni di quel livello, farsi percepire come un corpo estraneo, è un tipo di fallimento al contempo inequivocabile e difficile da capire da fuori. In fondo Vinicius aveva anche indicato Benzema tra i compagni che più lo avevano aiutato ad ambientarsi.

Quest’anno però Zidane - in parte costretto dall’infortunio di Hazard - ha trovato il modo di integrarlo definitivamente nella squadra, in qualche modo ha accettato la sua scarsa capacità di associarsi, ma ne sta sfruttando al massimo gli isolamenti, la sua pericolosità in campo aperto e nell’uno contro uno. A volte sembra semplicemente ingestibile per le difese avversarie. Contro il Liverpool, però, ha trovato anche due gol decisivi, e cioè proprio la cosa che pareva più mancargli per essere un giocatore da Real Madrid. Il primo controllo col petto con cui ha addomesticato il lancio di Kroos e ha tagliato fuori Phillips contiene una sensibilità tecnica quasi sessuale. È già un gesto iconico della Champions League, il primo momento di grandezza di Vinicius Jr.


4. Il triangolo Kroos / Modric / Benzema

Indipendentemente dall’annata del Real Madrid, dal suo stato di forma, dai travagli tattici e societari, arriverà una partita di Champions League dominata da Luka Modric, Toni Kroos e Karim Benzema. Si metteranno un sigaro in bocca e, nella fascia centrale del campo, si metteranno a dirigere le operazioni. È così da tempo, forse da sempre, lo diamo per scontato come l’arrivo dell’odore dei gelsomini a marzo. Le ricezioni col busto perfetto di Kroos, i tocchi di esterno di Modric, gli smarcamenti inesauribili e sapienti di Benzema si intrecciano tra loro come corde di vimini; insieme formano una rete e un ritmo dentro cui le qualità degli avversari si disperdono e rimpiccioliscono fino a sembrare invisibili. La squadra più tecnica diventa gretta, quella più aggressiva diventa docile. Kroos, Modric e Benzema continuano a passarsi la palla e a proteggerla come se fosse il modo più giusto ed esatto di giocare a calcio, il più vero. Del loro dominio tecnico sul Liverpool, tra andata e ritorno, ci rimarrà negli occhi soprattutto lo swing della gamba di Toni Kroos nel lancio che ha mandato in porta Vinicius. È la sua signature move, Michael Jackson che fa il moonwalk; ma bisognerebbe riguardare la loro prestazione per intero, per vedere come alcune singole intelligenze ne diventano una più grande - è questo il calcio, no? - che si divora la partita. Il campo prende la loro forma e il loro tempo, diventa liquido, spostandosi su un piano completamente diverso da quello in cui viviamo noi esseri umani.




3. Kylian Mbappé

Kylian Mbappé era stato il peggior giocatore nella finale di Champions League contro il Bayern Monaco a Lisbona. Aveva detto di essere sicuro di «poter fare la storia», ma poi quando gli è capitata la palla buona, lui che di solito è spietato come i grandi predatori, aveva calciato un tiro fiacco fiacco tra le braccia di Neuer.

Quest’anno ha giocato come se avesse un conto in sospeso: aveva di fronte la migliore squadra al mondo e doveva dimostrare di essere uno dei migliori al mondo. Sotto le neve di Monaco, indossando con eleganza la maglia bianca, aveva sgasato in mezzo ai difensori avversari come una fiera medievale. Troppo forte, troppo veloce, troppo tecnico. Se il primo gol viene la tentazione di sminuirlo per la parata goffa di Neuer, nel secondo si vede tutta la sua diversità. La velocità con cui rientra sul destro, il modo in cui imprigiona i difensori nella paura e nell’esitazione. Boateng che corre all’indietro sempre fuori equilibrio, perché i suoi passi sono sempre in ritardo rispetto a quelli di Mbappé, e quando si accorge che la palla gli è passata sotto le gambe è troppo tardi. Al ritorno il suo apporto è stato più minimale, ma la tensione che mette nei difensori avversari, la capacità di allungare continuamente il campo, è di per sé un’arma tattica del PSG. Puoi dominare quanto vuoi, ma sempre col retropensiero che uno scatto di Mbappé può farti a fette nel momento in cui meno te lo aspetti.


2. Kevin De Bruyne

Ogni tanto bisognerebbe soffermarsi a pensare a quanto è strano Kevin De Bruyne, con la faccia da fumetto di Ergé, le lentiggini, un fisico che sembra sempre un po’ troppo pesante per le sue idee. Il suo gioco di una precisione e di una ricchezza oltraggiose, Guardiola lo aveva usato in un ruolo specifico - quello della mezzala destra con grande libertà di movimento - che lo metteva nella posizione migliore per creare gioco col suo piede destro accurato come la più avanzata tecnologia militare. In questi quarti lo abbiamo invece visto agire in una nuova posizione, non più da rifinitore ma da riferimento avanzato. Un’assurdità sulla carta, visto che stiamo parlando del miglior rifinitore al mondo. Partendo dal centro De Bruyne si defilava a ricevere nel mezzo spazio di sinistra, da dove spesso partiva in conduzione e in dribbling a piede invertito che era sinceramente strano vedergli eseguire. È stato efficace, ha completato 5 dribbling e dato una costante sensazione di pericolosità in una squadra senza attaccanti e che a volte sembrava bloccata - tatticamente e mentalmente. Il City ha giocato un doppio confronto solido, e se ha sofferto più del dovuto è stato per un’incapacità atavica nella gestione dei momenti. Però le uniche fasi in cui quella solidità diventava qualcosa di più, una specie di efficacia offensiva, era grazie a De Bruyne.

Nella partita d’andata - mentre gli eventi sembravano ormai essere andati contro la squadra di Guardiola - si è inventato un lancio per Gundogan inconcepibile. Non siamo riusciti a capirlo, persino a visualizzarlo, finché non abbiamo visto il tedesco comparire al bordo dell’inquadratura stoppare il pallone. L’1-0 lo aveva segnato lui, in una squadra priva di numeri nove. Al ritorno a un certo punto stava risolvendo la partita con la pura forza di volontà: strappato il pallone dai piedi di Dahoud al limite dell’area, ha arrancato un po’ per ritrovare l’equilibrio, poi ha calciato fortissimo sulla traversa. Il calcio d’angolo da cui è nato il gol di Foden lo ha guadagnato lui dopo una conduzione potente e veloce in campo aperto contro Emre Can. Un’azione che non assoceremmo a lui, il miglior calciatore da fermo al mondo. In questi quarti di finale De Bruyne ha confermato il suo status, ma ha suggerito anche di poter rilanciare. Se il Manchester City dovesse vincere la Champions League, perché non dovrebbe aspirare al Pallone d’Oro?




1. Neymar

Abbiamo scritto di Neymar subito dopo la partita di ritorno, una delle prestazioni più affascinanti ed enigmatiche della storia recente della Champions League. Neymar ha sprecato cinque grandi occasioni da gol, e se il PSG fosse stato eliminato - per qualche ragione - in molti se la sarebbero presa con lui. Lui che però è stato di gran lunga il miglior giocatore del doppio confronto, l’unico giocatore al mondo, oggi, a piegare il contesto alla sua volontà. Ad annullare il gap fisico e tattico con la squadra avversaria grazie alla tecnica. Pur in una squadra molto forte e organizzata, che ha giocato con abnegazione e coraggio, con vicino un sontuoso partner-in-crime, Neymar ha comunicato la superiorità dell’individuo sul collettivo. La volontà di potenza del Bayern Monaco di dominare la partita dal punto di vista tattico, domando le variabili e il caso, è stata annullata ogni volta che Neymar prendeva palla, faceva una finta, saltava due o tre giocatori. Oppure vedeva una palla che semplicemente non pensavamo potesse esistere, come quella data a Marquinhos nel gol del 2-0 dell’andata, prendendo in controtempo la difesa avversaria, ma anche il mondo intero. Il miglior giocatore al mondo in questo momento.


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