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Le migliori partite del 2021
04 gen 2022
Match dall'anno passato che non dimenticheremo.
(articolo)
34 min
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Le partite di calcio possono essere belle in diversi modi: ci sono quelle emozionanti e ricche di gol, quelle cariche di tensione per l’importanza del risultato, quelle che brillano della luce riflessa della storia, spesso centenaria, degli scontri tra le due squadre che si affrontano. Possono essere belle per l’interpretazione tattica delle squadre o per le storie dei protagonisti in campo. Poi, certo, entra in gioco la soggettività. C’è chi pensa che una partita finita 5-3 sia in realtà una pessima prova delle difese e apprezza maggiormente un tiratissimo 0-0, e chi al contrario rabbrividisce di fronte all'idea che uno 0-0 possa essere considerato come la partita perfetta.

Come ogni lista, la mia è ampiamente soggettiva, influenzata dalle partite che ho visto, che sono solo una piccola frazione delle partite disputate nel 2021, e dalle emozioni che, per motivi diversi, queste partite mi hanno provocato. Alla fine credo che la bellezza del calcio abbia a che fare con le emozioni che provoca, e questa è la lista della partite che mi hanno lasciato le emozioni più vivide.

10. Perù-Paraguay 3-3, per chi ama il calcio sudamericano e le partite infinite

È stata, finalmente, la Copa America di Lionel Messi, che è riuscito a vincere un trofeo con l'Argentina. Ma la più bella partita del torneo è stata il quarto di finale tra Perù e Paraguay giocato a Goiânia, capitale dello stato brasiliano del Goias, resa famosa da un episodio di grave contaminazione radioattiva nel 1987. Il Perù guidato da Ricardo “El Tigre” Gareca era giunto al secondo posto del suo girone eliminatorio, sorpassato solo dal Brasile, mentre il Paraguay di Eduardo Berizzo, allenatore di scuola bielsista ex Celta Vigo, Siviglia ed Athletic Bilbao, si era qualificato posizionandosi dietro Argentina e Uruguay nel girone A.

Pronti, via, e dopo soli due secondi di gioco Carlos Gonzales, attaccante paraguaiano stende la mezzala peruviana Peña. Quasi un record, che echeggia il famoso fallo di Tardelli su Rivera in un Milan-Juventus del 1978, e che rappresenta il preludio di una partita dura e nervosa. L’inizio della partita è favorevole al Paraguay che prova a mettere sotto pressione la difesa peruviana. Dopo soli dieci minuti gli uomini di Berizzo riescono ad andare in vantaggio col centrale Gustavo Gomez, ex Milan, che ribadisce in rete la respinta di Pedro Gallese sul colpo di testa del terzino sinistro David Martinez su azione di calcio d’angolo. Il 4-4-2 del Paraguay è più aggressivo, pressa il possesso palla avversario e cerca di risalire il campo attirando fuori il 4-3-3 del Perù, che preferisce difendere con un blocco più basso e attaccare in ripartenza. La squadra di Berizzo appare abbastanza in controllo del match, ma al ventesimo André Carrillo sulla fascia destra punta e salta netto Cardozo Lucena e crossa rasoterra nella zona tra linea difensiva e portiere. È un’occasione troppo ghiotta per Gianluca Lapadula che in scivolata si avventa sul pallone: deviazione di Gustavo Gomez, il portiere Antony Silva beffato, gol.

Sul punteggio di 1-1 la partita si prende un periodo di calma apparente in cui il Perù riesce a riequilibrare il piano tattico del match. Al quarantesimo minuto è sempre Carrillo a fare saltare il banco, accelerando palla al piede sulla trequarti campo paraguaiana e creando i presupposti per il raddoppio di Lapadula che taglia alle spalle di Gustavo Gomez e in diagonale batte Silva, uscito male, troppo spostato sul primo palo. Dopo il gol e l’autorete, Gustavo Gomez torna quindi sul centro della scena e alla fine del primo tempo viene espulso dopo avere ricevuto un secondo cartellino giallo per una manata su Lapadula. Sembra tutto finito per il Paraguay, in svantaggio di un gol e in inferiorità numerica, ma ad inizio ripresa l’altro centrale difensivo, Junior Alonso, pareggia su un’azione da calcio d’angolo simile a quella che aveva portato al gol del vantaggio paraguaiano. Con un uomo in meno il Paraguay abbassa il pressing del suo 4-4-1 e consegna il pallone al Perù che occupa la metà campo avversaria. A dieci minuti dalla fine un tiro da fuori di Yoshimar Yotun viene deviato da Roberto Rojas alle spalle di Antony Silva, regalando il vantaggio peruviano che sembra, a questo punto, definitivo. Ma, chiaramente, non è finita. A 5 minuti dal termine Carrillo prende il secondo cartellino giallo per un ingenuo e brutto fallo, riportando il Paraguay – risistematosi in campo con un più coraggioso 4-3-2 -in parità numerica. Al novantesimo Gabriel Ávalos trova il pareggio al termine di un’azione confusa e di pura voglia del Paraguay in area di rigore avversaria.

Finisce quindi ai rigori, senza passare per i supplementari. E anche ai rigori la partita pare non volere finire mai. Dopo gli errori paraguaiani di David Martinez e Samudo e quello peruviano di Ormeño, Christian Cueva all’ultimo rigore ha l’opportunità di vincere la partita per il Perù, ma si fa parare il tiro da Silva. Ad oltranza Pedro Gallese para il rigore di Alberto Espinola e Miguel Trauco consegna al sesto tiro la semifinale contro al Perù, che perderà onorevolmente e di misura contro il Brasile. Espulsioni, gol, ribaltamenti di risultato e prospettive, calci di rigore. Cosa volere di più da una partita di calcio?




9. Wolfsburg-Juventus 0-2, per chi pensa che le belle partite siano le partite importanti

Da questa stagione, accompagnando la crescita globale del calcio femminile, la UEFA Women's Champions League ha modificato il suo formato abbandonando il classico tabellone ad eliminazione diretta e abbracciando, sulla falsariga della versione maschile, una fase iniziale a gironi, seguita dalle fasi finali ad eliminazione diretta.

Eliminando nei turni preliminari le macedoni del Kamenica Sasa, le austriache del Saint Polten e le albanesi del Vllaznia la Juventus è approdata alla fase a gironi, ma un sorteggio sfortunato l'ha accoppiata a due top team del calcio femminile europeo quali Chelsea e Wolfsburg, oltre alle svizzere del Servette. Per avere un’idea più precisa della qualità delle avversarie bianconere basti pensare che il Chelsea è la finalista della passata edizione della Champions League, oltre che campione d’Inghilterra e vincitrice della FA Cup, mentre il Wolfsburg ha vinto 2 Champions League ed è stata altre tre volte in finale - l’ultima solo due anni fa - negli ultimi dieci anni. Da quando è stata fondata nel 2017, a seguito della riforma che ha integrato le squadre professionistiche maschili con il calcio femminile, la Juventus ha vinto tutti i campionati di Serie A con l’allenatrice Rita Guarino, sostituita in estate con l’australiano di origine italiana Joe Montemurro, proveniente dall’Arsenal. In Italia il dominio della Juve appare incontrastabile tanto che le bianconere sono in una striscia aperta di 35 vittorie consecutive in campionato.

In Europa, però, Chelsea e Wolfsburg apparivano davvero come due scogli davvero proibitivi. Nella prima partita del girone le ragazze di Montemurro vincono 3-0 a Ginevra contro il Servette. Nei due successivi match la Juventus affronta in successione Chelsea e Wolfsburg all’Allianz Stadium. Contro il Chelsea le bianconere perdono 2-1 e contro il Wolfsburg, in una sfida già decisiva, riescono a pareggiare solamente con il gol nel recupero di Cristiana Girelli una partita complicata e sofferta. I risultati casalinghi contro le due corazzate del girone non sono certo un ottimo viatico per la qualificazione delle bianconere, chiamate all’impresa in trasferta i Germania e a Londra.

Nella quarta partita la Juventus affronta in trasferta il Wolfsburg. Nel primo tempo il 4-3-3 di Montemurro, ordinato e compatto, acquisisce sicurezza e consapevolezza della propria forza con il passare dei minuti. Le centrali Gama e Salvai difendono l’area, il mediano Pedersen protegge la difesa e la squadra chiude tutte le linee di gioco alle tedesche. Progressivamente la Juventus comincia a produrre gioco offensivo con il tridente offensivo, sfruttando il talento di Bonansea a destra, le spalle larghe di Girelli in mezzo e le progressioni di Hurtig a sinistra. La migliore occasione dei primi 45 minuti è della Juventus, dopo un’azione personale di Barbara Bonansea. Ad inizio ripresa le bianconere passano in vantaggio grazie a un’autorete della terzina Hendrich sul cross da destra di Girelli. Il Wolfsburg prova a reagire, ma la Juve è ormai in controllo del match e limita i pericoli per la porta di Peyrad-Magnin. In pieno recupero un contropiede condotto da Bonansea e finalizzato da Staskova, entrata al posto di Girelli, suggella l’impresa juventina in Germania. La vittoria esterna contro il Wolfsburg rappresenta per la Juventus il momento di acquisizione della consapevolezza di poter sedere tra pari al tavolo delle migliori squadre europee.

Tre settimane dopo la Juventus doppia l’impresa pareggiando 0-0 a Londra contro il Chelsea al termine di una partita passata in trincea a difendere il risultato (25 tiri a 2 per il Chelsea e 65% di possesso palla per le inglesi), qualificandosi di fatto per i quarti di finale. La facile e prevedibile vittoria interna contro il Servette regala il passaggio del turno alle bianconere, mentre nello scontro tra Wolfsburg e Chelsea sono le tedesche avere la meglio con una vittoria per 4-0, eliminando il club londinese finalista della scorsa stagione.




8. Ajax-Borussia Dortmund 4-0, per chi ama il calcio olandese

L’Ajax di Erik ten Hag è una delle migliori squadre della stagione in corso, in cui sembra tornata ai fasti della stagione 2018/19 quando solo una miracolosa tripletta di Lucas aveva permesso al Tottenham di recuperare un triplo svantaggio nei 45 minuti finali della semifinale di ritorno all’Amsterdam Arena. L’Ajax ha vinto il proprio girone di Champions League vincendo tutte le partite e segnando 20 reti – più di 3 a match in media – riportando ancora una volta il suo calcio brillante al centro del palcoscenico europeo.

Il 19 ottobre gli olandesi ospitano all’Amsterdam Arena il Borussia Dortmund di Erling Håland, a punteggio pieno come gli uomini di ten Hag. La prima azione pericolosa della partita è un po' un bignami delle qualità offensive dell’Ajax. I lancieri costruiscono a sinistra col terzino Daley Blind, che, rispetto alla versione del 2018/19, è stato spostato sulla fascia al posto di Tagliafico, garantendo una maggiore qualità di palleggio. Blind serve il centravanti Haller che venendo incontro al pallone tira fuori posizione il centrale avversario Hummels. Partendo dalla sua consueta posizione di mezzala destra-trequartista Steven Berghuis attacca lo spazio liberato da Haller che riesce a servire l’inserimento del compagno di squadra. Il terzino sinistro tedesco Schulz è quindi costretto a chiudere al centro su Berghuis, liberando Antony che, ricevendo il pallone da Berghuis si presenta solo davanti a Kobel e solo un disperato recupero di Hummels impedisce all’Ajax di passare in vantaggio. La capacità di spostare gli avversari, di disordinarne la struttura difensiva rendendola permeabile al movimento del pallone e degli uomini è una delle caratteristiche principali della fase d’attacco di ten Hag. Il vantaggio è però solo rimandato di un paio di minuti e giunge, in maniera meno entusiasmante, grazie a un’autorete di Marco Reus su un calcio di punizione esterno battuto da Dušan Tadić. Entrambe le squadre provano a pressare il possesso avversario e a riaggredire sulle palle perse, ma l’energia e l’efficacia dell’Ajax è superiore a quella del Borussia. Al ventiquattresimo è proprio da una riaggressione di Blind, che recupera il pallone centralmente sui 25 metri avversari, che nasce il gol del raddoppio, con il terzino che ricevendo la palla ripulita spalle alla porta da Haller, scaglia un tiro all’incrocio dal limite dell’area. Il dominio dell’Ajax è incontrastato e alla mezz’ora circa il Borussia Dortmund sembra rinunciare a provare a risalire il campo palleggiando e, arrendendosi al pressing olandese, comincia a cercare Håland coi lanci lunghi. C’è tempo per un spettacolare key pass di tacco di Berghuis per Haller al centro dell’area di rigore prima dell’unico tiro in porta del BVB nel primo tempo, che giunge solo nel recupero, con Håland al termine di un’azione in ripartenza, in cui i giocatori gialloneri erano stati più volte costretti a vere prodezze per sfuggire alla feroce riaggressione dei lancieri.

I secondi quarantacinque minuti iniziano ricalcando lo spettacolare primo tempo dell’Ajax. Al quarantottesimo un altro bignami del calcio offensivo di ten Hag. L’azione parte dal portiere Pasveer, la conduzione del centrale di destra Timber rompe la prima linea di pressione avversaria, il taglio interno del terzino Mazraoui gli consente di ricevere dentro al campo, servire Antony e sovrapporsi internamente al brasiliano, che gli restituisce palla. Cross rasoterra all’indietro di Mazraoui dalla linea di fondo e Gravenbech da 5 metri mette in rete, con tutta la porta a disposizione. Poco dopo il delicatissimo sinistro a rientrare di Antony, che bacia il palo, porta l’Ajax sul 3-0. Gli uomini di ten Hag non sono sazi e continuano a rubare palla agli avversari e a farli correre a vuoto col pallone tra i piedi. A 20 minuti dalla fine arriva il gol di testa Haller – a segno in tutti i match di Champions del girone, come solo CR7 era stato capace di fare – su cross di Blind. Cinque giorni dopo l’Ajax distruggerà 5-0 in casa il PSV Eindhoven, rivale in campionato.

Per la brillantezza, il coraggio, l’interpretazione libera dei principi del gioco di posizione, la continua ricerca della riconquista del pallone e l’originalità di alcune soluzioni di gioco (la “minima ampiezza”) l’Ajax è di certo una delle più belle squadre della stagione e ten Hag un allenatore troppo spesso dimenticato tra quelli in grado di dare un’identità profonda e riconoscibilissima alle sue squadre.




7. Porto-Atletico Madrid 1-3, per chi non dimentica che il calcio è anche scontro fisico

Il girone B della Champions League - con Liverpool, Atletico Madrid, Porto e Milan - era il più difficile e ricco di fascino dell’edizione 2021-22. All’ultima giornata un Liverpool a punteggio pieno e certo già del primo posto affrontava con una formazione piena di riserve il Milan. Allo stadio do Dragão si affrontavano invece Porto e Atletico Madrid. In un complicato intreccio di possibili risultati, Milan e Atletico Madrid (entrambe a 4 punti) e Porto (5 punti) si giocavano la qualificazione agli ottavi di finale e, in subordine, il passaggio all’Europa League. Con il Liverpool che vinceva a San Siro diventava sempre più evidente che la lotta per il secondo posto si sarebbe giocata tutta, in un corpo a corpo, allo stadio do Dragão. E, scrivendo corpo a corpo, lo si può intendere in modo quasi letterale, perché Porto e Atletico Madrid sono due squadre che fanno dell’impatto fisico sugli avversari uno degli elementi fondanti della loro identità di gioco.

La partita d’andata, finita 0-0, era stata in effetti una lunga e logorante guerra tra i 22 giocatori e il misero bottino di 6 tiri per gli spagnoli e 5 per i portoghesi, quasi un manifesto della vittoria della durezza delle due squadre sulle loro velleità offensive. Tuttavia, anche la partita giocata a Madrid, nonostante l’assenza di gol e la povertà dei tiri, era stata una bella partita, per la tensione e l’intensità di ogni secondo giocato. Al do Dragão, con il Milan sotto contro il Liverpool, al Porto sarebbe bastato un pareggio per giungere agli ottavi di Champions.

Il primo tempo è teso e nervoso, ma, in effetti è solo il preludio di quanto sarebbe avvenuto nella ripresa. Ogni pallone è importante e la vittoria di ogni duello individuale è fondamentale per il disegno tattico degli allenatori. Ad inizio ripresa il Porto ha due ottime occasioni da gol con Taremi, ma ad andare in vantaggio è l’Atletico Madrid, con Griezmann sugli sviluppi di un calcio d’angolo. La partita diviene se possibile più spigolosa. Ogni pallone è conteso come fosse l’ultimo della partita e ogni scontro fisico è arricchito di piccole spinte, calci più o meno casuali e parole che li rendono ancora più aspri. L’Atletico Madrid rischia di raddoppiare, ma Pepe salva sulla linea il “cucchiaio” con cui Cunha aveva superato Diogo Costa.

A 25 minuti dalla fine, al termine dell’ennesimo duello in cui, sulla linea laterale si contendono il pallone tre giocatori dell’Atletico e due del Porto, proprio sotto la panchina portoghese si accende una rissa per ottenere il possesso del palla e battere la rimessa laterale. L’esito finale è l’espulsione di Ferreira Carrasco, colpevole di avere colpito al volto Otavio che provava a strappargli il pallone dalle mani.

Il Porto a questo punto sembra a un passo dal pareggio anche perché, piena di assenti, la difesa dell’Atletico Madrid presenta come centrali gli adattati Vrsaljko e Kondogbia, che sembrano non potere reggere gli attacchi dei lusitani. Ma per la squadra di Simeone, la gestione emotiva del match è altrettanto importante di quella puramente tecnica e solo un paio di minuti dopo, stavolta nei pressi della panchina spagnola, Cunha, ancora una volta contenendo il pallone per battere una rimessa laterale, riesce a farsi toccare col gomito al volto dall’ingenuo Wendell. Il terzino del Porto viene espulso al termine di una nuova enorme rissa, riportando in parità numerica la partita e spostando il pendolo emotivo del match nuovamente verso l’Atletico che riesce meglio degli avversari a governare il caos e la tensione. Quando ormai la partita è ormai diventata quasi solo una somma di duelli fisici, l’Atletico riesce a segnare due gol in contropiede, al minuto 89 e al minuto 92, che consegnano gli ottavi di finale a Simeone.

C’era solo una squadra in Europa capace di battere il Porto sul terreno dello scontro corpo a corpo, dell’intensità e della provocazione fisica, e sfortunatamente Sergio Conceição se l’è trovata davanti nel momento decisivo.




6. Liverpool-Manchester City 2-2, per chi ama i grandi allenatori e l’atmosfera di Anfield

È difficile immaginare uno spettacolo calcistico più bello di Liverpool-Manchester City ad Anfield Road. C’è tutto ciò che serva a rendere entusiasmante una partita. Rivalità tra le squadre, i due migliori tecnici del mondo, giocatori fantastici e un’atmosfera senza eguali.

Il primo tempo è interamente a favore del Manchester City con Guardiola che riesce a manipolare e a disinnescare tatticamente il pressing del Liverpool, ottenendo il dominio del pallone. Partendo dal suo teorico 4-3-3, il City costruisce dal basso utilizzando ampiamente Ederson, e schierando una linea arretrata a tre con il portiere e i due centrali Rúben Dias e Laporte, i due terzini molto larghi sulla linea dei centrocampisti. Più avanti Rodri è supportato da Bernardo Silva, mentre Grealish funge da falso centravanti e disegna con De Bruyne una linea più avanzata davanti ai due centrocampisti. I due esterni Foden e Gabriel Jesus rimangono alti, “fissando” le posizioni dei due terzini avversari, Milner e Robertson.

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Ederson crea una linea a 3 di costruzione con Rúben Dias e Laporte. Il Liverpool prova a pressare in parità numerica coi tre attaccanti, ma dietro Henderson non sa se chiudere sul terzino Cancelo o sull’interno Rodri. Ederson taglia la prima linea di pressione con un filtrante verso Rodri che capitalizza la superiorità posizionale e, superando un’altra linea di pressione, serve De Bruyne.

Questa sorta di 3-4-2-2 è di complicata lettura per il Liverpool. Se i Reds provano a pressare in parità numerica Ederson e i due centrali con il tridente offensivo, rimangono scoperti sulle uscite verso i due terzini Walker e Cancelo, anche perché Milner e Robertson sono bloccati dalla posizione alta di Foden e Gabriel Jesus. Se invece sui terzini avversari escono le mezzali, il City è abilissimo a tornare velocemente al centro sfruttando la superiorità numerica in mezzo. Ben presto il Liverpool, un po’ per scelta e un po’ per necessità rinuncia a pressare e si consegna al possesso palla di qualità eccelsa del City. Oltre al piano generale, Guardiola cura anche i particolari e sovraccarica la fascia sinistra mettendo sotto pressione Milner nel duello contro Foden. Nonostante il dominio, però, il City non riesce a segnare.

Al termine della partita Klopp dichiarerà che non gli era mai capitato di attendere con tanta ansia la fine dei primi quarantacinque minuti della partita, in cui la sua squadra non ha mai tirato in porta. L’intervallo, infatti, migliora nettamente la prestazione del Liverpool. In particolare Klopp riesce ad aggiustare la fase di possesso palla e la transizione offensiva che, nel primo tempo, era stata precocemente bloccata dalla riaggressione del City. Dopo circa un quarto d’ora dalla ripresa del gioco i Reds passano in vantaggio con una tipica azione del loro repertorio. Il City prova a pressare alto la costruzione del Liverpool, ma un secco dribbling di Salah su Cancelo fa saltare il banco del pressing e apre il campo all’egiziano che in conduzione arriva sulla trequarti avversaria e serve perfettamente il taglio da sinistra a destra di Sadio Mané che realizza il gol del vantaggio.

La partita ora è aperta e il dominio del Manchester City ha lasciato spazio a un match in cui le due squadre si affrontano a viso aperto, con continui ribaltamenti di fronte e giocate di elevata qualità tecnica e tattica. Guardiola sostituisce Grealish con Sterling e al minuto 69 Foden pareggia con uno splendido diagonale da sinistra. Sei minuti dopo, nei pressi del vertice sinistro dell’area di rigore del City, Salah sale in cattedra. Elude il tentativo di anticipo di Cancelo, salta secco Bernardo Silva e, entrando in area, dribbla anche Laporte portandosi la palla sul destro e scagliando col piede debole un formidabile tiro all’incrocio imparabile per Ederson. Cinque minuti dopo, percussione di Foden sulla fascia sinistra, palla all’indietro e calcio di sapore golfistico di De Bruyne che dal limite dell’area di sinistro mette all’incrocio alla destra di Alisson. C’è ancora il tempo per un incredibile salvataggio di Laporte su Fabinho nei pressi della linea di porta dopo un’uscita a vuoto di Ederson e, in pieno recupero, per un’occasione per Gabriel Jesus il cui tiro dal cuore dell’area è intercettato da Robertson. È l'ultimo acuto di una partita bellissima per livello tattico, qualità delle giocate e spettacolarità della cornice.




5. Brentford-Liverpool 3-3, per chi ama le statistiche nel calcio

Il club danese del Midtjylland è considerato, in maniera forse un po' troppo semplicistica, la prima squadra ad applicare il metodo “Moneyball” al calcio - cioè un'applicazione rigorosa e controintuitiva delle statistiche allo scouting. Un ampio utilizzo che è merito soprattutto della volontà di due uomini, Matthew Benham e Rasmus Ankersen. Benham, inglese, dopo la laurea in fisica ad Oxford, è stato occupato nel mondo della finanza per giungere infine a fondare una società di consulenza per scommesse sportive specializzata nella produzione di statistiche avanzate sullo sport. Il primo è il proprietario del Midtjylland, mentre il secondo è il presidente.

Con Benham e Ankersen il Midtjylland ha vinto per la prima volta nella storia il campionato danese – ripetendo la vittoria altre due volte – ed è giunto alla fase finale della Champions League. Meno noto, fino a poco tempo fa, era il fatto che Benham era, ancor prima di diventare proprietario del Midtjylland, il proprietario della sua squadra del cuore, il Brentford, una squadra minore di Londra, salvata dal fallimento quando militava nella quarta serie inglese. Si dice che Benham abbia utilizzato il Midtjylland come laboratorio di prova per il suo investimento principale, il Brentford e il ricchissimo mercato della Premier League, conquistata nello scorso maggio, dopo settantaquattro anni, grazie al playoff vinto contro lo Swansea City. Le logiche di gestione e sportive del Brentford, in cui Ankersen ha ricoperto fino a qualche giorno fa il ruolo di “Director of Football”, ricalcano quelle del Midtjylland.

Sulla panchina delle "Bees" siede dal 2018 il danese Thomas Frank che ha plasmato l’identità della squadra prendendo a piene mani dalla scuola tedesca – pressing, riaggressione, verticalità – e ibridandolo con elementi del gioco di posizione declinati in versione molto diretta. Giunto in Premier League, senza snaturare la propria più intima natura, Frank sembra avere adottato un approccio più sfaccettato, come ad esempio nell’ultima partita di campionato contro il Manchester City di Guardiola, affrontato e messo in difficoltà da un mix di blocco basso e marcature a uomo.

Ma il 25 settembre, al Brentford Community Stadium, il nuovo stadio che proprio quest’anno ha sostituito lo storico Griffin Park, contro il Liverpool, Frank gioca una partita coraggiosa. Il suo 3-5-2 rimane alto in campo, sfidando forse la migliore squadra in spazi ampi del mondo, e il pressing e la riaggressione sono giocati al massimo dell’intensità. I primi 10 minuti di gioco preannunciano quello che sarà l’andamento emozionante del match, con ben due salvataggi sulla linea per parte. Prima è Salah a scavalcare con uno scavetto il portiere David Raya, ma il suo tiro è intercettato qualche centimetro prima di entrare in porta dal centrale di destra norvegese Ajer, poi è Matip, in un’azione quasi identica a salvare il tiro dell’attaccante francese Mbeumo. In una squadra costruita utilizzando indici statistici complessi non è sorprendente trovare una cura particolare per i calci piazzati. Proprio dal Brentford Jurgen Klopp ha preso Thomas Gronnemark, il tecnico dello staff che aveva innalzato vertiginosamente la percentuale di mantenimento del possesso dopo un fallo laterale della squadra. Non deve quindi sorprendere che il gol del vantaggio del Brentford giunga, a metà del primo tempo, grazie a un efficacissimo schema su una punizione della trequarti che ha portato il centrale di sinistra Pinnock a realizzare a porta sguarnita sul secondo palo. Il pareggio del Liverpool arriva presto, dopo solo quattro minuti, con un colpo di testa di Diogo Jota. Ad inizio ripresa, al termine di una lunga azione manovrata, il Liverpool passa in vantaggio con Salah, che taglia alle spalle dell’esterno Rico Henry e insacca alle spalle di David Raya. Il Brentford riesce a reagire, occupa la metà campo del Liverpool e un cross dalla destra del centrale Ajer trova sul secondo palo tre compagni di squadra contro il solo Alexander-Arnold. La traversa dell’altro centrale Pontus Jannson è ribadita in rete dalla mezzala sinistra tedesca Vitali Janelt. L’equilibrio dura però poco e dopo soli 4 minuti con una botta da fuori area Curtis Jones riporta in vantaggio il Liverpool.

Il Brentford non si arrende e si riversa in attacco, rischiando più volte di capitolare sulle ripartenze del Liverpool. Frank passa al 3-4-3 con l’ingresso dell’attaccante francese Yoane Wissa al posto del centrocampista danese Nørgaard e immediatamente, a 8 minuti dalla fine, proprio il subentrato segna il gol del definitivo pareggio. Tre gol con cross verso il lato debole difeso da Alexander-Arnold: probabilmente non una coincidenza per una squadra attenta a pianificare a tavolino le sue mosse in campo. Non pago del pareggio il Brentford prova anche a vincere la partita, ma la difesa dei Reds resiste e Klopp riesce a portare via un punto dal Community Stadium.




4. Croazia-Spagna 3-5, per gli amanti del gioco di posizione e della tecnica

Nella prima partita degli Europei la Spagna di Luis Enrique aveva avuto l’85% del possesso palla contro la Svezia. Un dominio del pallone semplicemente incredibile, ma anche sterile, dato che la partita era finita 0-0. Nella seconda partita, contro la Polonia, la percentuale di possesso palla era scesa - si fa per dire - al 76% e il gol di Morata pareva avere finalmente reso concreto l’incontrastato dominio spagnolo. All’inizio della ripresa, però, Lewandoski era riuscito a spostare al centro dell’area Laporte – quasi una dimostrazione plastica della fragilità difensiva della Spagna – e a trovare di testa il gol del pareggio. Gli uomini di Luis Enrique dovevano quindi affrontare la Slovacchia nell’ultima partita del girone in una situazione difficile, occupando la terza posizione in classifica alle spalle della Svezia e della stessa Slovacchia. Era necessaria una vittoria per la qualificazione alla fase ad eliminazione diretta, vittoria arrivata e nettamente (5-0) nonostante le perplessità sempre più accentuate nei confronti delle sue scelte (a partire dal fatto che non aveva convocato nessun giocatore del Real Madrid).

Agli ottavi di finale la Spagna incontra la Croazia. Contro Modric e compagni Luis Enrique non rinuncia al criticatissimo Morata, difeso strenuamente nella conferenza stampa pre-partita dalle critiche e gli mette al fianco Sarabia e Ferran Torres nel suo 4-3-3. Il dominio spagnolo è netto e incontrastato. Il gioco di posizione di Luis Enrique abbaglia per la sua purezza. I centrali utilizzano a meraviglia le conduzioni per attirare la pressione avversaria, Busquets è sempre nella posizione corretta per generare superiorità numerica, Koke e Pedri, con una comprensione superiore dei tempi e degli spazi, alternano movimenti di supporto alla costruzione all’occupazione della trequarti, gli esterni sanno sempre quando tagliare dentro o garantire l’ampiezza.

Dentro questo dominio non mancano le occasioni. Koke e Morata sbagliano due incredibili occasioni e al ventesimo minuto, ma quando la partita sembra ormai indirizzata l’imponderabile entra nel perfetto disegno di Luis Enrique. Pedri fa un lungo retropassaggio che passa sotto il piede destro del portiere Unai Simón e beffardamente entra in rete. L’autorete di Pedri cambia l’andamento emotivo del match. La Croazia prende coraggio e guidata da un commovente Modric comincia a punzecchiare la difesa della Spagna. La fase di non possesso della squadra di Luis Enrique non è all’altezza di quella offensiva. Nonostante questo, la Spagna ritorna a palleggiare e giunge al pareggio con Sarabia al termine della solita lunga azione manovrata in cui i difensori avversari vengono più volte manipolati e spostati. Il primo tempo si conclude così 1-1, con il 66% di possesso palla per la Spagna e 9 tiri in porta contro i 2 della Croazia. Dopo 10 minuti dall’inizio della ripresa un colpo di testa di Azpilicueta porta in vantaggio la Spagna. La Croazia reagisce, ma a soli 13 minuti dalla fine Ferran Torres porta il risultato sul 3-1. Sembra finita, ma Modric non ci sta. A cinque minuti dalla fine penetra profondamente in area di rigore, giunge nei pressi del palo e mette la palla dentro dove Orsic riesce a buttarla dentro in mischia. Minuto 92: Modric e Brozovic riescono a sfuggire con la loro tecnica al pressing spagnolo, Pasalic serve sulla sinistra Orsic - una spina nel fianco destro della difesa spagnola – che crossa per il consueto inserimento in area di Pasalic che realizza di testa l’incredibile gol del pareggio croato. La Spagna è bellissima, ma è altrettanto fragile.

E rischia di crollare all’inizio dei supplementari quando un tiro a rientrare di Orsic sfiora la traversa e soprattutto quando una travolgente azione dello stesso Orsic sulla fascia sinistra non viene finalizzata in gol da Kramaric, che si fa parare da Unai Simon un tiro da 5 metri a botta sicura. È la fine delle legittime speranze croate. Solo tre minuti dopo Morata aggancia di destro in area un cross di Dani Olmo e finalizza splendidamente di sinistro, ripagando la fiducia incondizionata di Luis Enrique. La Croazia a questo punto non ha più l’energia per provare a recuperare ancora una volta e Oyarzabal firma il gol del definitivo 5-3. A questa splendida partita manca solo Budimir, che ad inizio ripresa sfiora il gol del 4-5, e c'è anche spazio per Morata e Oyarzabal, che a loro volta sfiorano il sesto gol spagnolo. Nausea da troppe occasioni da gol?




3. Francia-Svizzera 3-3, per chi pensa che la volontà possa battere il talento

La Francia campione del mondo era giunta all’Europeo da grande favorita. All’ossatura della squadra trionfatrice in Russia tre anni prima si era aggiunto il più forte centravanti del mondo, Karim Benzema, finalmente perdonato dai suoi peccati e riammesso tra i Blues. Cosa mai sarebbe potuto andare storto? D’altronde la filosofia di Didier Deschamps era ormai chiara: accumulare più talento possibile – e la Francia ne ha più di ogni Nazionale al mondo – e senza troppi voli pindarici vincere solo grazie a quello, minimizzando i rischi. E le cose, tutto sommato, sembravano andare per il verso giusto per i francesi. Vittoria contro la Germania, pareggio contro Portogallo e Ungheria e primo posto nel girone eliminatorio con il minimo sforzo.

Tra l'altro, il 28 giugno a Bucarest, negli ottavi di finale degli Europei, l’avversario non era certo dei più brillanti. Con la netta sconfitta con l’Italia, il pareggio con il Galles e la qualificazione ottenuta vincendo l’ultimo match contro la pessima Turchia, la Svizzera del dimissionario Vladimir Petkovic non sembrava certo in una delle sue versioni più entusiasmanti.

Deschamps opta per un 3-4-1-2 con Rabiot nell’insolita posizione di esterno sinistro a tutta fascia e Griezmann dietro Benzema e Mbappé. La Svizzera risponde con il suo modulo fluido che alterna al 3-4-1-2 in fase difensiva all 4-4-2 in fase d’attacco. Al quarto d’ora è la Svizzera a passare avanti con Seferovic che sposta col corpo l’inadeguato Lenglet e di testa mette in rete il cross da sinistra dell’esterno Zuber (fa strano ricordarlo adesso: una delle sorprese del torneo). La Francia prova a reagire, ma fatica a togliere la polvere dagli ingranaggi del proprio gioco. La soluzione, in pieno stile Deschamps, è quella di aggiungere all'intervallo ulteriore talento offensivo, sostituendo Lenglet con Coman e passando al 4-4-2.

Ma non basta. La Svizzera continua a controllare agevolmente il match e a pungere in contropiede fino a conquistare un calcio di rigore con un’azione personale dell’ottimo Zuber che forza Pavard a un fallo ingenuo all’interno dei 16 metri. A presentarsi sul dischetto è Ricardo Rodriguez, che però si fa parare il rasoterra angolato da un ottimo intervento di Lloris. È l’episodio che inverte l'inerzia del match. Giunta a un passo dalla morte, la Francia non poteva far altro che vincere la partita. Alla sua maniera, con il talento dei suoi giocatori. Suolata di Pogba, assist per Mbappé diagonale appena fuori. Griezmann, Mbappé, controllo surreale di sinistro con la palla ben dietro al corpo di Benzema e scavetto su Sommer, 1-1. Griezmann di prima dentro l’area per Mbappé che chiude di tacco il triangolo con Griezmann, cross morbido sul secondo palo e gol di testa a porta vuota di Benzema, 2-1. Pogba, da 20 minuti in versione onnipotente, recupera un pallone sui 25 metri, sembra perdere l’equilibrio, ma riesce miracolosamente e coordinarsi e a mettere il pallone all’incrocio con uno splendido destro a giro, 3-1. Sembra la fine dei giochi, l’ennesima brutta partita della Francia nobilitata e vinta da preziosissime perle dei suoi campioni. Ma, per una volta, non è così.

A 10 minuti dalla fine Fassnacht ha più voglia di Coman e recupera un pallone conteso sulla trequarti campo francese, serve Mbabu che crossa dalla destra per il colpo di testa di Seferovic, che mette alle spalle di Lloris. La partita è riaperta e la paura francese aumenta ulteriormente quando Gavranovic segna il gol del pareggio, subito annullato per fuorigioco. All’ultimo minuto di gioco la Svizzera recupera in pressing un pallone dei piedi di Pogba e l’immenso Granit Xhaka taglia il centrocampo avversario con l’ennesimo filtrante che Gavranovic riceve e depositare in rete per il clamoroso pareggio. Quattro minuti di recupero: lancio – non c’è nemmeno bisogno di dirlo – di Xhaka per Mehmedi alle spalle della linea difensiva francese e solo l’errore nel controllo dell’attaccante svizzero salva, momentaneamente, i transalpini dalla sconfitta. Capovolgimento di fronte e Coman spacca la traversa da dentro l’area dopo un cross di Sissoko. Triplice fischio e supplementari.

A questo punto l’eroe negativo diviene Mbappé. Prima Pogba lo mette in porta con un fantastico assist che l’attaccante spreca con un goffo tiro di sinistro. Poi intercetta al centro dell’area un tiro a colpo sicuro di Giroud su cross di Thuram. Infine, a Mbappé tocca l’onere di calciare l’ultimo rigore della serie dopo che tutti i precedenti sono stati segnati. Durante la rincorsa Sommer indica lo spazio alla propria sinistra e Mbappé calcia, troppo alto e troppo centrale, alla destra del portiere svizzero che intercetta il pallone. È la vittoria di Xhaka su Mbappé, della volontà sul talento, della determinazione sulla superbia.




2. Italia-Spagna 1-1, per chi ama il calcio delle Nazionali

Il lavoro di Roberto Mancini sulla panchina italiana è stato superbo. Dalla mancata qualificazione ai mondiali di Russia il tecnico italiano ha lavorato su un’idea di gioco chiara che, centrata sulle caratteristiche dei suoi uomini di maggiore qualità e caratura internazionale – Verratti, Jorginho, Bonucci – prevedesse l’utilizzo del possesso del pallone come mezzo con cui controllare la partita e disordinare la struttura difensiva avversaria. Nella semifinale di Wembley gli azzurri hanno però incontrato sulla loro strada la Spagna di Luis Enrique, che, a causa delle incertezze della propria fase difensiva, ancor più dell’Italia aveva bisogno del possesso del pallone per avere il controllo tattico della partita.

Proprio per vincere la sfida per il possesso Luis Enrique rinuncia ad Alvaro Morata schierando Dani Olmo come falso nove. Il giocatore del RB Lipsia ha galleggiato alle spalle e ai fianchi di Jorginho, creando superiorità numerica in zona centrale e togliendo ogni riferimento in marcatura a Bonucci e Chiellini. La sfida per il possesso è stata, anche grazie a questa mossa, ampiamente vinta dalla Spagna, che è riuscita grazie ad interpretazioni tecniche ai limiti della perfezione (il fenomenale diciottenne Pedri ha sbagliato un solo passaggio in 120 minuti, al centododicesimo), a sfuggire al pressing azzurro e a muovere continuamente la struttura difensiva degli uomini di Mancini.

L’Italia è stata costretta a difendere bassa, ricacciata indietro dalla pulitissima risalita del pallone della Spagna. Persino negli stretti spazi della metà campo italiana i giocatori di Luis Enrique sono stati capaci di ricevere sempre nelle posizioni intermedie, ampliando, di fatto spazi altrimenti ridotti. L’interiorizzazione dei principi del gioco di posizione e la naturalezza nella loro applicazione hanno avuto la meglio contro un’Italia più rigida e meccanica nello sviluppo della propria manovra. Non per scelta ma per necessità gli azzurri hanno giocato una partita sofferta, ma la salda identità della squadra, forgiata anche dalla chiarezza delle finalità tattiche del proprio gioco, ha permesso agli uomini di Mancini di rimanere compatti, di proteggere bene la propria area di rigore e di punire le difficoltà difensive spagnole, per poi conquistare la finale ai rigori contro l’Inghilterra.

La Spagna, eliminata dall’errore di Morata ai rigori, rimane però, se non la più forte, di certo la più bella squadra, per armonia ed esattezza di tempi e spazi di gioco, del 2021.




1. Bayern-Paris Saint Germain 2-3, per chi ama i grandi giocatori e le partite aperte

Il Bayern di Hansi Flick e il PSG di Pochettino si sono scontrati nel più affascinante quarto di finale dell’edizione 2020-21 della Champions League. La partita d’andata si è giocata all’Allianz Arena di Monaco di Baviera, su un campo imbiancato da un’insolita neve d’aprile che ha, se possibile, amplificato ulteriormente il fascino della sfida.

Il Bayern ha giocato una partita eccezionale da un punto di vista offensivo, bombardando Keylor Navas di 31 tiri, di cui ben 21 da dentro l’area, 12 nello specchio della porta, generando l’enormità di 5.2 expected goal, tradotti in sole 2 reti anche per l’assenza di Lewandoski, fermato da un infortunio ad Andorra con la propria Nazionale. Per avere un’idea dell’eccezionalità della prestazione offensiva del Bayern, oltre al numero di tiri, basta prendere in considerazione l’incredibile circostanza che il 37% degli attacchi dei tedeschi si sono conclusi con una conclusione a rete.

Pochettino ha provato a difendere contro l’attacco del Bayern schierando uno stretto 4-4-2, lasciando in avanti Neymar e Mbappè. Tuttavia il Bayern è riuscito a penetrare a suo piacimento nella struttura difensiva francese, sia utilizzando l’ampiezza per poi attaccare il lato debole, sia giocando alle spalle del centrocampo avversario sfruttando la povertà del lavoro di pressione e schermatura della prima costruzione avversaria di Neymar e Mbappé. L’enorme prestazione collettiva del Bayern si è però scontrata contro le fenomenali individualità del Paris Saint Germain. Pur affrontando le superbe qualità in spazi ampi degli attaccanti del PSG, Flick non ha rinunciato alla sua consueta difesa altissima ed è stato punito dalle giocate di Neymar, Mbappé e Di Maria.

Il primo gol del PSG nasce da un triangolo ad alta densità tecnica tra Neymar e Di Maria che libera in campo aperto il brasiliano che rifinisce con un delicato assist per Mbappé. In occasione del gol del raddoppio di Marquinhos, la raffinatezza dell’assist di sinistro di Neymar fa dimenticare la pessima risalita della linea arretrata del Bayern. Infine, dopo avere subito la rimonta del Bayern, la ripartenza guidata dai passaggi in diagonale di Draxler e Di Maria, e la finalizzazione di Mbappé cancellano di colpo il ricordo di una partita sofferta dal PSG. La squadra di Pochettino è stata tenuta a galla dagli attacchi in profondità a velocità supersonica di Mbappé e dai movimenti leggeri e scaltri di Neymar, che per tutta la partita hanno creato le uniche linee di passaggio utili per sfuggire al pressing del Bayern.

Per l’intensità del match, la posta in palio, l’organizzazione tattica in campo e la qualità, enorme, delle giocate dei singoli, Bayern-Paris Saint Germain è stata la più bella partita del 2021.




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