Questa puntata de Il secolo brevissimo è dedicata ai migliori rifinitori dal 2000 a oggi. Gli artisti dell’ultimo passaggio, quindi, uno dei fondamentali più complessi e raffinati del calcio. Nell’assist viene racchiusa la parte mentale - la creatività, il genio, la visione - con quella più materiale della tecnica - la sensibilità nell’uso dei piedi. Per questo molti di questi calciatori vengono considerati spesso l’essenza stessa del calcio. Interpreti di una forma più pura. Alcuni di loro spiccano di più nel processo mentale che li porta all’assist - Totti o Guti, per esempio, altri in quello tecnico - De Bruyne, James Rodriguez. Altri li abbiamo dovuti escludere solo per questa regola fastidiosa che devono essere massimo dieci, ma tutto ha un limite. Sono rimasti fuori maestri dell’ultimo passaggio come Angel Di Maria, Franck Ribery, Juan Roman Riquelme, Zinedine Zidane, Thomas Rosicky, David Silva e Deco (oltre ad altri che ci sono sicuramente ma che ora non ci vengono in mente).
Mesut Ozil
Quando ho letto il numero di assist realizzati da Ozil in questi vent’anni non ci volevo credere. Almeno nella classifica degli assist, si spinge fino a Lionel Messi - ne ha realizzati giusto una manciata in meno - e davanti a nomi come Cristiano Ronaldo o Karim Benzema. Ozil è uno specialista dei filtranti dietro le difese, ma anche dei calci piazzati indiretti - che è la forma meno appariscente e nobile dell’ultimo passaggio. Quindi concilia l’aspetto elegante della rifinitura a quello dell’efficacia, come i suoi numeri dimostrano.
Ozil ha servito, secondo Transfermarkt, 216 assist. Molti di questi a Cristiano Ronaldo, con cui negli anni al Real Madrid ha sviluppato un’intesa prodigiosa, con Ozil che partiva da destra e assecondava i tagli da sinistra al centro di Ronaldo. Era il Real Madrid del record dei 121 gol segnati, quello che Josè Mourinho definisce, in quel momento “La migliore squadra al mondo”. Se volete, qui c’è un video della loro intesa. Il mio preferito è l’assist con l’Atletico Madrid, quando Ozil sterza sul suo sinistro e scava una palletta leggera e leziosa sul secondo palo.
Tra i suoi migliori, che trovate per la maggior parte nel video in cima, c’è ovviamente quello di tacco esterno per Benzema. Con Ozil preso in controtempo e che prolunga il pallone di puro istinto. Sembra un assist casuale, ma se a farlo è Ozil non può esserlo. Nel video c’è anche il “tottiano” assist col Liverpool. Come i migliori rifinitori, Ozil è specialista negli assist di prima e di tacco, quelli più controintuitivi e quelli più anticipati.
Il suo gioco leggero e sornione sembrava esprimersi al meglio in Liga, ma anche in Premier League ha continuato a esistere come macchina da assist, prima che il suo fisico non riuscisse più a stare al passo con un campionato agonisticamente feroce. A poco più di 30 anni sarebbe sbagliato non aspettarsi ancora grandi assist da Mesut Ozil.
Francesco Totti
Gli studenti di arte contemporanea che si trovano di fronte ai quadri di Lucio Fontana possono rimanere sconcertati. Se la genialità di quasi tutto quello che veniva prima era in qualche modo riconoscibile a prima vista, il genio di Fontana stava in un gesto rivoluzionario, quello della mano che si avvicina alla tela armata di taglierino, che nessuno aveva fatto prima e di cui sulla tela vediamo solo l’effetto, la conseguenza. È un problema presente in molta arte moderna, che coinvolge la nostra capacità interpretativa tanto quanto i nostri sensi. Lo studente di arte allora deve fare uno sforzo in più e accorgersi che quel taglio è anche un’apertura. Che dietro, cioè, c’è qualcosa. Lo spazio della tela non è più bidimensionale, non è più quello che il critico Argan chiamava un «inganno», una «menzogna». E, sempre per Argan, «distruggere una finzione significa recuperare una verità». Per questo le opere di Fontana, che a un primo sguardo possono sembrare ripetitive e mute, se gli si lascia il tempo necessario per entrare in contatto con il nostro senso estetico possono generare persino stupore.
Uno stupore simile su un campo da calcio lo si può provare di fronte a quei passaggi che solo dopo che arrivano a destinazione capiamo che senso avessero. Francesco Totti è stato forse il giocatore che più costantemente ha ricercato e ottenuto questo effetto, quello che più di ogni altro ha tagliato il campo aprendolo su una dimensione nuova. Per Totti non esistevano angoli ciechi o irraggiungibili, la sua visione periferica comprendeva anche quello che succedeva alle sue spalle. La sua visione di gioco, proprio come il taglierino di Fontana, gli permetteva di collegare quello che c’era davanti con quello che c’ero dietro.
Adesso, può sembrare una forzatura iperbolica, ma chi ha vissuto Totti nei suoi anni migliori, specialmente in quelli in cui Capello lo aveva messo al centro di un attacco che si muoveva in profondità non appena la palla gli arrivava sui piedi, ricorda quanto fosse facile per lui trovare di prima intenzione un giocatore che magari era a trenta o quaranta metri di distanza alle sue spalle. Un gesto tecnico ripetuto così spesso e con una sicurezza tale che davvero aveva qualcosa del gesto artistico.
La visione di gioco di Totti è la qualità che più di ogni altra - anche più della sensibilità nel tocco, che comunque era fenomenale - permette di paragonarlo ad alcuni tra i migliori giocatori di sempre. Per lui era sempre il momento di rifinire l’azione, l’ultimo passaggio poteva partire da ogni parte del campo ed era quello che lui cercava sempre e comunque. I suoi migliori assist sono dei piccoli capolavori irripetibili, che hanno il pregio non solo di essere eseguiti finemente, ma di prendere di sorpresa tanto noi spettatori quanto gli avversari in campo. I suoi compagni, a un certo punto, iniziavano a giocare tenendo presente che c’era sempre un margine di impossibilità che per lui era possibile, correndo in spazi dove non aveva senso correre se la palla non ce l’avesse avuta Totti tra i piedi.
Il più bel passaggio di Totti - scelta soggettiva, per carità, nel video qui sopra ad esempio è in terza posizione - è un tacco di controbalzo per Cassano, nella partita di fine stagione 2003/04 giocata contro il Perugia (nello stadio di Palermo, però). Totti alza la gamba all’indietro, come una ballerina a fine numero, per prolungare la traiettoria del passaggio diretto a lui, alzandola fino al petto di Cassano, scattato dietro la difesa del Perugia. Da fermo, al volo, di tacco. I passaggi più belli in assoluto, sono quelli che fanno sembrare che la palla vada da un giocatore all’altro con la stessa naturalezza con cui l’acqua scorre lungo una pendenza. Come se non ci fosse niente da fare.
Guti
José Maria Gutiérrez Hernandez detto “Guti” non è stato certo il più efficace dei rifinitori. Secondo Transfermarkt ha messo insieme 104 assist, di cui 90 con la maglia bianca del Real Madrid. Tanti ma da soli insufficienti a farlo rientrare legittimamente in questa classifica per lo più composta da macchine da duecento assist.
Ognuno di questi assist però ha avuto un peso specifico diverso dagli assist dei calciatori normali. Perché per Guti l’assist era una forma tanto pura da essere quasi svincolata dal calcio stesso. Viveva per l’assist, il bel gesto per eccellenza tra i gesti tecnici. Quello che riassume la generosità, ma soprattutto la sua visione, il suo estro, la parte più nobile e astratta del gioco di un calciatore. In un Real che ambiva alla bellezza e flirtava con la decadenza, Guti era un pittore che vendeva le sue opere per strada mentre Figo, Zidane e Ronaldo esponevano in galleria. E questo mito di nicchia, che come tutti i culti si è alimentato col tempo e con l’accessibilità di Internet, era ciò che interessava a Guti più del successo o della fama vera e propria.
Il passaggio di tacco con cui ha smarcato Zidane prendendo in controtempo il mondo può essere ancora considerato una delle espressioni di ingegno più pure del cervello umano. Ma gli assist di Guti sono quasi tutti clamorosi, inattesi e contengono un’ostinata ricerca delle cose difficili che riassume Guti più di ogni altra cosa. La frase su di lui che mi piace più di tutte la disse McManaman: «Era l’unico a tenere uno specchio vicino l’armadietto».
Kevin De Bruyne
Nella visione di gioco di De Bruyne c’è qualcosa di inevitabile e brutale, come se i passaggi chiave con cui rifinisce le continue occasioni da gol del Manchester City non possano passare che dai suoi piedi. Anche quest’anno il centrocampista belga è sul podio di quasi tutte le classifiche che hanno a che fare con la creazione del gioco: secondo per assist nei cinque principali campionati europei (16, contro i 18 di Thomas Müller in Bundesliga) e primo per passaggi chiave in Premier League (4 per 90 minuti; il secondo di questa classifica, Emiliano Buendia, è a 3.3). Statisticamente, De Bruyne è tra i principali rifinitori dell’ultimo decennio, avendo creato in tutto 653 occasioni da gol tra il 2010 e il 2019 (più di giocatori come Pjanic, Kroos e Di Maria), e fa ancora più impressione pensare che questo dato sia stato accumulato in un arco di tempo relativamente breve, dato che fino all’inizio del 2014 era parcheggiato senza troppa considerazione tra le seconde file del Chelsea.
La centralità creativa di De Bruyne all’interno del Manchester City ha raggiunto il suo apice nell’ultima partita di Champions League della squadra di Guardiola prima che il mondo si fermasse, al Bernabeu contro il Real Madrid. Una partita in cui De Bruyne è stato schierato praticamente per la prima volta nella sua carriera da falso nove e in cui ha dimostrato come il tempismo e il senso della posizione siano qualità importanti almeno quanto la tecnica di calcio, con cui sembra dare una consistenza diversa al pallone quando taglia quasi letteralmente il campo con i suoi cambi di gioco. Di quella partita scrivevamo: “De Bruyne ha uno stile minimale, che punta all’efficacia, e che rivela la sua bellezza più evidente nell’aspetto più primordiale di tutti, e cioè quello di toccare il pallone meglio di chiunque altro. Alla sua sensibilità tecnica, e alla sua intelligenza, Guardiola si è affidato completamente, lasciandolo libero di prendere le proprie scelte sul campo, in un modo alla fine non troppo dissimile da quello a cui Zidane ci ha abituato negli ultimi anni con i suoi giocatori migliori”.
Dimitri Payet
Payet è una gioia per gli occhi, un calciatori delizioso e nelle sue giornate migliori capace di cose originali. Ma se finì nella nostra classifica dei più sottovalutati del decennio è anche per un dato oggettivo che lo distingue da altri calciatori: il numero delle chance create tra il 2010 e il 2019.
Payet nel decennio finito da poco ha creato 974 occasioni da gol: più di chiunque altro. Più di Messi, Fabregas, Ozil e tutti i giocatori in questa lista. Per “occasioni create” intendiamo quindi non solo gli assist ma anche i passaggi chiave. È una statistica più equa, che con Payet premia un giocatore che ha avuto compagni meno bravi degli altri a convertire le sue occasioni create. È una statistica quindi che dice molto della sua carriera, giocata tutta in contesti forse inferiori al suo talento. Non solo per la miopia degli altri ma anche delle sue e delle sue scelte strane e romantiche. L’idea di tornare all’OM, in un momento in cui forse avrebbe potuto aspirare a qualcosa di meglio in termini competitivi, ha di fatto concluso le possibilità di una carriera sbocciata tardi. In ogni caso Payet spicca nelle due qualità che rendono un calciatore raffinato: il primo controllo e l’assist. È un calciatore contemporaneo e antico al tempo stesso. Contemporaneo per come ha portato la propria pericolosità nelle zone esterne del campo, ma con un’interpretazione ibrida, sempre pronta a smarcarsi nei mezzi spazi e manipolare le linee avversarie; antico per il suo approccio ultra-creativo al gioco, fatto di fiammate creative. Serie di dribbling improvvisi, lanci d’esterno di quaranta metri. È uno di quei giocatori che sembrano fare il compitino, ma che in alcuni momenti vogliono salire in cattedra e sentire gli occhi del pubblico adesso. Giocare in trance agonistica, avere responsabilità.
È triste pensare che abbia già 33 anni.
Rui Costa
Come altri giocatori che hanno avuto il loro picco tra gli anni 90 e 2000, non abbiamo che un ricordo vago del gioco di Rui Costa. A rivederlo oggi, sembra effettivamente provenire da un’altra epoca. Quando arrivò Kakà, il Milan sostituì col computer una macchina da scrivere. Rui Costa in campo corricchia con la testa alta, accarezza il pallone, se la prende comoda. Con la maglia della Fiorentina, e poi con quella del Milan, prendeva palla poco oltre il centrocampo e, come un generale sopra la collina, studiava il modo per rompere la resistenza di difese molto spesso basse e agguerrite. Per niente disposte a concedere a Rui Costa la profondità per l’ultimo passaggio. Lui, però, in qualche modo la trovava lo stesso.
Nelle due squadre a cui ha dedicato la carriera, la Fiorentina e il Milan, ha sempre giocato accanto a centravanti voraci come Batistuta e Shevchenko, e lui poteva concentrarsi nell’arte della regia offensiva e dell’ultimo passaggio. In questo senso Rui Costa è stato davvero uno degli ultimi numeri dieci per come ci piaceva intenderli fino a qualche anno fa: giocatori tecnici ed eleganti, capaci di giocare in spazi stretti e di tenere sempre la testa alta per intuire il modo per mandare in porta il numero 9 che si muoveva davanti a loro. Questo tipo di giocatori si è spostato trenta metri più indietro, mentre nella zona di Rui Costa giocano oggi incursori, finalizzatori e in generale calciatori dalla grande intensità.
A guardarlo oggi, nei video, sembra di vedere una specie estinta. Eppure non sono passati neanche quindici anni dal suo ritiro.
Lionel Messi
Quando si parla di Messi è difficile distinguere la sua grandezza dalla somma delle cose che lo rendono grande sul campo, e questo vale soprattutto per la visione di gioco. Accecati dalle sue statistiche sui gol, dai suoi dribbling prodigiosi con cui sembra poter rendere il calcio uno sport effettivamente individuale, è difficile ricordarsi che Messi sia anche un incredibile rifinitore, o meglio, uno dei più grandi rifinitori del calcio contemporaneo. Il numero 10 del Barcellona è infatti di gran lunga il giocatore che ha servito più assist nel decennio appena concluso (136, addirittura 28 in più del secondo in questa classifica, e cioè Angel Di Maria) e uno dei giocatori ad aver creato più occasioni da gol nello stesso lasso di tempo (789, dietro solo a Payet, Özil, Hazard e David Silva). Messi nei suoi anni a Barcellona sembra aver assorbito l’incredibile capacità di servire i compagni alle spalle della linea difensiva avversaria di Iniesta e soprattutto Xavi, specialista di quei diagonali che costringono un’intera difesa a girarsi nel verso opposto rispetto a quello in cui stavano correndo fino a quel momento.
Forse la giocata che meglio descrive la visione di gioco di Messi è però il cambio di gioco dopo essersi accentrato con l’esterno sinistro per il movimento in area Jordi Alba, giocatore con cui ha sviluppato una connessione quasi telepatica. Su YouTube si trovano interi video di questo tipo di passaggi, su cui il Barcellona ha costruito la sua fortuna realizzativa negli ultimi anni. Sono situazioni che si ripetono in maniera talmente simile una dietro l’altra che ogni squadra avversaria assomiglia più a un insieme di sagome di gomma che di persone. Pur non avendolo mai provato, immagino che deve essere questa la sensazione - di essere oggetti più che soggetti - quando ci si trova in balia del talento di Messi.
Thomas Muller
È strano vedere Thomas Muller in questa classifica. Sembra mancargli innanzitutto l’epica dei rifinitori, la bellezza. Muller è sul lato opposto di questa idea mitica che abbiamo di chi fa assist: è sgraziato, antipatico, spigoloso. Ma il “passaggio chiave” prima che forma è contenuto. Mentre scrivo è arrivato a 19 assist in questa stagione e a contarle quelle chiuse in doppia cifra per assist sono la maggior parte, non a caso è il giocatore che ne ha fatti di più nello scorso decennio di Bundesliga.
In una vecchia intervista Muller si definì un “Raumdeuter”, interprete degli spazi a voler fare una traduzione stiracchiata. Il giocatore del Bayern Monaco ha una abilità unica nell’occupare lo spazio gusto, inserirsi lì dove serve. Questo gli ha permesso di segnare molti dei suoi gol in carriera, ma non solo: ricevere nella miglior zona di campo possibile permette a Muller di essere anche decisivo in fase di creazione, per il semplice motivo per cui la difesa sarà costretta a reagire. Non a caso dal 2014 quasi il 40% i suoi assist sono stati convertiti da Lewandowski, spesso con tocchi semplici, di prima, con cross bassi e tesi ad anticipare difensori impotenti. A prima vista sembrano quasi assist casuali, fatti con tocchi sporchi, controtempo o fortunati. La realtà è però diversa, gli assist di Muller non saranno spettacolari, ma sono efficienti, giusti, ragionati.
In questo articolo Federico Aquè sottolineava l’intelligenza del tedesco in questa giocata, nelle combinazioni quasi banali con cui ha servito tonnellate di assist ai compagni: «La grandezza di Müller sta nell’averla usata per reinventare un compito tradizionalmente associato ai giocatori di maggiore talento, al numero 10 illuminato che tocca il pallone meglio di tutti e vede linee di passaggio misteriose».
Cesc Fabregas
Cesc Fabregas è stato il giocatore più rapido a raggiungere i 100 assist in Premier League, per farlo ci ha messo solo 293 partite, praticamente facendo un assist ogni 3 partite. Giggs, il secondo in questa classifica ne ha impiegate 74 in più. Nelle tre stagioni in Liga con il Barcellona è sempre andato in doppia cifra con gli assist. Appena arrivato al Chelsea fece 24 assist in una stagione, ma forse la statistica più incredibile sono i 17 assist nella Premier 2007/08 quando aveva appena vent’anni.
Fabregas non è un puro numero 10 nella rifinitura, non ha la genialità di altri grandi passatori o la stessa sensibilità in parti del corpo che altri non sanno neanche di avere, ma è un giocatore unico nella lettura degli spazi davanti a lui. I suoi passaggi sono sempre diretti a dove il compagno arriverà, mai a dove si trova in quel momento. Questo vale sia per un tocco di pochi metri in area di rigore, sia per lanci lunghi verso la punta. La connessione con Diego Costa nei suoi primi due anni al Chelsea ad esempio è stata unica e fruttuosa: avere una punta feroce da servire nello spazio per Fabregas era come avere un fucile per sparare ai pesci in un barile.
Fabregas è un maestro del passaggio, anche quelli più semplici. Quando escono dal suo piede arrivano un po’ meglio di tutti gli altri, mettono chi li riceve sempre nella condizione di trovarsi nella posizione migliore possibile. Per questo i suoi assist sono così numerosi: anche nel più innocuo filtrante sulla trequarti Fabregas è in grado di offrire al compagno un traccia pericolosa, muovere le difese avversarie per aprire spazi a chi poi dovrà segnare. Il suo assist più importante è forse passato inosservato: è lui che raccoglie la respinta goffa di Van der Vaart e dopo il controllo la serve in diagonale ad Iniesta per il gol che ha deciso la finale del Mondiale 2010.
James Rodriguez
La carriera di James Rodriguez è ormai in una dimensione incollocabile, tra scelte sbagliate, incompiutezza e limiti. Da anni James è prigioniero di una squadra che non lo vuole, il Real Madrid, e che lo aveva preso per capriccio dopo il Mondiale del 2014, quando James si era rivelato al mondo. Sono passati sei anni e James non è mai sembrato un giocatore all’altezza del Real Madrid, la squadra in cui è più facile sentirsi inadeguato se si gioca a centrocampo o in quella zona tra linea mediana e attacco dove è sempre difficile capire cosa serva davvero alle squadre.
Ciò che rende speciale James è il suo sinistro, per come controlla la palla una volta che gli arriva, ma anche per come la calcia, verso la porta o verso un compagno lanciato a rete. Col suo sinistro James può immaginare qualsiasi soluzione. Nei suoi lanci dietro la difesa riesce a sfiorare sfumature inimmaginabili nello spettro tra la tensione di un passaggio e la sua precisione. James spicca in qualsiasi contesto che non sia quello del Real Madrid. Con la maglia della Colombia, nei ritmi più rapsodici del calcio sudamericano, o con quella del Bayern Monaco, dove era finito in uno dei quei prestiti di lusso non del tutto spiegabili, come se un miliardario prendesse a noleggio una limousine. Nella sua prima stagione al Bayern Monaco, pur non senza soffrire dei soliti malanni, James era riuscito ad andare in doppia cifra con gli assist. Il più memorabile lo ha servito contro il Werder Brema, con uno pallonetto dolcissimo per Thomas Muller, che dopo l’assist non ci voleva credere e ha abbracciato James come si fa con un santo.
Sta arrivando l’estate e come in ogni estate si tornerà a parlare del suo possibile trasferimento al Napoli. Chissà che non sia la volta buona.
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