Per un difensore la partita è piena di uno contro uno. Tecnicamente si intende come uno contro solo il momento in cui un attaccante punta palla al piede il proprio avversario e prova a dribblarlo. Per quanto sia una definizione di base utile a definire e distinguere quella situazione di gioco - e ad esempio a raccogliere i dati statistici relativi agli uno contro uno - a livello concettuale sarebbe riduttivo considerare solo quell’aspetto della battaglia tra difensore e attaccante che è lunga novanta minuti e comprende tutta la partita. Non è uno contro uno quando un difensore deve contendere un lancio in profondità per l’attaccante? Non sono soli, uno contro l’altro, quando dalla fascia piove un cross e chi arriva primo sulla palla cambia le sorti della partita?
Abbiamo scelto un’interpretazione del concetto di uno contro uno il più larga possibile, in modo da comprendere difensori leggendari per la loro aggressività in marcatura, sia quelli migliori in fase di recupero, quelli imbattibili nel corpo a corpo in area di rigore e quelli superiori nel leggere l’azione. Quando c’è da sopraffare l’attaccante, i nomi che abbiamo scelto sono senza ombra di dubbio tra i dieci migliori degli ultimi vent’anni. La regola temporale è quella degli altri pezzi della rubrica: consideriamo solo giocatori che hanno avuto il proprio picco all’interno di questo periodo storico (che abbiamo chiamato Il secolo brevissimo) preferendo comunque quelli che lo hanno definito maggiormente. Oltretutto, abbiamo scelto di rappresentare modi il più possibile diversi di vincere lo scontro individuale con l’attaccante, scegliendo arbitrariamente, a volte, tra giocatori che consideravamo noi stesso di pari livello.
Anche in questo caso abbiamo tenuto fuori giocatori a cui magari eravamo legati affettivamente. A cominciare da Jaap Stam, per cui non c’era niente nel calcio a parte il duello con qualsiasi altro individuo entrasse nel suo raggio d’azione con una maglietta diversa dalla sua. Ma anche giocatori dominanti dentro l’area di rigore come Pepe e Walter Samuel o Cordoba (questi ultimi due, poi, abbiamo deciso di tenerli fuori preferendo Lucio, per non mettere due o tre giocatori che hanno giocato insieme nella stessa squadra) o che hanno dimostrato che l’intelligenza è parte delle qualità di ogni grande difensore, come Lilian Thuram e Andrea Barzagli. Come sempre, segnalateci nei commenti chi e perché secondo voi avrebbe meritato di entrare in questa lista se fosse stata più lunga.
Virgil van Dijk
Secondo Wikipedia, van Dijk è alto 193 centimetri per 92 chili, e tra i centrali in attività al momento ce ne sono pochissimi che possono esercitare il suo stesso dominio fisico sugli avversari. Eppure, nonostante questo, è un difensore incredibilmente prudente. Van Dijk non tenta quasi mai l’anticipo se non è assolutamente sicuro di arrivare prima del suo avversario e non rompe mai la linea difensiva in maniera avventata per andare a marcare l’uomo tra le linee. L’arte difensiva dell’olandese è rigidamente da manuale: attendere l’avversario con il corpo diretto già verso la porta, cercare di indirizzarlo verso l’esterno, utilizzare la sua grande velocità nel lungo per coprire la profondità ed evitare di essere superato in corsa. Se non fosse per la facilità disarmante con cui si sbarazza degli attaccanti, sarebbe addirittura poco appariscente per quanto è minimale il suo stile. In questo senso, mi sembra indicativo che l’incredibile statistica che lo ha visto imbattuto negli uno contro uno per ben 65 partite consecutive tra la stagione 2017-18 e la 2018-19 sia stata rotta in uno dei rarissimi momenti in cui si è staccato dalla linea difensiva cercando di accorciare in avanti su un avversario, cioè Gabriel Jesus durante il Community Shield all’inizio di questa stagione.
Per via delle sue caratteristiche tecniche, van Dijk ha trovato nel Liverpool la squadra che più esalta le sue qualità. La squadra di Klopp basa il suo successo camminando sul delicato equilibrio delle transizioni, che tanto possono essere letali in fase offensiva, con gli strappi di Salah e Mané, quanto possono essere pericolose in fase difensiva, se la squadra non riesce a recuperare immediatamente il pallone e i reparti si scollano. In un contesto in cui il gegenpressing prova a soffocare alla nascita ogni possibile pericolo potenziale, van Dijk rappresenta insomma l’ultima spiaggia, l’ancora a cui aggrapparsi nel caso in cui quel pericolo diventasse reale. E per questo motivo il difensore olandese è spesso il discrimine in carne e ossa tra un gol subito e un grande intervento difensivo. E se pensiamo a van Dijk abbiamo negli occhi praticamente solo grandi interventi difensivi, in cui il suo dominio tecnico e fisico è tale da far assomigliare gli attaccanti avversari a giocatori non professionisti.
Sergio Ramos
Se fosse possibile scomporre la carriera di Sergio Ramos in tutti gli uno contro uno che ha intrapreso da quando è un calciatore professionista forse si potrebbe arrivare alla facile conclusione che, alla fine, non sia un difensore così difficile da saltare. Il difensore del Real Madrid vive per il contatto fisico, per quelle situazioni grigie tra il fallo e l’intervento pulito in cui è probabilmente il migliore al mondo a esercitare violenza sugli avversari senza farlo in modo esplicito, e per questo motivo è sempre stato molto irruento, diretto, anche in situazioni in cui forse la saggezza avrebbe consigliato il contrario. Su questo, forse, ha influito anche la sua lunga convivenza con Pepe, un giocatore forse migliore di lui nell’uno contro uno, ma con la stessa incredibile capacità di intervenire sempre al limite tra ciò che veniva consentito e ciò che veniva vietato dal regolamento. Sergio Ramos tenta l’intervento, anche quello più estremo, anche quando magari è preso in uno contro uno in campo aperto, o quando è l’ultimo difensore rimasto tra gli avversari e il portiere. E questo lo porta inevitabilmente a essere saltato relativamente spesso, per un difensore del suo calibro e soprattutto per quello che ci aspetteremmo.
Ma questo è esattamente il punto dell’eccezionalità di Sergio Ramos, forse il difensore contemporaneo che più è riuscito a restituire un senso di dominio fisico, tecnico e mentale sugli avversari al di là del contesto in cui questo dominio veniva esercitato. E cioè una squadra talmente offensiva che spesso lo vedeva praticamente da solo difendere l’intera larghezza del campo (difendete voi con Marcelo accanto), che si è abituato a difendere quasi costantemente da ultimo uomo, in un club che ambisce ogni anno a vincere tutto ciò che c’è a disposizione. Che Sergio Ramos, in questo contesto, si sia affermato come uno dei difensori più dominanti, in grado di influenzare la stabilità difensiva della propria squadra solo con la propria presenza, dice tutto del suo talento. Che il più delle volte si afferma nel cervello degli avversari sotto forma di paura ancora prima che ci sia bisogno di tentare un uno contro uno.
Alessandro Nesta
Scrivevamo tempo fa: «La cosa che rendeva unico Nesta era il rapporto con il pallone e la sensazione che, anche mentre era ancora tra i piedi dell’avversario, il giocatore davvero in controllo della situazione fosse lui. Intorno a lui c’era un campo magnetico in cui gli attaccanti sapevano di entrare, che rendeva Nesta un giocatore pericoloso come i migliori giocatori offensivi. Anche quando non entrava in scivolata, la lotta per la palla con il suo avversario era il cento per cento del suo gioco. Nesta non aveva solo il tempismo dei migliori centravanti da area di rigore, ma la coordinazione era davvero equivalente a quella di un attaccante. Sentiva la porta come un attaccante e c’era più tecnica nelle palle spazzate da Nesta che, con tutto il rispetto per un attaccante che stimo in maniera quasi uguale ma per altri motivi, in molti gol di Filippo Inzaghi. Anche quando deviava un tiro in angolo, o allontanava semplicemente la palla dal piede dell’attaccante, l’impressione era sempre che fosse Nesta a colpire la palla, mai viceversa.
Il pezzo forte era la scivolata, ed era così una sua specialità che Nesta poteva scegliere se scivolare per vincere un rimpallo e guadagnare una rimessa dal fondo o un fallo laterale il suo avversario; o tenere il pallone vicino e rialzarsi con una reattività che magari ha eguali ma che di certo non è inferiore a quella di nessun altro difensore. Ma c’era anche un terzo tipo di scivolata: quella in cui Nesta aveva scelto così bene il tempo che, scivolando, poteva decidere di passarla a qualche suo compagno facendo ripartire l’azione immediatamente».
Giorgio Chiellini
L’archetipo del difensore italiano contiene delle sfumature di eleganza, sono spesso visti come giocatori perennemente in scivolata ma sempre con la divisa stirata, il capello ordinato. Chiellini pur essendo il principale erede di questa scuola non ha in sé questo carattere, piuttosto il contrario. Il suo modo di difendere è molto materico, necessita del contatto, dell’aggressività, della sua presenza. Non a caso Chiellini è il difensore col turbante, con il naso che sembra sempre rotto: per lui difendere è esserci, frapporre il suo corpo tra la porta e la minaccia, a costo di farsi o fare male.
Prima di diventare difensore centrale ha giocato per diversi anni come terzino. Forse per questo il suo modo di difendere non è molto tecnico, si basa principalmente sulla fisicità e il corpo a corpo con l’avversario, anche grazie a un fisico spigoloso ma molto affilato e tonico. È sbocciato definitivamente in una difesa 3 dove poteva essere più esuberante, quella varata da Conte che lo vedeva a sinistra contrapposto a Barzagli (con Bonucci al centro a fare da ultimo uomo), ma poi ha saputo calmare i propri istinti in una difesa a 4, riuscendo a essere sempre più decisivo nonostante l’età. A voler trattare la difesa come un'arte, probabilmente Barzagli meriterebbe anche più di Chiellini di stare in questa lista: è un difensore più puro, sempre in controllo, i cui interventi sembrano disegnati. Insieme hanno fatto parte di una delle difese più forti di sempre, capace di riscrivere i numeri di gol subiti in una stagione per molti anni.
La più grande qualità di Chiellini in marcatura però, cosa che lo mette davanti al compagno, è la concentrazione. Morata raccontava che anche in allenamento Chiellini era sempre a mille, ti menava, non si staccava mai, era come «entrare in una gabbia con un gorilla». Stare concentrato e pronto per tutti i novanta minuti per un difensore è davvero importante, in un ruolo in cui basta una sbavatura per concedere un gol agli avversari. Gli errori di Chiellini sono rarissimi, è difficile ricordarne più di un paio negli ultimi 10 anni. Secondo lui un difensore deve pensare in maniera “negativa”, aspettarsi sempre l’errore del compagno, il guizzo dell’avversario. La difesa per Chiellini, insomma, è esserci con il corpo ma soprattutto con la testa.
Thiago Silva
Nei suoi momenti più scintillanti, che possiamo far risalire al triennio al Milan, Thiago Silva sembrava semplicemente più forte degli attaccanti che affrontava. Spesso i difensori devono crearsi una valigia di trucchi per fermare avversari più dotati nel gioco del calcio, ma Thiago Silva, grazie a un fisico perfetto, una faccia aperta e una esuberanza atletica unica, riusciva ad azzerare le differenze con gli attaccanti semplicemente scendendo in campo. Lui dice che a migliorarlo è stata la presenza di Nesta e Maldini ed è difficile dargli torto.
Thiago Silva è un difensore magnetico, in grado di ipnotizzare l’avversario nell’uno contro uno, tanto che spesso finiscono per sbattergli addosso. In un pezzo di Dave dal titolo Thiago Silva, il difensore brasiliano viene citato come calciatore che “blocca” (I one-two rap, she don't give hat Thiago Silva, man block, then skeet). Tecnicamente sfrutta gambe lunghe e potenti per intervenire non appena l’avversario scopre il pallone. In queste circostanze tende a evitare l’intervento in scivolata, preferendo rimanere in piedi, tanto non esiste avversario che non può contenere nei duelli fisici. Questo modo di difendere, così pulito e carismatico, gli hanno consentito di scalare le gerarchie di tutte le squadre. È stato capitano al Milan, nel Brasile e nel PSG.
Negli ultimi anni diversi acciacchi fisici gli hanno impedito di avere continuità, rischiando di perdere consenso nel giudizio sui migliori difensori. Quando è in condizione, Thiago Silva è ancora in grado di fare la differenza, soprattutto nell’uno contro uno, un fondamentale che padroneggia con sapienza.
Fabio Cannavaro
Forse non ce ne rendevamo conto mentre lo vivevamo ma a riguardarlo oggi ci sono pochi dubbi: Fabio Cannavaro era un freak, cioè un giocatore con caratteristiche fisiche eccezionali, anomale, quasi disturbanti. Era alto un metro e 75 - molto poco per un difensore centrale - ma la sua reattività muscolare, l’elevazione, l’intelligenza, il coraggio, tutto questo insieme concorreva a colmare quell’unico gap di partenza rispetto ai suoi avversari.
Questa diversità rendeva Cannavaro un difensore spettacolare da veder giocare. Un giocatore che trasmetteva quella sensazione di piccolo e compatto animale impazzito attorno alla propria area di rigore per cui siamo esaltati al Mondiale del 2006.
Cannavaro non era uno di quei difensori tecnici che hanno un approccio chirurgico e raffinato al tackle: era coraggioso, amava il rischio, non voleva fermare gli attaccanti davanti a lui, voleva divorarli. Le sue scelte di tempo, quindi, non erano sempre esatte, ma quando era in giornata aveva un impatto simile a quello di un numero 10 ispirato. Contro la Francia, in finale, per esempio, era ispirato: guardatevi il video, fatevi il piacere.
Cannavaro è stato anche il difensore che ho visto mettere più in difficoltà Ronaldo al suo prime, cioè Ronaldo il Fenomeno, cioè Ronaldo la Bestia Finale. Cannavaro lo marcava con un’aggressività disumana, cercando di non farlo mai girare; Ronaldo poi era uno a cui bastava toccare la palla una volta per mandare fuori tempo difensore intempestivi, ma era raro che contro Cannavaro ci riuscisse (in quella partita, al Tournoi de France, Cannavaro se lo perde una volta, microscopica, e quello segna). Ronaldo ci riusciva con tutti, anche contro i più forti (guardate le figure che fece Maldini nei derby), ma con Cannavaro un po’ meno. Forse per un difensore cresciuto in quegli anni non c’è certificazione di qualità migliore.
John Terry
Ci sono difensori che sono semplicemente uomini più forti degli attaccanti contro cui giocano. Più duri, più spigolosi. Con le spalle e il petto più larghi, le ossa più pesanti. Uomini abituati a sopraffare altri uomini, in un campo da calcio come, forse, fuori. E non è importante sapere se fuori dal campo Terry era davvero un pezzo di merda come sembrerebbe da alcuni racconti, perché lo era senza dubbio in campo. Un pezzo di merda in senso buono, diciamo. Uno che guastava la vita agli attaccanti, che gli rendeva insopportabile la condivisione del campo anche solo per novanta minuti. Uno che se ci giochi contro ti dà voglia di girargli al largo. È un potere psicologico oltre che fisico, quello di Terry. Non avere nessun rispetto per gli altri esseri umani - oppure convincerli che non hai rispetto per loro, che è la stessa cosa - serve tanto quanto fargli sapere con la prima entrata dura della partita che se si scontrano con te, beh, si fanno male loro. E quando Terry si affacciava nell’area di rigore avversaria il rapporto di forze si invertiva: diventava impossibile da fermare. Parliamo di un difensore centrale che ha segnato quasi settanta gol in carriera.
Questo tipo di carisma, esercitato nel corso di 17 anni, ha reso Terry una leggenda del ruolo. Nonostante - va detto - limiti fisici e tecnici evidenti. Mentalmente, poi, la voglia di imporre la propria personalità talvolta poteva essere più forte di quella di prendere la palla. John Terry era uno dei due o tre più forti di sempre a difendere di testa dentro la propria area di rigore, ma fuori da quel rettangolo, con la palla a terra, non era il più esplosivo né il più rapido. Però era sempre minaccioso e gli avversari difficilmente riuscivano a far passare la palla e le loro gambe. Le sue scivolate erano scenografiche e violente, non avevano niente di tecnico: Terry si trasformava in un oggetto lanciato contro la palla e l’avversario. Se invece di Terry i suoi compagni avessero potuto lanciare un tronco sul campo bagnato sarebbe stata la stessa cosa. Un carisma che si prolunga fuori dal campo, al punto che Terry ha raccontato che le persone si stupiscono del fatto che tutto sommato sia una persona civile fuori dal campo da calcio: «Spesso dicono che mi immaginavano più aggressivo. Si stupiscono che sono educato. Non so cosa si aspettano che faccia. Che gli entri in tackle a piedi pari nel reparto di frutta e verdura, forse».
Lucio
Lucio in Brasile era soprannominato “O Cavalo” ma dell’equino, in realtà, non ha il portamento elegante e maestoso. Quando corre si ingobbisce, e sembra spinto da una fretta e da un’ansia che finisce per renderlo più veloce. Guardatelo bene e ditemi se il soprannome “Cavallo” non vi pare pigro.
Lucio piuttosto somiglia a una Crocotta, una fiera medievale metà leone e metà iena, cattivo e veloce e vagamente inquietante (le Crocotte potevano imitare la voce degli uomini per trarli in inganno). Aveva le gambe lunghe, troppo lunghe, e quando correva la testa gli si incassava tra le spalle e - in una di quelle espressioni involontarie che facciamo sotto sforzo che rivelano molto di noi - digrignava i denti come una vera iena.
Molti difensori devono usare l’astuzia per venire a capo del loro lavoro impossibile, e colmare la differenza atletica che hanno con i migliori attaccanti. Lucio, invece, non doveva colmare niente: era più veloce, più fisico, più esuberante, a volte persino più tecnico degli attaccanti che affrontava. Non era elegante quando difendeveva, ma sacrificava la compostezza per una determinazione e una foga che lo rendevano terrificante per gli attaccanti. Lucio strappava loro la palla e poi partiva di corsa, suonando la carica del proprio attacco. Quali azioni sono più entusiasmanti di un difensore che distrugge un attaccante e parte di corsa come se volesse portare la palla in porta lui stesso?
Carles Puyol
Carles Puyol era una molla caricata e pronta a scattare appena la palla entrava nella sua zona di competenza. Non era più tecnico o più intelligente degli altri difensori - né tanto meno degli attaccanti - ma aveva un’energia tutta sua, da persona fuori di testa ma non pericolosa, che concentrava sul tentativo di riconquistare la palla. Nel video qui sopra (andate a 1.30) fa un anticipo su una palla alta che è un tentativo di colpo di testa trasformato in corsa in una specie di sforbiciata al volo di collo. L’esplosività sulle gambe e la velocità erano i suoi punti di forza (due qualità che ovviamente nel corso della carriera sono venute progressivamente meno) e gli permettevano di lasciarsi puntare da chiunque (a 2.20 circa del video qui sopra toglie una palla mostruosa a Ronaldo il Fenomeno), correggendo la propria posizione prima di lanciarsi sulla palla.
Puyol aveva un talento fisico fuori scala che gli permetteva di dominare i suoi avversari anche senza che quelli commettessero errori palesi, aveva lui il coltello dalla parte del manico: era più difficile saltarlo di quanto per lui fosse difficile difendere. Era difficile dribblarlo quanto sarebbe stato difficile dribblare un pitbull, la concentrazione di Puyol era totale, difendere la palla per lui sembrava una questione di vita o di morte. Poi certo, le sue partite erano piene di sbavature, ma questo era solo un effetto collaterale della sua generosità. È difficile immaginare un difensore che si divertisse quanto lui a correre dietro agli avversari. Non è questa, in fondo, l’essenza dell’arte difensiva? Ridurre il campo a un duello western nel deserto, da soli io e te, i nostri compagni non possono fare niente per aiutarci e uno solo di noi si rialzerà dal tackle con la palla tra i piedi.
Godin
In questo secolo Diego Godin ha rappresentato il perfetto connubio tra il difensore caudillo sudamericano e quello europeo, più moderno e sfaccettato. La sua epopea è strettamente legata a quella dell’Atlético Madrid di Simeone, arrivato a eccellere in Spagna e in Europa pur senza il blasone delle altre grandi potenze. Del discusso “Cholismo” Godin è sicuramente il rappresentante ideale, perché ne è stato il leader in campo. Per costruire un’identità di gioco funzionale, devi avere il materiale a disposizione e Godin era perfetto per affrontare e coordinare lunghe fasi di difesa posizionale. Non ha mai brillato per qualità atletiche - in una squadra che difendeva molto alta avrebbe sofferto di più - ma quando si trattava di marcare l’attaccante sulla trequarti o dentro l’area di rigore non ha avuto rivali.
Le prestazioni di Godin contro squadre come il Bayern Monaco o il Barcellona rimarranno nella storia della Champions League, partite in cui lo si vedeva respingere ogni cross, ribattere ogni conclusione, trovare il tempo perfetto per scivolare sul pallone. Se la difesa di solito è vista come una cosa noiosa, Godin e l’Atlético Madrid l’hanno resa una forma d’intrattenimento peculiare. Godin è un difensore dalle grandi letture, non ha bisogno di correre in un posto perché c’è già. Negli uno contro uno si muove sempre in anticipo, toglie il pallone all’attaccante usando il piede destro quasi come una mazza da golf, intervenendo nella frazione di secondo più giusta.
Nel difendere in uno spazio stretto è veramente un maestro, sia quando si tratta di leggere linee di passaggio o vincere duelli fisici, soprattutto di testa, Godin è sempre impeccabile, sempre calmo, un faraone, come viene chiamato. Tra i migliori difensori al mondo Godin è forse il meno appariscente, sia per fisico che per talento, ma in qualche modo è riuscito a contrastare con profitto i migliori attaccanti di questa generazione, gente come Messi, Suarez, Cristiano Ronaldo e Lewandowski.