Facendo zapping tra kayak cross e lancio del martello, oppure rientrando sotto l’ombrellone dopo aver fatto il bagno, potreste esservi imbattuti nella seguente notizia: un lottatore cubano è diventato la prima persona (di ogni genere, Olimpiadi invernali comprese) a vincere cinque medaglie d'oro consecutive in uno stesso evento individuale. Con l’oro di Parigi, Mijain Lopez Nuñez è uscito dal club delle quattro medaglie – che comunque era già ristrettissimo: Michael Phelps (nuoto, 200 misti), Katie Ledecky (nuoto, 800 stile libero), Carl Lewis (salto in lungo), Al Oerter (lancio del disco) e Paul Elvstrøm (vela) – per fondarne uno tutto suo.
Per trovare una striscia di vittorie più impressionante, secondo Mauro Berruto, dovremmo tornare ai sei ori di Milone di Crotone tra 532 e 512 a.C. Quello di Mijain Lopez Nuñez, insomma, è un caso in cui i record e la riconoscibilità internazionale non vanno di pari passo. La lotta greco-romana è uno di quegli sport che i più guardano una volta ogni quattro anni, nei quali girano pochissimi soldi e quasi mai vengono trasmessi su alcuna emittente al di fuori delle settimane olimpiche. Tuttavia, sia per la sete olimpica di voler vedere almeno un minuto di ogni sport, sia per il profumo di record storico, martedì sera mi sono sintonizzato sulla finale olimpica della lotta greco-romana, categoria 130 chili.
I due lottatori già si spintonano, cercando di sbilanciarsi a vicenda col busto proteso in avanti. È tutto un avvilupparsi di braccia e collo. Il commentatore di Discovery Plus, Dario Puppo, mette subito le mani avanti: «Faccio questa premessa, non aspettatevi uno spettacolo tipo Riner». Allude forse al fatto che difficilmente la lotta greco-romana può arrivare alle vette d’intrattenimento del judo, essendo uno sport completamente diverso. La manovra con cui Teddy Riner ha vinto l’oro atterrando il sudcoreano Kim Min-jong non sarebbe lecita nella greco-romana: in quest’ultima non si possono usare le gambe per attaccare o difendersi. Né si possono fare prese al di sopra delle anche.
Come funziona la lotta greco-romana
Ma partiamo dall’inizio. Disputata fin dal 708 a.C. e riapparsa nel 1896 ai primi Giochi moderni, la lotta è presente sia nell’Iliade ("né pur poteva Ulisse scrollare né abbattere Aiace, né pur poteva Aiace prostrare la forza d’Ulisse", canto XXIII) sia nelle Olimpiadi di questo secolo. Si divide in greco-romana e libera, e da Atene 2004 vi è pure la lotta femminile (che assomiglia alla libera, quindi si possono usare le gambe, ma non valgono prese doppie come il doppio Nelson).
Non ha attraversato un bel periodo, per la verità, la lotta. Ha rischiato di venire rimpiazzata da squash e baseball alle Olimpiadi, per diverse cause: polemiche nell’assegnazione dei punti durante i combattimenti, diversi casi di doping, un’assenza pressoché totale di donne a livello federale, bassi ascolti in tv e pochi biglietti venduti dal vivo. Un ritocco al regolamento e la nomina del serbo Nenad Lalovic a capo del United World Wrestling, amicone di Thomas Bach presidente del CIO, hanno raddrizzato la rotta.
Se prima occorreva vincere due dei tre turni di gara, ora basta totalizzare più punti dell’avversario. Il takedown è stato incentivato, affinché potesse rendere più veloce e divertente uno sport spesso percepito come complicato e stantio dai non addetti ai lavori. Atterrare o ribaltare l’avversario vale dai due ai cinque punti, a seconda di – più o meno – quanto lo per terra con potenza o lo lanci lontano.
Le competizioni di lotta si svolgono su un materassino che assorbe gli urti, di nove metri di diametro. Un ulteriore metro e mezzo funge da zona di cuscinetto. Si vince istantaneamente costringendo entrambe le spalle dell’avversario al contatto col materassino, ma in competizioni di alto livello come le Olimpiadi accade di rado. Una delle dinamiche più strane della lotta greco-romana è la penalità per passività: quando l’arbitro la infligge a uno dei due lottatori, egli regala un punto all’avversario e deve sdraiarsi prono tentando di non farsi ribaltare. Un ribaltamento vale due punti.
Uno screenshot dalla finale per l’oro di Tokyo 2020. Il georgiano Iakobi Kajaia si spalma per terra per provare a resistere al gioco da terra di Lopez Nuñez. Spoiler: non ci riuscirà.
Il costumino di cui si vestono i lottatori si chiama singlet in gergo (quelli cubani sono notevoli) e dovrebbe rimanere integro a lungo, perché le lotte durano poco. Due round da tre minuti intervallati da trenta secondi ed è tutto finito. Da Pechino 2008, inoltre, vengono sempre assegnate due medaglie di bronzo: entrambi i perdenti delle semifinali rientrano in un bracket per giocarsele.
Se questa breve introduzione alla lotta greco-romana vi ha convinto, potete cercare una palestra in cui praticarla qui. Altrimenti, ecco alcune storie della lotta greco-romana italiana davvero appassionanti: dalla pagina Wikipedia di Enrico Porro potrebbe venir fuori il prossimo romanzo di Antonio Scurati, Vincenzo Maenza vinse due medaglie d’oro negli anni Ottanta («mi sono spaccato 25 anni le ossa per il mondo ma senza contributi per la pensione. Mi faranno tutt’al più commendatore») e anche in questo secolo abbiamo avuto una gioia.
Chi è Mijain Lopez Nuñez
Ma torniamo a Mijain Lopez Nuñez. Nativo della provincia più occidentale di Cuba, Pinar del Río, per la precisione di un paesino di seimila abitanti chiamato Entronque de Herradura, Lopez Nuñez ha iniziato con la lotta a dieci anni. È già molto alto per la sua età e, vivendo in una zona agricola povera, mette su un po’ di muscoli spostando cassette della frutta e accudendo animali. Il soprannome affettuoso che gli dà la famiglia fu “el purro”, cioè “ragazzone”. Suo fratello Michel, più vecchio di sei anni e bronzo olimpico nel pugilato ad Atene 2004, gli spiana la strada verso le migliori palestre de L’Havana e a 17 anni Mijain entra in Nazionale.
Vedere ogni atleta contemporaneo vent’anni fa, al debutto olimpico, farebbe tenerezza. Alcuni pluri-medagliati olimpici andavano forse all’asilo. Mijain Lopez Nuñez era già enorme. Forse non mastodontico com’è ora, con dei muscoli che sembrano radici di un albero secolare, ma è già quasi due metri per circa 120 chili (la categoria dei supermassimi diventerà da 130 chili solo a Rio 2016, un vantaggio per lui che spesso fatica a perdere peso). Si vede che è al suo debutto olimpico: in sovraimpressione il suo nome viene scritto sbagliato, dà al suo avversario – un israeliano pelato e irsuto, del tutto anonimo – un gagliardetto senza ricevere alcunché in cambio. Vince anche il secondo incontro, ma non va oltre i quarti di finale, dove si arrende ad un lottatore originario dell’Ossezia, Khasan Baroyev.
Baroyev è il primo e unico grande ostacolo che separa Lopez Nuñez dal trono indiscusso dei supermassimi nella lotta greco-romana. Nel 2005 Mijain vince il suo primo Mondiale, ma senza batterlo, e l’anno dopo perde di nuovo da Baroyev in finale. Ha da poco compiuto 24 anni ed è una delle ultime sconfitte in carriera. Quando poi riuscirà a battere Baroyev, ai Mondiali di Baku 2006 e sempre in finale, farà salti di gioia di due metri.
Un’istantanea da quell’incontro.
Lopez Nuñez-Baroyev è anche la finale a Pechino 2008, ma questa volta è il cubano a vincere. È il suo primo oro olimpico (peraltro Baroyev venne squalificato per doping e non ottenne alcuna medaglia). Nel frattempo supermassimi più giovani provano a impensierirlo, ma ci riescono quasi mai. Il turco Riza Kayaalp (dodici volte campione europeo) perde contro Lopez Nuñez in tre Olimpiadi di fila, tra 2012 e 2021, sempre in semifinale o finale. Heiki Nabi, un colosso estone identico a Hodor del Trono di Spade, non è mai riuscito a batterlo. Una delle pochissime sconfitte di Lopez Nuñez avviene nella finale dei Mondiali 2011, contro Riza Kayaalp nella sua Istanbul: il sito FloWrestling caldeggia l’ipotesi che si sia fatto pagare per perdere.
Se ha un record così buono contro ogni avversario (un altro che contro Lopez Nuñez perde in partenza è il georgiano Iakobi Kajaia), è perché dal 2015 in poi ha sostanzialmente smesso di partecipare ad altro torneo che non sia quello olimpico. I punti per qualificarsi glieli racimola il connazionale Oscar Pino, che puntualmente gli lascia il posto per vincere l’ennesimo oro olimpico.
Nel frattempo Lopez Nuñez è diventato una celebrità in patria: nessun atleta cubano ha mai vinto più medaglie (pareggiato anche lo schermidore Ramon Fonst), i bambini si allenano per diventare come lui e sul sito del Parlamento cubano (!) si legge che Lopez Nuñez è un deputato. Peraltro laureato in scienze motorie, Lopez Nuñez è uno dei 470 membri dell’Assemblea nazionale del potere popolare (unica camera del paese, 442 membri appartengono al Partido Comunista de Cuba). Mijain è politicamente schierato al punto da aver dedicato il suo quarto oro olimpico a Fidel Castro: «Dobbiamo a lui questo risultato e a tutti gli sforzi che ha fatto affinché la rivoluzione possa andare avanti». Sul podio olimpico, quando risuona l’inno cubano, fa il saluto militare.
Portandola assieme alla discobola Yaime Perez a Tokyo, Lopez Nuñez è diventato anche il cubano che ha portato la bandiera più volte alle Olimpiadi, quattro, contro le tre del pugile Teofilo Stevenson. Leggenda al pari di Javier Sotomayor o Kid Chocolate, altro pugile cubano di inizio Novecento, l’immagine pubblica di Lopez Nuñez non è stata intaccata nemmeno da un parapiglia nato durante una partita di baseball a Santiago del Cile nell’ottobre 2023. Un ragazzo stava protestando contro il regime comunista cubano e Lopez Nuñez gli avrebbe dato una manata.
Come festeggia le vittorie Lopez Nuñez: saltellando di qua e di là e facendo una German suplex al suo allenatore, ovviamente.
I soprannomi racimolati da Lopez Nuñez ("El Terrible", "The Kid", "El Gigante de Herradura") ne descrivono bene la carriera, ma cosa lo rende un lottatore di greco-romana ineguagliabile? Il sito specializzato FivePointMove descrive così le sue doti tecniche: "Lopez Nuñez opera in egual misura con efficienza e con una consapevolezza del corpo insolita per un atleta della sua taglia. Non è uno che spreca movimenti: quando è in forma, è abile nel crearsi chance importanti facendo forza sulle gambe, costringendo gli avversari a rimanere fermi nelle loro posizioni di ripiego prima di colpire grazie a una gran varietà di combinazioni. Sul tappeto è particolarmente letale. Omone per il quale i sollevamenti da terra sono una valida opzione, Lopez Nuñez ha i colpi giusti per cambiare ogni incontro in qualsiasi momento". Un lottatore completo, insomma, a più riprese paragonato ad Aleksandr Karelin, "l’Orso di Novosibirsk" o "The Experiment", considerato il lottatore greco-romano più dominante di sempre.
Nonostante gareggi meno con l’avanzare dell’età, i suoi allenamenti sono massacranti. A volte si ritrova come sparring tre pesi mosca in simultanea: «Non ho mai avuto rivali con cui allenarmi», scherza. «Mi alleno quindi con i pesi leggeri. In questo modo guadagno in velocità, mi costringono ad alzarmi più velocemente. E, inoltre, è una cosa che ci diverte: uno mi afferra per il collo, un altro si mette davanti e poi un altro ancora, finché non mi stancano, questo è il bello, che mi stancano». Non è sbruffone, ma sicuro dei propri mezzi sì: dice cose tipo «nessuno mi batte quando mi alleno bene» o, parlando di se stesso in terza persona, «quello che lotterà di sicuro sarà il campione, il campione olimpico in carica, colui che non fa errori».
Il lituano Mindaugas Mizgaitis disse di che combattere contro di lui è come lottare contro «una roccia che si muove». Rulon Gardner, l’unico in grado di sconfiggere Karelin ma mai in grado di battere Mijain, ricorda bene la prima volta che vide il cubano: «La cosa che mi sbalordì fu la lunghezza delle sue braccia, sono quasi più larghe di quanto lui sia alto».
Mijain è un lottatore spontaneo, a cui riesce tutto perché si allena tanto e brutalmente, certo, ma soprattutto perché è pervaso da un vigore quasi ancestrale nel volume, sofisticato nella tecnica. Quanta forza e quanta abilità devono servire, d’altronde, per sollevare e ribaltare un uomo di 130 chili in questo modo?
Fuori dalla lotta è un tipo semplice: dice di non amare la lotta al punto dal guardarla in televisione, non si riscalda granché prima dei suoi incontri, non studia gli avversari prima di batterli. Appena può, torna a Herradura dalla moglie Maylin e i due figli e per le strade del suo paesino gira senza scarpe e a torso nudo.
Si è preso alcuni mesi di pausa dalla lotta dopo Londra 2012 e in seguito alla morte del padre Bartolo, nel settembre 2022. Per il resto, è sempre tornato. Sembrava che Mijain Lopez Nuñez volesse ritirarsi dopo Tokyo, ma l’allenatore Raul Trujillo è riuscito a rimettere in piedi il suo fisico dopo quattro ernie del disco. Trujillo parla di Lopez Nuñez come se fosse già una mezza reliquia: in più interviste ha citato la necessità di «conservare il suo corpo» dai troppi combattimenti.
L’angolo di casa in cui Mijain Lopez Nuñez tiene medaglie e trofei.
Così, grazie alla qualificazione centrata da Oscar Pino per lui, Lopez Nuñez si presenta a Parigi 2024 riposato e coi favori del pronostico. Inizia il proprio cammino verso il quinto oro olimpico asfaltando 7-0 Lee Seung-chan. Il sudcoreano è stato due volte ripreso per passività: a volte è labile il confine con l’impossibilità di impensierire l’avversario. I quarti di finale si prospettano ben più duri: l’iraniano Amin Mirzazadeh è campione del mondo in carica e ha 16 anni in meno del cubano. La lotta si svolge, inoltre, un’ora soltanto dopo la fine del primo turno, per cui il gigante cubano potrebbe soffrire la fatica del doppio impegno. Niente di tutto questo: Lopez Nuñez lo ribalta nei primi due minuti.
Nella semifinale contro l’azero di origini persiane Sabah Shariati è avanti 3-0 quando riceve una penalità per passività. L’azero gli monta sopra per cercare di ribaltarlo e ottenere i due punti del pareggio, ma Lopez Nuñez riesce a capovolgere la situazione e a conquistare la schiena dell’avversario grazie ad un’agilità sorprendente. I commentatori di Eurosport sorridono per l’assurdità del paragone, ma si è davvero liberato «come una libellula».
La finale è contro un avversario speciale. Yasmani Acosta è un lottatore di origine cubana che, vista l’impossibilità di competere nelle maggiori lotte internazionali a causa della presenza di Lopez Nuñez, ha preferito prendere il passaporto cileno. «A Cuba ero sempre dietro di lui. Mi sono allenato con lui ogni giorno, per nove anni», ricorda Acosta, che non poteva mai ambire al singolo posto cubano per le Olimpiadi a causa dell’impareggiabile rivale e amico. «Guardavo i Giochi Olimpici e piangevo davanti alla TV, perché vedevo molti atleti che avevo già battuto. Per questo sogno ho lasciato Cuba».
Quando ha scoperto che avrebbe incontrato Acosta, Mijain era felicissimo. Forse sapeva che, pur essendo Acosta un avversario di livello, era una lotta abbastanza impari. Nel 2017 Acosta stesso diceva che «nessuno al mondo può batterlo». È in un bellissimo singlet azzurro, Acosta, col profilo della cordigliera delle Ande, ma non ha una chance. Una penalità e un ribaltamento per tempo – dando peraltro l’impressione di non voler infierire – e Mijain Lopez Nuñez vince di nuovo. Chiude il torneo senza mai essere andato sotto nel punteggio, è il ventunesimo incontro di fila che vince alle Olimpiadi e soprattutto la quinta, storica medaglia d’oro.
Visibilmente commosso, Mijain ringrazia i suoi allenatori a modo suo: ribaltando il primo, sollevando di due metri il secondo. Dopo aver vinto a Rio 2016 abbozzò un balletto divenuto poi virale a Cuba: da lì in poi gli chiedono continuamente di ripeterlo. Lopez Nuñez, però, è troppo emozionato per ballare. Rientra sul tappeto, bacia il materassino. L’Arena Campo di Marte impazzisce quando compie il gesto del togliersi le scarpe: da anni nel wrestling segnala l’intenzione di un lottatore di volersi ritirare.
L’aveva già detto dopo Tokyo che si sarebbe ritirato, è vero, ma stavolta sembra diverso. Quando gli hanno chiesto di descrivere le sue cinque medaglie d’oro, Lopez Nuñez ha detto che «Pechino è giovinezza, Londra trascendenza, Rio fatica, Tokyo sacrificio, Parigi gioia». Dopo ognuna di queste Olimpiadi, si è ritrovato con una medaglia d’oro al collo in più, le rughe un po’ più profonde, sempre meno denti. Stavolta assicura che lascerà il posto ai giovani, continuando a stare al loro fianco per renderli grandi campioni, come hanno fatto Candido Mesa o Hector Milian con lui.
Certo per noi spettatori egoisti è un peccato non ritrovarsi più ogni quattro anni a osservare le colossali movenze di questo lottatore. Le Olimpiadi sono fatte apposta per seguire, per quanto distrattamente e senza comprenderle appieno, le gesta di questi personaggi mitologici che sembrano perfetti per altri secoli. Non ci sarebbe stato male, un lottatore cubano rivoluzionario nell’Iliade.