
Nelle ultime sette partite giocate, le prime sette giocate con la maglia del Monaco, Mika Biereth ha segnato 10 gol. Per quanto il campione sia piccolo, segnare più gol che partite giocate è il segno inequivocabile della grandezza per un centravanti.
Con Biereth, però, la matematica di questi gol è quantomeno curiosa: all’esordio, il 14 gennaio contro lo Stade Reims in Coppa di Francia, ha giocato 45 minuti segnando 0 gol; tre giorni dopo, il 17 gennaio, ne ha giocati 90 contro il Montpellier in Ligue 1 segnando ancora 0 gol. Si è sbloccato il 25 gennaio segnando un gol contro lo Stade Rennais; meno di una settimana dopo, il primo febbraio, ha segnato 3 gol contro l’Auxerre, poi niente contro il PSG il 7 febbraio, niente contro il Benfica in Champions League il 12 febbraio, poi 3 gol contro il Nantes il 15 febbraio, poi zero gol contro il Lille e di nuovo il Benfica (giocando però appena 25 minuti), e infine 3 gol il primo marzo contro lo Stade Reims, la squadra contro cui aveva esordito al suo arrivo in Francia.
Se fate i calcoli sono 10 gol in 7 partite come dicevamo, ma se li fate meglio si può dire anche che sono 9 gol in 3 partite, 1 gol in una partita, e 0 gol in 4 partite. Suona bene allo stesso modo? Non proprio: più o meno Biereth ha segnato in poco più della metà delle partite giocate con il Monaco, che non è poi una statistica così incredibile, solo che quando lo ha fatto, lo ha fatto in grande stile.
CHI È MIKA BIERETH
In ogni caso è stata l’ultima tripletta a far drizzare le antenne a tutti. Come, c’è un demone sconosciuto alto e biondo che segna triplette come se fossero marcature singole? Andiamo subito a vedere. Tutti vogliamo arrivare prima su tutto e il fatto che in pochi avessero visto Biereth arrivare rende la sua storia particolarmente interessante, al netto di quanto potrà continuare a produrre in futuro. Perché Biereth non è certo di quei centravanti acclamati dalla critica ben prima di diventare davvero letali, anzi. Nato a Londra, da padre danese e madre bosniaca (finora Biereth ha giocato per le giovanili della Danimarca, ma teoricamente può scegliere anche Inghilterra, Germania o Bosnia), è passato dall’Academy del Fulham per poi finire nel 2021 in quella dell’Arsenal.
Ovviamente si è già scatenata una corsa alle sue prestazioni in Nazionale. Lui non si è esposto, ma sembra la Danimarca la prescelta.
Negli ultimi anni Arteta ha dato grande fiducia ai giovani del club ottenendo molto in cambio (Saka e Martinelli, per citarne due che hanno giocato insieme a Biereth, ultimamente Ethan Nwaneri) ma Biereth è passato da quelle parti come un fantasma. A maggio 2022 è stato tra gli 8 candidati per il premio di giocatore del mese in Premier League 2 (la lega di sviluppo inglese) senza però vincere e per 4 volte è stato convocato con la prima squadra senza però mai entrare in campo: questo è il tutto il suo curriculum da "Gunners".
Nell’estate del 2022, a 20 anni, è stato mandato in prestito in Olanda, al RKC Waalwijk. Non è andata bene, tanto che già a gennaio 2023 aveva fatto le valigie per andare in Scozia, al Motherwell. Un anno dopo, cioè un anno fa, gennaio 2024, a Biereth era toccato traslocare di nuovo, questa volta in Austria, allo Sturm Graz, sempre in prestito dall’Arsenal. Capite che il percorso Olanda, Scozia, Austria non sembra predire nulla di buono per la carriera di un giovane calciatore. Paradossalmente, però, allo Sturm Graz, Biereth ha trovato il modo di farsi notare.
Nei primi sei mesi con 5 gol ha contribuito alla storica doppietta Bundesliga-Coppa d’Austria, un’impresa piuttosto eccezionale considerando che nelle 10 edizioni precedenti il campionato era stato vinto dal Red Bull Salisburgo. Ma è in questa stagione che Biereth ha iniziato a segnare con regolarità (14 gol in 25 partite), approfittando anche del palcoscenico della Champions League (2 gol) per farsi notare. A metà novembre, prima di una partita con il Borussia Dortmund, Biereth era stato il primo a non crederci: «Il primo prestito [quello al RKC Waalwijk, nda] non era andato bene. Se alla fine di quell’esperienza mi avessero detto che alla fine della stagione successiva avrei giocato in Champions League, non ci avrei creduto».
In estate lo Sturm Graz lo aveva riscattato dall’Arsenal: secondo alcune fonti aveva pagato il giocatore un totale di 9 milioni di euro (facendone di gran lunga il giocatore più costoso della loro storia, quasi il triplo del secondo), secondo altre poco meno di 5 milioni di euro più una percentuale sulla futura rivendita. In ogni caso è evidente come Biereth aveva impressionato il club, che certo non avrebbe speso tanti soldi se non pensava di trovarsi davanti a un ottimo centravanti. Sei mesi dopo lo ha rivenduto al Monaco per 13 milioni di euro (più bonus). Una plusvalenza immediata ma neanche troppo eccezionale per un club abituato a vendere bene (Hojlund lo avevano comprato a 1 milione e mezzo di euro e, con meno partite e meno gol di Biereth, lo avevano veduto a oltre 20 milioni di euro all’Atalanta).
UNA MACCHINA DA GRANDI OCCASIONI
Forse neanche allo Sturm Graz si aspettavano Biereth potesse partire così forte in Francia, perché, se una cosa è certa, è che finora il danese aveva fatto vedere più il possibile potenziale che non i freddi numeri. Certo, 23 gol in 47 presenze non sono male, ma non fanno gridare al miracolo, soprattutto se segnati in Austria, in una squadra di alta classifica.
Biereth è un centravanti sicuramente moderno - alto, veloce, grosso - ma non sembra ancora un centravanti speciale. Per dire: non ha la velocità sul lungo di Hojlund, a cui è stato paragonato per via delle similitudini di carriera (entrambi danesi, entrambi passati per lo Sturm Graz), né la tecnica da trequartista e la potenza di Benjamin Šeško, altro centravanti giovane a cui è stato accostato; non ha neanche quel non so che di Santiago Castro, che fa pensare possa diventare un grande centravanti oltre il numero di gol segnati. Un anno fa in un’intervista Biereth aveva detto di paragonarsi «a un Haaland scarso e un Kane scarso [l’originale inglese è "shit" non scarso, nda]! Un ibrido tra loro, ma a un livello molto più basso. Come Haaland, tutto ciò che mi interessa davvero è segnare gol. Se mi offrissero due tocchi di palla e due gol, li prenderei subito. Per me, si tratta solo di fare gol».
Ed effettivamente per Biereth si tratta solo di fare gol. A vederli questi nove gol su azione (uno è un calcio di rigore) la prima cosa che salta all’occhio è che sei li ha segnati con un tocco e tre con due tocchi. La seconda cosa che si nota è che arrivano tutti e nove da dentro l’area di rigore e che cinque di questi Biereth li ha segnati da dentro l’area piccola. La sua mappa di tiro in Ligue 1 da questo punto di vista è praticamente un sogno.

Grafico Hudl Statsbomb.
Che vuol dire questo? Sicuramente c'è un po' di fortuna: in un paio di gol Biereth si è trovato il pallone solo da spingere in rete quasi per caso, ma denotano anche una grande capacità di farsi trovare sempre al posto giusto, una cosa tutt’altro che scontata. Biereth è bravo a nascondersi dai difensori e poi spuntare dal nulla davanti a loro, attacca con decisione i cross dei compagni, taglia dal lato debole con intelligenza. Vuol dire anche che il Monaco, almeno nelle partite in cui ha segnato, ha avuto grande facilità nel servirgli il pallone nella giusta maniera.
In Ligue 1 la squadra di Adolf Hütter è il quarto miglior attacco, ma è la seconda miglior squadra per xG creati dietro l’irraggiungibile PSG (e la quinta nei cinque principali campionati europei). Finora ha segnato 48 gol da 54.4 xG, un underperformance abbastanza tragica (il Marsiglia ne ha segnati 52 da 46 xG) che prima dell’arrivo di Biereth era semplicemente drammatica. Embolo, il centravanti titolare prima del suo acquisto, ha segnato 4 gol da 8.8 xG, Minamino 3 gol da 6 xG (ma più o meno tutti i giocatori hanno segnato meno di quanto dovuto). Biereth, finora, rimanendo alla Ligue 1, sta a 10 gol da 7.6 xG, ed è già per distacco il miglior marcatore della squadra.
Embolo nel frattempo si sta riciclando con successo come sottopunta alle spalle di Biereth.
L’aspetto più incredibile di questa statistica non è tanto la sua overperformance, ottima ma non così eccezionale (anzi Biereth ha sbagliato almeno una grande occasione), ma nel fatto che crea più di un xG a partita, che è semplicemente assurdo (ancora più assurdo considerando che lì ha creati quasi tutti in quattro di queste sette partite). Già adesso è il secondo giocatore del Monaco per xG creati e a breve supererà Embolo (già nella prossima partita, dovesse continuare così). Ma anche il paragone con tutta la Ligue 1 è abbastanza eccezionale: Evann Guessand ha creato lo stesso numero di xG, segnando gli stessi gol, ma nel quadruplo dei minuti (2042 a 557).
Il Monaco ha principi di gioco molto solidi - pressione ultra-offensiva orientata all’uomo nella zona, riaggressione immediata a palla persa (il PPDA è più alto, di poco, solo di quello PSG) e tanta verticalità dopo la riconquista del pallone - che si adattano benissimo alle caratteristiche di Biereth. Il danese infatti ricalca un po’ la nuova leva di centravanti scandinavi (Haaland come ha detto lui, Hojlund come dicono gli altri, ma anche Gyökeres), ovvero centravanti che amano attaccare la profondità con foga, muoversi in continuazione, pressare tutto quello che si muove (i numeri delle pressioni di Biereth fanno più spavento dei gol). Biereth è molto abile molto nel non dare punti di riferimento alle difese, nell'attaccare l’area partendo dall’esterno, nel muoversi alle spalle dei difensori, nell'andare in fuorigioco e poi tornare indietro, nel cercare sempre di reattivo in area di rigore.
Sono tutte caratteristiche che vengono esaltate dal sistema di gioco di Hutter (e che a sua volta lo esaltano) e che spiegano anche, almeno in parte, perché Biereth può segnare triplette in 8, 16 o 20 minuti come con l’Auxerre, lo Stade Reims o il Nantes (in una vittoria 7-1) oppure non creare nulla come con il PSG e il Benfica. Oltre al livello dell’avversario, dipende da come questo sa contrastare la pressione del Monaco e resistere alle sue ondate offensive. Quando il Monaco è riuscito a recuperare il pallone in alto e a servirlo in maniera dinamica, Biereth è stato bravo nel capitalizzare queste occasioni, quando il Monaco non ci è riuscito, Biereth è rimasto a bocca asciutta (0 tiri nelle due partite col Benfica, 1 contro il Lille, 0 contro il PSG) perché non è, o almeno non lo è ancora, un centravanti autosufficiente.
Questi dieci gol in sette partite sono insostenibili nel lungo periodo ma anche non del tutto casuali o merito solo del talento fuori scala di Biereth (che al momento non è tale). Dietro c’è anche il buon lavoro della società - DS, scouting, staff tecnico - nel mercato di gennaio, una finestra spesso bistrattata ma che invece può veramente servire a riparare le cose. Dopo l’addio a Ben Yedder, Hutter aveva spinto per una squadra ancora più diretta, non trovando però le giuste risposte da Embolo (reduce da una rottura del crociato). L’assenza di un centravanti in grado di essere molto dinamico e di attaccare in corsa l’area di rigore si era sentita e con Biereth lo hanno trovato per un prezzo contenuto.
«Non credo nessuno si aspettasse potessi iniziare così bene. Ma, merito alla squadra, allo staff tecnico e a tutti quelli che mi circondano per avermi fatto sentire così a mio agio all'inizio», ha detto lui con una buona dose di realismo. Se Biereth infatti fosse finito in una squadra più associativa (al Monaco gioca la miseria di 14.88 passaggi per 90 minuti) o che magari gli chiedeva di giocare spalle alla porta, non avrebbe avuto questo impatto e oggi non staremo parlando di lui.
Insomma, se l'impatto di Biereth rimane un'anomalia statistica, sia per il totale dei gol sia per come sono arrivati (nessuno aveva mai segnato così tanto nelle prime partite in Ligue 1, neanche Ibrahimovic, e nessuno aveva mai segnato 3 triplette nelle prime tre giornate), non è neanche un caso. Il Monaco ha come obiettivo il secondo posto in campionato, che è il meglio che puoi fare in Francia. Non sarà facile contro un Marsiglia che ha investito tanto in estate, ma intanto hanno trovato chi gli fa i gol, che comunque, ancora oggi, in un calcio che chiede ai centravanti di fare tutto, è la cosa più importante.