
Il Milan ha vinto il suo diciannovesimo scudetto undici anni dopo l'ultimo. È il primo dell’epoca post-berlusconi, arrivato dopo un lungo periodo di decadenza, in cui il club è sembrato distante dalla propria storia, e quindi da qualsiasi sogno di gloria. Per questo è un successo che assume significati particolari. A inizio anno la squadra era forte ma sembrava meno attrezzata delle altre per vincere il titolo: meno dell’Inter, meno della Juventus, persino meno del Napoli. Se oggi il suo scudetto quindi ci sembra pienamente meritato è anche perché arriva alla fine di un percorso lungo, in cui la squadra ci ha convinto della sua forza, un pezzo alla volta. Abbiamo raccolto le dieci partite che consideriamo più importanti di questo scudetto del Milan, quelle in cui la squadra di Pioli ha edificato le proprie convinzioni. È stata una grande impresa sportiva che come tale andrebbe celebrata.
Juventus - Milan 1-1 - 19/09/2021
Il campionato era appena iniziato (era la quarta giornata) e lo scarto che si era venuto già a creare tra Juventus e Milan - 8 punti - era sembrato frutto del caso, più di quella che sarebbe diventata una tendenza. Nella testa di tutti la squadra di Allegri era quella da battere insieme all’Inter di Inzaghi e il Milan ancora la bella favola della scorsa stagione, una squadra forte, sì, ma ancora troppo giovane e inesperta per lottare per il bottino grosso contro le altre due.
In uno Stadium aperto al pubblico solo per una porzione della sua capienza, la Juventus aveva confezionato il gol del vantaggio dopo appena tre minuti: un colpo di testa sbagliato di Theo Hernandez sugli sviluppi di un calcio d’angolo aveva permesso ad Alex Sandro di verticalizzare rapidamente per Dybala. Con il Milan tutto in avanti Saelemaekers, rimasto ultimo uomo sull’angolo, invece di scappare indietro aveva provato un anticipo impossibile sull’argentino, a cui era bastato toccare di prima in avanti verso la corsa di Morata, a questo punto libero di arrivare fino a Maignan da solo e superarlo con uno scavetto. Era sembrato un po’ un monito: l’ingenuità della gioventù spregiudicata del Milan di Pioli che paga dazio contro il cinismo verticale della Juventus di Allegri.
C’era ancora tutta una partita davanti ma la Juventus aveva abbracciato il Milan con quel fare tentacolare che sa lei (meno quest’anno, ma insomma: avete capito). Per tutto il primo tempo non era successo molto altro, ma il controllo della partita era stato tutto bianconero, che aveva trovato il modo di anestetizzare il pressing della squadra di Pioli. È il classico tipo di partita che, in un altro momento, forse il Milan avrebbe finito per perdere sbattendo addosso all’avversario senza trovare lo spazio per reagire, ma già a inizio stagione i rossoneri avevano questa capacità di restare nelle partite e girarle a loro vantaggio: nel secondo tempo Pioli aveva cambiato il modulo in fase di possesso in un 2-3-4-1 che aveva migliorato la circolazione del pallone e incartato la Juventus (66% di possesso palla nel periodo compreso tra l’inizio del secondo tempo e il gol del pareggio). La squadra di Allegri come risposta aveva abbassato il baricentro, ma lasciare attaccare questo Milan non è mai una soluzione: nel giro di pochi minuti prima Diaz non era riuscito a tirare da solo davanti a Szczesny, Leao aveva sfiorato la traversa con un grande tiro da lontano, poi era arrivato il gol con un colpo di testa da calcio d’angolo di Rebic.
Certo un gol da calcio da fermo per pareggiare non delinea una superiorità netta, e Allegri dopo la partita aveva dato la colpa ai suoi cambi a suo dire troppo poco difensivi, ma il Milan era andato vicinissimo a vincerla a cinque minuti dalla fine: una conduzione di Theo aveva spaccato la difesa della Juventus portando Kalulu (in quel momento ancora terzino destro) a calciare da ottima posizione: il gol era stato evitato solo da un miracolo di Szczesny. Questa azione - con i terzini che salgono così tanto in una trasferta allo Stadium sul risultato di pareggio a pochi minuti dalla fine - riassume un po’ lo spirito di questo Milan, che non si è mai accontentato di difendere i risultati, ma ha fatto sempre il suo gioco fino alla fine. E se contro la Juventus non è bastato per i 3 punti, in molte altre partite lo ha fatto e sono queste le cose che fanno vincere gli scudetti.
Atalanta - Milan 2-3 - 3/10/2021
Le prime vittorie del Milan di questa stagione hanno detto qualcosa di una squadra che, pur facendo risultati, continuava a essere sempre un po’ un underdog, sempre sull’orlo - almeno nella percezione - di sfaldarsi. Questa è una vittoria che ci ha detto che questo Milan poteva andare in casa dell’Atalanta e portarsi sul 3 a 0 (l'Atalanta segnerà i suoi due gol negli ultimi minuti), superando la squadra di Gasperini sul piano dell’intensità. È stata un po’ una chiusura di un cerchio: a fine 2019 il Milan aveva perso 5-0 a Bergamo in maniera umiliante, in una delle prime partite con Pioli in panchina, ed era sembrata una squadra irrisolvibile. Dopo poco però, era cambiato tutto: senza rivoluzioni, ma grazie alla capacità di Pioli di fidarsi delle sue idee e al lavoro della dirigenza, il Milan si era trasformato da una squadra spenta in una con una forte identità e sempre più soluzioni tattiche.
La varietà tattica è stata forse la singola cosa più importante aggiunta rispetto alla scorsa stagione. In questa partita, ad esempio, Pioli aveva scelto di giocare con Calabria e Theo Hernandez stretti dentro al campo e che si muovevano molto per mettere in difficoltà il sistema di pressione individuale dell’Atalanta. Una scelta che aveva pagato dopo appena 30 secondi: il terzino sinistro aveva ricevuto libero dentro al cerchio di centrocampo e dopo aver corso in avanti aveva servito in profondità il taglio del terzino destro che aveva segnato. Praticamente Hernandez si trasforma in regista e Calabria in attaccante, come accadrà spesso anche con altri giocatori in altri ruoli.
È stata però anche la partita che ha confermato la crescita di Tonali, che doveva essere la prima riserva a centrocampo ma che invece si guadagnerà praticamente subito il posto da titolare inamovibile. Contro l’Atalanta ha mostrato un’intensità che in Serie A è difficile da vedere (se non appunto nelle migliori partite della squadra di Gasperini). Nel giro di pochi minuti ha prima salvato in scivolata una ribattuta a colpo sicuro di Malinovskyi, poi ha strappato di pura foga il pallone a Freuler per andare a segnare il 2-0. Il centrocampista era così pieno di forze che dopo la partita era stato il primo a pronunciare la parola scudetto: «Se vieni a Bergamo e giochi una partita del genere vuol dire che sei sulla strada giusta. Scudetto? Non parliamo di queste cose, ma è un obiettivo del Milan». A fermarlo era intervenuto Pioli, che aveva aggiustato la semantica: «Scudetto unico obiettivo? Tonali si è fatto un po’ prendere dalla gioia. Noi dobbiamo giocare per vincere ogni partita».
Bologna - Milan 2-4 - 23/10/2021
Ibrahimovic torna titolare dopo cinque mesi, il Bologna rimane in 10 dopo 20 minuti, il Milan va sul 2 a 0 con i gol di Calabria e Leao: tutto sembrava perfetto per rendere questa trasferta una passeggiata di salute, la conferma dell’ottimo stato di forma dei rossoneri, reduci da sette vittorie e un pareggio in campionato. Ma poi era successo l’imprevedibile: prima Ibra aveva deviato di testa nella sua porta un calcio d’angolo del Bologna, poi Arnautovic e Barrow avevano confezionato il pareggio con una bella azione a inizio secondo tempo.
Il Milan arrivava da una brutta sconfitta con il Porto quattro giorni prima che aveva affossato le speranze di passare il girone di Champions League e si era presentato a Bologna con un totale di 9 assenti. Certo non bastava a giustificare quanto visto tra la fine del primo e l’inizio del secondo tempo con il Bologna in 10 a fare la partita e rimontare 2 gol. E, inizialmente, neanche la seconda espulsione - arrivata per un pestone di Soriano appena cinque minuti dopo il pareggio - aveva cambiato la gara. Il Bologna aveva avuto altre due occasioni (alla fine gli xG diranno 0.9 per il Milan, 0.7 per il Bologna) per un ribaltone che avrebbe avuto dell’incredibile. I rossoneri avevano avuto bisogno di un tiro al volo da fuori area di Bennacer (non un goleador) per mettere la testa avanti, prima del gol finale di Ibrahimovic, buono per far sembrare la vittoria più facile di quanto non sia stata e regalare un finale tranquillo.
Dopo la partita Pioli aveva ribaltato le difficoltà del suo Milan in un insegnamento: «Abbiamo capito che non possiamo considerare le partite finite prima di terminarle», sottolineando anche come, in una squadra che fin lì si era messa in evidenza più con il talento corale che con quello individuale, «lo spirito e la qualità dei giocatori però hanno fatto la differenza ancora una volta». Col Bologna era stata la partita di Ibrahimovic, nel bene e nel male: lo svedese si era piantato in attacco, mostrando una mobilità ancora più limitata dell’anno precedente, eppure aveva chiuso con un gol, un assist (e addirittura un autogol). Lo svedese non è stato il giocatore più importante per la vittoria finale, forse per la prima volta nelle sue mille vittorie di campionati, ma i suoi 8 gol e 2 assist raccontano di un giocatore ancora in grado di far succedere le cose, anche giocando da fermo. Ibra è sembrato inoltre essere un leader positivo in partite come queste, partite che il Milan non ha giocato bene, come se la sua esperienza e il suo carisma riuscissero a diffondere uno spirito di serenità anche ai compagni.
Milan - Spezia 1-2 - 17/01/2022
«Florenzi mi ha abbracciato, Ibra mi ha detto di essere forte. Il gesto che hanno fatto i giocatori del Milan negli spogliatoi l'ho apprezzato molto», sono le parole con cui l’arbitro Serra ha raccontato il post di Milan-Spezia, una sconfitta che era sembrata la pietra tombale sulle ambizioni di primo posto dei rossoneri (vincendo avrebbero scavalcato l’Inter). Cosa era successo? Nel finale l’arbitro non aveva concesso un vantaggio su un fallo sulla trequarti su Rebic vanificando così il successivo - questione di attimi - bel gol di Messias, che di sinistro a giro l’aveva messa sotto l’incrocio. In quel momento il risultato era sull’1-1 e probabilmente quel gol avrebbe portato i tre punti al Milan. Nel recupero invece era stato lo Spezia a trovare il gol vittoria grazie a un bel contropiede chiuso da Gyasi.
Al di là dell'episodio, la sconfitta con lo Spezia (come già successo l’anno prima) aveva evidenziato alcuni limiti del Milan (chi non lì ha?), come la difficoltà nel difendere transizioni veloci oppure la mancanza di ricambi di livello (la coppia d’emergenza a centrocampo Bakayoko-Krunic non aveva dato risposte favorevoli, così come Gabbia in difesa). I rossoneri si erano anche un po’ dati la zappa sui piedi: Hernandez aveva sbagliato un rigore, Provedel aveva fatto due parate di piede davvero difficili e in generale era apparsa una di quelle sconfitte incredibili, che devono arrivare per destino più che per quel che si è visto in campo.
Eppure, era difficile vederlo in quel momento, a mente fredda si possono trovare due cose in quella partita che saranno fondamentali per il resto della stagione del Milan: la prima è la crescita di Leao, che oltre al gol dell’illusorio vantaggio - un bel pallonetto su un taglio in profondità, una giocata simile al gol con l’Atalanta - era riuscito in cinque dribbling su sei e più in generale aveva dato una sensazione di superiorità sugli avversari che verrà confermata per il resto del campionato. E due: la tranquillità - non lì per lì certo, ma già negli spogliatoi come raccontato da Serra - con cui il Milan ha preso l’errore dell’arbitro come quello che era, appunto un errore, e non come un complotto ai suoi danni. Insistere sul torto subito, forse, avrebbe reso la sfida con l’Inter più pesante per la squadra di Pioli, che invece è stata capace di buttarsi alle spalle questa sconfitta come un episodio e riprendere la sua corsa: da questo momento in poi in campionato arriveranno 5 pareggi e 11 vittorie che assicureranno il ritorno in cima dopo undici anni.
Inter - Milan 1-2 - 05/02/2022
L’Inter arrivava a questo derby da una serie di 14 partite senza sconfitte e, se non a livello di punti, sembrava già quasi scappata verso il titolo come aveva fatto la stagione precedente grazie a una superiorità nel gioco e nei singoli sempre più evidente. Per il Milan, quindi, vincere era praticamente l’unica possibilità, ma per farlo aveva bisogno di mostrarsi migliore della squadra più in forma del campionato.
Nel primo tempo, però, la squadra di Inzaghi aveva legittimato questa superiorità apparente: il suo raffinato gioco di scambi di posizione aveva mandato in crisi il pressing del Milan e per i nerazzurri arrivare fin dentro l’area avversaria era sembrato facilissimo. I pregi dell’Inter si incastravano perfettamente con i difetti del Milan e i giocatori più importanti avevano approcciato benissimo la gara. Calhanoglu era indemoniato, Dzeko abbassandosi molto faceva quel lavoro da trequartista che gli riesce benissimo quando è ispirato, Perisic, oltre al gol del vantaggio da calcio d’angolo, era indispensabile sia in attacco che in difesa. L’Inter non aveva fatto però i conti con la capacità di incassare colpi della squadra di Pioli. Nel primo tempo a mantenere l’Inter vicina ci aveva pensato Maignan, con tre interventi pregevolissimi e spettacolari, che al tempo stesso avevano tenuto a galla la squadra e fomentato l’ambiente. La prima era stata un colpo di reni a cambiare direzione su una deviazione precisa, la seconda una parata disperata - con una specie di croce - su Dumfries che si era presentato praticamente a due metri da lui con il pallone tra i piedi, la terza un’uscita che dal vivo era sembrata sbagliatissima su Calhanoglu, che se avesse controllato si sarebbe trovato solo davanti a lui. Maignan è uno dei segreti più in bella vista di questo scudetto e nel derby ha avuto forse il suo momento più luminoso.
Nel secondo tempo l’Inter aveva mantenuto il controllo sulla partita, ma aveva smesso di premere l’acceleratore dando l’idea di accontentarsi del gol di vantaggio. Era stato un errore. Pioli aveva provato a smuovere le acque con i cambi e aveva, più o meno, funzionato. Soprattutto l’ingresso di Diaz sulla trequarti per Kessie aveva permesso ai rossoneri di avere un giocatore più abile nel ricevere nei mezzi spazi e puntare la porta e quello di Messias a destra un giocatore in grado di saltare l’uomo e mettere più in difficoltà la catena di sinistra dell’Inter. Era stato proprio un tiro sporcato dello spagnolo dal limite dell’area, dopo un recupero vigoroso di Giroud a centrocampo, a propiziare il primo gol, con il francese che in spaccata aveva deviato il tiro di Diaz in fondo alla rete. Era il 75’. Tre minuti dopo il gol vittoria: era bastato un pallone in verticale dentro l’area di Calabria per attivare la magia. Giroud, spalle alla porta con de Vrij attaccato alla schiena, invece di controllare si fa scorrere il pallone tra le gambe e con il tacco sinistro la tocca verso il centro, sbilanciando l’avversario e creandosi lo spazio per il tiro, un piatto sinistro che Handanovic riesce solo a toccare.
Insomma una fiammata di tre minuti, ma di quelle potenti, tipo shuttle che parte in verticale e va sulla luna. Se c’è una partita, infatti, è questa. L’hanno raccontata tutti come la svolta e per molto tempo rimarrà nella memoria dei tifosi milanisti ed è impossibile pensare il contrario. È curioso come la partita più importante rimarrà una delle poche giocate male dal Milan sulle 38 del campionato. A ribaltarla è stata il mestiere di Giroud - preso praticamente gratis proprio per queste partite e che pur non segnando tantissimo, nella seconda parte di stagione ha segnato molti gol fondamentali - ma anche la capacità di Pioli e dei suoi giocatori di non uscire dalle partite. L’allenatore ha vinto la sfida tattica con Inzaghi, azzeccando i cambi lì dove il rivale li aveva sbagliati - soprattutto togliendo Perisic per Dimarco. A fine partita Pioli e i giocatori si erano stretti in un cerchio (una specie di tradizione) e Pioli aveva detto ai suoi di “crederci”. Potevano sembrare parole banali, frasi di circostanza, come quelle ai microfoni a esaltare calciatori che «non mollano mai», eppure Pioli ha dimostrato di avere una capacità di convincere tutti all’interno del Milan. E, infatti, tre mesi dopo il Milan festeggerà lo scudetto sul prato di Reggio Emilia, con una squadra che non molla mai e che anche nei momenti più difficili ci ha creduto.
Napoli - Milan 0-1 - 06/03/2022
All’andata il Milan aveva perso 0-1 in casa: il Napoli sembrava una squadra troppo forte, zeppa di qualità, con troppe soluzioni offensive e, dietro, il miglior difensore del campionato. Era, a quel punto, la squadra favorita per lo scudetto. Il Milan dopo la vittoria nel derby ha vissuto un paio di partite di idillio, ma poi è arrivato il pareggio con la Salernitana, un altro pareggio contro l’Udinese, uno zero a zero noioissimo in Coppa Italia contro l’Inter. La squadra faticava a fare gol e non se ne capiva ancora la forza difensiva.
In questa partita però Pierre Kalulu prende il suo posto in difesa al fianco di Tomori. I due hanno uno dei compiti più ardui del campionato: affrontare Victor Osimhen, e farlo in tante situazioni di uno contro uno. Giocano una partita mostruosa che getta le basi del finale di stagione rossonero. Una squadra leggera e spensierata diventa una squadra paziente e solida. La prestazione dei due difensori difende il vantaggio di Giroud, trovato con la solita, straordinaria coincidenza tra istinto e mistica - un tiro di Calabria che incrocia il piatto del suo piede. Il primo gol in trasferta di Giroud.
La partita di anticipi in avanti di Kalulu e Tomori hanno costretto Osimhen a modificare il suo stile di gioco, a provare a lavorare di più nei tagli in profondità senza il pallone. Come abbiamo scritto nella nostra analisi: «Col passare del tempo però la precisione degli anticipi di Kalulu o Tomori si è fatta sempre più asfissiante, così Osimhen ha finito per concentrarsi soprattutto nelle corse in avanti, sfruttando tutte quelle situazioni in cui uno dei due centrali usciva verso un altro giocatore del Napoli, o scalava lateralmente in copertura, per potergli tagliare alle spalle attaccando la profondità dopo essere partito dal lato cieco del secondo difensore centrale».
Dopo la partita Pioli minimizza: «Siamo solamente con un punto in più rispetto all’anno scorso, c’è tanto lavoro da fare»; ma elogia la partita dei suoi due difensori: «È stata una partita difficile, quando ci hanno preso tra le linee abbiamo faticato un po’. Kalulu e Tomori hanno dovuto affrontare Osimhen in uno contro uno e l’hanno fatto con personalità».
Lazio - Milan 1-2 - 24/02/2022
In una corsa scudetto ansiosa e ravvicinata, ogni bivio può essere fatale. Forse però i tifosi del Milan concorderebbero nel considerare questo con la Lazio quello più insperato, rocambolesco; quello che più esprime quelle qualità intangibili che hanno permesso al Milan di trovare la continuità decisiva nel finale di stagione. Quel tipo di convinzione volitiva è incarnata da Sandro Tonali più che da chiunque altro.
Tonali che lo scorso anno è stata una grossa delusione. Un centrocampista che sembrava talentuoso e inconsistente, e il cui talento non sembrava capace di colmare la sua inconsistenza. Lento, inaffidabile in fase difensiva, forse buono per il calcio di qualche anno fa. Tonali che si è ridotto lo stipendio di mezzo milione per poter restare al Milan, e poi ha lavorato su sé stesso in modo così radicale che rispetto a un anno fa non sembra nemmeno lo stesso essere umano. È diventato un calciatore iper-dinamico, aggressivo in fase difensiva, ubiquo in quella offensiva, capace di conciliare qualità tecnica e sostanza difensiva come nessun altro centrocampista quest’anno. Tonali che all’ultimo minuto si trova in area di rigore e già questo basterebbe a descriverlo. Lì riceve una sponda di Ibrahimovic in area di rigore; la stoppa con la coscia, fuori equilibrio, e la spinge in rete con la punta del piede, ribaltando una partita che sembrava maledetta. Tonali corre sotto il settore senza maglia e col cuore gonfio, Pioli lo raggiunge in pochi secondi schizzando sul prato dell’Olimpico.
Il Milan era andato subito in svantaggio: alla Lazio era bastato un momento di fulgore di Milinkovic-Savic e Immobile. Uno aveva corso elegante sulla fascia, e servito dentro un cross morbidissimo; l’altro lo aveva segnato con la suola del piede. Era tutto facile mentre per il Milan era tutto difficile: la Lazio che si difende in area di rigore, e la squadra di Pioli che sbatte sui limiti offensivi di quella fase di stagione. L’imprecisione sotto porta di Leao, la staticità di Giroud, l’assenza di Brahim Diaz, Messias che si sbatte ma che oggettivamente è troppo poco - a un certo punto aveva fatto un’azione alla Thierry Henry, ma aveva tirato fuori di un pelo. Per il Milan sembra impossibile fare due gol, e infatti questo secondo arriva attraverso un esercizio testardo di forza di volontà: Rebic, uno dei giocatori più negativi di quest'anno, che recupera palla in pressing, Ibra che non si muove più, ma che anche da fermo riesce a fare assist perché nessuno riesce a spostarlo, e infine Tonali che pare la manifestazione in campo di qualcosa di più grande di lui. Due settimane dopo, contro il Verona, il Milan va di nuovo in svantaggio di un gol: Tonali ne segna tre, di cui uno annullato, per ribaltare il risultato con una forza spaventosa. A fine anno Tonali ha preso l'abitudine di inserirsi in area e di segnare come non aveva mai fatto, aggiungendo dal nulla una nuova qualità nel suo repertorio, che pare infittirsi di settimana in settimana. Un giocatore e un ragazzo che sembra contenerne molti altri, e che per questo è speciale.
Milan - Fiorentina 1-0 - 01/05/2022
La partita di andata, giocata a Firenze a fine novembre, era stata un disastro per il Milan. Sotto di due gol a fine primo tempo sotto di tre a inizio del secondo. Poi ci aveva pensato Zlatan Ibrahimovic, con una doppietta che li aveva rimessi in piedi prima che Theo Hernandez si facesse togliere palla dribblando al limite dell’area e la Fiorentina segnasse il gol del 4-2 (la partita è finita 4-3 con un altro gol di Ibra, si insomma procurato da Ibra con un colpo di testa che sbatte sulla traversa e poi sulla coscia di Venuti sulla riga di porta. Era un Milan fragile, con una rosa che pareva troppo corta per ambire a grandi traguardi, che prendeva gol con un’ingenuità disarmante - soprattutto il primo, con Tatarusanu a cui sfugge la palla in uscita, su angolo, e Gabbia (quel giorno in coppia con Kjaer) che non spazza nel cuore dell’area piccola.
Sei mesi dopo il Milan è più o meno lo stesso, ma è profondamente diverso. Certo resta il trauma di quella partita e ci si chiede se stavolta la squadra di Pioli reggerà l’intensità e la verticalità di quella di Italiano. Oltretutto pochi giorni prima, nel recupero infrasettimanale, l’Inter ha fallito la possibilità di prendersi il primo posto in classifica, perdendo 2-1 a Bologna, e così la partita con la Fiorentina è diventata improvvisamente una delle più importanti di tutta la stagione. Quella che il Milan deve assolutamente vincere se vuole pensare di vincere davvero lo Scudetto.
Il Milan parte forte e crea molte occasioni nel primo tempo (tra cui un gol annullato a Theo Hernandez), Leao incenerisce più volte Venuti (che Italiano sostituisce a fine primo tempo) e anche se rischia qualcosa in transizione la sensazione è che sia tutto sotto controllo. Quando però, passata la metà del secondo tempo, dopo aver mancato di poco altre occasioni e dopo che Maignan ha salvato un gol quasi fatto di Cabral, a San Siro inizia a serpeggiare la sensazione che finirà con un pareggio, se non peggio. A dieci minuti dalla fine, però, Terracciano pressato da Ibrahimovic prova un filtrante in direzione della metà campo che finisce tra i piedi di Leao. Leao punta immediatamente Milenkovic, rientra sul destro e tira sul primo palo. Da dietro lo stavano recuperando Martinez Quarta e Amrabat, ma Leao è stato troppo rapido e deciso nell’esecuzione del suo gesto.
Il Milan è uscito dalla partita con la Fiorentina con la consapevolezza di essere una squadra generosa e ricca di risorse, con delle certezze tecniche ben precise (la difesa Tomori-Kalulu, Maignan subito dietro, Tonali e Leao) e che anche in una partita in cui spreca molto può trovare un momento per vincerla. Un anno fa era una squadra bella a tratti ma fragile molto spesso, ormai è una squadra velenosa, letale, a cui basta pochissimo per piegare la partita dalla sua parte.
Milan - Atalanta 2-0 - 15/05/2022
San Siro è come tutte le altre domeniche. Le sciarpe annodate con intimità e indifferenza ai trenta gradi, lo sciamare di piccoli gruppi di persone tesi ma allegri, l’odore di grasso che sfrigola sulle griglie dei paninari, la musica cafona universale. Eppure aleggia una strana gravità, di quando il mondo è in bilico tra il dramma e la festa. È l’ultima partita in casa della stagione, in molti hanno comprato il biglietto con mesi di anticipo senza immaginare quanto sarebbe diventata importante. In fila per la birra due coppie di amici, uno parla della sua fidanzata con gli occhi a cuoricino: «Mi ha detto “Per il compleanno voglio solo una cosa, Milan-Atalanta”. Ed eccoci qua». I venditori di maglie gridano esasperati che quelle di Tonali sono finite. In effetti la indossano in tanti, e un uomo regge uno stendardo con la sua figura in piena ascensione, tra le nuvole, e il motto: “Sandro subito”.
È la penultima di campionato ma forse l’ultimo vero scoglio. Nei discorsi pre-partita la forza dell’Atalanta muta forma e proporzioni assecondando i vari livelli di ansia e paranoia. Se da un lato è una versione minore della squadra d’argento vivo degli ultimi anni, dall’altra è pur sempre una delle squadre più intense e tatticamente preparate dell’intero campionato.
Tutto era cominciato con l’Atalanta. A dicembre del 2019 la “Dea” indossava maglie verdi con disegnato sopra un albero di natale, e a dispetto dell’aria da impiegati di un vivaio, avevano rifilato cinque gol al Milan di Pioli. L’undici di quel giorno: Donnarumma, Rodriguez, Conti, Musacchio, Romagnoli, Bonaventura, Bennacer, Kessié, Calhanoglu, Leao, Suso. Solo Kessié e Leao ripartono titolari stavolta; mentre nell’Atalanta non ci sono né Ilicic né Gomez, che due anni e mezzo avevano danzato sui cadaveri del Milan. Dopo quella partita Zvonimir Boban ha telefonato a Zlatan Ibrahimovic, come nei film: il vecchio eroe in pensione richiamato per salvare la terra proprio quando la situazione è più disperata. Il ragionamento è ai limiti del pensiero magico - una squadra con Ibra non perde 5-0 - ma funziona.
Naturalmente nessuno dice nulla, ma tutti nella loro testa dipingono lo scenario. Se il Milan vincesse a quel punto gli basterebbe anche solo un pareggio a Reggio Emilia, contro il Sassuolo, contro una squadra non certo nota per il suo carattere, che non avrà nulla da giocarsi, in uno stadio perfetto per l’occasione: un vaso vuoto pronto a riempirsi di rossonero.
Per 45’ non succede niente. Durante la pausa le persone si muovono nervose fra i settori, cercano di ricordare qualche azione che dia speranza, ma è difficile uscire da un certo vuoto. L'Atalanta non ha scintille, ma ha la forma grigia, tosta e ministeriale di quest'anno: una squadra che in assenza di troppo talento ci tiene a vender cara la pelle. Forse ci sarebbero voluti due giorni per segnare. Il Milan ha disimparato ad andare in vantaggio nel primo tempo, è dal 15 aprile, contro il Genoa, che non succede. I tifosi possono incoraggiarsi dicendosi che in fondo va tutto secondo i piani. Nel secondo tempo la Curva Sud comincia a cantare sempre più forte e, come un incantesimo sonoro, il Milan diventa più pericoloso, più convinto. Il campo sembra andare in discesa verso la porta di Musso.
Il gol arriva con veramente poco. C’è una breve finestra di incertezza, mentre Pessina reclama il fallo e i ventidue in campo sono presi nel mezzo tra fermarsi e giocare. Tomori serve Messias, che scalcia la palla in avanti come in un approccio golfistico, mirando all’approssimazione più che alla precisione assoluta. Leao e Koopmeiners corrono fianco a fianco, la palla è difficile da controllare ma Leao ha l’intuizione di portarsela avanti con la fronte e a guadagnare un vantaggio sull’avversario che ha tutta l’intenzione di sfruttare. Rallenta e si prende tutto il tempo per un tiro furbo, che resta basso e finisce tra le gambe di Musso. San Siro frana verso Leao, che invece si ghiaccia nel balletto calmo di chi pare vivere sempre in diretta su Tik Tok. Quel gol è stato una liberazione, ha detto Pioli.
Il Milan si rifugia calmo e sicuro nella sua difesa, consapevole che ha sempre giocatori in grado di correre per metri senza farsi prendere. Uno di loro è Theo Hernandez, che riparte dopo uno strepitoso recupero di Krunic su Boga. Riparte come su una moto d’acqua, portando palla con l’esterno sinistro e riaggiustando la corsa ogni tanto con l’interno destro - come quando si va a capo con la macchina da scrivere. L’energia di Theo è straripante, il campo piccolo, e percorrerlo in linea retta sarebbe noioso. Comincia a correre a zig zag, andando prima verso il centro, poi tornando verso l’esterno. Prende la strada lunga perché sa che può permetterselo, e che prendendo quella lunga per gli altri sarà più difficile stargli dietro. Va a una velocità tutta sua, che gli avversari nemmeno capiscono. Due giocatori dell’Atalanta finiscono per scontrarsi tra loro come in un fumetto scritto male. Nello stadio monta un brusio di sorpresa e sospensione, prima del tiro a incrociare con cui Theo incorona la propria azione. È una partita manifesto per il Milan: la solidità difensiva, la convinzione che prima o poi le cose finiranno per aggiustarsi, e due gol di due giocatori che sanno strappare il velo dei match in qualsiasi momento.
Ai microfoni Pioli celebra la pazienza e la convinzione con cui la squadra coglie queste vittorie, lasciando che le partite maturino. «I miei giocatori sono stati bravissimi a cercare la soluzione adatta, non perdere lucidità e soprattutto crederci sempre. Le partite precedenti ci hanno insegnato che stando in campo con idee, volontà e spirito abbiamo le qualità per poter vincere. Le vittorie ci hanno dato fiducia e consapevolezza nei nostri mezzi».
Milan - Sassuolo 3-0 - 22/05/2022
Oggi ci sembra tutto facile e scontato, un epilogo ineluttabile. Eppure quanto è andato vicino, davvero, il Milan, a sbandare proprio nell’ultima curva?
Sembrava tutto apparecchiato per il trionfo. Lo stadio di Reggio Emilia pieno, i biglietti esauriti in venti minuti col sito del Sassuolo al collasso. Quando tutto sembra apparecchiato per il trionfo, la puzza di tragedia si sente più forte. Non per un pensiero razionale ma per quello invece magico, per cui è proprio quando senti il successo vicino, che è quando stai per perdere tutto. Perché è quello il momento in cui la paura di perdere tutto è più forte. È difficile, ma se succedesse, beh, la prospettiva sarebbe terrificante: una rincorsa lunga un anno (ma forse anche due, tre, dieci) incenerita. L’Inter che festeggia il campionato a San Siro, scacciando il rossonero dalle piazze già semi-riempite.
Quando il Milan sbaglia tre semplici occasioni in tre minuti sembra tutto tragico e maledetto. Lo sembra per un attimo, una breve finestra di oscuro pessimismo che oggi ci sembra lontana e ridicola.
Perché quelle tre occasioni ravvicinate non erano l’inizio di una maledizione ma il sintomo della differenza di intensità mentale che c’era in campo tra il Sassuolo e il Milan. Leao è in una di quelle giornate in cui vola mentre gli altri camminano. Si infila in spazi di campo che non sembrano esistere fino al momento in cui non li crea lui. Mette cross in mezzo che alla prima occhiata sembrano casuali, e che al replay restituiscono la visione che li precede. Attraverso la propria forza, le proprie sicurezze, il proprio talento, il proprio coraggio, il Milan ha dissolto tutti i fantasmi. Senza scaramanzia, Pioli ha iniziato la sua danza a bordo campo con ancora dieci minuti da giocare, per la prima volta davvero “On fire”, senza freni, come se il coro che i tifosi gli hanno cantato con un minimo di ironia per tutto l'anno - trasformandolo in un rito laico di grande commozione - dovesse infine realizzarsi del tutto solo in quel momento, in quel tripudio finale.