
In un calcio dall’ascensore sociale perennemente guasto come quello italiano, fare quello che ha fatto il Bologna è un’impresa. Era da tempo, infatti, che una squadra al di fuori del solito circolo (le strisciate, le romane e il Napoli) non riusciva a portare a casa un trofeo. Nel nuovo millennio, ad eccezione della Fiorentina nel 2000/01 (che però godeva di uno status certamente diverso da quello di oggi), tutte le volte in cui una possibile outsider si è affacciata alla finale di Coppa Italia, ha finito per veder spegnersi il proprio sogno: è accaduto alla Sampdoria nel 2009, al Palermo nel 2011, alla Fiorentina nel 2014 e nel 2023, e all’Atalanta nel 2019 e nel 2021. Sembrava fosse un po’ nella natura cinica del nostro calcio che non potesse esserci spazio per nuovi vincitori.
E invece il Bologna è riuscito a sfatare il tabù e lo ha fatto con una certa autorevolezza: niente colpi di scena, niente sofferenze, nonostante un po’ di braccino nel finale. I rossoblù hanno trionfato al termine di una partita in cui la convinzione nei propri principi ha permesso loro di rimanere costantemente in controllo, contro un Milan che le poche idee che aveva su come colpire non ha mai saputo metterle in pratica.
Le due squadre sono scese in campo senza grandi sorprese rispetto all’ultimo periodo. I rossoneri si sono affidati al 3-4-3 che ne ha migliorato i risultati nelle scorse settimane, con Jimenez schierato a destra da esterno a tutta fascia, e la difesa composta da Tomori, Gabbia e Pavlovic. Rispetto alla partita di sabato scorso, Fofana e Reijnders hanno ripreso il loro posto in mezzo al campo, mentre in avanti, come mezzapunta sinistra, invece di João Felix ovviamente c’era Leão, che partendo più stretto lasciava la corsia laterale a Theo Hernández.
Nel 4-2-3-1/4-3-3 del Bologna, rispetto ai soliti nomi, la novità era Fabbian titolare dal primo minuto, nella posizione di trequartista/mezzala sinistra. In avanti Castro si era ripreso il suo posto.
Il canovaccio tattico della gara sembrava chiaro già dalla vigilia, e infatti non ci sono state sorprese. Il Bologna ha scelto di aggredire in alto pressando uomo su uomo, mentre il Milan ha mantenuto un blocco medio, volto a schermare il centro.
Quello dei rossoneri, come abbiamo visto in queste settimane, soprattutto nelle semifinali di Coppa contro l’Inter, era un 3-4-3 solo di facciata. Sulla costruzione del Bologna, infatti, la squadra di Conceiçao si sistemava con un 4-2-4, con Jimenez ala destra, Pulisic e Jović punte e Leão ala sinistra. Dietro, di conseguenza, Tomori diventava terzino destro, con Gabbia e Pavlović centrali e Theo terzino sinistro. Solo quando arretrava in blocco basso la struttura del Milan passava ad avere effettivamente tre centrali, con una difesa a 5 in cui Jimenez diventava terzino destro e Tomori stringeva da terzo di destra, con Gabbia centrale e Pavlović terzo di sinistra.
Il fatto di abbassarsi e quindi cambiare disposizione al Milan è successo spesso nella partita di ieri, perché difatti il Bologna ha costretto quasi sempre i rossoneri ad arretrare. Decisiva, in questo senso, la complicità del Milan. Come detto, Conceiçao ha rinunciato al pressing aggressivo per sistemarsi inizialmente in un blocco medio. I difensori del Bologna, quindi, erano liberi di alzare la testa e giocare il pallone.
Con gli esterni Jimenez e Leão che preferivano schermare il centro invece di tagliare il collegamento tra centrali e terzini, la palla poteva arrivare facilmente sulle fasce: si attivavano le catene laterali, e il Milan così era costretto ad arretrare. In particolare, sulla fascia sinistra dei rossoneri capitava che Leão si alzasse sul centrale Beukema. All’olandese bastava appoggiarsi lateralmente al terzino Holm e a quel punto il Milan non poteva fare altro che arretrare, dato che, con Leão su Beukema, Holm rimaneva libero. Con Ndoye e Orsolini sempre alti e aperti, i terzini del Milan, Theo e Tomori, non potevano difendere in maniera più aggressiva e dovevano aspettare bassi. I due mediani del 4-2-4 avevano più difficoltà a scalare sull’esterno, e allora il Bologna è diventato padrone del campo: la costruzione in fascia arrivava a Orsolini e Ndoye che, puntando i diretti marcatori, costringevano la difesa del Milan ad abbassarsi ulteriormente a presidio della propria area.
Non che poi i rossoblù vi abbiano ricavato molto, visto che le azioni si sono risolte in cross respinti dalla difesa. Tuttavia, il fatto di aver costretto il Milan ad abbassarsi, faceva sì che tutto il Bologna si alzasse in blocco, e quindi sulla respinta della difesa era facile riaggredire e mantenersi nella metà campo avversaria.
Le scelte del Milan in fase difensiva e l’intraprendenza del Bologna, con la minacciosità di Ndoye e Orsolini, e il coraggio del resto dei compagni nell’accorciare in avanti, hanno pertanto consegnato il contesto tra le mani della squadra di Italiano. La passività dei rossoneri spesso è stata tale che il Bologna poteva trovare direttamente Orsolini e Ndoye con una sventagliata dalla difesa: chi impostava poteva giocare a palla scoperta, e quindi, con la giusta precisione, poteva lanciare direttamente sulle ali.

Il dominio territoriale ha pagato a pochi minuti dall’inizio del secondo tempo, quando il gol di Ndoye ha regalato la coppa al Bologna. Dopo aver sprecato una transizione, il Milan invece di riaggredire ha scelto di risistemarsi lentamente.

Con Leão che rientrava a passo lento e Theo bloccato da Orsolini, Freuler si è abbassato sul fianco di Reijnders e ha ricevuto da Ferguson completamente libero di giocare il pallone.

Il Bologna a quel punto ha mosso palla con un cambio gioco e Ndoye, puntando Jimenez, ha costretto i rossoneri a ripiegare intorno ai sedici metri. Come spesso era accaduto nel primo tempo, il Bologna ha cercato il cross, la difesa ha respinto, ma i rossoblù hanno raccolto facilmente la palla e sono saliti in massa sulla trequarti.
La palla è ritornata a destra, dove Freuler nel corridoio intermedio ha iniziato a condurre. Reijnders aveva provato ad alzarsi su di lui, ma lo svizzero lo ha preso in controtempo. Davanti ai difensori, allora, era rimasto il solo Fofana, sul cui fianco è spuntato Fabbian. A quel punto, una lettura disastrosa di Pavlović è stata decisiva per il gol. Quando Fabbian si è girato, sul centro sinistra della difesa del Milan c’erano Castro e Orsolini, piazzato a metà tra Pavlović e Theo. Su Castro, giustamente, era pronto a uscire Gabbia, che avrebbe così lasciato Orsolini a Pavlović. Il serbo, che come abbiamo visto diverse volte in questa stagione ha come unico riferimento solo l’avversario e mai anche la palla e lo spazio, ha deciso di uscire anch’egli su Castro: alle sue spalle, quindi, è rimasto Orsolini, libero sul lato interno di Theo.
Quando la palla è filtrata sui piedi di Orsolini, Theo è riuscito a intervenire in scivolata, ma con la difesa rossonera sull’orlo del precipizio la spazzata è finita sui piedi di Ndoye. Con una freddezza glaciale, che avrà fatto palpitare tutti i suoi tifosi, lo svizzero si è sistemato con calma il pallone e ha calciato in porta.
È stato il giusto premio per la squadra che più ha desiderato il gol, che più ha fatto per ottenerlo. Il Milan, invece, ha pagato il suo atteggiamento: difendere un po’ più in basso non significa difendere in maniera passiva. Presidiare gli spazi in maniera così flemmatica, invece, significa consegnarsi agli avversari.
Costruito l’1-0, a quel punto diventavano decisivi la risposta del Milan e il modo in cui il Bologna avrebbe gestito il vantaggio. Se la prima, in realtà, non c’è stata, perché il Milan col pallone si è dimostrato statico e poco ispirato (come sempre in questa stagione, e soprattutto con Conçeicao), il Bologna ha gestito con una maturità che forse non ci saremmo aspettati.
Quando al 70’ circa Italiano ha sostituito Orsolini, in molti devono aver pensato che si trattava del cambio che avrebbe riportato in partita il Milan: è quello che succede, di solito, quando rinunci al tuo miglior giocatore in maniera prematura. Invece, il Bologna ieri sera non ha conosciuto sofferenza. Non che sia mancata un po’ di paura ai giocatori rossoblù, anzi: spesso, recuperata palla, invece di gestirla con calma i giocatori di Italiano se ne sono liberati, oppure hanno verticalizzato senza motivo, anche quando non c’era pressione: era normale che una squadra alla sua prima finale reagisse così.
Per il resto, Italiano e i suoi non hanno tradito. Non sono state solo le scelte di passare alla difesa a 5 o di abbassarsi a fare la differenza, ma soprattutto il fatto di aver continuato a difendere in modo attivo anche con un baricentro più basso e di aver mantenuto un elevato impatto fisico grazie ai cambi: su duelli aerei e seconde palle non sembrava esserci partita per il Milan. È vero che Italiano ha adottato un atteggiamento più prudente rispetto ai minuti conclusivi delle altre finali che aveva perso, ma è vero anche che il tecnico siciliano, stavolta, sulla sua strada non ha trovato difensori che sembravano provassero piacere a commettere degli errori: Beukema e Lucumí hanno dimostrato una tenuta di tutt’altro livello rispetto a Igor o Milenković, come detto aiutati anche da un contesto più favorevole.
E poi, nel momento in cui c’era da proteggere il risultato, alla solidità complessiva della squadra si è aggiunta la sapienza di Odgaard con la palla: il danese ha fornito uno sbocco sicuro, e a differenza dei suoi compagni non ha tremato, tra protezioni e dribbling con cui ha guadagnato secondi preziosi.
Alla fine, tra un’inquadratura di Cesare Cremonini e l’altra, il Bologna è riuscito a portare a casa un trofeo in maniera più che meritata: sarebbe bello se la formula della Coppa Italia cambiasse per favorire risultati del genere. Sarebbe bello, però, se anche più squadre come il Bologna e più allenatori come Italiano dessero priorità alle Coppe: i piazzamenti sono importanti, certo, ma arrivare a giocarsi qualcosa è il modo più alto di dare forma al senso di comunità intorno a una squadra. Figuriamoci, poi, vincere davvero.