Un anno fa, nella seconda metà del mese di gennaio, il Milan di Pioli si è ritrovato a vivere un paio di settimane di grave incertezza. In casa, contro lo Spezia, una decisione sciagurata dell’arbitro Serra aveva trasformato una vittoria sofferta in una sconfitta cruciale nella rincorsa all’Inter. Qualche giorno dopo, uno scialbo 0-0 contro la Juventus aveva confermato l’impressione di un periodo d’appannamento. La partita successiva, il derby del girone di ritorno, per l'Inter aveva i contorni del match point. I nerazzurri avevano effettivamente dominato la partita, sembravano di un altro livello rispetto al Milan. Poi, però, le sostituzioni di Inzaghi e la doppietta di Giroud avevano stravolto completamente la gara e il resto della stagione.
A un anno di distanza, Pioli e i suoi ritrovano una situazione familiare: una serie di partite poco brillanti e la prospettiva di un derby nel giro di pochi giorni. Purtroppo per il Milan, però, stavolta la corsa scudetto sembra definitivamente tramontata e, quel che è peggio, i cattivi risultati non sembrano una perturbazione passeggera, ma lasciano intuire una crisi ben più radicale nel gioco e negli interpreti.
Già prima dei Mondiali, c’era stata qualche difficoltà di troppo. Lo 0-0 con la Cremonese, ma anche le vittorie con Fiorentina e Spezia, giunte solo nel finale (quella con la Fiorentina in maniera abbastanza casuale per la verità). Col ritorno della Serie A, l’apparente agio con cui il Milan aveva superato la Salernitana e con cui aveva segnato due gol alla Roma, facevano pensare a una candidatura ancora credibile per lo scudetto. Poi sono arrivati i gol di Ibanez e Abraham negli ultimi cinque minuti di Milan-Roma, che hanno aperto il periodo di crisi più profonda della gestione Pioli.
C’è chi addebita le sconfitte a un cattivo stato di forma dei singoli: Leao sembra inceppato non solo sotto porta, ma anche nei dribbling e in conduzione; Theo gioca col freno a mano tirato, col Lecce per la prima volta in quattro anni la sua presenza è stata dannosa; Calabria non è affidabile come nei giorni migliori; per non parlare, poi, di Tatarusanu, la più grande fragilità della squadra. Eppure, non è solo questione di individualità. La crisi di gioco del Milan, purtroppo, sembra più strutturale.
La spia della crisi: il pressing
L’arma che più di tutte ha contraddistinto l’ultimo ciclo dei rossoneri è il pressing alto. In un contesto di ritmi lenti come la Serie A, la volontà di recuperare subito la palla e di mantenere alti i giri della partita ha reso il Milan prima competitivo e poi vincente. Negli anni, Pioli ha imparato a sfruttare sempre meglio l’aggressività senza palla. Il Milan sapeva quando rifiatare e quando mordere l’avversario sin dai primi passaggi, soprattutto nelle grandi partite. Il fatto che per Lecce, Inter, Lazio e Sassuolo sia stato piuttosto facile battere il pressing del Milan, allora, è la spia più allarmante della crisi. Quattro squadre molto diverse tra di loro hanno tutte trovato il modo di costruire per poi attaccare in campo aperto i rossoneri.
Potrebbero esserci varie ragioni dietro la scarsa efficienza del pressing. Chissà, magari a livello atletico il Milan non vive il suo periodo migliore: un assunto quasi sicuramente valido per Giroud, unico attaccante in rosa, trentasei anni, reduce da un Mondiale e chiamato ad aggredire per primo i difensori, oltre che a spendersi con altri movimenti senza palla. Non si tratta, però, solo di una questione di fiato. Nelle ultime partite gli scompensi in pressing sono stati evidenti. Gli avversari hanno letto bene la strategia di Pioli senza palla e, al contrario, il Milan non ha saputo mai aggiustare i riferimenti, né dall’inizio né a gara in corso.
Con la Lazio, per esempio, i rossoneri non sono riusciti a trovare un modo di arginare Danilo Cataldi. Il metodista nelle squadre di Sarri è il fulcro del palleggio, un fatto abbastanza noto, che porta spesso gli allenatori avversari a scegliere la marcatura individuale. Nella gara dell’Olimpico, all’inizio era compito del trequartista, Brahim Diaz, coprire Cataldi. Partito il giro palla tra un centrale e l’altro, però, lo spagnolo doveva alzarsi per accompagnare Giroud nella pressione su Casale e Romagnoli. Cataldi non era più marcato, ma in teoria sarebbe bastato che Brahim schermasse la linea di passaggio con la corsa per escluderlo dal possesso. Il problema, per il Milan, è che in Italia nessuno meglio della Lazio di Sarri sa utilizzare il terzo uomo. Tante volte uno dei centrali biancocelesti ha verticalizzato per una mezzala o per Felipe Anderson falso nove che, nonostante la pressione di un uomo alle spalle, hanno appoggiato di prima per Cataldi libero, con Brahim concentrato sul difensore. Con questo pattern, la Lazio ha avuto uscite piuttosto facili e, da una posizione centrale ha potuto dare più varietà allo sviluppo del possesso, senza partire direttamente dalle catene di fascia come aveva fatto nelle sfide dello scorso anno.
La soluzione più semplice, per Pioli, sarebbe stata mantenere fisso Brahim sul regista, come ad aprile dello scorso campionato. In ogni caso, però, l’idea di abbandonare Cataldi per schermarlo con la corsa avrebbe potuto funzionare se il Milan avesse reso più scomoda la ricezione delle mezzali o di Felipe Anderson e se Giroud avesse avuto più gamba (o più tempismo) per abbassarsi su Cataldi.
Col Sassuolo, invece, a rimanere senza una marcatura fissa era il terzino destro Rogerio. Mentre Giroud andava sul centrale di sinistra, dalla fascia Rebic stringeva sul centrale di destra Erlic, mantenendo Rogerio coperto con la corsa. Anche il Sassuolo, però, ha saputo utilizzare il terzo uomo: verticalizzazione su uno dei mediani e appoggio di prima a Rogerio tutto solo sulla fascia. Da lì, il Milan era costretto a correre all’indietro contro avversari particolarmente veloci e senza due giocatori eccellenti nei recuperi come Tomori e Bennacer (e magari, se ci fosse stato il difensore inglese, Pioli avrebbe spinto Theo ad alzarsi subito in pressing su Rogerio, accettando l’uno contro uno in difesa; anche qua, però, una contromisura andava trovata, magari abbassandosi per adattarsi a Gabbia, sostituendo Gabbia, oppure trovando un’uscita in pressing diversa su Rogerio, senza pensare che Tonali potesse sdoppiarsi tra lui e Frattesi).
Il pressing alto non è solo una forma di controllo tattico della partita, ma per il Milan è anche una spinta emotiva: la certezza di recuperare subito la palla e di incutere timore negli avversari in costruzione è linfa vitale per i giocatori di Pioli, senza dimenticare la possibilità di colpire con transizioni corte e veloci. Al contrario, correre all’indietro, dover sempre inseguire qualcuno, diventa stancante, non solo per le gambe, ma anche dal punto di vista psicologico.
Il Milan si orienta in maniera forte sull’uomo, ma ultimamente non cerca la parità numerica in pressione alta: il rischio di una scelta del genere è che, contro avversari abili a usare il terzo uomo, ci si ritrovi costantemente a ripiegare. È difficile immaginare di risalire la classifica senza risolvere questo problema.
Il gegenpressing
Il pressing non è stato l’unico difetto del Milan senza il pallone. Nemmeno il gegenpressing, infatti, ha funzionato. Troppe volte i rossoneri si allungano e, persa palla, non c’è nessuno che segua chi corre in avanti in riaggressione. Ne ha parlato in maniera un po’ implicita Pioli, ai microfoni di DAZN, dopo la sconfitta con la Lazio. «Non credo che il problema oggi sia con la palla. Senza palla stiamo diventando una squadra con poche coperture e lì c’è da fare un lavoro più preciso». È lecito pensare che con coperture Pioli intendesse quelle da garantire a chi corre in avanti per riconquistare immediatamente la palla. Proprio contro la Lazio, per esempio, l’atteggiamento della linea arretrata era stato un grave problema, soprattutto sul lato destro, dove rimanevano praterie a disposizione di Luis Alberto.
Nell'azione sotto Hysaj ha recuperato palla dopo una verticalizzazione su Messias. Il brasiliano e i compagni più vicini vanno in riaggressione. Romagnoli ha la palla in posizione di terzino, ma i riferimenti vicini sono tutti bloccati: Messias chiude Hysaj al centro, Brahim marca Cataldi, Tonali si occupa di Milinkovic. Bennacer, che si era alzato, scatta su Romagnoli. Sulla fascia, però, qualche metro più avanti, Luis Alberto è totalmente solo. Su di lui avrebbe dovuto salire Calabria. I difensori, mentre Hysaj recuperava palla, avevano tutto il tempo di avanzare, ma non lo fanno.
Calabria rimane basso, forse perché non se la sente di affidare Zaccagni a Kjaer. Così Romagnoli appoggia a Cataldi che va da Luis Alberto, libero di condurre senza alcun intralcio. Servirà un rientro profondo di Bennacer per tamponare la transizione, ma è sostenibile chiedere ai centrocampisti di sfiancarsi in questo modo?
Contro il Lecce, invece, non solo il gegenpressing ha funzionato poco, ma delle volte il Milan non ha avuto nemmeno modo di attivarlo: intenzionata a cercare subito il lancio per Giroud e Pobega, la squadra si spezzava in due e, senza conquistare il rimbalzo, aveva troppi uomini sopra la linea della palla per riaggredire, così il Lecce poteva attaccare in transizione (se Pobega fosse rimasto un po’ più basso rispetto a Giroud, magari il Milan avrebbe conteso meglio la seconda palla, ma l’ex Spezia si alzava subito accanto alla punta).
I problemi con la palla
Dietro le transizioni subite dal Lecce si cela, in realtà, un altro problema: in questo momento, il Milan ha le idee poco chiare anche con la palla. Una buona transizione difensiva dipende da come si perde il pallone: perderlo come ha fatto il Milan col Lecce, con tanti uomini sopra la linea della palla, senza possibilità di riaggredire ed esponendo la difesa e Bennacer alle ripartenze giallorosse, significa perderlo male. Il che, a sua volta, significa che la fase di possesso non ha avuto un buono sviluppo.
Il Milan di Pioli ha sempre usato i lanci, soprattutto con Giroud: una scorciatoia per sviluppare direttamente sulla trequarti dopo aver preso la seconda palla. Nei momenti migliori, però, la costruzione corta non è mai mancata. Adesso, invece, la squadra di Pioli è rigidissima, e nemmeno i cambi di posizione – come i terzini che stringono – sembrano creare nuove possibilità con la palla. Sulla prima circolazione, i difensori sono lontani tra di loro, nel peggiore dei casi, quando si vuole rinunciare a priori al possesso basso, rimangono allineati. Non c’è molta varietà nei movimenti del Milan sulla costruzione. Per esempio, i centrocampisti non provano a muoversi per far spostare gli avversari e magari liberare la linea di passaggio per un compagno più avanzato. Anche il movimento verso il centro dei terzini ormai sembra troppo meccanico, con Theo troppo presto vicino a Bennacer e quindi bloccato in partenza. L’infortunio di Maignan, ovviamente pesa. Pesa non solo per l’abilità coi piedi del francese, ma anche perché probabilmente i giocatori del Milan si sentono meno disposti a rischiare lo smarcamento in zone così sensibili – sembrano lontane le rotazioni che portavano anche Tomori e Kalulu ad avanzare.
Ultimamente, il Milan trova uno sbocco in costruzione se Brahim si abbassa sul centro destra e con un dribbling risolve lo stallo. Dopo aver saltato l’uomo, però, lo spagnolo è poco lucido e finisce per imbottigliarsi e perdere palla: viste le sue cattive scelte, vale la pena contare su di lui in quelle zone di campo? L’alternativa è Bennacer basso dall’inizio per giocare fronte alla porta a palla scoperta.
Da lì, l’algerino cerca soprattutto la sventagliata per gli esterni, senza praticamente passare mai dal centro. Il Milan gioca per vie interne solo se trova la verticalizzazione per Giroud, che con la sponda attiva i trequartisti. Lui è uno specialista degli appoggi, ma per pescarlo subito i compagni gli recapitano palloni sporchi, non sempre domabili. In più, per farsi vedere Giroud è costretto a muoversi in orizzontale lungo tutta l’ampiezza del campo: ancora una volta, è giusto chiedere a un trentaseienne un lavoro tanto sfiancante tutte le partite?
È una domanda a cui non può dare risposta Pioli, perché di alternative credibili al francese non ce ne sono. I problemi di natura tattica esistono e non sono gli unici che si possono imputare a Pioli. Il tecnico ha dato poco spazio ai giocatori arrivati in estate: tutti profili giovani, con cui di solito lavora bene, alcuni all’apparenza abbastanza adatti alla sua idea di calcio (Vranckx, ma anche Adli per come porta palla). Aprire il capitolo De Ketelaere è difficile, perché per le fragilità mostrate finora sarebbe deleterio, oltre che ingiusto, caricarlo di troppe responsabilità in un contesto tale.
Si è cominciato a discutere di un possibile esonero di Pioli, per dire quanto in fretta possono crollare gli idoli nel calcio. Eppure le colpe dell'allenatore sono limitate, a meno che non si voglia fare qualcosa di riduttivo. Nel Milan sembra essersi rotto il ciclo vitale che lega ambiente, allenatore, società e giocatori. I problemi tattici descritti sembrano solo una conseguenza di una crisi più profonda. Ora, però, che fare?
Su questa fase di Pioli al Milan andrebbero fatte considerazioni di principio. Guardiola diceva che il ciclo di una squadra, di solito, dura tre anni, e che per allungarne la vita bisogna rinnovare la rosa (un po’ quello che ha fatto al City un paio di stagioni fa). Pioli è alla quarta annata di Milan e gli interpreti, bene o male, sono sempre gli stessi. Forse c’è bisogno di nuovi impulsi, caratteristiche nuove che risolvano i problemi attuali, che permettano al tecnico di sperimentare nuove soluzioni e che mantengano alto il livello dell’ambizione. Pioli usava una strana espressione per descrivere l'energia del Milan: la fame di mangiare, come ritrovarla?
Il ciclo di Pioli è in discussione, cambiare guida invece che rinnovare la squadra può essere più economico ma non necessariamente più efficace.