Milan Djuric è così forte di testa che, a volte, non ha neanche bisogno di usare la testa. Al 39esimo della partita con l’Inter, ieri sera, Turati batte un calcio di punizione dall’interno della propria area. Calcia lungo e mira, ovviamente, in direzione di Milan Djuric.
Tra la palla e Djuric ci si mette Asllani, che prova ad andare al contatto e prendere posizione. Djuric allarga il passo e con una leggera ancata sposta in avanti Asllani, togliendolo quel poco che bastava dalla traiettoria del pallone. Poi sfila all’indietro quella stessa coscia sinistra per controllare il pallone, angolandolo in modo che arrivasse a Kyriakopoulos che si era mosso verso l’interno del campo. Quando Djuric stoppa la palla, sembra che una pallina da ping pong abbia colpito un cuscino.
La palla raramente è rasoterra nella zona di Milan Djuric, come se intorno all’attaccante bosniaco cresciuto a Pesaro non ci fosse forza di gravità, come se avesse il potere di sollevarla da terra col solo pensiero. Gioca uno sport a parte, in cui quasi chiunque altro a parte lui fatica. Se si giocasse con palloni ancora più rimbalzanti di quelli in dotazione alla Serie A - per capirci: il contrario dei palloni “a rimbalzo controllato” che si usano nel futsal - Milan Djuric sarebbe probabilmente uno dei più forti al mondo.
Contro l’Inter, Djuric ha fatto sua quasi ogni palla che si alzava da terra, vincendo 15 dei 20 duelli aerei ingaggiati (75%, secondo Whoscored). Prima della sosta, contro la Fiorentina ne ha vinti 11 su 15 (73%). Il che significa - ed è questa la vera eccezionalità - che Milan Djuric qualche duello aereo lo perde anche. Certo, se de Vrij, con uno sforzo supremo riesce a spostarlo e a difendere la propria posizione, calcolando esattamente il punto in cui pallone sta per atterrare, calcolando anche il movimento all’indietro, inarcando la schiena, con cui Djuric riesce ad arrivare su quelli più lunghi, allora sì, magari il duello aereo lo vince lui. Ma nessuno, né de Vrij né nessun altro giocatore in Europa, ha la naturalezza di Djuric nel giocare di testa.
Qui sotto, seppur spinto, Djuric controlla la palla di petto, cadendo come uno stuntman in un western, più per scena che per altro: il suo colpo, tra petto e spalla, non sarebbe potuto essere più preciso.
I duelli aerei sono una parte del gioco del calcio al tempo stesso fondamentale e bistrattata. Sembra ormai lontana l’utopia statistica in cui le squadre migliori non avrebbero più segnato di testa, anche Guardiola in fin dei conti ha comprato Haaland (anzi, la palla lunga per Haaland è stato uno schema frequente per il City, vedi il gol che ha segnato questo weekend) ma è oggettivo che rispetto a venti o trenta anni fa, si ricorre molto di meno al lancio lungo. Alzare la palla da terra significa perdere il controllo razionale, la logica della partita, rischiare di consegnare il controllo del possesso agli avversari. Questo, se non hai un giocatore come Milan Djuric. È come se Djuric fosse l’unico a capire una lingua dimenticata, l’unico, o comunque uno dei pochi rimasti, a poter interpretare le traiettorie aeree e tradurle nel linguaggio comune. Eppure un giocatore con un’abilità speciale nel gioco aereo è visto come un giocatore a metà.
“C’è sempre qualcosa di potente e controintuitivo in un calciatore che gioca meglio con la testa che con i piedi”, scriveva Emanuele Atturo un paio di anni fa in un pezzo dedicato proprio a Milan Djuric. “Qualcosa persino di controculturale, in un’epoca in cui l’efficientazione tattica e statistica ha dimostrato l’inutilità di giocare col pallone per aria”. E poi c’è la questione dei traumi cranici, del fatto che colpire una palla - qualsiasi oggetto a dire il vero - con la scatola cranica, non è salutare.
Proprio per questo le gif di Milan Djuric andrebbero conservate in qualche museo come testimonianza di come colpire la palla di testa non sia solo una cosa brutale, da maschio tossico non-evoluto, bensì un gesto dotato persino di una sua eleganza.
Djuric, come detto, non è forte solo di testa, ma in generale è forte ogni volta che c’è da muovere la palla lontano da terra. Due minuti dopo la sponda di coscia già citata, è Daniel Maldini a vincere un duello aereo a qualche metro da lui, indirizzando la palla nella sua direzione. Djuric controlla col petto e si gira con un sombrero alto e lento che sorprende de Vrij. Poi non ha neanche bisogno di proteggere o controllare il pallone, che gira al volo, di piatto, verso Caprari. I giocatori dell’Inter lo guardano e basta, non ingaggiano il duello come se non ci fosse niente da fare, quando la palla è in aria è roba di Djuric.
Ovviamente Djuric è il re assoluto e incontrastabile delle “spizzate” di quei colpi di testa con cui prolunga la traiettoria della palla dietro di sé, per un compagno che ovviamente, allenandosi ogni giorno con lui, sa benissimo cosa sta per succedere quando vede la palla volare nella loro direzione.
Djuric è incredibilmente preciso in questo tipo di giocate. È quasi misterioso il modo in cui, pur non potendo guardare al tempo stesso la palla e la posizione del compagno alle sue spalle, riesca sempre a metterli in contatto. A volte poi sembra che ci arrivi in extremis, con la punta della testa, giusto perché è altissimo, e invece ci arriva nel modo in cui vuole lui, col tempo che vuole lui, e la palla arriva precisamente sui piedi del suo compagno.
In una newsletter risalente a qualche mese fa, in un momento molto positivo dal punto di vista realizzativo, già elogiavo Djuric e il rapporto magnetico che sembra avere con le palle alte, dicevo che è “come se la palla scegliesse, tra tutte le teste che ci sono in area, proprio la sua. Ma è Durić che la va a cercare, che sa sfruttare il vantaggio della lunghezza del suo corpo, della pesantezza, dell'affilatura dei suoi spigoli, un gigantesco tagliacarte, una frusta umana pronta ad abbattersi sul pallone crossato”.
Cose più o meno vere - come tutte le altre scritte qui sopra - solo quando le cose vanno secondo i piani, perché nessuno è perfetto, neanche Milan Duric quando colpisce di testa. Ma quando a Djuric riesce una spizzata, è davvero un gesto tecnico che rasenta la perfezione. Ed è tanto più bello da vedere quanto è raro. Là dove gli altri centravanti sono in difficoltà, o comunque non del tutto a proprio agio, là dove gli altri giocatori aspettano solo di poter rimettere la palla a terra, Djuric esprime un’efficacia e una visione di gioco da numero dieci. Sempre in quella newsletter lo definivo “il De Bruyne dei colpi di testa”.
Per ora, con meno di duecento minuti giocati da inizio stagione, Milan Djuric è già il giocatore con più duelli aerei vinti in media (11.80) secondo Statsbomb, battuto solo sul totale da Yerri Mina. Lo scorso anno, nel periodo al Verona, ne vinceva sempre più di tutti (10.43) e tra i giocatori con almeno mille minuti ha preso anche il secondo posto di questa classifica nel periodo a Monza (7.03).
Ma non può essere una questione puramente statistica anche solo perché per colpire la palla di testa hai bisogno di qualcuno che te la lanci. Non è un gesto autosufficiente come il dribbling, che dipende dalle proprie letture come i filtranti o i gesti difensivi. Se ognuna di questa cose dipende in parte anche dallo stile della squadra, il colpo di testa è quello che più influenza e dipende dalla strategia, dalle idee dell’allenatore, e dalla fiducia dei compagni. Djuric, inutile dirlo, ispira molta fiducia. La stessa fiducia che ispirava il muro, quando eravamo ragazzini, e non avevamo nessun altro a cui passare la palla.
Contro l’Inter, il Monza ha segnato uno splendido gol di testa. Ma è stato Dani Mota Carvajo a metterla dentro, fiondandosi dietro a Djuric e De Vrij su un cross morbido di Armando Izzo, con Pavard che ha letto l’azione in ritardo. Per ora l’unico suo gol in campionato Djuric lo ha segnato di piede, contro la Fiorentina, con un movimento sul primo palo che avrebbe benissimo potuto portare a un colpo di testa. Anzi, il modo in cui Djuric calcia, con una certa legnosità, tradisce l’imbarazzo di dover usare una parte del corpo meno nobile della testa.
Djuric ha anche fallito la sua unica occasione della partita con l’Inter di testa. Ha stranamente indirizzato fuori un pallone che non aveva molta carica, appoggiandolo come se avesse visto male la posizione della porta. Forse Djuric riesce a leggere meglio i movimenti dei compagni, in corsa, in verticale, anziché la posizione della porta. Forse gli manca quella qualità specifica dei grandi centravanti - come diceva Gabriel Omar Batistuta: «Non ho bisogno di guardare la porta, tanto non si sposta».
Il gioco aereo di Milan Djuric è così raffinato e complesso che, a dirla tutta, gli servirebbe una squadra allenata solo per sfruttarlo al meglio. Al 19esimo del primo tempo, ad esempio, vince un duello con Carlo Alberto sul secondo palo, ammortizzando un cross parabolico di Kyriakopoulos. Se solo Pedro Pereira avesse avuto un istinto offensivo più sviluppato, o avesse conosciuto un po’ meglio Milan Djuric, magari avrebbe potuto anticipare Dimarco o quanto meno duellare con lui in area.
Al 75esimo, invece, Milan Djuric mette in difficoltà la difesa interista semplicemente spizzando una rimessa di Turati. La sua spizzata profonda finisce alle spalle di Carlos Augusto: Dany Mota ci arriva a duecento all’ora e recupera la palla, ma sarebbe stato ancora più pericoloso se Pessina avesse intuito prima cosa stava succedendo e avesse corso sulla linea difensiva dell’Inter un attimo prima.
Chissà come giocherebbe una squadra interamente costruita sull’abilità aerea di Djuric, una squadra che lo consideri come la sua stella. Djuric è sempre il piano B, la scialuppa di salvataggio su cui fa salire una squadra quando tutto il resto non funziona. È come una medicina, come una stampella a cui si appoggiano le squadre che zoppicano, l’idea è che se si potesse fare a meno di giocatori come lui sarebbe comunque meglio.
A 34 anni Djuric finirà probabilmente la sua carriera senza aver mai giocato in una squadra di alto livello. Forse è giusto così, considerando il suo livello quando la palla non è in aria, ma chiedetevi anche a quale squadra in Serie A non farebbe comodo un Milan Djuric almeno per dieci minuti? Magari questo Monza finirà col girare tutto intorno a lui, lo tratterà davvero come una stella? A 34 anni, non è ancora troppo tardi per celebrare come merita il talento fuori scala di Milan Djuric.