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Conclusa la partita e realizzato di aver mandato a monte una qualificazione agli ottavi di finale che venti giorni fa sembrava pura formalità, per i tifosi del Milan è stato naturale prendersela con Theo Hernández. L’espulsione del terzino francese non è giustificabile ed è sembrato uno di quei momenti in cui semplicemente sembra essere stufo di rimanere in campo. Theo si è fatto ammonire una prima volta per pura voglia di mostrarsi maschio alfa, di seminare zizzania nella partita, trascinando platealmente Hadj Moussa per il bavero della maglia all’altezza del centrocampo, senza nessun valido motivo; e poi una seconda volta per simulazione.
Che un giocatore già ammonito non abbia la consapevolezza del danno che rischia di compiere simulando in epoca VAR, indica una sola cosa: quel giocatore non merita di giocare una partita importante come un’eliminatoria di Champions League, perché non è nelle condizioni mentali ed emotive per farlo.
A quel punto, però, il Milan si trovava ancora sull'1-0 e non era proprio il momento di piangersi addosso: contro un avversario di rango inferiore, in una gara fin lì dominata, le condizioni per riuscire comunque a qualificarsi c'erano, se solo si fosse affrontato con spirito e soluzioni diverse il resto della partita.
Per per quanto l'espulsione sia stata decisiva, non è detto che anche con Theo in campo il Feyenoord non avrebbe trovato un momento favorevole. È la storia della Champions League a dirci che queste partite, ad un certo punto, prendono sempre pieghe inaspettate, in cui la squadra che stava dominando si trova improvvisamente in difficoltà: in una competizione del genere le speranze di sopravvivenza dipendono soprattutto dalla capacità di incassare, di reagire agli imprevisti. È ciò che in questi anni ha reso il Real Madrid una squadra così diversa dalle altre in Champions.
Che un episodio sfavorevole potesse cambiare la partita, quindi, era nella natura delle cose, a questi livelli non esiste un dominio incontestato per 90 minuti. Il Milan, quindi, doveva dimostrare di essere pronto ad affrontare turning point sfavorevoli. Doveva saperlo soprattutto Conceiçao che, come ha sottolineato ai microfoni di Sky nel post-partita, al Porto aveva disputato per ben sei volte gli ottavi di finale di Champions League. Purtroppo, però, il Milan ha dimostrato piuttosto il contrario, come d'altra parte era già successo all'andata e come era successo a Zagabria, lì dove il Milan, sempre con errori gratuiti e con un'espulsione ingenua, si è giocato davvero la qualificazione. Ieri, poi, alla difficoltà di ricalibrarsi emotivamente dopo un’espulsione tanto sanguinosa, si sono aggiunti gli errori dello stesso Conceiçao e dei giocatori che sono rimasti in campo.
Insomma, Theo ha fatto una sciocchezza, ma bisogna tenere a mente che questa qualificazione si è giocata su 180 minuti in cui il Milan è apparso spesso in difficoltà, contro un avversario che di certo non era impossibile da battere.
LE SCELTE DEL PRIMO TEMPO
Forse il rimpianto più grande è che la partita di ritorno era stata preparata bene e il Milan aveva trovato le chiavi per qualificarsi senza troppo sforzo. Rispetto all’andata, Conceiçao ha solo sostituito Fofana con Musah, confermando il 4-2-3-1 o 4-2-4 di Rotterdam.
Bosschaart, invece, a centrocampo ha dovuto rinunciare per infortunio al capitano, Quinten Timber, inserendo al suo posto Hugo Bueno, che di professione fa il terzino. Il tecnico olandese, quindi, ha dovuto ridisegnare parzialmente la squadra. Mentre in casa il Feyenoord si era difeso con un 4-5-1, visto che Bueno non è una mezzala ieri gli olandesi in fase di non possesso hanno scelto di sistemarsi con un 4-4-2. Paixão e la punta Redmond formavano la prima linea; alle loro spalle il centrocampo era composto da Moder e Milambo in mezzo e da Bueno e Hadj Moussa sulle fasce. Una scelta che, come vedremo, pur riguardando lo schieramento senza palla, ha avuto ricadute sulla fase offensiva.
Il fattore decisivo nel portare inizialmente la sfida dalla parte dei rossoneri, comunque, è stato il modo diverso di sviluppare il gioco, sfruttando in particolare i difensori o chiunque si abbassasse sulla loro linea. Come all’andata, il Feyenoord ha scelto di aspettare in un blocco medio pronto via via ad abbassarsi verso la propria porta. Il che lasciava i giocatori più arretrati del Milan liberi di impostare. Se a Rotterdam la scarsa intraprendenza dei difensori aveva reso piuttosto comoda la fase difensiva per gli olandesi, ieri sera invece la squadra di Conceiçao ha trovato il modo di sfruttare la libertà concessa dall’avversario. Ad approfittarne è stato soprattutto Malick Thiaw.
Con la prima linea formata da Paixão e Redomnd che non dava fastidio agli uomini in possesso, ma rimaneva semplicemente a presidio dello spazio, i difensori milanisti potevano giocare a palla scoperta. Questo ha fatto sì che, mossa palla per salire a cavallo del centrocampo, Thiaw, il più dotato tecnicamente dei difensori milanisti, potesse alzare la testa e cercare con il cambio gioco Theo o Leão sul lato opposto.
Il fatto che il Feyenoord cercasse di rimanere compatto con la difesa piuttosto alta, inoltre, creava dello spazio da attaccare in profondità. I terzini olandesi sono lacunosi nel badare contemporaneamente al pallone e ai movimenti degli avversari alle loro spalle, così per il Milan poteva diventare facile cercare direttamente il lancio dietro di loro. D’altra parte, è proprio così che è nato il gol di Giménez: su calcio d’inizio Walker ha ricevuto all’altezza della linea mediana e, senza pressione, ha potuto servire il movimento di Pulisic alle spalle di Smal. L’americano si è esibito in un gran controllo e ha appoggiato per l’inserimento di Giménez, fermato in calcio d’angolo. Dal corner seguente il Milan ha trovato il vantaggio.
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Sulla destra il Milan ha cercato in un altro paio d’occasioni questa soluzione. Ad approfittare della possibilità di attaccare in maniera diretta ampiezza e profondità, però, è stato soprattutto Leão, trovato con grande puntualità da Thiaw. Il fatto di aver scelto il 4-4-2, oltrettutto, ha svantaggiato ulteriormente il Feyenoord nel coprire l’ampiezza, perché la squadra era più stretta e impiegava di più a scivolare rispetto al 4-5-1 dell’andata. Se invece di aspettare palla sui piedi Leão dettava il cambio gioco con un movimento, il Feyenoord faticava a stringere su di lui ed era costretto improvvisamente ad abbassarsi: mettere la palla in mezzo da fondo campo permetteva al resto della squadra di accorciare in avanti e di attivare il gegenpressing sull’eventuale respinta della difesa o sul tentativo di ripartenza.
In generale, l’atteggiamento dominante del Milan ha favorito la riaggressione e ha impedito al Feyenoord di ripartire. Questo perché i rossoneri, raggiunta la trequarti, muovevano palla da un lato all’altro e se la perdevano lo facevano in condizioni vantaggiose: merito a destra di un Pulisic sempre lucido nelle scelte, che quando decideva di muoversi verso l’interno per condurre e combinare con i compagni non si faceva mai rubare il possesso e dava il tempo a chi rimaneva dietro di accorciare per essere pronti a riaggredire; e a sinistra di un Leão in grande spolvero per 50 minuti, in cui sembrava in grado di spezzare qualsiasi raddoppio.
A privare il Feyenoord di ulteriori possibilità di ripartire, poi, anche la scelta del 4-4-2: se a Rotterdam Paixão a sinistra era stato decisivo per distendersi in transizione e ricevere i cambi gioco, il fatto di aver posizionato il brasiliano a schermare il centro ha privato il Feyenoord di un riferimento in ampiezza piuttosto facile da raggiungere una volta conquistata la palla: le possibilità di attaccare in ripartenza, quindi, si sono ridotte e questo di per sé ha reso più dominante e sicuro il Milan.
Insomma, i rossoneri erano in controllo totale, il Feyenoord sembrava soggiogato dal punto di vista tecnico ed emotivo. Poi, però, la sciocchezza di Theo Hernández: l’azione che avrebbe dovuto decretare il 2-0 si è trasformata nell’ancora di salvezza per gli avversari.
GLI ERRORI DI CONCEIÇAO
È qui che sono iniziati i problemi per il Milan, e non solo per l'inferiorità numerica. Da quel momento, per dire, la gestione della gara di Conceiçao è stata più che discutibile. Dapprima ha risistemato i suoi in un 4-4-1 con João Felix nell’insolita posizione di mediano accanto a Reijnders, con Musah e Leão esterni.
Poi, tra il 63’ e il 71’ ha inserito Bartesaghi per Pulisic e Fofana per Giménez. In questo modo nel 4-4-1 Musah si è preso il ruolo di esterno destro, mentre a João Felix è toccato fare la punta. Bartesaghi si è sistemato nel ruolo naturale di terzino sinistro. Tutta una serie di scelte punite dal gol del neo entrato Carranza al 72’ e che non hanno pagato in un finale di partita agonico.
Partiamo dal gol. Il Milan ha evitato un pericolo intorno alla lunetta dell’area di rigore e, nel tentativo di guadagnare campo, l’esterno destro Musah si è alzato sul terzino sinistro Smal, il quale però ha subito scaricato per Bueno libero in ampiezza: prima che Walker potesse scivolare su di lui lo spagnolo aveva già crossato per Carranza, il quale si era inserito tra Pavlović (che si era staccato da lui preoccupato dalla presenza di Hadj Moussa sul dischetto) e Bartesaghi, che non aveva saputo prendere posizione.
Tutto ciò lascia delle domande.
Innanzitutto, il 4-4-1 era il modulo migliore per difendere in quel momento? Col Feyenoord che muoveva palla per liberare le ali, il 4-4-1 rossonero era troppo stretto e doveva per forza concedere qualcosa sulle fasce. Visto che gli olandesi puntavano molto sulle corsie esterne, non era forse meglio sistemarsi con un 5-3-1 che avrebbe permesso di coprire meglio l’ampiezza e, contemporaneamente, avrebbe garantito densità al centro?
Dopodiché: Bartesaghi probabilmente ha delle colpe sul gol perché Carranza gli sfila davanti indisturbato, ma il cross era arcuato e potente. Davvero in una situazione del genere doveva metterci una pezza un ragazzo di 19 anni che, fino a ieri, è stato il terzino di una squadra di Serie C che lotta per evitare la retrocessione diretta? Non c’erano altre alternative sulla sinistra? Se si voleva mantenere il 4-4-1, perché non provare a inserire Tomori al centro dirottando Pavlović nel ruolo di terzino sinistro? Il serbo avrebbe il passo per reggere gli uno contro uno e in una situazione come quella del gol avrebbe di certo potuto intervenire meglio di Bartesaghi; anche in fase offensiva, poi, avrebbe dato qualcosa in più con le sue conduzioni rispetto al classe 2005, visto che alla fine Pavlović è stato comunque uno dei pochi a portare scompiglio partendo da dietro palla al piede nei minuti disputati in inferiorità numerica. Ovviamente mi pongo queste domande con la consapevolezza che, a freddo e senza responsabilità dirette, sia tutto molto più semplice.
Credo sia legittimo, però, farsele di fronte a un'eliminazione così dolorosa. C'era bisogno, ad esempio, di rimanere con João Felix punta nei minuti dal 71’ all’83’? Giménez, come sottolineato da Conceiçao nel post-partita, non era in perfette condizioni e non poteva disputare tutta la partita. A quel punto, però, perché non sostituirlo con Abraham? Magari avrebbe dato più peso offensivo.
Lasciare come attaccante João Felix ha penalizzato sia la squadra che il portoghese stesso. Il Milan si è ritrovato senza un riferimento offensivo e non solo non ha potuto lanciare, ma si è anche privato della possibilità di far ricevere la punta spalle alla porta per attivare con le sponde i compagni intorno a lui: João non è quel tipo di calciatore. Costretto ad aspettare in mezzo ai difensori avversari, l’ex Chelsea è uscito definitivamente dalla partita. E quando si è abbassato per provare a toccare di più la palla, il Milan non aveva possibilità di tessere trame verso la porta, perché per la difesa era facile accorciare e negare qualsiasi sviluppo: se già i rossoneri faticano in undici a costruire nello stretto, figurarsi in inferiorità numerica, senza nessuno ad abbassare la difesa e senza sbocchi in area.
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João si abbassa per toccare palla e Fofana sale per dargli una linea di passaggio. Il portoghese lo serve per avviare una trama che sarebbe stata complicatissima, visto che il Feyenoord non ha nessuno di cui preoccuparsi in area e può stringere su di loro. Prima che possa ricevere, comunque, il centrocampista si abbassa su Fofana e gli ruba palla.
Per una squadra con i problemi dei rossoneri, sarebbe stato più consono attaccare in maniera sporca, magari avvalendosi dei duelli aerei di Abraham, che con tutti i suoi difetti avrebbe potuto quantomeno generare del caos. Oltretutto, nelle occasioni in cui il Milan ha messo la palla in mezzo, quasi solo da calcio piazzato, il Feyenoord si è rivelato debole nel difendere i cross sul secondo palo: i margini per colpire, insomma, c’erano.
Invece nulla, di cross su azione non se ne sono quasi visti, gli unici sono arrivati dai piedi di Leão, il che rappresenta un problema: come sempre quando le partite si compromettono, il numero dieci, invece di puntare il fondo, ha iniziato a crossare da fermo, finendo solo per facilitare la vita ai difensori olandesi. Che nessuno al Milan, in sei anni, gli abbia spiegato quanto siano inutili quei traversoni e quanto dovrebbe evitarli, dice molto del modo in cui vengono gestiti la rosa e i suoi giocatori più forti, che invece di fiorire e arrivare al livello dei migliori si sono accontentati di rendere a intermittenza, proprio come la loro squadra: si finisce sempre per adeguarsi al contesto a un certo punto.
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In questa situazione Leão cerca il cross. Il risultato lo potete immaginare.
A differenza di quanto accadde due stagioni fa, quando raggiunse la semifinale, stavolta per il Milan non ci sarà nemmeno una campagna di Champions a nascondere la polvere sotto il tappeto, una polvere che allenatori e giocatori hanno contribuito ad accumulare solo fino a un certo punto.
Ibrahimović, dopo la partita di ieri, ha affermato che per qualità la squadra di quest’anno è due volte più forte di quella dello scudetto. Sembra ignorare, così come chiunque prenda decisioni nel Milan, che una squadra non si costruisce solo collezionando giocatori. Occorre coerenza nella costruzione del progetto tecnico, ma anche una certa cultura societaria e del lavoro: la consapevolezza di dare il giusto peso a certe partite, in modo che a nessuno in una eliminatoria di Champions League salti in mente di simulare con un’ammonizione sulle spalle.