È dalla prima conferenza stampa da allenatore del Milan che Marco Giampaolo chiede tempo per far capire le sue idee: «Il tempo è mio amico e nemico, non conosco scorciatoie». È un concetto che Giampaolo, scelto al posto di Gennaro Gattuso per un cambio radicale nel modo di giocare dei rossoneri, ha ripetuto dopo la sconfitta all’esordio contro l’Udinese e, ancora una volta, prima della sfida col Torino. Nel turno infrasettimanale contro i granata il Milan ha probabilmente mostrato la migliore prestazione delle prime giornate, ma è comunque arrivata una sconfitta, così come nella partita successiva, contro la Fiorentina. Dopo appena 6 partite, 6 punti raccolti e solo 4 gol fatti (la metà dei quali su rigore), il tempo per Giampaolo sembra si stia esaurendo rapidamente, tanto che già si parla del suo possibile esonero.
In queste sei partite Giampaolo ha cercato in tutti i modi di conciliare le sue idee con la qualità del materiale a disposizione: ha cambiato sistema, spostato i giocatori più in difficoltà in diverse posizioni, inserito i nuovi acquisti dopo averli educati ai suoi principi, ma i suoi rammendi non sono mai riusciti a sistemare le scuciture aperte sull’abito che stava provando a realizzare.
Il lento adattamento delle idee ai giocatori, e viceversa
A Udine, all’esordio in campionato, Giampaolo ha schierato forse la formazione più sperimentale ma coerente con le sue idee. Il Milan era infatti sceso in campo con il 4-3-1-2, il sistema che ha identificato Giampaolo negli ultimi anni, seguendo le indicazioni arrivate dalle amichevoli precampionato. Quindi Suso ha giocato da trequartista alle spalle di Piatek e Castillejo, mentre la mezzala destra era Borini. Per sostituire Biglia, infortunato, davanti alla difesa aveva invece giocato Calhanoglu, con Paquetá alla sua sinistra. Giampaolo non se l'era sentita di inserire Bennacer, entrato in gruppo in ritardo dopo la Coppa d'Africa, e aveva preferito adattare a regista Calhanoglu, che in teoria aveva potuto abituarsi alle nuove idee di gioco durante tutta l'estate.
In coerenza con la sua impostazione e con l’importanza data ai suoi principi di gioco, Giampaolo aveva dato fiducia ai giocatori che più aveva allenato.
La prestazione era stata però molto deludente e l’Udinese aveva vinto grazie a un colpo di testa di Rodrigo Becao sugli sviluppi di un calcio d’angolo. Il palleggio rossonero non era riuscito a creare spazi nello schieramento avversario, la palla arrivava con fatica negli ultimi metri e il Milan aveva chiuso la partita senza tirare mai in porta. Suso da trequartista era rimasto scollegato dai compagni e Piatek era sembrato poco a suo agio con i movimenti richiesti da Giampaolo alle punte, in particolare quelli in appoggio alla manovra.
A fine partita l’allenatore milanista aveva anticipato dei cambiamenti per adeguarsi alle caratteristiche dei suoi giocatori offensivi, e in effetti alla seconda giornata, contro il Brescia, Suso e Castillejo avevano invertito la loro posizione: il primo era la punta che si allargava a destra, il secondo era invece il trequartista. Giampaolo stava insomma cercando un compromesso per mantenere il 4-3-1-2 senza rinunciare a Suso, avanzato sul centro-destra per farlo muovere nelle zone che preferisce. Ed era stata proprio un’azione tipica di Suso, un cross da destra che aveva trovato Calhanoglu sul secondo palo, a costruire l’unico gol della partita, vinta 1-0 dai rossoneri.
A sorpresa, a completare il tridente offensivo era stato André Silva, rimasto ai margini per tutta l’estate e a un passo dalla cessione al Monaco, probabilmente perché ritenuto più adatto di Piatek ai movimenti e alle giocate richieste alle punte nella manovra immaginata da Giampaolo. Ancora una volta, comunque, la prestazione della squadra non era stata convincente e solo nei minuti finali, dopo l’ingresso di Piatek dalla panchina, il Milan era riuscito a creare diverse buone occasioni per segnare.
Suso è tornato sulla fascia destra, Castillejo è il trequartista, André Silva gioca decentrato sul centro-sinistra.
Due giorni dopo aver giocato da titolare contro il Brescia, André Silva è stato però ceduto all’Eintracht Francoforte nell’operazione che ha portato Ante Rebic a Milano, un profilo su cui la dirigenza ha ripiegato dopo aver visto sfumare la possibilità di acquistare Ángel Correa. Finora la carriera del croato è stata ambigua: ha avuto esperienze deludenti in Italia (alla Fiorentina e al Verona), ma ha giocato su buoni livelli nella nazionale croata e con l’Eintracht. Per caratteristiche Rebic è però molto diverso da Correa, è impiegabile in diverse posizioni ma è inadatto a fare il trequartista e non ha nel suo bagaglio le giocate in appoggio in spazi stretti che sarebbero servite per sbloccare la manovra milanista.
Lo schieramento offensivo asimmetrico, con un trequartista e una punta che tagliava partendo dal centro-sinistra, mentre a Suso veniva lasciata la libertà di allargarsi a destra, è stato quindi confermato a Verona. A muoversi da trequartista c’era però Paquetá, che per Giampaolo era una mezzala da disciplinare tatticamente, e davanti a lui era tornato Piatek, autore del gol decisivo su rigore. Il Milan aveva vinto 1-0 ma aveva ancora trovato molte difficoltà ad attaccare lo schieramento avversario, chiuso e basso a difesa dell’area dopo aver perso Stepinski per un’espulsione.
Piatek torna in squadra, Paquetá è il trequartista ma viene sostituito alla fine del primo tempo.
Dopo tre partite il Milan aveva mostrato di non riuscire ancora a muovere il pallone con la qualità e i tempi necessari ad aprire spazi e creare occasioni, ma aveva subito un solo gol, e anche se era stata attaccata soprattutto in transizione e da avversari di fascia medio-bassa, la linea difensiva sembrava essersi già adeguata alle idee di Giampaolo, attenta in particolare a tenere alta la squadra, a restare stretta e a restringere lo spazio dietro il centrocampo, e a utilizzare spesso il fuorigioco per interrompere le azioni avversarie.
Poi è arrivato il derby e le partite contro il Torino e la Fiorentina, e anche la stabilità difensiva si è rivelata un’illusione. Messo alla prova da squadre con maggiore qualità per manovrare, il pressing è sembrato ancora poco organizzato e gli errori in fase di possesso hanno esposto le fragilità in transizione difensiva. In tre partite i gol subiti sono così saliti a 7.
Giampaolo sembrava almeno aver trovato una disposizione più stabile per il tridente d’attacco. Nel derby Suso ha iniziato da trequartista dietro a Piatek, schierato sul centro-destra, e a Rafael Leao, che invece tendeva ad aprirsi a sinistra. Poco dopo Suso è però tornato nella solita posizione sulla destra, facendo scivolare Piatek al centro e Leao sulla fascia sinistra. Questo schieramento è stato confermato contro il Torino e poi contro la Fiorentina, due partite che Giampaolo ha scelto di affrontare, per la prima volta, con la stessa formazione.
I titolari scelti da Giampaolo a Torino, confermati nella giornata successiva contro la Fiorentina. Il Milan si è schierato stabilmente col 4-3-3.
Probabilmente l’allenatore rossonero sperava di dare seguito ai segnali di miglioramento mostrati contro il Torino, ma la prestazione contro la Fiorentina è stata così negativa da spingere Giampaolo ad affermare: «Sembrava che la squadra si fosse ritrovata a San Siro a giocare come se non avesse mai fatto un allenamento insieme».
Ostaggi di Suso, nel bene o nel male
Non c’è forse ammissione più dolorosa per un allenatore così affezionato ai suoi principi di gioco, che sta cercando di trasmettere idee ben precise: «Dal primo giorno l’obiettivo del Milan è giocare a calcio, gestire e controllare la partita, avere un possesso palla superiore all’avversario. (...) Dobbiamo avere la capacità di portare più uomini in avanti», aveva ribadito Giampaolo prima della sfida con la Fiorentina.
In questo momento il Milan sembra però molto distante dall’ideale a cui tende il suo allenatore. Quando hanno incontrato squadre chiuse, i rossoneri hanno fatto molta fatica a disordinare le linee avversarie col palleggio e a trovare l’uomo libero alle spalle, ed è anche mancata la capacità di aprire il campo attaccando in ampiezza. L’idea di controllare la partita gestendo la palla nella metà campo avversaria si è quasi sempre tradotta in un palleggio prolungato da un lato all’altro del campo, incapace di trovare profondità e di portare la palla negli ultimi metri in modo pericoloso.
Non è un caso che il Milan abbia numeri abbastanza alti nel possesso palla (56,1% in media, la sesta del campionato) e nella precisione dei passaggi (86,4%), un aspetto che, prima della partita contro il Torino, Giampaolo aveva dichiarato di voler migliorare, ma sia la peggiore squadra del campionato (!) per quantità di tiri in porta: appena 2,7 a partita, in media.
La solitudine di Piatek, il piccolo pallino all’interno del cerchio di centrocampo, nell’ultima partita contro la Fiorentina. Il Milan ha fatto davvero fatica a raggiungerlo e a coinvolgerlo nel gioco.
Nemmeno Giampaolo è sembrato finora in grado di risolvere uno dei peccati originali del Milan, evitare cioè che la circolazione si appiattisca e cerchi con troppa insistenza la giocata risolutiva di Suso, con l’aggravante che il possesso è diventato più prevedibile e fatica ancora di più a creare occasioni rispetto al recente passato.
È vero che l’ingresso in squadra di Leao e Hernandez permette al Milan di avere anche a sinistra due giocatori capaci di sbloccare le situazioni con un’iniziativa individuale (l’impatto avuto da Leao è tra le poche note positive delle prime giornate), ma continua a essere Suso il giocatore che più condiziona la pericolosità dei rossoneri. Inizialmente Giampaolo ha provato a trasformarlo nel trequartista del centrocampo a rombo, forse anche per tentare di arricchire il repertorio dello spagnolo, ma si è presto convinto a riportarlo nelle sue zone preferite, prima schierando un tridente asimmetrico, avanzando Suso per dargli la possibilità di allargarsi a destra senza rinunciare al trequartista e all’opportunità di sviluppare il gioco centralmente, poi passando in modo più definito al 4-3-3, con lo spagnolo nella sua posizione tradizionale sulla destra.
Fuori dalle zone che conosce meglio, Suso non è solo rimasto scollegato dai compagni, ma in più di un’occasione si è anche dimostrato impreciso quando provava a dare continuità al possesso ricevendo spalle alla porta, un problema non da poco per una squadra che ambisce a gestire il pallone nella metà campo offensiva e che si è spesso ritrovata troppo disordinata per assorbire gli errori e interrompere subito le ripartenze avversarie.
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Suso sbaglia il passaggio e Belotti riparte puntando in corsa Musacchio e cercando lo scambio con Zaza. In questo caso non succede nulla, ma sarà proprio da una combinazione simile, anche se molti metri più avanti, che il Toro troverà il secondo gol con Belotti.
Suso continua a condizionare in modo profondo la manovra e gli sviluppi tattici, ma è comunque ingeneroso attribuirgli eccessive responsabilità per lo scarso rendimento offensivo del Milan. Nelle situazioni di difficoltà, quando la squadra fa fatica a portare la palla negli ultimi metri, Suso è il riferimento più sicuro e cercato dai compagni, il giocatore a cui più spesso viene affidata la palla per trovare l’intuizione risolutiva. Nelle prime sei partite lo spagnolo ha creato più occasioni di tutti (16) e doppia il compagno che lo segue più da vicino, a sorpresa Musacchio (che ha creato 8 occasioni), una coincidenza piuttosto rivelativa delle difficoltà del Milan nella metà campo avversaria.
I problemi del palleggio si portano dietro quelli della difesa
Il palleggio rossonero non si è comunque bloccato solo quando doveva aprire spazi in schieramenti chiusi, ma si è mostrato fragile anche quando ha sfidato il pressing alto avversario, una situazione che si è proposta soprattutto nelle ultime tre partite contro Inter, Torino e Fiorentina. Tutte e tre le squadre hanno scelto di contrastare l’uscita da dietro del Milan con un pressing orientato all’uomo per marcare i due difensori centrali e il trio di centrocampo, lasciando inizialmente liberi i terzini, su cui successivamente uscivano gli esterni.
Quando ha provato a risalire il campo palleggiando, il possesso si è spesso interrotto dopo pochi passaggi, per i limiti tecnici di chi impostava a giocare sotto pressione e a trovare il passaggio dietro la linea avversaria e l’assenza di una struttura che moltiplicasse le opzioni di passaggio attorno a chi aveva la palla.
Rodríguez porta palla centralmente e sbaglia il passaggio, ma è un errore condizionato dall’assenza di opzioni attorno a lui. I compagni sembrano poco preparati a dargli linee di passaggio pulite, Romagnoli, ad esempio, avrebbe potuto farsi vedere smarcandosi lateralmente davanti a Lukaku.
Giampaolo era riuscito a dare alla Sampdoria un’uscita dalla difesa molto codificata, con frequenti passaggi tra la linea difensiva e i centrocampisti per attirare la pressione e avanzare in verticale negli spazi aperti dietro le linee avversarie. Al Milan quel tipo di palleggio ancora non si è visto, i collegamenti in zone intermedie per dare continuità al possesso sono spesso difficoltosi e anche l’alternativa del lancio lungo si è rivelata quasi sempre inefficace.
Piatek non si è dimostrato un riferimento affidabile su cui alzare la palla e nelle ultime partite diverse volte i lanci lunghi sono stati orientati su Leao, ma comunque i rossoneri non sembrano avere nelle loro corde l’uscita veloce dalla metà campo e il recupero alto dopo il duello aereo. Forse è proprio per pulire quelle situazioni caotiche che, sulle rimesse dal fondo di Donnarumma, dietro a Piatek è stato spesso piazzato Bennacer (mentre invece le mezzali si abbassano a dare un appoggio al limite dell’area), il centrocampista più abile ad aggredire la palla e poi a conservarla anche sotto pressione.
L’incapacità di uscire in modo pulito dalla metà campo ha quindi originato molte ripartenze con la difesa scoperta e Musacchio e Romagnoli lasciati soli a difendere in spazi ampi, un problema emerso in maniera evidente contro la Fiorentina, abile a punire le leggerezze milaniste con Ribery e Chiesa.
L’incapacità di avanzare in modo pulito, sia contro squadre chiuse che nelle situazioni in cui viene pressato in alto, è forse il principale problema mostrato dal Milan in queste prime giornate e si riflette nei numeri impietosi del suo attacco (solo 4 gol segnati, peggio in Serie A ha fatto solo l’Udinese), ma le ultime partite hanno anche sollevato diversi dubbi sulla fase difensiva.
La squadra di Giampaolo tende a difendersi su tre linee, a pressare alto e a cercare il recupero avanzato per non far rientrare il tridente offensivo, un modo di difendere ambizioso che però richiede un’organizzazione notevole e meccanismi di pressione molto codificati.
Per una strana coincidenza, nelle prime sei giornate il Milan ha sempre incontrato squadre schierate con la difesa a tre, con due esterni a occupare costantemente l’ampiezza e un’occupazione variabile degli spazi centrali per manovrare tra le linee rossonere. L’unica eccezione è stata la partita contro il Brescia, schierato invece col 4-3-1-2.
Tutte le squadre affrontate dal Milan hanno puntato ad attaccarlo con continui cambi di gioco, cercando lo spazio concesso sulla fascia opposta dopo che le linee rossonere scivolavano sul lato della palla, e quasi tutte riuscivano facilmente a consolidare il possesso da dietro, trovando i centrocampisti alle spalle della prima linea di pressione.
Alle spalle del tridente offensivo, incapace di pressare con qualità, il campo da coprire per i tre centrocampisti e la linea difensiva è spesso diventato troppo grande. Più volte, cioè, il Milan ha faticato a scivolare velocemente sul lato della palla, e negli spazi concessi gli avversari hanno trovato con troppa facilità le combinazioni per andare in porta.
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Nel primo caso lo schieramento del Milan è larghissimo e permette ad Aina di trovare Belotti, innescando la combinazione con Zaza che porta al 2-1 del Torino; nel secondo Barella e Asamoah sono liberi a sinistra sul cambio di gioco di Godín. Lukaku sta entrando in area e andrà a girare in porta il cross di Barella.
Sono passate soltanto sei giornate, ma Giampaolo e la dirigenza rossonera sono già chiamate a prendere decisioni delicate. Vale la pena insistere su idee di gioco che non sembrano molto adatte alla rosa e hanno creato problemi praticamente a tutti i giocatori più importanti? E se ci sarà un maggior adattamento al materiale a disposizione ha senso che a portarlo avanti sia Giampaolo, un allenatore scelto proprio per la chiarezza dei suoi principi di gioco? Sono questioni fondamentali, dalle quali dipendono il destino di Giampaolo e il futuro del Milan.