Prima del Derby di Milano, Antonio Conte, riferendosi anche allo scialbo pareggio contro lo Slavia Praga in Champions League, aveva rimarcato che «la vittoria porta positività, entusiasmo, se è una vittoria conseguita nella giusta maniera, e non è una vittoria, tra virgolette, immeritata». L'allenatore salentino sembrava voler dire che non tutti i mali vengono per nuocere, che le delusioni fanno crescere, che gli schiaffi aiutano a sollevarsi: in sostanza, che un pareggio in casa contro lo Slavia Praga sarebbe potuto essere più utile di una vittoria bugiarda perché avrebbe potuto infondere nella squadra «quel veleno» a far salire di livello i nerazzurri. E al fischio finale di Milan-Inter, il quarto Derby vinto dall’Inter in campionato negli ultimi due anni, c’erano pochi dubbi su che tipo di vittoria fosse quella dell'Inter di Conte.
L’Inter ha aggredito la partita con più intensità rispetto al Milan e l’ha conclusa con le idee più chiare. Dopo aver trovato all’inizio del secondo tempo quel vantaggio sfiorato in più occasioni nel corso del primo lo ha amministrato con disinvoltura, concedendo ai rivali cittadini la miseria di 2 tiri in totale nel secondo tempo, entrambi da posizione defilata, nessuno dei quali diretto verso la porta di Handanovic. 1 a 7 è stato il conto finale dei tiri in porta, 5 a 10 quello dei tiri all’interno dell’area di rigore, 1,1 a 1,9 la somma degli xG prodotti, e ovviamente 0-2 il risultato impresso sul tabellino dei marcatori, Brozovic e Lukaku. Proprio i due calciatori che secondo le cronache erano arrivati a un passo dal mettersi le mani addosso dopo il pareggio con lo Slavia.
La presenza di due nuovi allenatori sulle panchine di Milan e Inter costituiva uno dei motivi di curiosità verso questo Derby, sia per la contrapposizione di due stili di gioco diversi, sia per quello che Giampaolo e Conte rappresentano rispetto al momento storico e societario delle due squadre: da una parte la necessità di ripartire dai giovani e da una proposta di gioco divertente, dall’altra l’ambizione di tornare a vincere qualcosa il prima possibile (fermo restando che ovviamente il raggiungimento dei risultati è l'obiettivo primario di qualsiasi allenatore).
Forse proprio per non tradire le attese, le scelte di formazione dei due allenatori sono state fedeli alla loro storia: il 4-3-1-2 di Giampaolo contro il 3-5-2 di Conte. Giampaolo ha quindi riproposto Suso dietro le due punte, così come in tutto il precampionato e poi a tratti nel corso delle prime tre giornate: non è ancora chiaro se l’esperimento sia stato bocciato o se invece sia al centro della ricostruzione tattica del Milan, e questo è uno degli equivoci che spiega le incertezze in cui naviga la parte rossonera di Milano.
La posizione ibrida di Suso ha comunque creato qualche problema iniziale alla difesa dell’Inter, qui lo spagnolo si abbassa sulla fascia sinistra, dove raramente osa spingersi, riceve da Kessié e crea le condizioni per attaccare in parità numerica la difesa dell’Inter.
Conte, invece, ha schierato la formazione titolare, con Barella confermato al posto di Vecino dopo il grande ingresso contro lo Slavia Praga, ma ha dovuto fare a meno di Candreva. Al suo posto ha preferito affidarsi a D’Ambrosio anziché a Lazaro, forse perché si fidava di più della sua interpretazione difensiva - e come vedremo più avanti dall’interpretazione della gara da parte degli esterni sono dipese le fortune dell’Inter. Le percentuali di gioco hanno riassunto bene le differenze stilistiche tra le due squadre: l’Inter è ricorsa più spesso al gioco lungo, il 12% delle volte contro il 9% del Milan, ed è passata con meno frequenza dal centro del campo, in cui conduce il 25% delle sue azioni contro il 31% del Milan.
I primi minuti sono stati caratterizzati da una vivace intensità in fase di pressing da parte di entrambe le squadre, che così schierate avevano la possibilità di disporre marcature a uomo sui centrali di difesa: i due attaccanti dell’Inter su Musacchio e Romagnoli, i tre attaccanti del Milan su Godín, Skriniar e De Vrij. Portando da subito Asamoah e D’Ambrosio a ridosso dell’area di rigore in pressione su Conti e Rodríguez, Conte ha dettato i ritmi di gioco e ha minato le certezze del Milan nell’uscita del pallone. Da un movimento in appoggio di Piatek, che avrebbe voluto servire Chalanoglu ma ha masticato il pallone in direzione di Sensi, è nata la prima vera occasione della partita: un destro secco di Lukaku respinto da Donnarumma.
Intensità e sbavature nei meccanismi di pressing che nel primo tempo hanno anche generato transizioni lunghe e disordine. Poco più tardi, ad esempio, il Milan ha costruito la più grande occasione della sua partita, quando Suso si è ritrovato da solo contro Asamoah in area di rigore dopo settanta metri di corsa palla al piede, con tre opzioni di passaggio ai suoi lati, e ha preso la peggiore decisione possibile. Anche quest’azione è stata costruita sulle stesse premesse, ovvero un contrasto vinto da Suso sfruttando un’incertezza di Sensi sulla trequarti offensiva dell’Inter che ha permesso al Milan di capovolgere il piano di gioco.
In assoluto è stata una partita decisa più dai duelli corpo a corpo e dai contrasti vinti che dalle azioni costruite, e il fatto che l’Inter si sia presa un piccolo vantaggio anche sotto questo aspetto, recuperando 50 palloni di cui 15 nella metà campo offensiva contro i 44 palloni recuperati dal Milan di cui 13 nella metà campo offensiva, è un ulteriore dettaglio a conferma della distanza che ha separato le due squadre in campo. L’Inter ha anche vinto più contrasti, 30 contro 23 del Milan, e ha completato più anticipi, 11 a 9, categorie in cui spicca la prestazione di Diego Godín, che ha vinto 3 contrasti su 3 e completato 2 intercetti.
Limiti e punti di forza dell'Inter
Nel complesso non è stato un Derby spettacolare, sia sul piano delle emozioni, dato che dopo aver ottenuto il vantaggio l’Inter è riuscita agevolmente a congelare i ritmi di gioco, sia sul piano delle grandi giocate, che avrebbero potuto indirizzare in un senso o nell’altro una partita molto bloccata tatticamente.
L’Inter ha tutti i motivi per esultare dopo una vittoria di questo prestigio ottenuta senza grossi patemi, ma il modo in cui è maturata non ha aggiunto o sottratto nulla di significativo rispetto ai punti di forza e di debolezza emersi nelle prime giornate di campionato. I più consistenti margini di miglioramento, e non è una novità di quest’anno, passano attraverso il ritmo offensivo. L’Inter sviluppa il gioco per lo più in orizzontale, riducendo al minimo i rischi, conservando anche una buona precisione nei passaggi (86,3% contro l’87% del Milan), ma ancora con qualche fatica nel creare situazioni di superiorità tra le linee di pressione avversaria.
L’arrivo di Conte ha ulteriormente migliorato l’uscita dal basso dell’Inter, responsabilizzando i tre difensori centrali nella conduzione del pallone e nella ricerca del passaggio filtrante. Il risultato è che Brozovic è chiamato a giocare meno palloni, anche se rimane il giocatore che ne gioca di più, agevolato dal contributo costante dei tre difensori e dai movimenti a sostegno di Sensi che gli permettono di girarsi fronte alla porta e giocare il pallone con più qualità. Solo in un secondo momento subentrano i problemi nel portare il pallone in zona di rifinitura, che coincidono con le difficoltà a trovare Lautaro e Lukaku in verticale, e successivamente a consolidare il possesso.
Una delle rare occasioni in cui Brozovic ha trovato lo spazio centrale verso Lukaku: l’appoggio in questo caso è pulito e Barella e D’Ambrosio si fanno trovare esattamente dove devono per portare l’azione nella metà campo offensiva.
I veri playmaker dell’Inter sono infatti gli esterni di fascia, che rappresentano lo sbocco più immediato per la manovra e quindi il più invitante per le difese avversarie. Tanto il Milan quanto lo Slavia Praga martedì hanno provato a indirizzare verso le fasce i possessi dell’Inter isolando le mezzali con le marcature a uomo, di modo da obbligare Asamoah e D’Ambrosio a tentare il passaggio diagonale verso le punte, che solitamente coincide con un movimento a esca di Lautaro intorno a Lukaku atto a disorientare le marcature. L’Inter ha cercato con insistenza queste soluzioni anche nel Derby senza però ricavarne opportunità: un po’ per i controlli imprecisi di Lukaku, un po’ per l’intesa ancora da affinare tra i due attaccanti, un po’ per la grande densità centrale che il Milan ha opposto, trovando ancora buone risposte dalla coppia Romagnoli - Musacchio.
I giocatori deputati a modificare questo spartito cercando più spesso la giocata in verticale sono stati Brozovic, Sensi e Godín, ma anche loro hanno faticato a trovare opzioni di passaggio pulite dalle rispettive mattonelle, finendo per rifugiarsi sempre più spesso nel lancio lungo verso Asamoah e D’Ambrosio. Nonostante un centrocampo che sembra perfetto per assecondare le idee di Conte, composto da tre giocatori specializzati nel vincere i contrasti e nel lanciare lungo il pallone (10/12 passaggi lunghi completati da Brozovic, 3/3 da Barella, 3/4 da Sensi), l’Inter manca di giocatori che sappiano saltare l’uomo creando spazi per i compagni (5/16 il conto dei dribbling completati, piuttosto magro), e per questo si troverà sempre ad attaccare negli spazi stretti, forzandosi a conquistare piccoli vantaggi tattici che facciano la differenza, come in occasione del secondo gol.
I problemi del Milan
In un certo senso, il Milan ha limiti simili a quelli dell'Inter, mancando anch'esso di giocatori abili a creare superiorità attraverso il dribbling (il conto dei dribbling completati, 9/23, è altrettanto deprimente). A sostegno del lavoro di Giampaolo bisogna riconoscere che il Milan è riuscito a portare con buona continuità il pallone sulla trequarti di campo, trovando soluzioni interessanti: Kessié che si abbassava in posizione di terzino per favorire le sovrapposizioni di Conti e le ricezioni centrali di Suso, il cambio di gioco verso Rodríguez seguito dal taglio profondo di Leão, la riaggressione sulla palla persa come nell’azione del gol annullato a Piatek. Negli ultimi trenta metri ha però mostrato poco, peccando di scarsa lucidità e palesando un’allarmante povertà tecnica.
L’ultimo attacco manovrato del Milan è una buona fotografia dei limiti della squadra di Giampaolo, che sono un po’ gli stessi legati alle precedenti gestioni. Il Milan conquista il possesso attraverso la pressione alta, portando Handanovic a rinviare nella zona di Theo Hernández. Da lì il pallone si muove in orizzontale verso Conti passando per Biglia finché non finisce tra i piedi di Suso, che riceve defilato sulla fascia destra, spalle alla porta, tallonato da Asamoah. In qualche modo lo spagnolo guadagna venti metri di campo e si appoggia su Kessié. A quel punto il pallone torna a scorrere orizzontalmente verso Conti e Biglia finché non finisce di nuovo tra i piedi di Suso, ancora inseguito da Asamoah. Sfruttando ancora l’appoggio di Kessié, Suso riesce a girarsi e a puntare Asamoah uno contro uno, mentre Piatek e Rebic stazionano sul secondo palo in attesa di un cross che arriva a breve, ma è fuori misura e facilmente intercettato dalla difesa.
Giampaolo deve capire innanzitutto come superare quelle lunghe fasi della partita in cui i centrocampisti del Milan si guardano intorno disperati in attesa che Suso si faccia carico di qualsiasi cosa, che si abbassi a prendere il pallone a cinquanta metri dalla porta per condurlo venti metri più in là.
Come sappiamo, Suso non ha l’abitudine di giocare a uno o due tocchi, come anche Calhanoglu, come più o meno tutti nel centrocampo del Milan, e se Giampaolo non sarà in grado di trasmettere queste abitudini come ha fatto benissimo a Empoli e a Genova, il Milan sarà sempre condannato ad attaccare negli spazi chiusi e a sperare nelle giocate estemporanee. È un contesto che non aiuta affatto Piatek, che da parte sua ha provato a variare spartito di gioco ma con scarsi successi, risultando sempre molto impreciso quando ha provato a muoversi spalle alla porta in appoggio al centrocampo.
La fase di possesso del Milan è ancora un cantiere aperto: qui Rodríguez conduce una transizione interessante ma preferisce appoggiarsi a Calhanoglu, anche il turco ignora le opzioni a disposizione e porta il pallone per sette lunghi secondi prima di appoggiarsi a Piatek ingolfato tra i difensori dell’Inter. Il polacco sbaglia il controllo e perde il pallone, nel disappunto di Suso.
Rinnovarsi è una necessità
Per entrambi gli allenatori, in fondo, le migliori notizie sono arrivati dai volti nuovi, e questo è un po’ un segnale di come i percorsi intrapresi da Inter e Milan, per quanto diversi, condividano una certa chiarezza nella direzione strategica e diverse decisioni rischiose che al momento sembrano indovinate.
L’Inter ha ottenuto il massimo da Lukaku, che ha segnato il terzo gol nelle prime quattro partite di campionato italiano ed è stato l’uomo copertina della domenica mattina, ma ha vinto soprattutto grazie al contributo inesauribile di Sensi e Barella. Il primo si è messo in mostra soprattutto nell’azione del palo di D’Ambrosio, grande concentrato della sua capacità di liberarsi tra le linee, orientarsi con il corpo, puntare in dribbling il diretto marcatore abbassando le difese avversarie; il secondo ha servito l’assist per il gol di Lukaku con un cross preciso, in un’azione curiosa per il suo sviluppo.
Un minuto prima del 2-0, Conte aveva inserito Politano al posto di Lautaro, passando ad un 5-4-1 in cui Barella veniva spostato dalla fascia destra alla fascia sinistra, per lasciare a Politano il suo binario preferito. Al centro Brozovic e Vecino potevano contenere le due mezzali del Milan, e a quel punto l’Inter aveva possibilità di sorprendere con i cambi di gioco l’assetto difensivo di Giampaolo, storicamente fragile al momento di scivolare lateralmente da una fascia verso l’altra. È quello che è successo nell’azione del gol, ma non trenta secondi prima, quando De Vrij, scivolando sul terreno, aveva provato a cercare Barella, isolato a sinistra.
Passano 17 secondi tra il cambio di gioco di De Vrij e quello di Godín, un lasso di tempo in cui il Milan resetta la sua memoria tattica della partita.
In quel caso il passaggio del difensore olandese era stato facilmente leggibile e il Milan aveva accompagnato bene l’azione, portando Kessié a stringere verso Barella. Senza spazio da attaccare, Barella era tornato indietro con pazienza mettendo il pallone nella solita cassaforte composta da Skriniar, Brozovic e De Vrij, riportandosi sulla fascia destra, dove Godín ha mandato in crisi per un attimo le linee di difesa del Milan con una finta. E quell’attimo è bastato a rendere Barella, di nuovo isolato a sinistra, per sfuggire a Kessié, liberare lo spazio per la sovrapposizione di Asamoah e servire il cross morbido per il 2-0.
«La leggera differenza che c’è in questo momento tra Milan e Inter è il vissuto, è l’esperienza, è la capacità di alcuni giocatori di giocare partite di livello rispetto ai nostri, ma che comunque il Milan era riuscito a colmare con un atteggiamento anche coraggioso secondo me», ha commentato a fine partita Giampaolo, visibilmente provato.
La sua analisi ha provato a salvare quanto di buono il Milan ha fatto vedere, pur riconoscendo la distanza che separa le due squadre in termini di maturità e di applicazione tattica: «L’Inter è partita con una certa consapevolezza e il Milan dopo dieci, quindici minuti di assestamento è riuscito a portarla su un piano di equilibrio. Poi l’equilibrio è stato rotto da quel calcio di punizione e la reazione non mi è piaciuta. È stata più disordinata, più emozionale, più di impeto. Abbiamo perso le distanze, i giocatori occupavano zone di campo non di loro competenza e poi quando si perdeva palla si subiva contropiede perché non eri preparato a contrapporti».
Giampaolo, insomma, conferma l'impressione che sia stato un Derby deciso dai dettagli e dall’intensità, fisica ed emotiva - quindi sul terreno di gioco ideale per Conte, uno dei migliori al mondo a tenere mentalmente la sua squadra dentro la partita, senza mai un passaggio a vuoto. Dalle parole del tecnico salentino al termine della gara, emergeva in un perfetto riflesso lo stesso senso di superiorità: «Bene l’intensità con cui abbiamo pressato il Milan per la maggior parte della gara. È giusto dare meriti ai ragazzi perché hanno fatto quello che abbiamo preparato e lo hanno fatto in maniera encomiabile, feroce. Secondo me oggi siamo stati più bravi, questo ci deve far capire che se vogliamo possiamo, ci deve far aumentare l’autostima».
Conte ha vinto il Derby e ha capito di allenare una grande squadra, in cui i tre di difesa si completano perfettamente per carisma, abnegazione e talento, e i cui margini di crescita corrispondono a quelli di Sensi, Barella e Lautaro. Giampaolo ha perso il Derby ma ha trovato ancora un buon equilibrio tra difesa alta e transizioni efficaci, e soprattutto ha scoperto Hernández, Leão e Rebic, che possono aggiungere all’attacco del Milan quell’esuberanza fisica indispensabile per trovare nuove soluzioni offensive. Al lotto dei nuovi acquisti manca Bennacer, che forse non avrebbe fatto rimpiangere il Biglia visto ieri sera.
Non è stata una partita spettacolare ma Inter e Milan sembrano destinate a migliorare.