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La Juventus ha rimesso tutto in discussione
07 gen 2021
La squadra di Pirlo senza dominare il gioco ha vinto i duelli individuali e quindi la partita.
(articolo)
12 min
(copertina)
Foto di Marco Alpozzi/LaPresse
(copertina) Foto di Marco Alpozzi/LaPresse
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Il tema delle numerose assenze è stato forse il più discusso prima della partita tra Milan e Juventus. Oltre a Morata, ad Andrea Pirlo all'ultimo istante sono mancati anche Alex Sandro e Cuadrado, positivi al coronavirus. Nel Milan le assenze dell’ultimo minuto di Krunic e di Rebic, anche loro positivi ai tamponi effettuati poco prima della gara, avevano ridotto ulteriormente le soluzioni di Stefano Pioli, specie a centrocampo. Kessié era l’unico centrocampista di ruolo a disposizione, e ad affiancarlo in mezzo al campo nel solito 4-2-3-1 è stato quindi Calabria, che in quel ruolo aveva già giocato in alcune occasioni in passato.

Non è la prima volta infatti che il terzino rossonero viene avanzato a centrocampo. Calabria aveva giocato da mezzala in una partita persa per 1-0 contro la Fiorentina del dicembre del 2018, decisa - coincidenza strana - da un gol di Federico Chiesa, allora allenato proprio da Pioli. Il vuoto lasciato a destra nella difesa del Milan da Calabria è stato quindi riempito da Dalot, schierato nel suo ruolo naturale dopo aver giocato più che altro a sinistra al posto di Theo Hernández in questa prima parte della stagione.

Le assenze ovviamente incidono in modo decisivo sui piani degli allenatori, sulle loro scelte di formazione, sulle loro possibilità di intervenire a partita in corso. E uno dei molteplici fattori che possono decidere l’esito di una partita è quindi il modo in cui una squadra riesce ad adattarsi, a non perdere la propria identità e a trovare le contromisure per non abbassare il livello della prestazione anche in situazioni di emergenza. Lo sviluppo della sfida tra Milan e Juventus lo ha mostrato con una chiarezza esemplare.

Se Cuadrado fosse stato disponibile, probabilmente Chiesa non avrebbe giocato a destra, e quindi non ci sarebbe stato il duello tra l’esterno ex Fiorentina e Theo Hernández, che ha determinato i primi due gol della squadra di Pirlo. E il Milan, invece, magari non avrebbe segnato se Calabria avesse giocato da terzino, visto che è stato proprio lui a pareggiare con un inserimento centrale in area sul cross da sinistra di Leão al minuto 41. Un inserimento che probabilmente non avrebbe fatto partendo dal suo ruolo naturale di terzino.

Quando poi si è trattato di intervenire sulla partita con i cambi, a fare la differenza sono state le alternative su cui poteva contare Pirlo. A firmare il 3-1 sono stati infatti due giocatori entrati da poco, Kulusevski e McKennie. Il primo, dopo essere arrivato sul lato corto dell’area a destra e aver saltato Romagnoli, ha servito l’assist in scivolata, facendo passare la palla dietro Kjaer, il secondo ha segnato da pochi passi con la porta spalancata.

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Le scelte fatte da Pirlo e Pioli in funzione delle assenze hanno deciso l’esito della partita, ma né il Milan né la Juventus hanno rinunciato alle loro identità, ai princìpi che hanno definito il loro gioco finora. Lo schieramento dei bianconeri cambiava come sempre a seconda delle fasi. Quella difensiva era affrontata con il 4-4-2, quella di possesso invece con una linea di difesa a tre, due giocatori in ampiezza - Chiesa a destra e Frabotta a sinistra - e una disposizione molto fluida in mezzo al campo che coinvolgeva Ramsey, Rabiot, Cristiano Ronaldo e Dybala. Per guadagnare linee di passaggio in zone avanzate, Pirlo sembra ormai passato stabilmente a una disposizione che prevede un solo centrocampista davanti alla difesa, e anche contro il Milan a occupare quella posizione è stato Bentancur. A determinare il cambio di schieramento era la scalata da terzino a esterno a tutta fascia - e viceversa - di Frabotta a sinistra, che faceva quindi scivolare verso destra i compagni a centrocampo e in difesa.

Il disegno delle posizioni medie evidenzia in modo molto chiaro la disposizione della Juventus in fase di possesso.

Come sempre, i bianconeri hanno puntato da subito a controllare il possesso, a risalire il campo con pazienza palleggiando da dietro e a pressare per recuperare presto la palla. Non è andata sempre come previsto. La qualità della circolazione è stata altalenante. In alcune fasi della partita la Juve è riuscita a tenere a lungo la palla e a manovrare nella metà campo del Milan, in altre - ad esempio nella parte finale del primo tempo - il pressing dei rossoneri interrompeva subito la manovra e ha regalato alla squadra di Pioli diverse opportunità in ripartenza. Anche l’efficacia del pressing è stata discontinua, specie negli istanti successivi alla perdita del pallone, una fase di gioco cruciale per una squadra che ambisce a dominare il possesso e ad attaccare con molti giocatori sopra la linea della palla.

In occasione del gol di Calabria, il discusso intervento di Calhanoglu su Rabiot, non punito con un fallo, ha innescato una ripartenza in cui comunque la linea difensiva della Juve si è fatta trovare impreparata. Danilo ha accorciato in ritardo in avanti su Hauge, Bonucci si è alzato verso il centrocampo quando forse avrebbe dovuto abbassarsi in copertura, mentre de Ligt, rimasto da solo e più indietro di tutti a sinistra, ha tenuto in gioco Leão, che dopo essere entrato in area ha servito l’assist a Calabria con un passaggio in orizzontale.

Danilo che sale in ritardo su Hauge, la linea difensiva bianconera che gestisce male la situazione e infine, nell’ultima immagine, l’assist di Leão.

Nemmeno il Milan, che aveva più assenze e una formazione improvvisata, ha rinunciato alla sua identità e ai suoi princìpi. Anzi, nell’emergenza ha mostrato una versione estrema del suo gioco. La squadra di Pioli è stata ancora più verticale del solito, più frenetica nel far arrivare velocemente la palla negli ultimi metri, una tendenza accentuata dalle assenze in mezzo al campo e dalla poca intesa tra i componenti delle catene di fascia. Se già di solito il Milan è una squadra che non conosce pause, che non gestisce la palla ma punta a farla arrivare presto nella trequarti avversaria, le ridotte possibilità di avanzare in modo pulito, palla a terra senza saltare nessuna linea, imponevano ai rossoneri di attaccare quasi solo in spazi ampi, verticalizzando subito. La riuscita di questo piano dipendeva in gran parte dall’efficacia del pressing, dalla capacità di recuperare la palla e attaccare con la Juve sbilanciata.

La costruzione si spostava subito sulle fasce - le connessioni tra i difensori centrali e i centrocampisti sono deboli. A gestire il possesso, e a unire i due lati dello schieramento, sono innanzitutto Kessié e Calhanoglu.

Normalmente il Milan varia l’altezza del pressing, anche nel corso della partita, a seconda delle circostanze. Cioè, a seconda della situazione e del piano preparato, i rossoneri possono pressare in alto, aspettare con un blocco ad altezza media a centrocampo o difendere ancora più in basso vicino alla loro area, e sanno fare tutto con buoni risultati, con pochi aggiustamenti. Contro la Juventus, la squadra di Pioli ha invece cercato in modo deciso di recuperare la palla in alto, pressando con continuità la costruzione dei bianconeri fin dai primi istanti.

Date le difficoltà ad attaccare posizionalmente, a costruire da dietro e risalire il campo con la Juve schierata, il pressing è stato quindi il principale strumento offensivo dei rossoneri, quello che più di tutti permetteva di trovare la squadra di Pirlo sbilanciata, con le linee disordinate, e di attaccare velocemente negli spazi che si aprivano. Più di ogni altra cosa è stata proprio l’efficacia del pressing a scandire le diverse fasi della partita del Milan. Finché riusciva a recuperare presto la palla, la squadra di Pioli ha tenuto il confronto in equilibrio, e anzi ha rischiato più volte di inclinarlo dalla sua parte, creando diverse occasioni in ripartenza. Quando invece il pressing non funzionava, il Milan concedeva ampi spazi nella sua metà campo e diventava vulnerabile, con i difensori, specie sul suo lato sinistro, a disagio nei duelli con i rispettivi avversari.

Visto il particolare sistema di pressing dei rossoneri, il successo nei duelli individuali era essenziale per la stabilità difensiva. Pioli aveva organizzato infatti una serie di contrapposizioni uomo su uomo. Leão e i due esterni - Castillejo a destra e Hauge a sinistra - pressavano la linea di costruzione a tre dei bianconeri, Calhanoglu marcava Bentancur, e più indietro Calabria e Kessié seguivano Ramsey e Rabiot, anche in zone distanti dalle loro posizioni di partenza. Sui due esterni della Juve si alzavano quindi i terzini - Hernández e Dalot - mentre Kjaer e Romagnoli accorciavano in avanti su Ronaldo e Dybala.

In questo caso il Milan forza un lancio lungo di Bentancur, Kjaer recupera la palla e Castillejo arriva al tiro in area sulla destra.

A dettare lo sviluppo della partita sono state proprio queste contrapposizioni. Ogni volta che superava il primo pressing, la Juve poteva creare un’occasione attaccando gli spazi lasciati dal Milan dietro le proprie linee. Al contrario, da ogni recupero della palla i rossoneri potevano invece creare dei pericoli in ripartenza.

A rompere l’equilibrio è stato quindi un duello a destra tra Chiesa e Theo Hernández al minuto 18. Poco prima il Milan, che aveva appena difeso un calcio d’angolo, non era riuscito ad accorciare rapidamente in avanti per pressare la costruzione della Juve, e così ha permesso ai due centrali di fascia della Juve, prima a de Ligt a sinistra e poi a Danilo a destra, di giocare liberamente il pallone.

I due centrocampisti rossoneri, Kessié e Calabria, sono entrambi sulla destra a seguire Ramsey e Dybala. In mezzo al campo si è spostato Hauge su Rabiot, mentre de Ligt, che ha la palla, non è pressato e cambia gioco su Danilo, libero a destra.

Da Danilo la palla è quindi arrivata facilmente a Chiesa, aperto a destra in isolamento con Theo Hernández. A costruire il gol non è stato comunque un dribbling, ma uno scambio tra l’esterno ex Fiorentina e Dybala, che non hanno vinto i loro duelli saltando i due avversari ma associandosi per far passare la palla alle loro spalle.

Chiesa infatti porta il pallone verso il centro e si appoggia a Dybala, che riceve spalle alla porta poco fuori l’area del Milan senza essere pressato da Romagnoli. Il 10 della Juve supera il capitano rossonero facendo passare la palla alle sue spalle con uno splendido colpo di tacco e Chiesa, non seguito da Hernández nel suo taglio da destra verso il centro, riceve libero in area e batte Donnarumma incrociando il tiro.

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È stato uno scambio elevato e reso spettacolare dal colpo di tacco di Dybala, ma non troppo difficile da leggere, che ha mostrato i rischi accettati dal Milan con il suo piano di duelli individuali. Romagnoli non ha pressato Dybala e Theo Hernández si è fatto scappare Chiesa, e vinti questi due duelli la Juve è arrivata facilmente in area.

Anche il secondo gol è merito di Dybala e di Chiesa e dei loro duelli con Romagnoli e Theo Hernández a diverse altezze del campo. La Juve ha recuperato la palla in area con Rabiot dopo una delle azioni più belle costruite dal Milan, iniziata da dietro con l’abbassamento di Calhanoglu davanti ai difensori, proseguita con passaggio taglia-linee in diagonale da destra verso il centro di Dalot, un passaggio ricevuto ancora da Calhanoglu, che si era alzato subito dopo aver scaricato la palla a destra, e quindi rifinita da Leão, con un cross dal lato corto sulla destra in un momento però in cui i suoi compagni non avevano occupato bene l’area - con Castillejo vicino a lui, Hauge sul secondo palo e Calhanoglu impegnato nella circolazione, nessuno presidiava il centro dell’area.

Recuperata la palla, è quindi la Juve ad avere la possibilità di attaccare in transizione, sfruttando le distanze lunghe tra le linee del Milan. Il primo momento decisivo è un altro duello tra Dybala e Romagnoli, ma stavolta nella trequarti difensiva bianconera, sulla fascia destra. Ancora una volta il capitano milanista accorcia in ritardo su Dybala, quest’ultimo riesce quindi a girarsi verso il centro e con un cambio di gioco fa arrivare la palla nella trequarti offensiva, sulla sinistra. I rossoneri provano a forzare la superiorità numerica - incitata a gran voce da Pioli, che urla a Castillejo di abbassarsi per creare una situazione di tre contro due sulla fascia - ma Frabotta, che ha la palla a sinistra, non viene pressato e con un passaggio all’indietro apre uno spazio enorme per Dybala, al centro del campo in una zona svuotata dai giocatori del Milan.

È un altro momento decisivo, che coinvolge ancora Dybala e Chiesa. Il dieci bianconero allarga infatti a destra sull’esterno ex Fiorentina, che sfida ancora una volta Theo Hernández senza puntarlo direttamente con un dribbling, si porta la palla sul sinistro accentrandosi e dal limite dell’area segna di nuovo trovando l’angolino più lontano.

Più che dominare e imporre il contesto con il proprio piano, orientato come sempre sulla circolazione ordinata della palla e sul recupero veloce dopo averla persa, la Juve ha avuto la meglio vincendo i duelli individuali, in particolare quelli di Dybala e Chiesa con Romagnoli e Theo Hernández. E una volta uscito l’esterno ex Fiorentina ha chiuso il confronto con una grande giocata di Kulusevski, ancora sulla destra, innescata da un altro duello vinto nella trequarti difensiva, stavolta da Rabiot su Kessié, che ha aperto le linee del Milan e accelerato l’azione.

Il francese, rientrato dopo due turni di assenza per un particolare caso burocratico relativo a una squalifica rimediata a inizio campionato e non scontata dopo la sentenza che ha annullato la vittoria a tavolino contro il Napoli, è stata un’altra scelta azzeccata di Pirlo. Se Ramsey era il giocatore che riusciva a trovare le ricezioni migliori per spezzare lo schieramento del Milan e aprire ampi spazi di manovra dietro il suo centrocampo, Rabiot era invece il centrocampista più indicato a ricevere sotto pressione, a conservare la palla con la sua forza fisica e poi a condurla negli spazi, come ha fatto in occasione del gol del 3-1.

Dopo 27 turni di imbattibilità, il Milan ha così perso la sua prima partita, la più difficile della sua stagione finora, per il livello degli avversari e le particolari condizioni in cui si è giocata. Forse è stato un confronto troppo peculiare, troppo condizionato dalle assenze, per misurare la sua consistenza come candidata allo scudetto, un’indicazione che in molti si aspettavano di ottenere da questa partita. Però anche nelle difficoltà ha dimostrato di avere carattere, un’identità chiara e princìpi di gioco solidi, di avere cioè raggiunto una maturità che lascia ben sperare per il futuro, a prescindere da quanto tempo riuscirà a resistere in testa alla classifica.

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