Gli scontri tra Stefano Pioli e Maurizio Sarri hanno offerto alcuni degli spunti narrativi più interessanti della recente Serie A. Nell’autunno del 2015, una scintillante vittoria per 5-0 contro la Lazio – allenata in quel momento da Pioli - aveva dato il via al ciclo del Napoli di Sarri, in una partita dominata dal gioco spalle alla porta di Higuaín e dai tagli di Allan. Tre anni dopo, però, Pioli aveva scritto la parola fine sugli anni di Sarri a Napoli, con una vittoria per 3-0 della sua Fiorentina che in un caldo pomeriggio di fine aprile 2018 aveva risvegliato gli azzurri dal sogno scudetto.
L’ultimo scontro tra i due era datato piena estate 2020, nel girone di ritorno ripreso dopo il primo lockdown. Quella nottata aveva rappresentato un punto di svolta, forse non solo per il Milan, ma anche per la Juventus: i rossoneri si erano ritrovati sotto per 2-0, ma grazie alla fiducia nei propri mezzi e con un sistema di gioco che stava esaltando le caratteristiche dei singoli, il Milan era riuscito a ribaltare il risultato e a vincere per 4-2. Da quella partita, tutti hanno iniziato a guardare la squadra di Pioli con occhi diversi, e forse anche i calciatori hanno preso coscienza del proprio reale valore.
A circa un anno di distanza, un’altra vittoria contro Sarri ha dato la misura della forza dei rossoneri, lanciando la squadra di Pioli come la squadra più in forma di questo inizio di stagione. Il Milan ha giocato il miglior calcio delle prime tre giornate e ieri è stato padrone della partita dall’inizio alla fine.
Come nelle migliori giornate della gestione Pioli, è stata la pressione alta a portare i rossoneri al centro del ring e gli avversari alle corde. Anche per la media età bassa, il Milan è una squadra emotiva nei momenti favorevoli, che moltiplica la propria fiducia ad ogni azione in cui si dimostra a proprio agio nella partita. Brahim Diaz, Rebić e dietro di loro il resto dei compagni hanno dettato il contesto fin dai primi minuti e il loro controllo sulla gara è cresciuto dopo ogni rimessa dal fondo di Reina.
La pressione alta del Milan, ovvero come disinnescare il terzo uomo
Senza Giroud, appena negativizzatosi dal Covid, ma non pronto per giocare, Pioli ha schierato Rebić da prima punta, con Brahim Diaz alle sue spalle; vicino a loro hanno agito Leão a sinistra e Florenzi sulla destra. A centrocampo, accanto a Tonali, Kessié ha ripreso il suo posto sulla sinistra. Per la Lazio, invece, l’unica novità rispetto alle prime uscite è stato Marusić al posto di Lazzari, reduce da un infortunio muscolare. I due schieramenti – 4-3-3 per i biancocelesti, 4-2-3-1 per il Milan - si incastrano in maniera naturale e questo ha reso l’esecuzione del pressing per la squadra di Pioli ancora più agevole.
Con palla ai difensori, Brahim si occupava di schermare Leiva, mentre Rebić pressava il centrale in possesso. Leão e Florenzi all’inizio restavano un po’ più stretti, pronti a scattare su un eventuale passaggio verso i terzini. I veri protagonisti della pressione rossonera, però, sono stati Sandro Tonali e Franck Kessié, i mediani del 4-2-3-1. Il modo in cui l’ivoriano ha cancellato dalla partita Milinković Savić è stato brutale. Il serbo è forse il giocatore più forte del campionato spalle alla porta, ma il Milan grazie alla forza di Kessié nel pressing e a un sistema d’aiuti precisissimo non gli ha mai concesso vie d’uscita. Nelle intenzioni di Sarri, la verticalizzazione da Luiz Felipe, il centrale destro, a Milinković, serviva per attivare Lucas Leiva come terzo uomo: Milinković spalle alla porta dovrebbe appoggiare di prima al brasiliano, che così può ricevere fronte alla porta. Il Milan, però, non solo ha pressato con decisione il serbo, ma gli ha negato per tutta la partita anche l’appoggio su Leiva. Merito sia di Brahim Diaz, che si abbassava e seguiva il brasiliano quando prova ad avvicinarsi a Milinković, che di Tonali, autore di una grandissima partita, che scivolava verso il lato palla e sbarrava in orizzontale la strada verso Leiva. Ogni tentativo della Lazio di attivare il terzo uomo si è trasformato in un recupero palla del Milan nella trequarti offensiva e in transizioni corte potenzialmente mortifere.
A fine partita Pioli ha fatto i complimenti a Rebić e Brahim per l’applicazione in pressing: «Rebić e Díaz hanno fatto una buona fase difensiva. Siamo riusciti quasi a coprire tre giocatori, hanno lavorato bene su Ramos, Leiva e Acerbi».
Una delle occasioni più pericolose per i rossoneri è nata proprio da una situazione di questo tipo: al 24’ Luiz Felipe, disturbato da Rebić, porta palla e gioca un rasoterra lungo per Milinković, che si muove incontro. Ricevere un passaggio in verticale spalle alla porta con l’uomo addosso è, di per sé, molto scomodo. Se poi la gittata del passaggio è lunga, l’aggressività del marcatore si moltiplica. Così mentre il serbo era impegnato a destreggiarsi in una situazione complicata, Brahim Diaz schermava il passaggio verso Leiva e Kessié riusciva a mettere la gamba tra il serbo e la palla, recuperando il possesso e innescando Rebic sul limite dell’area.
Il croato però non ha le idee chiare: non serve Leão libero a sinistra e genera una serie di combinazioni frettolose e contrasti dai quali la palla arriva a Tonali, che di prima inventa una bella parabola per Leão sul secondo palo che però non sa chiudere l’azione sul lato debole e manda alto di testa.
La marcatura di Kessié è stata un incubo per Milinković. Ci sono state fasi in cui lo sviluppo dell’azione ha condotto il serbo sulla sinistra; nonostante il cambio di lato, però, l’ivoriano gli stava sempre addosso. Altrettanto encomiabile la partita di Tonali sul lato di Luis Alberto. L’ex del Brescia non solo ha controllato a dovere lo spagnolo, ma si è occupato anche di Pedro se si abbassava sulla linea dei centrocampisti. Tonali ha giocato una partita completa, in cui ad un rendimento difensivo inedito ha abbinato la sua qualità migliore, le conduzioni palla al piede: Tonali non è un regista, né un centrocampista di controllo, ma può causare squilibri con i suoi strappi, utili per una squadra verticale come quella di Pioli.
La Lazio a metà del guado
Intervistato a fine partita, Maurizio Sarri è stato chiaro sulle colpe della sua squadra. Prima ancora dei problemi in costruzione, il suo disappunto riguardava il pressing e l’altezza del baricentro in fase difensiva: «La squadra deve avere il coraggio di difendere nella metà campo avversaria. […] Si è fatta una partita contraria a quello che proviamo in settimana. Abbiamo aspettato gli avversari nella nostra metà campo, la partita che avevamo preparato non era questa». Secondo Sarri, la Lazio deve ancora abituarsi a pensare in maniera diversa e l’abitudine a difendere con un blocco basso ha inciso sulla sconfitta. Se la Lazio non ha trovato risposte col pallone, non lo ha fatto neanche senza. Le mezzali, Luis Alberto in particolare, non sono state aggressive sui mediani avversari; la difesa non ha mantenuto le giuste distanze col centrocampo.
Abortito il pressing, la Lazio è stata passiva anche con un baricentro più basso. Diaz e Florenzi stringevano nei mezzi spazi sui fianchi di Leiva e Romagnoli ha avuto sempre libertà di verticalizzare per lo spagnolo. L’imbucata verso gli uomini tra le linee è arrivata non solo in verticale, ma anche dalla fascia. La Lazio non ha saputo fare altro che abbassarsi. Il Milan, senza percentuali clamorose di possesso palla, nelle sue fasi di attacco posizionale ha occupato in massa la trequarti avversaria. Questo, ovviamente, favoriva il gegenpressing. Schiacciata sui propri sedici metri, la Lazio non ha mai avuto spazio per correre in transizione. Romagnoli e Tomori, in alcuni casi, salivano ben oltre il centrocampo per favorire la riaggressione.
Tutto il contrario di Acerbi, Luiz Felipe e Marusić, timorosi di difendere in avanti. La distanza tra i difensori e il resto della squadra è tra le cause principali del gol di Leão. Un’altra, invece, è la poca abitudine ad attaccare con ordine contro squadra chiuse. Dopo una rimessa laterale per la Lazio, il Milan è compatto nei propri trenta metri. Milinković riceve al centro e scarica in avanti su Immobile alle spalle di Kessié. Immobile chiude il triangolo e la palla torna al serbo. Nel frattempo Tomori rompe la linea e sale su Immobile. Gli sbocchi sui giocatori vicini sono chiusi: Tonali controlla Hysaj, momentaneamente sul centro sinistra, mentre Tomori controlla Immobile e Pedro, che è collassato al centro ed è troppo vicino alla punta della Nazionale. Milinković dovrebbe andare da Luis Alberto in orizzontale per un passaggio di sicurezza, oppure provare un rasoterra diagonale ambizioso per Felipe Anderson aperto a sinistra. Invece prova a chiudere il triangolo con Immobile – o forse prova a servire Pedro – e Tomori ruba il possesso. Al momento dell’intercetto, la Lazio ha ben sei giocatori sopra la linea della palla.
Tomori raggiunge Brahim che appoggia a Leão sul lato destro della Lazio, dove c’è Marusić. Se il montenegrino fosse stato abituato al gegenpressing, avrebbe scalato in avanti su Leão prima ancora che Brahim Diaz gli desse palla, seguito a sua volta da Acerbi e Luiz Felipe. Invece attende, rincula e dà modo anche a Theo di salire – Acerbi e Luiz Felipe sono così lontani che rimangono fuori dall’inquadratura.
Leão salta secco Leiva e avanza, visto che i centrali hanno lasciato solo il brasiliano. L’ex Lille apre per Rebić, riceve il passaggio di ritorno e segna.
La Lazio prende il primo gol perché non è abituata a pressare, ma anche perché attacca male e quindi difende male. Con una scelta di passaggio diversa da parte di Milinković non sarebbe nato il contropiede. Se Pedro non fosse stato così stretto – ma Sarri non usa molto i due riferimenti fissi in ampiezza - magari ci sarebbe stato più spazio per muovere la palla (e Pedro avrebbe dato il suo contributo in transizione difensiva). Ci sono situazioni e linee di passaggio, specie in attacco posizionale, che i giocatori della Lazio non sanno ancora riconoscere. Dipende anche dalle caratteristiche individuali. Leiva nel secondo tempo riceve nella trequarti rossonera una sponda di Immobile. Può giocare frontalmente, ma non ha molto tempo per via della presenza di Brahim. Se riuscisse a giocare di prima o a due tocchi potrebbe raggiungere: A)Milinković con un passaggio taglialinee corto; B)Pedro in ampiezza con un passaggio taglialinee lungo.
I passaggi taglialinee in diagonale costringono l’avversario a correre all’indietro e a volte permettono di puntare la difesa. Avere un metodista in grado di riconoscerli ed eseguirli è fondamentale per Sarri. Leiva invece fa un controllo di troppo, si fa chiudere da Brahim e si limita ad un passaggio in orizzontale per Marusić che al Milan fa solo il solletico.
Insomma, alcune individualità, si sapeva, non sembrano al 100% adatte al nuovo allenatore. Anche Felipe Anderson, nei minuti giocati sulla sinistra, toccava troppe volte palla prima di scaricare e così riduceva l’influenza di Luis Alberto, già rosicchiata dalle innumerevoli volte in cui Pedro si abbassava vicino a Leiva.
Sarri ama dire che le sue squadre danno il meglio al terzo anno, questi incidenti fanno inevitabilmente parte del percorso. L’assunto è vero anche per altri allenatori? Chi lo sa. Pioli però è alla sua terza stagione in rossonero e il Milan non è mai sembrato così convincente. In una fase storica del calcio italiano in cui persino la Juventus è in cerca di certezze, nessuna delle grandi ha la solidità del Milan. Se si dimostrasse competitivo in Europa, senza l’obbligo di passare il turno in un girone così complicato, sarebbe difficile non considerarlo come qualcosa di più di una squadra in lotta per il posto Champions.