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Il solito Milan, la solita Lazio
03 mar 2025
Una partita che ha mostrato perché la Lazio è quarta e perché il Milan sembra già fuori dalla lotta per la Champions.
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6 min
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IMAGO / ABACAPRESS
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Milan e Lazio non potrebbero essere due squadre più diverse in questo momento della loro storia. È questo ciò che ci ha detto la partita di ieri sera, dopo la quale i rossoneri abbandonano la corsa alla Champions League, mentre la squadra di Baroni si riappropria momentaneamente del quarto posto.

La partita, in realtà, è stata in bilico fino all’ultimo e magari un pareggio strappato in inferiorità numerica contro un avversario difficile avrebbe ridato un po’ di morale al Milan. Invece niente, i rossoneri hanno subito l’ennesima transizione della gara e Maignan in uscita ha commesso fallo da rigore su Isaksen. È stato l’ultimo episodio favorevole alla Lazio al termine di una partita dove tutti i punti di inflessione sono girati dalla parte dei biancocelesti. «Durante la partita accadono episodi che sono negativi per noi e decisivi per gli avversari», ha detto Conceiçao dopo il fischio finale.

Ma com’è possibile che gli episodi vadano sempre a favore degli avversari del Milan? Gli episodi mica cadono dal cielo.

Da tre stagioni, ormai, quando si parla di Milan si ripetono sempre gli stessi discorsi. Cambiano gli allenatori, cambiano le modalità, ma alla fine i problemi di campo sono sempre quelli.

Ad esempio, da quanto il Milan subisce transizioni perché perde palla male e non ha la possibilità di riaggredire? Si alzano tanti uomini sopra la linea della palla, che però spesso rimangono piatti, e in più si prendono scelte che portano a perdere palla in fretta o senza che ci siano le necessarie coperture, perché, a parte Pulisic, chiunque conduca gli attacchi ha poca contezza di cosa abbia intorno e di dove sia possibile rischiare. E poi spesso i difensori rimangono lontani e così non possono accorciare per provare a riconquistare palla in avanti. Per tutte queste ragioni il Milan, il più delle volte, può solo correre all’indietro una volta persa palla. È stata una costante della partita di ieri sera, il modo in cui la Lazio si è resa più pericolosa. L’espulsione di Pavlović, ad esempio, è arrivata proprio così.

La Lazio nel secondo tempo si era sistemata 4-1-4-1 e, sulle uscite delle mezzali, si creava spazio alle loro spalle. Con palla a Fofana nell’ultimo terzo di campo, Guendouzi, interno di destra, si era alzato su di lui. Nel buco che si era aperto dietro il centrocampista laziale, però, non si era infilato nessuno: non vi si era alzato Pavlović, che pure si trovava già in posizione avanzata, né vi si era abbassato Leão, che ha preferito rimanere fermo sul vertice dell’area.

Così Fofana si è visto costretto a condurre, ma i centrocampisti della Lazio hanno collassato su di lui prima che potesse scaricare il pallone. Guendouzi gli ha portato via la palla e Isaksen si è fiondato alle spalle di Pavlović, che a campo aperto ha commesso il fallo da rosso.

La scelta di Pavlović apre la finestra su un altro problema atavico del Milan, e cioè che i suoi giocatori sembrano incapaci di migliorare: arrivano a Milanello in un modo e faticano a limare i propri difetti. Di Pavlović quest’estate sapevamo che fosse un difensore con grandi doti atletiche, forte in uno contro uno ma estremamente impulsivo e carente nelle letture. Questo frame lo riprende pochi istanti prima del fallo, ma non rende bene l’idea di quanto sia scriteriata la scelta di lanciarsi in scivolata: Isaksen era ancora lontano dalla porta ed era anche largo, Pavlović di solito si esalta in situazioni del genere, avrebbe la velocità per rientrare sullo svedese. In più, al centro c’è anche Gabbia. Invece, senza che ce ne sia bisogno, affonda la scivolata: lo stesso identico giocatore del Salisburgo, né più né meno.

Non è stato l’unico errore di valutazione di Pavlović, visto che anche sul primo gol è responsabile in parte. La Lazio ha costruito sulla destra con un passaggio lungolinea di Guendouzi per Marusic che, di spalle, ha cercato la classica palla in diagonale di prima verso le punte. Si tratta di un passaggio di difficile esecuzione, che infatti era fuori misura per Tchaouna. Pavlović, però, invece di lasciarlo scorrere o di spazzare per bene, con una sorta di spaccata ha rimandato la palla all’indietro sui piedi di Marusić, che ha servito Tchaouna in profondità.

In questa situazione Pavlovic si butta in spaccata.

Da mesi si ripete che Pavlović dovrebbe essere meno istintivo, e invece eccoci qua. Così come da mesi si ripete che Theo non è in condizione e sembra disinteressarsi della fase difensiva: insieme a Pavlović è lui l’altro colpevole sul gol, perché mentre Tchaouna conduce Marusić gli parte alle spalle e si inserisce in area senza che Theo sia in grado di seguirlo: Marusić ha sicuramente buona gamba, ma in teoria col francese non dovrebbe esserci confronto in allungo: com’è possibile che Theo non riesca a stargli dietro?

Marusić entra in area, riceve da Tchaouna e calcia. Sulla respinta di Maignan il primo ad arrivare è Zaccagni.

Una situazione che ricorda sinistramente la corsetta a passo lento di Leão nell’azione del rigore conquistato da Isaksen, che almeno aveva l’attenuante di essere all’ultimo minuto e poco dopo aver portato palla per decine di metri. Al 94’, infatti, il Milan, nonostante l’inferiorità numerica, aveva provato ad attaccare perché il pareggio serviva a poco e si era quasi creato un’occasione. La Lazio, allora, era ripartita sulla destra, la corsia di Leão, che però non era rientrato. Forse peggio di lui avevano fatto Chukwueze e Jović, che non hanno mai accelerato per rientrare nonostante Conceiçao li avesse inseriti da poco: consapevoli di essere in dieci uomini, davvero non si trovava l’energia per aiutare i compagni con un ultimo sforzo? Prima dell’imbucata di Guendouzi c’erano 4 laziali pronti a scattare contro 3 milanisti.

Una squadra con un’attitudine e con difetti del genere sembra creata su misura per esaltare i pregi della Lazio. I biancocelesti si sono sistemati in un blocco medio, inizialmente con un 4-4-2 in cui Dia e Tchaouna schermavano il centro, mentre il resto della squadra scivolava da un lato all’altro prendendo l’uomo nella propria zona. Poi, una volta recuperata il possesso a cavallo del centrocampo o nella propria trequarti, ripartivano immediatamente, con un Isaksen in grande spolvero nel muoversi immediatamente in verticale, pronto ad essere innescato da Guendouzi e Rovella sempre puntuali nel rubare palla e lanciare la transizione. È facile capire quando una squadra è costruita in maniera coerente ed ha la preparazione e l’attitudine giusta: non c’era un giocatore della Lazio che fosse a disagio nei compiti da svolgere ieri sera e, d’altra parte, non ce n’era nemmeno uno che non fosse disposto a sacrificarsi per la causa.

Ma i giocatori, comunque, sono il riflesso del club in cui lavorano, il che, ad esempio, non va dimenticato quando si parla di Milan.

Poi è chiaro, per i rossoneri iniziano a pesare anche le responsabilità dell’allenatore, non solo nelle scelte ma anche nella gestione globale della squadra. Conceiçao era arrivato come un tecnico dal pugno duro, capace di erigere squadre monolitiche. Al Milan, però, di coesione difensiva non c’è traccia, si è visto solo il lato dispotico del tecnico portoghese, mai evidente come ieri sera.

Così, da una parte c’era un allenatore che nel secondo tempo ha capito che Pulisic, con spazio per rientrare da destra e combinare con le altre mezzepunte, stava creando problemi, e allora ha tolto Tchaouna per inserire Vecino, passare al 4-5-1 e scivolare meglio in ampiezza, così da sbarrare la strada all’americano. Dall’altra c’era un allenatore che probabilmente si è innervosito per un colpo di tacco in area di rigore di Musah – che è vero che quel colpo di tacco proprio non se lo può permettere – e allora ha deciso di sostituirlo in pieno primo tempo, esponendolo ai fischi di San Siro. Musah ha tanti limiti, stava giocando male, ma nessun calciatore merita un trattamento del genere: che fiducia dovrebbe avere lo spogliatoio verso il proprio tecnico dopo una sostituzione eseguita con queste modalità?

Senza l’Europa, lontano da un posto Champions e con la sola Coppa Italia come possibile obiettivo (che passa per il doppio Derby), i prossimi tre mesi per il Milan rischiano di essere una lunga agonia.

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