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Il Milan non era pronto
18 set 2024
18 set 2024
Due azioni per spiegare la differenza di ritmo e letture tra la squadra di Fonseca e il Liverpool.
(copertina)
IMAGO / Insidefoto
(copertina) IMAGO / Insidefoto
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Prima della partita, Paulo Fonseca aveva provato a responsabilizzare i suoi giocatori: «È l'opportunità per dimostrare il nostro valore e come stiamo migliorando». La vittoria contro il Venezia era stata una boccata d’aria fresca per una squadra ancora alla ricerca di se stessa, ma certo la Champions League non era stata benevola nel sorteggio del primo turno, mettendogli davanti il Liverpool, una delle migliori squadre d’Europa, in attesa del derby di campionato.

Il Milan contro il Liverpool non ha dimostrato il suo valore, né come sta migliorando, se non nei primi 10 minuti, che però è troppo poco. Nei 90 minuti la superiorità degli avversari è parsa anche fin troppo evidente, non solo nella mole di occasioni create (23 tiri a 8, 11 in porta a 2), ma anche nella gestione dei momenti della partita, nella consapevolezza di cosa dovevano fare in campo in ogni situazione di gioco, nonostante un inizio piuttosto scioccante con un gol preso dopo pochi minuti in uno stadio avverso.

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Una differenza che Fonseca non ha avuto problemi a sottolineare: «Se non siamo forti individualmente avremo sempre problemi indipendentemente dal sistema» e «Devo essere onesto e dico che il Liverpool è più squadra di noi in questo momento», ha detto dopo la partita, con la barba sempre più sfatta e gli occhi spenti di chi si sente sull’orlo del baratro.

Tutta la differenza tra Milan e Liverpool in due azioni

Cosa poteva fare di più il Milan? È una domanda che Fonseca deve farsi, ma che forse prescinde da questa singola partita. Le due squadre si schieravano con lo stesso schieramento (4-2-3-1), avevano la stessa idea di chiudere il centro senza palla, di provare a ripartire velocemente una volta riconquistato il pallone. Hanno anche un percorso simile, con due allenatori arrivati in estate, tutti e due al termine di un ciclo lungo per gli standard del calcio di oggi (Klopp 9 stagioni, Pioli 5) e, se vincente in modo diverso, simile per alcune caratteristiche tattiche. Eppure, nonostante queste similitudini, Milan e Liverpool sono sembrate due squadre molto diverse.

Certo, si può parlare del valore differente dei singoli, che c’era ed era palpabile, ma più che la tecnica o il talento, a fare la differenza è stata il ritmo, l’intensità del Liverpool, la consapevolezza che - soprattutto nelle notti di Champions - non basta fare il compitino. Prendiamo l’azione che porta al calcio d’angolo da cui arriverà il secondo gol, quello che spacca definitivamente la partita.

Il Milan, partendo da dietro, riesce ad aggirare il pressing del Liverpool grazie a una bella lettura di Tomori, che esce dalla pressione con una finta e apre la strada. Il pallone arriva a Calabria che passa rapidamente per il centro dove c’è spazio. Loftus-Cheek invece di avanzare va subito da Leao a sinistra, e dopotutto è una delle classiche giocate del Milan. Leao si accentra, con Theo che gli si sovrappone. Konate, che per tutta la partita ha costantemente preso il portoghese, esce dalla linea e gli chiude lo spazio per il tiro. A quel punto Leao sta andando in un imbuto di avversari e deve scaricare. Lo fa verso Calabria, ma è un passaggio sciatto e prevedibile.

Dalle spalle di Calabria spunta Gakpo, che mentre non lo vedevamo aveva ripiegato per 80 metri. L'olandese anticipa il capitano del Milan con un guizzo e qui si attiva la parte più istintiva del Liverpool, quel DNA modificato dalla gestione di Klopp che l’ha resa la miglior squadra di transizioni nei giorni belli. L’anticipo di Gakpo fa finire il pallone tra i piedi di Szoboszlai, che senza pensare con un delicato tocco di esterno destro lo rimette perfettamente sulla corsa del compagno, senza perdere neanche mezzo tempo di gioco, ma anzi guadagnandolo.

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Gakpo va avanti dritto come se fosse una biglia su un piano inclinato, ma si scontra con Fofana. Il giocatore del Milan avrebbe anche un piccolo vantaggio generato dal contrasto, ma non è pronto come è pronto Diogo Jota, che arriva prima sul pallone. Giocare contro il Liverpool alla pari vuol dire anche questo: essere sempre pronti. Leao non era pronto nel prendere la decisione giusta col pallone, Calabria non era pronto a ricevere il suo passaggio, Fofana non era pronto a vincere il duello con l’avversario. Konaté invece era pronto a scalare su Leao, Gakpo ad anticipare Calabria e Jota Fofana.

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Anche Jota si lancia dritto verso la porta, inseguito alle spalle da Calabria. Davanti a lui c’è Tomori, alla sua destra Pavlovic che con la coda dell’occhio deve controllare anche Salah. Jota avanza qualche metro, poi con l’interno sinistro fa passare il pallone alle spalle dei due avversari per arrivare dal suo compagno.

Il Liverpool ha fatto la stessa cosa che vuole fare il Milan, e cioè servire la sua ala più forte nell’uno contro uno, ma lo ha fatto bene, in velocità, vicino alla porta, con spazio. Salah, che poi ci mette ovviamente del suo, aspetta il recupero di Pavlovic lo elude e calcia sul primo palo. Il tiro è un po’ strozzato, ma abbastanza preciso da costringere Maignan a deviare in calcio d’angolo.

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Sul calcio d’angolo, come nella punizione del primo gol, si nota come i problemi del Milan sono anche di confusione. Maignan stava bene? Perché è rimasto in campo se era infortunato? Se fosse stato disponibile Sportiello avrebbe lo stesso stretto i denti? Un portiere al 100% avrebbe preso quei due gol? E poi la gestione delle marcature, che è sembrata quantomeno approssimativa, con Van Dijk che ha saltato solo in mezzo a diverse, molte, maglie rossonere.

Le azioni da prendere come esempio sarebbero tante, come detto la squadra di Slot ha creato molto e potenzialmente avrebbe potuto segnare ancora di più (due traverse, un paio di errori in rifinitura). Quella del terzo gol è però indicativa di come, ok il talento, ma ieri il Liverpool ha vinto soprattutto per il ritmo e la capacità di agire e reagire.

Si parte con una rimessa di Tsimikas praticamente dalla sua bandierina. Il pallone va da Gakpo che l’allunga di testa, poi a Fofana che, sempre di testa, lo spinge verso Pulisic. In uno spazio angusto l’ala del Milan prova un triangolo con Morata ma il suo passaggio è sbagliato. Arriva Gravenberch che recupera correndo all’indietro e di puro slancio esce dalla sua area, aggira Morata sull’esterno e serve Mac Allister.

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L’argentino di prima cerca in verticale Diogo Jota, che sarebbe il centravanti ma che per tenere compatta la squadra si abbassa molto, lasciando a Salah a destra la profondità. Il portoghese però legge male la traiettoria e il pallone gli passa sotto al piede proseguendo la sua corsa in verticale verso la difesa del Milan.

Intanto però Gakpo era partito in verticale, perché quella è l’idea, se vuoi contrattaccare velocemente, credere che il pallone ti arriverà. L’olandese in accelerazione si lancia sul pallone anche se è in ritardo rispetto a Pavlovic. Questo semplice sforzo ha delle conseguenze: il centrale serbo del Milan sente di non avere il tempo di controllare il pallone e prova a giocarlo di prima, ma lo fa male.

Il suo passaggio è letto da Gravenberch che lo intercetta e col secondo tocco gioca un filtrante delizioso per Szoboszlai che apre in due il campo. Qui di solito la domanda è: chi nel Milan ha i piedi per giocare quel pallone? Ma forse dovrebbe essere: chi nel Milan ne avrebbe l’ambizione? E soprattutto: chi nel Milan si sarebbe trovato, quasi per magia, nel punto perfetto per ricevere tra le linee?

Szoboszlai non deve neanche controllare, già è tutto apparecchiato. Col piatto destro, di prima, serve la corsa di Gakpo alla sua sinistra. Con discreto sadismo l’olandese aspetta il recupero disperato di Pavlovic rallentando, ma quando quello arriva dà un colpo di frusta alla sua corsa e lo lascia a mangiare la polvere come lo struzzo col coyote nel famoso cartone. Il suo successivo cross poi è così preciso, in un area in cui Theo è solo contro tre avversari, che Szoboszlai deve solo mettere il piatto, come se fosse la sponda di un tavolo da biliardo.

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Insomma, i problemi del Milan di Fonseca sono tanti e dopo ieri si è aggiunta anche una plateale contestazione dei tifosi, che, parafrasando, ha invitato i giocatori a prestazioni migliori. Non è da ieri che il Milan ha smarrito l’intensità dei giorni migliori e la scelta di Fonseca era sembrata proprio la volontà di distaccarsi da un'idea di calcio fatto di batti e ribatti. Finora questo non si è visto e si può dire che ci vuole tempo. L'allenatore portoghese ne avrà? Già si parla di esonero in caso di sconfitta con l'Inter, un'altra partita in cui il Milan dovrà farsi trovare pronto se non vuole essere seppellito dal ritmo e dalla qualità dell'avversario.

Da questa sconfitta del Liverpool il Milan può forse trarne una lezione: a incidere sono stati giocatori come Gakpo e Gravenberch, la cui esperienza al Liverpool è sempre al limite, che ancora devono dimostrare del tutto il loro valore. Senza fare rivoluzioni Slot è stato bravo a mettere tutti i suoi giocatori a loro agio, partendo proprio da loro, quelli più in difficoltà. Nel Milan si parla tanto delle prestazioni individuali e un po' meno di quello che devono o dovrebbero fare. Soprattutto Fofana, Reijnders e Loftus-Cheek sono messi nelle condizioni migliori? E se non è così, cosa può fare Fonseca per aiutarli?

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