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Marco D'Ottavi

Piatek e la maledizione dei numeri 9 del Milan

Dall'addio di Inzaghi un incantesimo aleggia su Milanello.

Da quando nel 1995 il campionato italiano ha liberalizzato i numeri di maglia abbiamo assistito al loro progressivo svuotamento di significato. Ad eccezione del 10, storicamente affidato al giocatore più tecnico della squadra, e del 9, il numero del centravanti. All’inizio di questa stagione di Serie A, diciassette squadre su venti avevano un calciatore che indossava la maglia numero 9, sempre una prima punta “pura” – ad eccezione del Napoli, il cui numero 9 è Simone Verdi. Fino a pochi giorni fa era così anche per il Genoa, il cui numero 9 era Krzysztof Piątek, e per il Milan, con Gonzalo Higuain. Poi come sappiamo l’argentino è andato al Chelsea, dove ha tenuto lo stesso numero di maglia; al Genoa è arrivato Sanabria, anche lui scegliendo di vestire il numero del suo predecessore; mentre il polacco che è stato comprato dal Milan si è più modestamente accontentato del numero 19.

 

«Lui ha chiesto il 9, ma in questo momento questo numero dev’essere conquistato. Gli abbiamo fatto scegliere il 19, ma non è questione di scaramanzia». Leonardo ha giustificato l’impossibilità di Piątek di indossare la maglia più ambita per un calciatore che non ha altri scopi nella vita se non quello di fare gol, negando ci fosse della “scaramanzia” alla base dello stop ai sogni di 9 del polacco.

 

In un paese in cui la numerologia è argomento di conversazione quanto il meteo e gli arbitri, siamo sicuri che la scelta del Milan non sia davvero scaramantica? Ma soprattutto: dire che la 9 vada “conquistata” non significa proprio attribuirgli un valore e un potere diverso dalle altre?

 

E perché proprio la 9 del Milan va conquistata, “in questo momento”?

 


Foto LaPresse / Spada.

 

In fin dei conti si è parlato a lungo della mistica del numero 9 del Milan, specie quando i rossoneri hanno cominciato a mettere in fila centravanti deludenti. Da quando si è ritirato Pippo Inzaghi – il quinto miglior marcatore della storia rossonera – non è sembrato esserci nessuno in grado di raccoglierne l’eredità. Neanche Gonzalo Higuain, uno dei migliori attaccanti della storia recente del nostro campionato, sembrava poter ribaltare questa tendenza: “Sta a lui rompere la maledizione dei numeri 9 del Milan” si titolava in estate. Quando anche lui ha fallito è sembrata la conferma che forse c’è qualcosa di sovrannaturale, un incantesimo che colpisce gli attaccanti rossoneri.

 

In attesa di capire se Krzysztof Piątek potrà rompere l’incantesimo, questa è la storia della presunta maledizione dei numeri 9 del Milan.

 

Tutto ebbe inizio con Pippo Inzaghi

Il 13 maggio 2012 a San Siro c’è aria da ultimo giorno di scuola. Il Milan gioca contro il Novara già retrocesso, lo Scudetto è tornato a Torino la giornata precedente e non c’è più nulla in palio. A 23 minuti dalla fine, sul risultato di 1-1, Allegri fa entrare Filippo Inzaghi al posto di Antonio Cassano. L’attaccante del Milan ha avuto una stagione travagliata tra infortuni e panchine ed è ancora a secco, per la prima volta da quando è nato probabilmente. Si sa già che è la sua ultima partita e davvero tutti vogliono vederlo congedarsi con un gol.

 

Pochi minuti dopo, Clarence Seedorf scodella una bella palla in verticale alle spalle della difesa, che come altre mille volte Inzaghi è il più veloce a leggere la situazione. Col petto se l’allunga e al volo di destro batte il portiere in uscita per poi esplodere nella sua solita caotica esultanza, anche più caotica del solito.

 

È il 126esimo e ultimo gol di Inzaghi con la maglia numero 9 del Milan, che ha indossato per 11 stagioni consecutive. Prima di lui l’avevano egregiamente vestita alcuni dei migliori centravanti mai passati per il nostro campionato, gente come Nordahl, Schiaffino, José Altafini, Marco Van Basten – e addirittura Roberto Baggio, il 10 per eccellenza, nella stagione 1995-’96.

 

 

Dopo Inzaghi, però, il disastro.

 

Il breve interregno di Pato (stagione 2012-’13)

Dalla stagione successiva, il numero 9 va a vestire le spalle promettenti seppur fragili di Alexandre Pato. Dopo un lungo apprendistato con la maglia numero 7, il brasiliano eredita il numero di Inzaghi in un Milan che, dopo la partenza di Ibrahimovic e Cassano, vede il suo attacco affidato al brasiliano, Boateng, Robinho e Pazzini (più 9 di Pato, tra l’altro, ma che essendo arrivato alla fine del mercato deve accontentarsi dell’11).

 

Ad ogni modo Pato è nominalmente perfetto per indossare la maglia numero 9, qualunque maglia numero 9. È il perfetto esempio di centravanti moderno, diverso da Inzaghi ma non per questo meno incisivo. Velocissimo e tecnico, con un calcio potente e preciso che gli ha permesso nelle sue prime quattro stagioni in rossonero, dai 18 ai 22 anni, di segnare 57 gol in 125 partite, pur giocando spesso come esterno e non sempre partendo titolare.

 

Il problema di Pato sono però gli infortuni muscolari, che lo limitano da almeno due anni e che gli hanno fatto saltare quasi tutta la stagione 2011-’12. Affidargli la numero 9 sembra quasi un buon auspicio, un mantello salvifico che lo protegga e gli prometta stagioni piene di gol e successi. Ma, lo sappiamo, non andrà così.

 

Il primo infortunio arriva che ancora il campionato non è iniziato, tre giorni prima dell’esordio con la Sampdoria. La Gazzetta dello Sport commenta laconica: «Un contrasto un po’ forte, un altro problema muscolare». Pato torna a metà ottobre, ma le cose non migliorano. Per Allegri non è intoccabile, nonostante il numero di maglia, e Pato finisce anche in panchina. Fa in tempo a segnare un gol fondamentale contro il Malaga, nel girone di Champions, prima di farsi male di nuovo contro l’Anderlecht.

 

L’infortunio non sembra grave, un trauma contusivo della coscia destra, ma a margine di quella partita Pato esprime il suo malumore: «Voglio giocare, ne parlerò con il mio procuratore e poi vedremo». Sono gli ultimi giorni di Pato numero 9, che ancor prima che inizi il mercato di gennaio viene venduto al Corinthians per 15 milioni di euro col bottino di zero gol in campionato e due in Champions League.

 

Matri, forse il peggiore (2013-’14)

La numero 9 rimane scompagnata per il resto della stagione, con Balotelli – preso per sostituire Pato – che resta fedele alla 45, forse consapevole della maledizione, e che per 6 mesi segnerà tantissimo. Nessuno ha ancora scelto il numero 9 neanche anche all’inizio della stagione successiva, fino al 30 agosto, quando con un colpo di coda dell’ultimo minuto il Milan compra dalla Juventus Alessandro Matri. Il giocatore è sia un cavallo di ritorno (cresciuto nel vivaio rossonero ha giocato 71 minuti nella stagione 2002-’03 indossando il numero 34) sia un pallino di Allegri, che lo aveva allenato a Cagliari.

 

 

Matri arriva per mettere una pezza all’assenza di Pazzini, che si è infortunato in estate. Nei due anni alla Juventus ha dimostrato di non essere un attaccante estremamente prolifico, sempre un po’ sgraziato, scoordinato, ma comunque utile, presente, soprattutto in area di rigore. Appena arrivato appare accanto a Galliani, camicia bianca sbottonata e abbronzatura perfetta, e racconta di come la 9 del Milan sia «una maglia importante, che l’Alessandro Matri bambino sognava».

 

Aggiunge però anche che la sua maglia è la 32, però occupata, e che la 9 è «una piacevole alternativa». Alternativa o no, per Matri le cose iniziano a mettersi male fin da subito. Al numero 9 è richiesta soprattutto una cosa, da cui non si può davvero prescindere: il gol.

 

Invece Matri mostra problemi proprio in questo fondamentale: le sue apparizioni in rossonero spiccano per tragicità anche in una squadra che si è affidata al ritorno di Kakà per svoltare la stagione. Matri sbaglia tanto – indicativa a riguardo una sua prestazione disastrosa contro il Bologna – e segna poco, anzi meno di poco: segna una sola volta, un gol al Parma che finirà per essere inutile, vista la sconfitta finale per 3-2.

 

 

Il 12 gennaio il Milan perde una partita assurda con il Sassuolo (in cui Berardi segna 4 gol) e Allegri viene esonerato. Tre giorni dopo parte anche Matri, che lascia la numero 9 nell’armadietto e va a Firenze. Nessuno tira in ballo la scaramanzia, ma è piuttosto ovvio che il Milan ha inanellato due scelte sbagliate per la sua maglia di centravanti.  

 

La staffetta Torres – Destro (2014-’15)

La stagione successiva si apre con un buon auspicio, almeno se parliamo di numeri 9: il Milan esonera Seedorf e affida la panchina proprio a Filippo Inzaghi. Ancora una volta però la maglia di Van Basten e Weah rimane senza padrone fino all’ultimo giro di lancette del mercato estivo: dopo aver ceduto il 25 agosto Balotelli al Liverpool, il Milan il 31 ottiene il prestito biennale di Fernando Torres dal Chelsea.

 

Un grandissimo colpo, solo in ritardo di almeno 5 anni (storicamente in ogni mercato da quando aveva 18 anni El Niño è sempre stato accostato al Milan). La versione di Torres che arriva a Milanello è la peggiore: spenta, depressa, fisicamente allampanata. Peggiore persino di quella successiva, comunque più vitale. Ma era impossibile che Torres non prendesse la 9, come si fa a non dare la maglia numero 9 ad uno dei migliori centravanti del decennio?

 

Fernando Torres sembra però la versione spagnola di Matri: stesso numero sulle spalle, stesso numero di gol, stesso destino. Almeno lui illude i tifosi: alla prima da titolare segna un gran gol contro l’Empoli, rinverdendo i fasti del giocatore visto a Madrid e Liverpool. Lo spagnolo impatta di testa un preciso cross di Abate e manda il pallone sul palo lungo: se affidiamo ai numeri 9 una precisa tipologia di gol, questa qui sarebbe perfetta, un gol che nessun altro, se non un centravanti, può fare.

 

 

Torres però si spegne lì, ad Empoli, e progressivamente perde il posto in campo per fare spazio addirittura a Menez, che non è un 9 neanche nella forma, e che sulla maglia ha stampato il numero 7. Torres lascia dopo appena 10 partite, per tornarsene a casa all’Atletico Madrid, scambiato con Alessio Cerci.

 

Se però nelle due stagioni precedenti, dopo il mercato di gennaio la numero 9 era rimasta chiusa nelle segrete di Milanello, a gennaio 2015 spunta fuori un altro attaccante da prendere in prestito: Mattia Destro. Un giocatore fortemente voluto, tanto da spingere Galliani a recarsi personalmente a casa del giocatore. Un’immagine rimasta famosa, che l’A.D. spiegherà così: «Dovrebbe dare il senso di quanta voglia avevamo di prendere Destro»

 

In una breve intervista a margine delle visite mediche, a Destro chiedono del numero di maglia. Il giocatore sorride leggermente innervosito e biascica un «sul numero stiamo aspettando perché devo avere l’approvazione del mister», senza sbilanciarsi. Approvazione che Inzaghi deve avergli dato, perché il primo febbraio, a Parma, Destro indossa la maglia numero 9 del Milan.

 

 

A fine stagione Destro conta 15 presenze e 3 gol, un bottino meno magro dei numeri 9 che lo hanno preceduto (e la dice lunga), ma non sufficiente per convincere il Milan a spendere i 16, 5 milioni necessari per il suo riscatto.

 

Il Milan finisce la stagione con il solo Menez in doppia cifra e deve quindi ripartire alla ricerca del suo centravanti (e si dice che il fallimento di Destro abbia avuto una coda più lunga del previsto, che dietro ai 20 milioni spesi dai rossoneri per Bertolacci ci fosse una sorta di compensazione per il mancato riscatto dell’attaccante).

 

Luiz Adriano prima, Lapadula poi (dal 2015 al 2017)

Il profilo scelto per risollevare l’attacco del Milan è Carlos Bacca, reduce da due stagioni oltre i venti gol al Siviglia. Ma il colombiano deve accontentarsi della maglia numero 70, visto che la 9 se l’è accaparrata Luiz Adriano, arrivato 25 giorni prima dallo Shakhtar Donetsk per 8 milioni (a cui vanno aggiunti i cinque all’anno per l’ingaggio).

 

Mihajlovic, arrivato per sostituire Filippo Inzaghi, si trova con due prime punte (a cui si aggiunge un Balotelli di ritorno) a cui deve trovare un posto in campo. Pur con il 9 sulle spalle, ad agire più lontano dalla porta sarà Luiz Adriano, in un 4-3-1-2 in cui Bacca cerca la profondità e il brasiliano si occupa di fare da raccordo, pur avendo fatto la prima punta per tutta la carriera.

 

L’esperimento funziona solo in parte e quando l’allenatore passa alle 3 punte a pagare è proprio Luiz Adriano: il suo minutaggio diminuisce sempre di più, i suoi gol rimangono una chimera, la folta capigliatura che lo aveva accompagnato nei primi mesi diventa una monacale rasatura a zero. Magari per dare sfoggio almeno di umiltà, in un periodo in cui tutto pare andargli male.

 

 

Luiz Adriano capisce la negatività intorno alla maglia numero 9 e – ad un passo dal baratro, con 6 gol tra coppe e campionato – per la stagione ’16-’17 cambia, scegliendo la più prudente 7 (dopo aver addirittura sperimentato l’87). A quel punto La Gazzetta dello Sport parla di Giallo del numero: «Anche il numero di maglia sarebbe stato un indizio: Luiz Adriano ha lasciato libero il 9, i tifosi si chiedono se lo prenderà Lapadula o un nuovo arrivo». Oggi i tifosi sanno che a spuntarla è stato Lapadula, anche perché il mercato non porta altri centravanti (Matri e Torres – ex numeri 9 – passeranno per Milanello, ma giusto il tempo di accasarsi altrove).

 

Lapadula con la 9 del Milan è un cortocircuito: la rappresentazione calcistica del tutto può succedere. Un giocatore con un passato tra Lega Pro, campionato sloveno e Serie B arriva ad indossare una delle maglie più prestigiose del campionato senza aver mai giocato un minuto in Serie A. Lo fa dopo due anni passati a segnare caterve di gol tra Teramo e Pescara: rimane comunque una scommessa affascinante, ma pericolosa.

 

Lapadula parte comunque dietro a Bacca, che fedele al suo 70 rimane il centravanti di riferimento. Ci mette un po’ ad ingranare, anche a causa di un infortunio, e il primo gol arriva solo a novembre inoltrato, ma è un bel gol di tacco che permette al Milan di avere la meglio sul Palermo nei minuti finali.

 

 

Lapadula si ritaglia uno spazio nel cuore dei tifosi grazie alla sua tenacia (e alla sua capacità di suonare il pianoforte), ma il suo gioco mostra alcuni limiti tecnici drammatici che non lo rendono il profilo adatto per indossare la maglia numero 9 del Milan, almeno non del Milan cinese.

 

La caduta dei giganti (2017-’18)

Proprio nei mesi in cui Lapadula provava con le unghie e con i denti a difendere la sua posizione (forte di 8 gol nella sua prima stagione, di gran lunga il miglior numero 9 dopo Inzaghi), la presidenza della squadra passava da Silvio Berlusconi a Li Yonghong, che in estate punta ad effettuare una campagna acquisti importante, per ridare slancio immediato ad una squadra in crisi da troppi anni. Il primo ad arrivare è André Silva, giovane stella del Porto, pagato circa 38 milioni di Euro. La speranza è quella di aver trovato un padrone alla numero 9 per molti anni: il portoghese è sponsorizzato da Cristiano Ronaldo ed è considerato uno dei migliori prospetti nel ruolo e dargli la 9 sembra una scelta naturale e lungimirante.

 

L’inizio è lento, ma nessuno si stupisce: André Silva ha appena 22 anni e arriva da un campionato diverso, deve abituarsi. Segna due gol allo Shkendija e tre all’Austria Vienna, in Europa League, ma in campionato arranca. Il titolare è Kalinic, un altro che ha perso il treno per il numero 9 per essere arrivato in ritardo, e quando vengono provati insieme le cose non vanno per il verso giusto.

 

Silva non va bene come attaccante di raccordo, ma neanche come centravanti, e dei suoi minuti se ne appropria Patrick Cutrone, numero 9 cresciuto in casa, che con la numero 63 sulle spalle (6+3=9?) appare più rustico, ma anche più efficace.  

 


Della sua stagione rimarrà questo gol di testa al Genoa poco prima del 95esimo minuto di gioco.

 

In estate la proprietà cinese si eclissa e i nuovi dirigenti decidono di cedere in prestito André Silva (2 gol in campionato, 8 in Europa League), dopo essere riusciti a mettere le mani su Higuain, il 9 per eccellenza del campionato italiano. Higuain ha segnato 111 gol in 5 stagioni in Serie A e con l’argentino il Milan sembra andare sul sicuro: magari non sarà l’Higuain dei 36 gol in campionato, ma un numero 9 così, con quelle capacità realizzative e un raffinato gioco tra le linee, mancava da tantissimo tempo.

 

Eppure, lo sappiamo bene, anche il rapporto tra l’argentino e la numero 9 del Milan risulterà complicato, tanto da chiudersi dopo appena 5 mesi. Mettersi qui, ora, a fare le pulci ad una storia di cui si è parlato anche troppo, tra problemi dentro e fuori dal campo, è un po’ inutile, ma il finale trascinato dopo un inizio scoppiettante con 6 gol nel primo mese e mezzo, sembra forse la più clamorosa manifestazione tangibile della maledizione del numero 9 del Milan. Come giudicare altrimenti la maledetta prestazione di Higuain contro la Juventus, conclusa con un’espulsione e una mezza crisi isterica?

 

Piatek: la prova del 9?

A vederla così, tra il 9 e il Milan sembra davvero esserci un problema. Sono stati anni grotteschi che la società rossonera deve aver accusato, se davvero Piatek oggi deve conquistarsi la numero 9, nonostante i 19 gol segnati nei pochi mesi di Genoa. Il Milan parla ovviamente da società ferita dai numeri di maglia – ma anche dai numeri del campo – e quindi in qualche modo perfettamente razionale: tirando le somme, in sei stagioni e mezza i gol arrivati da chi indossava la maglia numero 9 sono stati appena 38, un numero che un ottimo attaccante può segnare in poco più di una stagione.

 

Alexandre Pato ha segnato un gol ogni 171 minuti con quella maglia addosso, con il numero 7 la sua media gol era migliore (uno ogni 155 minuti), ma soprattutto con la 7 dava l’idea di poter essere uno dei migliori giocatori al mondo: appena ha indossato la 9 è apparso chiaro che la sua carriera era ormai in un precocissimo declino.

 

Matri, addirittura, ha segnato un gol ogni 933′, risultando il peggiore tra i peggiori, tanto che in futuro non ha mai più preso quel numero (a ben vedere, neanche prima: gli unici mesi da numero 9 di Matri rimarranno quelli disastrosi al Milan). Fernando Torres con la maglia del Milan è andato in gol ogni 592′, ma soprattutto è andato in gol alla prima da titolare e poi mai più.

 

Mattia Destro ha finito con un gol ogni 282′, circa il doppio di quanto non impiegasse Jeremy Menez per andare in rete in quella stagione. Luiz Adriano da 9 ha trovato la porta una volta ogni 252′, ma lo spazio in area era occupato da Bacca. Lapadula, nonostante il pedigree più rozzo dei suoi compagni di viaggio e la convivenza con il colombiano, ha fatto meglio di tutti: 1 gol ogni 170 giri di lancette.

 

Abbastanza significativi i numeri di André Silva, che in campionato ha collezionato un gol ogni 462′ (meglio in Europa League, ma con avversari di basso livello), numeri migliorati drasticamente al Siviglia. Orribile anche la media gol di Gonzalo Higuain, abituato a ben altre cifre, che nelle 23 presenze con la maglia del Milan ha segnato appena un gol ogni 242′.

 

Tutti, va da sé, hanno fatto peggio di Filippo Inzaghi, il quale contando tutte le 11 stagioni da numero 9, quindi anche le ultime tre in cui il rendimento ha risentito dell’età, ha realizzato un gol ogni 144′. Ma soprattutto ha segnato gol importanti, che hanno portato scudetti, Champions League, grandi vittorie.

 

Ma volendo possiamo allargare il campione anche agli attaccanti che non hanno indossato il numero 9 tra il 2012 e oggi, come Bacca e Kalinic. Il colombiano in due stagioni è riuscito a mettere insieme un gol ogni 174′: non male, specie il primo anno, ma non abbastanza per far dimenticare la maledizione. Il croato ha fatto peggio, segnando un gol ogni 372′. Tutti e due sono arrivati come salvatori della patria per poi scappare come appestati.

 

Il migliore, se vogliamo attenerci al rapporto minuti/gol, è stato Giampaolo Pazzini (uno ogni 169′ in rossonero), che però in tre anni non è mai riuscito davvero a guadagnarsi la fiducia dell’ambiente, né ad apparire davvero adeguato al ruolo di numero 9.

 

Insomma, se c’è una maledizione, al Milan, è tutta sparsa intorno all’area di rigore avversaria. L’ultima grande stagione realizzativa è stata quella di Ibrahimovic, 35 gol, guarda caso proprio nella stagione 2011-’12, l’ultima di Inzaghi numero 9. I migliori marcatori nelle stagioni successive non hanno poi confermato le aspettative: El Shaarawy, che per 6 mesi sembrava trasformare in oro tutto quello che toccava; Balotelli per cui, vabbè, non basterebbe un libro; poi Menez, Bacca e infine Cutrone, l’unico che ancora ha qualche speranza di salvezza e che bene o male sta segnando un gol ogni 153′. Oltre a Piatek, ovviamente, che al momento viaggia a una media di un gol ogni 61′.

 

A questo punto lo avrete capito da soli, ma non sembra un caso che la maledizione del numero 9 è iniziata quando la società è entrata nella fase di declino. Tra tutti i ruoli, il centravanti è quello più umorale, difficile da scegliere e mantenere. Fare gol è una frazione di secondo che richiede lavoro di squadra, allenatore e società, tre elementi che negli ultimi anni non hanno sempre lavorato bene insieme al Milan. Se Higuain è stato lo sforzo fallito di invertire questa tendenza, l’acquisto di Piatek per 35 milioni è il segno che il Milan non vuole smettere di provarci. La squadra è in lotta per il 4° posto e – seppur con molti infortunati – il gioco sembra in via di miglioramento, anche grazie ad  acquisti nuovi o nuovissimi come Bakayoko e Paquetà.

 

Krzysztof Piatek ha segnato 2 gol alla prima da titolare e un altro alla prima da titolare in campionato contro la Roma, e sta confermando una certa inclinazione non comune nel fare gol anche con una maglia più pesante di quella del Genoa. Nei prossimi mesi scopriremo se riuscirà a farlo con costanza, tanto da meritarsi una maglia ancora più pesante, la 9, oppure se a Milano si dovrà iniziare a parlare di maledizione del numero 19.

 

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Marco D'Ottavi è nato a Roma, fondato Bookskywalker e lavorato qui e là.