Quanto vale un allenatore? Qual è l’apporto che dà a una squadra? Quanti punti in più ti fa fare? Sono domande che apparentemente mancano di consistenza ma su cui inevitabilmente si basa la nostra percezione del valore di un mestiere il cui contributo è sempre messo in discussione. Non a caso è una domanda che aleggia sempre nei salotti televisivi, soprattutto quando, dall’altra parte del microfono, c’è un allenatore che non offre lo spettacolo che i media - che in fin dei conti confezionano un prodotto da vendere - gradirebbero.
Queste domande hanno circondato per esempio José Mourinho per mesi. L'allenatore portoghese ha ripetuto che la Roma non potesse giocare meglio di come faceva. E se anche l'avesse fatto, se avesse cioè giocato un calcio più appagante per il comune senso estetico, avrebbe raccolto meno punti. Mourinho è stato esonerato lo scorso gennaio, proprio dopo un Milan-Roma di campionato. Quella partita è finita con una sconfitta per 3-1 e una generale sensazione di controllo da parte dei rossoneri. Mou ha chiuso la sua esperienza romana con un totale di 29 punti nelle prime 20 giornate; Daniele De Rossi, che ne ha preso il posto, di punti ne ha già 26 in 11 partite. Ciò che è ancora più evidente è che l’impostazione data da De Rossi – di gioco, di atteggiamento in campo, di approccio alla partita – è radicalmente differente da chi lo ha preceduto. L’allenatore conta? Da questi pochi dati sembrerebbe di sì.
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Certo, parliamo ancora di una manciata di partite. Il percorso di De Rossi in Serie A, e il precedente di San Siro di tre mesi fa, non sono sufficienti per dire che l’esito nella singola partita sarebbe stato uguale o diverso, senza il cambio in panchina. Ieri la Roma ha espugnato San Siro, ma chi dice che con Mourinho non si sarebbe ottenuto lo stesso risultato? Quel che è certo è che, con un altro allenatore in panchina, avremmo visto una partita diversa.
Non a caso quando in conferenza stampa a Stefano Pioli è stato chiesto che partita aveva in mente, l’allenatore del Milan ha risposto che tutto dipendeva da De Rossi, da come intendeva far giocare la sua Roma. Avrebbe preteso per sé il pallone o avrebbe lasciato l’iniziativa? Avrebbe aggredito la costruzione del gioco rossonera o avrebbe aspettato nella propria metà campo? Quello che Pioli dice è che l’allenatore conta.
L’intuizione dell’allenatore del Milan si è rivelata corretta: il contesto tattico in cui si è giocata la partita è stato creato interamente dalle scelte della Roma. La squadra di De Rossi è scesa in campo con la determinazione di fare la partita, chiedendo per sé la palla. Il 4-2-3-1 della Roma è stato tanto rigido nelle prime due linee, quanto fluido nelle ultime due: El Shaarawy e Pellegrini erano liberi, alternativamente, di alzarsi sulla linea di Lukaku o di stringersi per ricevere palla ai lati del mediano milanista Bennacer; di Dybala si è rivista la versione tuttocampista dei tempi della Juventus. Nei primi quindici minuti, il possesso palla è stato di 60-40 a favore dei giallorossi, un minuto dopo è arrivato il gol del vantaggio: Mancini ha sfruttato un blocco cestistico di Pellegrini per liberarsi della marcatura di Loftus-Cheek e presentarsi davanti a Maignan, solo al centro del castello difensivo a zona del Milan. Qualcuno potrebbe dire che "era nell'aria".
Dopo il gol, la partita ha cambiato completamente registro. La Roma ha lasciato l’iniziativa – per ammissione dello stesso De Rossi in conferenza stampa, la sua non è una squadra abituata a tenere tanto la palla. Il Milan in fase di possesso ha indossato l’abito buono, ovvero il 4-3-3 asimmetrico, con Calabria che stringe nella posizione lasciata vacante da Loftus-Cheek, pronto ad alzarsi sulla linea di Giroud, e con Pulisic che ottiene così un canale libero per una ricezione dalla difesa. È la struttura tattica che ha permesso al Milan di ottenere sette vittorie e un pareggio nelle ultime otto partite, ma era esattamente ciò che la Roma si aspettava dall’avversario. Il 4-4-2 con Pellegrini più stretto, a schermare le imbucate per Loftus-Cheek, e con El Shaarawy più alto dall’inizio dell’azione rossonera, ha sorpreso il Milan, disinnescandolo fin troppo semplicemente. De Rossi sembra sapere che esaltare le qualità dei propri calciatori vale tanto quanto depotenziare quelle degli avversari.
La Roma lasciava al Milan l’uscita a destra, perché dall’altro lato Celik e El Shaarawy, aggressivi e applicati, hanno reso impraticabile la discesa a sinistra di Theo e Leao, i due giocatori che per i rossoneri fanno la differenza. Pioli ha dovuto prendere un rischio, allargando Gabbia per far arrivare il pallone nei piedi di Pulisic o di Calabria, alle spalle della prima pressione. Si è così esposto più volte al contropiede della Roma. Ma anche quando la riconquista della palla è avvenuta più in basso, il Milan non è sembrato del tutto impermeabile.
L’istinto verticale dei giallorossi, lo stesso che hanno avuto anche sotto la guida di Mourinho, c’è ancora, anche se certi principi sono cambiati. L’azione, che all’undicesimo porta Pellegrini nell’area milanista, è un manifesto della nuova Roma, dove a ogni rischio corrisponde un’opportunità: Cristante, con l’aiuto di Dybala, venuto fino ai limiti della propria area, ripulisce un pallone che sta per perdere e lancia il contropiede dei quattro giocatori offensivi giallorossi. Più in generale, ogni qualvolta la Roma conquistava la palla, dava l’idea di poter arrivare dall’altro lato in pochi secondi: passando attraverso le sgroppate di Spinazzola e El Shaarawy, che guadagnavano lo spazio lasciato incustodito alle spalle di Calabria e Theo; oppure utilizzando lo shortcut del lancio lungo su Lukaku, impegnato in un duello costante con Gabbia, che pure lo ha limitato in area di rigore, ma che niente ha potuto fare quando l’attaccante belga ha piantato i piedi a terra sulla trequarti.
La partita si è incanalata su binari sicuri per la Roma. A sinistra, l’attenzione di El Shaarawy e Celik nei confronti di Theo e Leao è stata maniacale: a seconda delle altezze del campo, e delle intenzioni degli avversari di attaccare il mezzo spazio di sinistra o la profondità, i due romanisti si scambiavano l’uomo, “chiamando” la marcatura l’uno all’altro. A destra, Spinazzola non ha mai concesso il destro a Pulisic, l’americano ha quasi sempre ricevuto con il corpo orientato verso la propria metà campo, impossibilitato a scoprire palla sul piede buono; e anche quando è riuscito a girarsi e puntare, Spinazzola non ha quasi mai concesso di arrivare sul fondo. Il calcio può essere posizionale o relazionale - o una qualsiasi sfumatura nel mezzo di questi due estremi - si riduce nella sua forma più essenziale ai duelli. E la Roma in campo ha vinto quelli che contavano di più.
Il motore offensivo del Milan, senza un piano B, con un giro palla lento e orizzontale, si è inceppato. Tutto quello che ha ricavato dal proprio gioco sono state le conclusioni da fuori area, con Reijnders protagonista di ripetuti tentativi verso la porta di Svilar. De Rossi in conferenza stampa ha citato il decano degli allenatori Renzo Ulivieri: non si può pensare di non prendere gol, ma almeno si può scegliere come prenderlo. Quattro partite consecutive a reti inviolate alla Roma mancavano da sette anni, non è un dato da poco.
A un certo punto della partita è sembrato che nemmeno i cambi dalla panchina riuscissero a smuovere gli equilibri. Pioli ha mandato in campo Adli per Bennacer, e il linguaggio del corpo del nuovo entrato ha lasciato subito intendere cosa chiedeva il mister da bordocampo: più aggressività sui centrali difensivi giallorossi e su Paredes, preso in consegna proprio da Adli. Ma sono bastate alcune uscite in pressing fatte con i tempi sbagliati per prendere un’imbucata sanguinosa, che ha portato Pellegrini alla conclusione in area.
Il Milan ha dato l’impressione di poter arrivare al gol solo alla fine dei due tempi, quando una Roma stanca ha finito per abbassarsi troppo e per schiacciare la linea di centrocampo su quella di difesa. I tiri presi da Reijnders sono frutto della superiorità numerica che il Milan riusciva a creare sul lato destro; lo stesso lato da dove sono piovuti in area la maggioranza dei cross, su cui Mancini e Smalling hanno fatto valere la propria fisicità. E l’occasione per arrivare alla partita di ritorno con almeno il pareggio in tasca, il Milan ce l’ha avuta, eccome: Chukwueze, entrato al posto di Pulisic, ha ballato sulle punte dei piedi, rifilando un tunnel a Spinazzola e un dribbling a Mancini, servendo poi davanti all’area piccola un cioccolatino che Giroud non è riuscito a scartare.
Per giorni ci siamo chiesti come avrebbe affrontato la partita Daniele De Rossi, se l’è chiesto persino Stefano Pioli. Se avesse giocato un’eliminatoria di Europa League allo stesso modo, reattivo e gladiatorio, di José Mourinho; il modo che ha garantito alla Roma due finali di fila nelle competizioni europee. Alla fine è stato il Milan a fare la solita partita, e stavolta non è stato sufficiente.