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Dopo oltre un’ora di gioco confusa e spettacolare, Milan-Roma si è conclusa di fatto con due momenti speculari, due azioni quasi identiche ma eseguite a maglie invertite.
Al 71' il Milan è riuscito a trovare il filtrante a lanciare l’attaccante in porta, oltre la linea difensiva avversaria, semplicemente facendo circolare il pallone in orizzontale, verso l’esterno destro. Musah ha ricevuto a pochi centimetri dalla linea del fallo laterale e, alzando la testa, ha trovato il centrocampo della Roma completamente disgregato, con Gimenez libero sulla trequarti mentre N’Dicka si preoccupava di un fantasma che gli stava scappando alle spalle. L’attaccante messicano ha così ricevuto libero di attaccare la linea giallorossa a palla scoperta e, dopo un paio di passi, ha trovato un corridoio semplice per Joao Felix, che chiedeva palla a fianco di Hummels, tenuto in gioco da Rensch.
Quattro minuti dopo la Roma ha avuto l’ennesima occasione di riaprire la partita praticamente allo stesso modo. Da destra Saelemakers ha trovato sulla trequarti Dybala, seguito solo a vista da Pavlovic, e Dybala ha trovato un corridoio facile per Dovbyk, che scappava in profondità proprio davanti a Tomori. La differenza tra le due azioni, cioè tra lo scavetto elegante di Joao Felix e l’autogol annullato di Reijnders, sta nella spalla dell’attaccante ucraino, rimasta oltre la linea difensiva rossonera al momento del filtrante della “Joya”. Una di quelle cose che gli allenatori amano chiamare “dettagli”.
Detta così sembra una partita combattuta sul filo del centimetro, mentre Milan-Roma è stata praticamente il contrario. Due squadre sfatte, ancora molto lontane dall’aver trovato una propria identità, che sembravano poter prendere gol in qualsiasi momento e che forse speravano di riuscire a surfare sugli eventi indirizzando con un colpo l’inerzia emotiva dalla propria parte. È stata una partita che alla fine si è decisa su aspetti intangibili, e forse è vero, come ha fatto notare anche Riccardo Trevisani in telecronaca, che la scelta di Conçeicao di far entrare Gimenez e Joao Felix pochi minuti dopo il gol del 2-1 della Roma ha pesato più per aver riacceso l’entusiasmo di San Siro in un momento in cui si temeva che le cose potessero andare per il peggio che per il loro effettivo contributo in campo.
Tra gli aspetti intangibili ci sono stati anche quelli simbolici, su cui Milan-Roma sembra destinata a giocarsi almeno da quando Agostino Di Bartolomei si trasferì in rossonero, più di quarant'anni fa. Ieri è stato Tammy Abraham, vincitore nel 2022 della Conference League con la Roma, a veder riaprirsi vecchie ferite. Fischiato all’uscita dal campo dai propri ex tifosi dopo una doppietta che non segnava da più di tre anni, l’attaccante inglese ha risposto mimando la coppa vinta due stagioni fa e dopo la partita ha dichiarato di esserci rimasto male. Sarà interessante capire che strascichi lascerà tra qualche mese, quando le due società dovranno decidere cosa fare con il suo prestito e quello di Saelemakers.
È stato un momento che ha restituito una patina romantica a un calciomercato che ormai assomiglia alla modalità FUT di FIFA, e che ci ricorda una condizione comune. Milan e Roma cercano di guardare avanti di fronte a un presente deludente, continuando però a dover fare i conti con le scelte fatte nel passato. Tammy Abraham è arrivato a Milano solo pochi mesi fa teoricamente come alternativa ad Alvaro Morata, ma quando lo spagnolo è stato ceduto non è mai stato davvero preso in considerazione per un posto da titolare. Nonostante sia stato scelto ieri da Conçeicao per partire dal primo minuto, sembra già far parte del passato. E mentre San Siro alla sua uscita era concentrato sul giocatore che avrebbe preso il suo posto, lui ha ricordato un momento avvenuto ormai quasi tre anni fa.
Il cambio di Abraham è stato il simbolo del rinnegamento di un passato recente, che è stato il tema che ha accomunato entrambe le squadre. Di fronte al miraggio di essere a quattro partite da un trofeo che potrebbe salvare una stagione molto più amara del previsto, per dire, Claudio Ranieri ha deciso di rinunciare a Dovbyk, arrivato a sua volta quest’estate su richiesta di De Rossi, che teoricamente avrebbe dovuto rappresentare il nuovo corso. Al suo posto ha giocato Shomurodov, un giocatore rimasto a Roma quasi per caso ma che Ranieri apprezza dopo averlo allenato a Cagliari. L’azzardo, però, non ha funzionato. L’attaccante uzbeko ha in parte contribuito alla risalita del pallone in un primo tempo comunque piuttosto ricco di occasioni per la squadra giallorossa, ma è mancato nell’ultimo terzo di campo, dove teoricamente un centravanti dovrebbe essere più presente. Quando nel secondo tempo è entrato Dovbyk, la Roma è sembrata immediatamente avere un altro peso davanti, pur essendo per paradosso meno pericolosa.
Esemplificativa l’azione arrivata all’ottavo minuto, con il risultato ancora sullo 0-0, quando Shomurodov ha provato a calciare di prima la bella sponda in area di Pisilli, ma ha tirato talmente male da prendere in pieno la coscia di Tomori, che non stava nemmeno coprendo lo specchio della porta. Sembrava poter essere un pattern tattico decisivo per la partita. L’inserimento della mezzala sinistra della Roma, Pisilli per l’appunto, nel corridoio tra Tomori e Walker, molto preoccupato di difendere l’ampiezza attaccata a sinistra da Angeliño. Un vantaggio strutturale del 3-5-2 nei confronti del 4-4-2 del Milan, accentuato dalle difficoltà dei rossoneri a scivolare orizzontalmente rimanendo compatti e dal fatto di avere il proprio crossatore migliore proprio sull’esterno.
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Sfruttando questo vantaggio, la Roma nel primo tempo ha preso una traversa proprio con Pisilli (inseritosi in quel corridoio sull'ennesimo ottimo cross di Angeliño), ed è arrivata per due volte al tiro a pochi metri dalla porta difesa da Maignan con dei tagli esterno-interno del suo esterno spagnolo. Il 2-0 con cui si è concluso il primo tempo, però, ha convinto Ranieri a fare tre cambi e a mettersi a specchio con il 4-4-2 - una decisione che con il senno di poi è stata più irrazionale di quanto non sembrasse sul momento.
Con il nuovo modulo infatti la squadra giallorossa ha perso il vantaggio sugli esterni, e con l’uscita dal campo di Paredes la qualità nel trovare l’ultimo passaggio sulla trequarti avversaria, abbandonandosi al gioco di transizioni che Conçeicao aveva pensato fin dal primo momento, e che dopo gli ingressi di Gimenez, Joao Felix e Leao non avrebbe mai potuto vincere. La squadra giallorossa è stata anche tradita nei momenti decisivi dalla spina dorsale che sembrava aver trovato con Claudio Ranieri: Svilar (incerto sulla respinta del tiro da fuori di Reijnders che ha portato al gol dell’1-0), Hummels (troppo affrettato nella rottura della linea sul gol del 2-0), Paredes (messo in panchina dopo un tempo) e Dybala (autore di una partita grigia).
Il Milan, da questo punto di vista, sembra essere stato premiato per essere rimasto fedele alle idee di Conçeicao. L’allenatore portoghese è all’inizio di un percorso che dovrebbe portare il Milan ad assomigliare al suo Porto - una squadra cioè con tre linee molto compatte e aggressive sul campo, pronte a scattare in verticale verso la porta avversaria non appena viene recuperata palla. La realtà attuale, come ammesso dopo la partita dallo stesso Conçeicao, è ancora piuttosto lontana da questo ideale. Il Milan continua a fare fatica a difendere in maniera posizionale e tende a spaccarsi frequentemente, sia quando prova ad essere più aggressivo e alto sul campo, sia quando prova ad accelerare il gioco in transizione.
Proprio per le difficoltà da cui è nato il risultato, però, quella di ieri potrebbe essere una di quelle partite che aiutano a cementare la fiducia dei giocatori nel proprio allenatore. Conçeicao dice di star «lavorando per essere più compatti e più aggressivi [perché] non siamo ancora così [come il suo Porto, nda]» e da questo punto di vista sarà interessante capire come riuscirà a coniugare questa esigenza con una rosa che adesso è molto sbilanciata in avanti. Se l’idea è davvero quella di un 4-4-2 con Joao Felix e Gimenez davanti, è possibile a quel punto essere compatti e aggressivi tenendo in campo anche Pulisic, Theo Hernandez, Reijnders e soprattutto Leao? Quanto sacrificio deve essere richiesto a questi giocatori in un contesto tattico di questo tipo? Ieri Conçeicao ha tenuto inizialmente il numero 10 portoghese in panchina per dei leggeri fastidi muscolari ma è possibile che la scelta di mettere Jimenez sulla fascia destra, con Pulisic spostato sul suo lato, nascesse anche dall’idea di difendere meglio il lato forte della Roma. «Leao deve saper giocare con la palla ma anche senza la palla perché lui gioca dentro un collettivo e si deve mettere a disposizione», ha detto l’allenatore del Milan dopo la partita con una severità che strideva con i festeggiamenti del post-partita.
Insomma, la vittoria di ieri è stata importante da un punto di vista simbolico e pratico, dato che adesso il Milan potrà giocarsi un trofeo in appena tre partite, ma Conceiçao è comunque atteso da scelte difficili, la cui soluzione richiederà del tempo. Torniamo a questa conclusione un po’ scontata ma che il mondo del calcio, ossessionato dal pensare “partita per partita”, tende a dimenticarsi molto in fretta.
Oggi il Milan sembra sul ciglio di una nuova rinascita eppure è passato solo un mese da quella Supercoppa italiana vinta contro l’Inter che pareva annunciare la stessa cosa. In mezzo è successo di tutto, o almeno così ci pare, e il Milan sembra di nuovo a un punto di partenza. In realtà, la partita di ieri sembra dire proprio questo: per voltare pagina ci vuole sempre più tempo di quello che ci piace immaginare.