Oltre a Fabio Quagliarella, il cui colpo di tacco contro il Napoli nello scorso campionato era nella lista dei gol da votare per il Puskas Award, le uniche candidature italiane ai FIFA Best del 2019 - i premi annuali della FIFA che celebrano l’eccellenza mondiale a livello calcistico - erano quelle della capitana e della CT della Nazionale: Sara Gama e Milena Bertolini.
Nessuna delle due ha vinto alla fine - Gama era tra le candidate per la miglior formazione; il premio di miglior allenatrice è andato invece a Jill Ellis, la CT che con la Nazionale statunitense ha conquistato gli ultimi due Mondiali - ma è un segnale che attesta la grande annata vissuta dal calcio femminile italiano.
Dopo 20 anni di assenza da un Mondiale femminile sarebbe davvero bastato partecipare per entrare nella storia, invece l’Italia è arrivata fino ai quarti di finale, un traguardo che non raggiungeva addirittura dal 1991. Soprattutto è stata una Nazionale seguita come mai prima nella sua storia. Passata l’esaltazione per il grande Mondiale giocato, Milena Bertolini si trova ora a gestire un contesto nuovo, in cui sarà necessario trasformare il successo estivo in una crescita stabile e duratura.
Dopo le celebrazioni meritate, quale nuovo obiettivo vi siete fissate?
Dobbiamo raccogliere l’eredità che ha lasciato il Mondiale, che ha fatto conoscere e apprezzare il calcio delle ragazze a tutti gli italiani e alle italiane. Molte bambine hanno avuto la possibilità di vedere le ragazze che giocavano, conoscere il calcio femminile, e adesso vogliono provare a iscriversi, giocare a calcio.
Raccogliere l’eredità significa, quindi, creare le condizioni perché le bambine che vogliono giocare a calcio possano avere la possibilità di farlo, senza trovare ostacoli, che non sono normativi ma pratici: le strutture vicino a casa, l’accoglienza da parte delle società maschili, l’accoglienza dei dirigenti a prenderle a giocare a calcio. La cosa più importante è l’aumento dei numeri.
Dopo il Mondiale è davvero cambiata la percezione del calcio femminile in Italia?
Un po’ è cambiata, perché quando porti sette milioni di persone a vedere Italia-Brasile (il riferimento è agli spettatori che hanno visto in tv la partita, trasmessa per la prima volta nella storia della Nazionale femminile in prime time su Rai 1, nda) vuol dire che un cambiamento c’è stato. La strada è ancora lunga perché la cultura non la cambi nel giro di mesi, così come i pensieri radicati, però soprattutto sulle giovani generazioni e sulle stesse donne di una certa età la percezione è cambiata. Magari il pensiero medio è ancora quello, cioè che le donne non possono giocare a calcio, però il Mondiale ha dato un grosso calcio a questi stereotipi.
Non è vero quindi, come dice qualcuno, che troppa attenzione mediatica può diventare controproducente?
L’attenzione mediatica è importante, perché se io non parlo di te, se non ti conosco, per me non ci sei. Adesso se ne parla ed è importante perché ti fa conoscere. È chiaro che tutti abbiamo l’immagine del Mondiale, adesso la nostra responsabilità, non solo delle giocatrici e degli addetti ai lavori, ma anche di chi ha compiti di governo, è di mantenere alto questo standard. Poi qualche critica te la può portare, ma è il rovescio della medaglia.
Quanto è lontana l’Italia dai migliori movimenti del resto del mondo?
C’è sempre molta distanza, noi siamo arrivate tra le prime otto, ma sono rimaste fuori nazioni molto più forti di noi. Le ragazze in questo Mondiale sono andate oltre, hanno fatto qualcosa di straordinario, ma in realtà il Giappone, che è rimasto fuori dalle prime otto, è superiore a noi, così come l’Australia, la Germania, la Spagna, che non sono entrate nelle prime otto. Anche se stiamo crescendo (il centro studi della FIGC ha stimato un aumento del 40% nel numero di richieste di iscrizione alle scuole calcio femminili, nda), noi siamo sempre ventimila e occorre fare politiche più forti per crescere. Ci siamo avvicinati, però siamo 14.esime nel ranking e abbiamo quindici o venti nazioni più forti di noi.
Si aspettava di fare così bene ai Mondiali?
L’obiettivo era passare il girone, poi la prima partita, contro l’Australia, ci ha aperto una strada migliore, però insomma non mi aspettavo di fare così bene, speravo di passare almeno il primo turno.
Qual è stata la partita migliore?
Quella col Brasile, nonostante la sconfitta. Abbiamo incontrato una squadra molto tecnica, che è anche la nostra migliore qualità, mentre andiamo più in difficoltà quando incontriamo squadre che hanno grande fisicità. I nostri punti di forza sono la tecnica, le competenze tattiche, e quindi incontrando il Brasile, che l’ha messa sulla tecnica, siamo riuscite a esprimerci meglio.
L’Olanda era davvero troppo oltre le nostre possibilità?
È chiaro che si può sempre fare meglio, però le ragazze avevano avuto un dispendio di energie mentali e fisiche molto alto. L’attenzione mediatica, tutto il can-can che si era creato, è chiaro che ti porta via energie mentali, perché non eravamo abituate a tutto questo. E poi l’intensità delle partite: il calcio internazionale è molto più intenso, fisico, di livello molto più alto e quindi c’è stato un dispendio fisico enorme. Giocare tante partite in poco tempo ti fa perdere molte energie, e infatti contro l’Olanda abbiamo retto solo un tempo e non abbiamo mai dato l’impressione di poter fare del male.
Se ci fai caso, le giocatrici che avevano avuto maggiore risalto mediatico perché avevano fatto gol, Barbara Bonansea e Cristiana Girelli, sono quelle arrivate più stanche, perché probabilmente avevano avuto un dispendio di energie notevole. C’è da considerare che tutte noi eravamo debuttanti, e l’esperienza è fondamentale in un torneo, mentre le olandesi erano campionesse d’Europa. Riuscire a gestire quelle situazioni fa parte dell’esperienza.
Qual è il margine di crescita più evidente?
Adesso stiamo crescendo in intensità e fisicità grazie al lavoro dei club, però dobbiamo lavorare ancora sul livello tecnico, perché se cresci a livello tecnico riesci a gestire la palla e hai un minore dispendio di energie. Il nostro problema è riuscire ad avere qualità tecnica ad alta intensità.
Nelle prime due partite dopo il Mondiale la squadra è sembrata un po’ in calo (l’Italia ha iniziato il girone di qualificazione agli Europei del 2021 con due vittorie sofferte contro Israele e Georgia). Come mai?
Contro Israele e Georgia abbiamo avuto difficoltà sulla velocità di movimento della palla, quando trovi squadre chiuse la qualità tecnica è importante, ma c’è anche un discorso di motivazioni e di stanchezza mentale. Ripartire dopo un Mondiale così, dopo così poco tempo e senza aver fatto partite di campionato dà una stanchezza mentale che si riflette sul gioco.
Noi siamo un’unica unità, non si può dividere la mente dal corpo. Nel Mondiale avevamo una grande fame e te la ritrovavi in campo, la vedevi. Probabilmente adesso c’è un po’ di appagamento, proprio perché il Mondiale è stato molto intenso dal punto di vista mentale, e questo si ripercuote sulla velocità del gioco, sull’intensità, sulla velocità del passaggio, su tutto.
La squadra è stata costruita su un blocco ben definito, come cambierà in futuro?
Ci sono circa 40-46 giocatrici su cui stiamo lavorando, come negli scorsi anni la Nazionale maggiore si riunisce insieme all’Under-23. Ho inserito due giovani (Giada Greggi e Benedetta Glionna, nda) e credo che in futuro ce ne saranno di più, anche perché alcune giocatrici che hanno partecipato al Mondiale sono avanti con l’età.
Da qui in avanti sarà importante quello che dice il campionato e dipenderà molto da come le ragazze che hanno fatto il Mondiale riusciranno a scrollarsi di dosso la fatica e il senso di appagamento. Le motivazioni fanno la differenza e probabilmente le giovani hanno dalla loro l’entusiasmo, la motivazione di farsi conoscere perché devono ancora raggiungere dei risultati, però mancano di esperienza.
Quali sono le giovani più interessanti che possono entrare nel gruppo?
Abbiamo cambiato le portiere e in più ho convocato Giada Greggi, che è del 2000, e Glionna, che è del ’99. Nella scorsa convocazione c’erano Bonfantini e Caruso, che sono del ’99 e sono nell’Under-23, ma penso anche ad Alice Tortelli, che se riesce a risolvere i problemi fisici è un’altra giocatrice d’interesse.
Poi ci sono anche altre ragazze, come Lenzini e Mascarello, insomma in questa Under-23 ci sono delle ragazze che possono passare con noi, così come dalla Nazionale maggiore qualcuna può passare in Under-23, dipende sempre da come si comportano nei club in campionato.
I principi di gioco visti al Mondiale resteranno?
In questo percorso abbiamo cercato di portare dei concetti e delle idee generali. Il principio è difendere in avanti, abbiamo lavorato molto sulla difesa in avanti, sulla gestione della palla e sul movimento senza palla, un aspetto in cui fatichiamo. Poi abbiamo lavorato sul duello, sul tenere il contrasto fisico, una cosa in cui siamo carenti. Questi sono i temi su cui abbiamo lavorato, la gestione della palla, il passaggio forte perché ti dà velocità al gioco, la squadra sempre aggressiva in avanti, riaggredire immediatamente nel momento in cui perdi la palla.
Ha costruito la squadra attorno alle sue idee o è partita dalle qualità delle giocatrici?
Fondamentalmente abbiamo utilizzato due moduli, sempre tenendo le due punte, o un 4-4-2 o un 4-3 e poi una larga e due punte, in modo asimmetrico. Mi piace l’idea di giocare con le due punte perché ci sono punte brave, metto in campo le giocatrici che secondo me sono le più brave e poi trovo il modulo.
Non ho un sistema mio e non significa che non si possa cambiare, se dovessimo avere tante esterne d’attacco brave allora magari si può lavorare con le esterne d’attacco. Quello che conta sono i principi, gli attaccanti devono essere i primi difensori e i difensori sono i primi registi, quelli che impostano il gioco, poi i moduli sono una conseguenza. L’importante è mettere le giocatrici nelle migliori condizioni di esprimersi, il calcio sono loro e le loro interpretazioni.
Ai Mondiali l’Italia giocava molto in verticale, era una scelta o vi siete dovute adattare alle circostanze delle diverse partite?
Contro la Giamaica e la Cina non abbiamo gestito bene la palla, abbiamo verticalizzato spesso e questo ha comportato un dispendio di energie enormi che abbiamo pagato nella partita contro l’Olanda. Nei momenti di difficoltà contro la Cina, che ci pressava molto, ci sono state tante verticalizzazioni, che hanno dato i loro frutti ma poi abbiamo pagato.
Quando giochi molte palle in verticale la squadra deve accorciare immediatamente, facendo magari 40 metri di corsa in avanti. È diverso se invece sali col fraseggio. Si è però vista la nostra maturità, contro una squadra che ci pressava molto forte come la Cina non avevamo ancora la capacità e il coraggio di gestire la palla, e allora abbiamo verticalizzato maggiormente.
Intanto è ricominciato il campionato, che idea si è fatta?
Quest’anno è cresciuto di livello, ci sono sempre più squadre professionistiche, è salita anche l’Inter e quindi il campionato sta diventando quasi completamente formato da squadre professionistiche. È importante, le squadre si sono rinforzate e il campionato secondo me è cresciuto dal punto di vista della fisicità e dell’intensità, perché sono arrivate molte straniere che hanno queste caratteristiche. Però sono di seconda fascia, hanno portato intensità e fisicità, ma non qualità.
Sono contenta perché le partite sono più intense, e di questa cosa ne beneficia anche la Nazionale, ma mi dispiace che sono arrivate troppe straniere. Va bene se sono di livello alto, e quindi fanno crescere le giocatrici italiane, ma se sono di seconda o terza fascia avrei fatto delle riflessioni in più sul far crescere le nostre giovani. È importante mantenere la nostra specificità e non copiare gli aspetti non positivi del calcio maschile.
Come si spiega il fatto che allenino solo tre donne?
Non mi piace che quest’anno ci siano due donne in meno ad allenare. Ci sono tantissime ragazze che hanno la qualità per poter allenare, che portano tutta l’esperienza del calcio femminile e anche la sua storia. Ci sono dirigenti che vengono dal maschile, adesso anche nel calcio femminile ci sono risorse economiche e inizia a diventare appetibile anche per ex calciatori e uomini che magari hanno competenze, ma è importante che ci siano donne ad allenare perché ce ne sono con qualità. Nel calcio femminile stanno arrivando molti uomini, ma non altrettante donne stanno entrando nel calcio maschile, mi piacerebbe ci fosse equità.
Chi teme di più nel girone di qualificazione agli Europei?
La squadra più forte è sicuramente la Danimarca, è la favorita, ma anche la Bosnia è una nazionale in grande crescita. A livello internazionale tutte le squadre stanno crescendo, soprattutto a livello di aggressività e di intensità. Non ci sono più partite facili e ne abbiamo avuto prova. La squadra deve ritrovare la determinazione e la fame che ci hanno contraddistinte in questi due anni e che ci hanno portate ai Mondiali.
Qual è la prossima missione?
La prossima missione è dare continuità al lavoro fatto, far vedere un bel calcio come abbiamo fatto al Mondiale e far conoscere sempre più il calcio delle donne in Italia per dare l’opportunità alle bambine di giocare.