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Milinkovic-Savic è partito (di nuovo) fortissimo
16 set 2022
Un altro grande inizio di stagione del gioiello della Lazio.
(articolo)
11 min
(copertina)
Foto di Giampiero Sposito / Getty Images
(copertina) Foto di Giampiero Sposito / Getty Images
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Il Principe Marko, re serbo realmente esistito alla fine del 1300, nelle ballate e nella poesia serba (ma anche bulgara e macedone) è diventato un personaggio fantastico simbolo di forza e giustizia, speranza e resistenza (era il tempo dell’invasione ottomana, anche se secondo gli studiosi l’epica del Principe Marko è precedente al Principe Marko stesso, con cui forse ha coinciso per via del nome, addirittura contemporanea all’Iliade e all’Odissea). Dotato di forza sovraumana, difensore dei più deboli, con una mazza pesante più di ottanta chili e un cavallo alato con cui beveva vino e chiacchierava, in alcune leggende si racconta che il Principe Marko camminasse sulla cima delle colline e con la testa toccasse le nuvole. Perché questo è il modo in cui immaginiamo gli uomini straordinari, no? Forti e alti. Fortissimi, altissimi. Così forti e così alti che quando non sappiamo che fare possiamo sempre cercarli con una palla alta a metà campo.

Anche il fratello maggiore dei Milinkovic-Savic, quello nato in Spagna, leggermente più piccolo dell’altro che fa il portiere nel Torino, a volte sembra camminare su un piano sopraelevato rispetto agli altri giocatori in campo, con la testa che sfiora le nuvole. Non ci sono ancora ballate dedicate a Sergej Milinkovic-Savic (o ci sono?), in compenso questo è tipo il centesimo pezzo che dedichiamo al suo talento epico. Ma dobbiamo farlo. Anzitutto perché, come quasi ogni anno degli otto che ha passato alla Lazio, in estate si è parlato di una sua imminente partenza, alla Juve, al Manchester United, e invece veste ancora quella maglia celeste con cui lo abbiamo letteralmente visto crescere (aveva vent’anni quando è arrivato, non aveva i baffi né il pizzetto, la faccia era ancora quella tonda da post-adolescente). Mentre ogni estate le altre squadre italiane di vertice cercano quasi scaramanticamente l’acquisto in grado di fargli fare il salto di qualità, la Lazio di Lotito si accontenta di tenere il miglior centrocampista del campionato. Talmente migliore che definirlo centrocampista è persino riduttivo.

E dobbiamo farlo, soprattutto, per questo, perché la qualità delle sue prestazioni lo staccano di netto dal resto dei centrocampisti del campionato. Anche solo in queste prime giornate. Possono esserci magari centrocampisti altrettanto efficaci, o in forma in questo momento, ma nessuno ha il suo impatto sulle partite, o la sua influenza sul resto della squadra.

Al ventesimo minuto la Lazio imposta con i centrali di difesa a ridosso della linea di centrocampo, mentre la Sampdoria mantiene una linea difensiva piuttosto alta, a trequarti di campo. Patric la passa a Romagnoli che vede una bella linea di passaggio in diagonale per tagliare alle spalle del centrocampo blucerchiato. La palla arriva a Sergej Milankovic-Savic, ma il passaggio è veloce e, come si dice a Roma, “rimbalzello”. Difficile da controllare. Per un attimo sembra quasi andare a sbattere contro Milinkovic-Savic, su cui è anche uscito in pressione il centrale difensivo avversario Colley. Allora in maniera sorprendente e controintuitiva, con un gesto semplice e fluido, usa la stessa velocità della palla per colpirla con il tacco esterno del piede destro e prolungarla alle sue spalle, in profondità, per Ciro Immobile. Che ovviamente fa gol.

Quattro assist in sei partite giocate che hanno contribuito a quattro dei nove gol segnati dalla Lazio in campionato. Tre su tre dei gol di Immobile sono nati da un passaggio di Sergej Milinkovic-Savic. In questa coda di estate sembra avere il potere di dare vita all’attacco della Lazio anche nelle situazioni più statiche. La scorsa stagione SMS l’ha chiusa in doppia doppia - 11 gol e 10 assist - segnando a Sassuolo, Spezia e Juve e mandando al gol Immobile contro Milan (l’unica sconfitta dopo il derby di marzo con la Roma) e Torino, cinque delle ultime otto partite, in un momento delicato della stagione in cui la Lazio era scesa al settimo posto ed è risalita al quinto. A inizio agosto, in un’intervista al Corriere dello Sport, Maurizio Sarri ha detto che Milinkovic-Savic ha «potenzialità ancora inesplorate», e poi usando il tempo imperfetto ha aggiunto che «privilegiava l’estetica, la giocata che definisco effimera, all’efficacia. Però è vero, nell’ultima parte di stagione ha cercato la funzionalità e ha fatto la differenza».

L’ultima volta ne ho scritto sette mesi fa, in un pezzo in cui mi chiedevo se non stavamo dando per scontato il suo talento, se non ci fossimo abituati alla sua straordinarietà. E c’è ancora questa idea che SMS piaccia - a chi come noi lo elogia più o meno con un pezzo ogni sei mesi - che “rubi l’occhio”, solo perché è alto un metro e novanta e usa la suola. Come un orso sui pattini che una volta visto dal vivo perde di fascino. A me sembra piuttosto che forse sottovalutiamo lui come sottovalutiamo la Lazio, che può avere brutte giornate come col Midtjylland, ma che quando gira bene è semplicemente una delle due o tre squadre con più qualità offensiva di tutta la Serie A.

E la Lazio gira bene quando gira bene SMS.

Quando Milinkovic-Savic riesce ad avere influenza nella partita. A vincere i duelli, cioè, fisicamente o tecnicamente, e a trovare l’ultimo passaggio o il movimento che lo porta al tiro. Provedel dalla porta lo cerca spesso, anche rasoterra in mezzo al campo, passaggi rischiosi anche se arrivano a destinazione, perché di solito il giocatore che li riceve ha molta pressione, ma che nel caso di Milinkovic-Savic sono palloni messi in cassaforte. Il che non significa che sia infallibile: contro il Napoli ha sbagliato un controllo finendo addosso a Kvaratskhelia, che poi è andato dritto fino al limite dell’area e ha calciato in porta, e ha sofferto anche la pressione del Torino. Persino Tameze gli ha tolto qualche pallone.

In generale però, a rendere speciale il suo apporto in queste fasi delicate di gioco, in un campionato in cui l’unica cosa a cui sembrano pensare gli allenatori è come distruggere la costruzione avversaria, come tanti bambini sadici in spiaggia che camminano sui castelli altrui, è il controllo tecnico di questo centrocampista largo e alto come la colonna di un garage in un centro commerciale. Quando si abbassa incontro alla palla, tra il difensore centrale destro e il terzino, Lazzari, sulla fascia, anche con l’uomo addosso può tenerla, ondeggiando a destra e a sinistra scegliendo con cura il compagno a cui scaricarla (quello libero), oppure giocarla di prima con l’interno su quella stessa fascia, per il movimento di Lazzari in avanti o quello all’indietro di Felipe Anderson.

Oppure viene cercato, anche dai difensori quando la loro impostazione è pressata, con palloni alti che lui prolunga all’indietro per Immobile o Felipe Anderson - quelle che a Roma si chiamano “spizzate” - che possono riceverla sui piedi o in profondità, alle spalle della difesa. Una giocata tanto frequente in questa Lazio quanto impossibile da difendere se perdi il duello aereo. E con SMS è facile che il duello aereo lo perdi.

Dopo un’ora di gioco la Lazio è ancora sullo 0-0 con il Verona. Il portiere del Verona, Montipò, lancia lunga una palla su cui era stato pressato. La recupera Lazzari che si inserisce internamente, scaricando poi su Milinkovic-Savic, sfilato a destra, lontano dalla marcatura a uomo di Tameze. Milinkovic-Savic può portare palla fino a poco prima dell’area di rigore, restando sempre sull’esterno, poi alza la testa e mette in area un cross violento, che passa davanti a Coppola e Hien, rimbalzando sul limite dell’area piccola e finendo sulla testa di Ciro Immobile, appostato sul secondo palo a pochi metri dalla riga di porta.

Con Simone Inzaghi in panchina Milinkovic-Savic giocava immediatamente a ridosso di Luis Alberto e Immobile, a sinistra, associandosi tecnicamente e muovendosi in profondità; con Sarri ha arretrato leggermente la sua zona di partenza, muovendosi dal centro destra in verticale, finendo spesso in area di rigore ma anche rimanendo più basso, partecipando maggiormente alla consolidazione del possesso, facendo da regista a modo suo. Oppure giocando lungo, dando verticalità, cercando di innescare direttamente Felipe Anderson e Immobile. Sottolineiamo spesso il suo gioco nello stretto, il controllo al velcro che sembra aumentare l’aderenza quando ha più avversari addosso, compiacendosi quasi della sua capacità di proteggere il pallone, ma forse non parliamo abbastanza della sua capacità nei passaggi.

A Sergej Milinkovic-Savic non piace parlare di sé stesso, del suo modo di giocare. Sembra quel tipo di uomo a cui non piace parlare, punto. Che preferisce i fatti. Ma i suoi non sono mai fatti banali, fatterelli terra terra, ha una personalità creativa, voglia di fare cose nuove. Si fida delle sue capacità, della sua tecnica e della sua visione di gioco. Non è un giocatore preciso, a volte anzi è un po’ pigro, proprio per la troppa consapevolezza dei suoi mezzi, che lo spinge magari a cercare la soluzione da fermo, la prima soluzione alla portata. Ma spessissimo riesce a pescare la giocata geniale, la palla sorprendente per tutti tranne che per lui e per il compagno che sta correndo in uno spazio che ancora non esiste, che attiva proprio SMS mettendoci la palla.

Non posso dire con certezza che l’assist realizzato contro il Verona fosse interamente voluto, che avesse calibrato quella palla proprio in modo che tagliasse l’area, rimbalzasse in mezzo a due difensori e arrivasse sulla testa di Immobile. Ma se dovessi scommettere direi di sì, che voleva trovare Immobile sul secondo palo con una palla tesa e non alta - Immobile che, tra l’altro, compie un movimento a uscire dal centro, andando sul secondo palo quando vede che SMS sta caricando il cross: anche Immobile ha scommesso su un tipo di palla di quel genere, sapendo che poteva dargliela, come io sto scommettendo che gliela volesse dare sapendo che Milinkovic-Savic può dare quel tipo di palloni.

Davanti a Sergej Milinkovic-Savic ci sono nove giocatori dell’Inter. Il portiere, i cinque difensori schierati al limite dell’area, i tre centrocampisti. Non lontano ci sono anche Lautaro Martinez (con le mani sulle ginocchia per un attimo) e Lukaku che trotterella verso di lui. Riceve la palla sulla sinistra del centrocampo, da Marusic, e ruotando sulla suola del destro si apre il campo frontalmente. Lo affronta Brozovic, cerca di coprirgli la palla, come si dice, ma lui ha già visto Felipe Anderson alle spalle di Dimarco, distratto. Finita, l’azione finisce qui. Mettere la palla al centro dell’area sulla corsa di Felipe Anderson, in modo che debba solo toccarla per evitare Handanovic in uscita, va da sé. Il gol la Lazio lo segna quando Milinkovic-Savic riceve palla a metà campo e vede un compagno correre dietro le spalle dei difensori avversari. Non esiste un calcio più semplice di così.

In questo inizio di stagione - ma sono qualità che ha mostrato in tutti questi anni, anche se magari più sporadicamente - la qualità nei passaggi e la visione di gioco di Milinkovic-Savic si sta elevando al livello dei migliori registi offensivi d’Europa (De Bruyne, Alexander-Arnold etc.). Forse è proprio per sfruttare la tecnica del suo interno piede che Sarri (già dallo scorso anno) lo ha spostato a destra.

Contro l’Inter c’è l’assist a Felipe Anderson, ok, ma riguardate con attenzione il secondo gol della Lazio, quello di Luis Alberto. La giocata che apre il campo è quella di Milinkovic-Savic, che riceve palla in verticale tra le linee, nel mezzo spazio di destra, e con un passaggio orizzontale che sorprende la difesa piatta dell’Inter (in particolare Darmian che fa un passo in avanti per provare ad intercettarlo ma poi si deve riposizionare) trova Pedro sul lato debole. Pedro la appoggia a Luis Alberto che di esterno segna uno dei gol più bella stagione, ma quel passaggio di Milinkovic-Savic è di un’intelligenza e di una freddezza molto poco comune.

In definitiva, come diceva David Foster Wallace (di cui è da poco passato il 12esimo anniversario della morte), giornalisticamente parlando non abbiamo notizie succose su Sergej Milinkovic-Savic. Ha iniziato bene anche questa stagione, sai che novità. Persiste la sensazione di già visto, che lui alimenta cercando di cambiare il meno possibile di se stesso, dallo stile della barba e dei capelli alla quasi totale mancanza di interviste, opinioni, uscite pubbliche di qualsiasi tipo. SMS sembra esistere solo in funzione del proprio talento, che oltretutto non prende neanche troppo sul serio.

Contro il Torino, dopo diciotto minuti, Milinkovic-Savic va incontro a una palla rasoterra che arriva direttamente da Provedel. Con Ricci incollato alle spalle la gioca di prima, in diagonale dietro le proprie spalle, su Felipe Anderson che insieme a Rodriguez che lo manda a terra gliela fa tornare sui piedi. Nel frattempo Lazzari è partito sulla fascia e ha il campo aperto. Con un po’ di calma SMS potrebbe controllare e lanciarlo. Invece preferisce fare una rabona di prima intenzione che arriva un po’ sporca a Immobile, che riesce a mala pena a colpirla di testa nella direzione di Lazzari, che però viene anticipato da Ricci.

Perché anche questo è Milinkovic-Savic. Forse per questo ad alcuni allenatori e ai tifosi più intransigenti non piace, o piace meno di quanto piaccia ad altri. Perché se tutti pensano alle sue potenzialità, a chissà cosa potrebbe fare se solo fosse (ancora) più efficace, più concentrato, più continuo, chissà cosa farebbe in una squadra inglese, al Real Madrid, al PSG, eccetera: il punto è proprio che a Sergej Milinkovic-Savic tutte queste cose non interessano. Il talento non è una divinità pagana da nutrire di sacrifici, in cambio dei quali si viene ripagati dal successo. Il talento è uno strumento, con una sua utilità certo, ma proviamo piacere quando guardiamo in azione qualcuno con molto talento.

Sergej Milinkovic-Savic gioca con la consapevolezza che proviamo piacere a guardarlo, anzi sembra provarne anche lui guardandosi. E meno male.

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