
Mirra Andreeva è una tecnologia di nuova generazione. Domenica ha vinto Indian Wells, ma la notizia non è il secondo Master 1000 consecutivo, per quanto questo sia di per sé un traguardo eccezionale.
Non stiamo parlando di una tennista che diventa interessante per aver infilato una striscia di vittorie: ogni tanto capita che il tennis faccia clic, l’anno scorso è stata Danielle Collins, ma a volte i numeri sono solo numeri e poi passano. Questo è un caso diverso, nel quale sarebbe riduttivo persino parlare di talento generazionale. Il talento di Mirra Andreeva potrebbe in breve rendere obsolete le migliori avversarie, e promette di diventare una di quelle storie sportive a cui è un privilegio poter assistere da vicino.
Non ha ancora diciotto anni, e in quest’ultimo torneo ha battuto la n.1 del mondo in finale, e la n.2 in semifinale. Solo Steffi Graf e Serena Williams hanno fatto lo stesso prima di lei. E questi numeri - ripetiamo - non sono soltanto numeri, perché Steffi Graf batteva nientemeno che Navratilova ed Evert, mentre ad Andreeva oggi sono toccate le pluricampionesse più dominanti che il circuito WTA abbia conosciuto nell’ultimo decennio. Sabalenka e Swiatek hanno vinto quaranta titoli in due e da tre anni si contendono il vertice del ranking in pianta stabile; il livello del circuito cresce alimentandosi della qualità del loro gioco. Andreeva, però, sta puntando a vette ancora più alte e le sta raggiungendo prima di quanto le sue avversarie potessero immaginare.
Prometteva di essere il futuro due anni fa, quando aveva quindici anni. In Australia, nello stesso giorno in cui Sabalenka vinceva il primo titolo slam, perdeva la finale del torneo juniores contro Alina Korneeva (coetanea, connazionale, compagna di doppio e come lei al debutto slam), dopo una guerra di quasi tre ore e mezza finita con lacrime disperate e abbracci. Una delle partite juniores più seguite di sempre, che segnò aspettative altissime. L’anno successivo avrebbero raggiunto entrambe il tabellone principale nel torneo maggiore. L’anno dopo, che è questo, Korneeva come altre diciassettenni sta lavorando per provare a entrare in top 100, mentre Andreeva è n.6 del mondo ed è considerata tra le favorite per un titolo slam a breve, e forse una ventina di altri a seguire. Non c'è niente di normale in questo.
Sabalenka in semifinale aveva consumato, fredda, la sua vendetta su Madison Keys colpevole di averle tolto il terzo slam australiano consecutivo. E soprattutto sembrava essere uno dei pochi problemi che Mirra Andreeva non riusciva a risolvere, un gradino di tennis troppo alto per il suo fisico non ancora adulto. L’aggressività di Sabalenka è semplicemente troppo per tutte le sue avversarie, ma ha fatto sempre attenzione ad Andreeva - da quando se l’è trovata davanti per la prima volta quindicenne, a non lasciarle spazi, intuendo che se li sarebbe presi senza fare complimenti. Aveva ragione, naturalmente, e l’ha confermato la storia, quando Andreeva nel 2024 è stata l’unica a battere Sabalenka in uno slam, eliminandola ai quarti del Roland Garros, in un momento magari non di forma brillante ma al centro del migliore anno della sua vita.
Nei due incontri successivi a inizio 2025 non c’è stata mai davvero partita. La restaurazione della n.1 è stata a senso unico, e a Indian Wells la finale è iniziata sulle stesse note. Anche se il primo 15 lo vince Andreeva, (e, secondo le oscure leggende in cui molti tennisti segretamente credono, il primo 15 di una partita è un presagio importantissimo, perché spezza gli equilibri e le tensioni invisibili tra i due giocatori), Sabalenka è decisa. Sembra soffrire più la tensione che non l’avversaria: la tiene a distanza con il servizio, vincendo il primo set senza farsi breakare.
Andreeva però ha due qualità fondamentali: l’istinto in risposta, che è il singolo colpo più difficile da migliorare anche per i professionisti, e la capacità di imparare velocemente. Nel secondo set gli errori si riducono, il saldo di vincenti è +10, dopo diciotto palle break annullate, Andreeva strappa il servizio a Sabalenka e rimanda la finale al terzo. E nell’ultimo set, quando Aryna sta servendo sotto 3-5 15-15, a seppellire definitivamente le sue speranze è una risposta di dritto che le torna indietro più veloce del servizio, si stampa a pochi millimetri dalla riga, e la lascia in piedi, immobile e sconfitta. Non farà più neanche un punto.
Sabalenka è una dominatrice, lo è nel tennis che esprime e nel margine che si è costruita in vetta alla classifica, per cui malgrado le ultime sconfitte ha ottime chance di rimanere numero uno fino all’estate. Ma non è nata così: lo è diventata con un percorso lungo e accidentato, lungo il quale è dovuta passare prima dal circuito di doppio, poi da tanti titoli minori; non ha raggiunto una semifinale slam prima dei 23 anni. Spesso è stata il peggior nemico di se stessa, tante promesse avrebbero potuto non realizzarsi mai, e si è salvata attraversando momenti difficili e imparando dagli errori. Si è conquistata il suo posto e lo difende colpendo la palla più forte di tutte; la velocità di Andreeva che le fa più male non è quella dei colpi, ma questa con cui fa sembrare facile un percorso lungo il quale lei è caduta tante volte.
A Iga Swiatek non è andata meglio. Andreeva l’ha battuta due volte su due in meno di un mese. È vero che Dubai non è mai stato il suo torneo preferito, ma a Indian Wells ha vinto due titoli e gioca sempre bene: fino agli ottavi aveva lasciato per strada appena sei game e sembrava pronta a calpestare qualsiasi avversaria. Ai quarti poi si era appena presa la rivincita su Qinwen Zheng, la tennista che lo scorso anno alle Olimpiadi le ha simbolicamente tolto una medaglia d’oro che sentiva già sua.
Swiatek riemerge da un periodo difficile, reduce da una squalifica di un mese per una positività al doping da contaminazione, una situazione che, malgrado abbia dimostrato di non avere alcuna responsabilità, ha descritto come la peggior esperienza della sua vita. Ma per capire come sta Swiatek bisogna vedere come si muove mentre gioca, e per una settimana, sui campi viola del deserto americano, il suo footwork è stato immacolato, splendente come ai tempi d’oro.
Durante la semifinale c’è stato un altro presagio. Stavolta il merito è del regista, che ha colto un momento al cambio campo in cui Andreeva, con l’asciugamano sulle spalle, si è messa a leggere degli appunti. Ha preso una specie di diario dalla borsa, l’ha appoggiato sulle ginocchia e ha iniziato a leggere. Come sarebbe dovuto accadere solo in un’opera di fiction, il vento si è infilato tra i fogli, permettendo alle telecamere di cogliere tra le pagine scritte a mano i nomi delle avversarie sconfitte nelle partite precedenti, e ai fan sui social di impazzire per il quaderno della morte. Ultimi fogli: Rybakina, Svitolina, Gracheva.
Mentre Swiatek cedeva a un raro gesto di frustrazione contro una pallina, forse il suo destino era già scritto. D’altra parte sapeva di avere un problema “hard-hitters”, per cui le sue sconfitte di quest’anno contro Ostapenko e Keys erano spiacevoli ma messe in conto: questo è il fronte su cui sta lavorando da parecchio tempo. Ma questa avversaria non rientra nella categoria, anzi, colpire forte non le appartiene; è un problema nuovo e ignoto.
Dal suo esordio nel circuito maggiore da esile quindicenne, Andreeva all’inizio ha messo in luce soprattutto le sue qualità in difesa, le risorse tattiche e la capacità di far giocare sempre un colpo in più alle avversarie - una Daniil Medvedev in miniatura. Presto ha dimostrato di essere invece una creatura multiforme, con un repertorio vastissimo, e una capacità impressionante di assimilare tennis. Funziona davvero come l’intelligenza artificiale: migliora all’interno degli scambi, impara in tempo reale. Può sbagliare, ma riesce a fare con grande facilità cose difficili. Anche se in alcuni momenti delle partite emergono tratti della sua emotività, la sua capacità di non farsi tradire dalla pressione fa quasi paura.
Una volta che un telecronista si è permesso di farle un appunto sulla maturità mentale, quando si era trovata a annullare match point sotto 5-1 nel terzo set della partita contro Diane Parry in Australia, Mirra Andreeva si è morsa un braccio, ha iniziato la rimonta, fino a vincere la partita per 7-5 al tiebreak.
Andreeva ha qualità da Djokovic in risposta, e come lui sa assorbire il gioco delle avversarie - a differenza sua ha iniziato da più giovane, e non ha mai cinque set di tempo per riuscirci. La sua prima vittoria contro una testa di serie è stata contro Ons Jabeur, la tennista a cui diceva di sentirsi più simile, a Melbourne lo scorso anno: 60 62. La varietà delle soluzioni può essere coltello a doppio taglio: un dono, ma anche un labirinto; una complicazione che rende difficile trovare la concretezza per fare la scelta giusta al momento giusto, dove tennisti come Jabeur o Musetti spesso si perdono. Mirra Andreeva è programmata diversamente: avere tante soluzioni migliora la sua efficienza.
Corre “come un coniglio”, dice di se stessa. I suoi algoritmi predittivi sono rapidissimi: legge bene, anticipa, e spunta a sorpresa nel punto giusto al momento giusto. È naturalmente veloce, non perde mai campo e non sembra fare fatica - non ha bisogno dell’esplosività del lavoro di gambe di Swiatek. Riesce a colpire la palla in qualsiasi modo da ogni posizione di campo. Non perde mai l'equilibrio. Ha un controllo fuori dal comune, usa tutte le traiettorie, compresi angoli strettissimi, non ha bisogno di grandi margini. Usa con disinvoltura tutti i tagli, gioca palle cariche, profonde, sicure, scomode. Disegna il campo con il back, difficilmente sbaglia una palla corta, taglia di chop per chiamare le avversarie a rete e passarle con calma, tirando senza fretta nell’angolo che avuto cura di liberarsi. Precisamente con questo sistema è diventata un cubo di Rubik infernale per Iga Swiatek.
Negli ultimi mesi la sua risposta tagliata ha fatto stragi di top 10 e di campionesse slam. Su erba non è ancora mai stata testata, ma non c’è motivo per cui non dovrebbe essere letale come promette. Non contenta, sta lavorando al servizio, che migliora a vista d’occhio e le porta sempre più punti veloci - oggi è quinta per ace nel 2025. È molto difficile dire cosa le manca. Se tutto questo già non sembra umano, se non bastasse il modo in cui non c’è avversaria o palcoscenico che riesca a impressionarla, c’è da aggiungere che il gioco di Mirra Andreeva funziona su ogni superficie. L’anno scorso la semifinale al Roland Garros e la medaglia d’argento in doppio alle Olimpiadi, ora due Master 1000 sul veloce (su campi molto diversi tra loro). Nei discorsi di premiazione, iconica, ha ringraziato sé stessa.
La sua è pura intelligenza tennistica, e una combinazione di ingredienti di ottima qualità. Mirra Andreeva è russa, si allena a Cannes, e ha una coach spagnola, Conchita Martinez. Ha assorbito la mentalità competitiva delle tenniste russe, il loro colpire la palla senza paura, la profondità tattica e la pazienza della scuola spagnola, e l’orientamento all’eccellenza dell’ambiente francese. In più Mirra, nata a Krasnoyarsk in Siberia nel 2007, è la sorella minore di Erika Andreeva, ed essere i secondi in famiglia a giocare a tennis è un altro ottimo segno - vedi Serena Williams, Andy Murray (sua crush), e altri.
Pare che sua mamma Raisa si sia appassionata al tennis durante la gravidanza di Erika nelle ore trascorse davanti alla tv: in quei mesi Maria Sharapova vinceva il suo primo slam a Wimbledon e poi le Finals, poi la vittoria di Marat Safin all’Australian Open del 2005 la convinse definitivamente a mettere le figlie su questa strada. Erika, oggi ha vent’anni e si aggira nell’ultimo terzo della top 100. Vinse il torneo Avvenire nel 2018; Mirra al tempo aveva 11 anni, ma già allora i più nerd teorizzavano che potesse essere lei il vero talento.
Andreeva non è la prima giovanissima a esplodere come campionessa. Non sono passati neanche sei anni da quando Coco Gauff ha raggiunto gli ottavi di finale a Wimbledon da quindicenne, anche se è vero che nel 2019 il circuito era molto diverso. Non c’è dubbio che sia a distanze siderali da eventuali controparti nel circuito maschile, dove il più precoce è Joao Fonseca, quasi diciannove anni e best ranking al numero 60. Ma la WTA ha una sua storia con le star adolescenti - un pezzo si può leggere in Come Tracy Austin mi ha spezzato il cuore, dove David Foster Wallace racconta del trauma indelebile lasciato sulla sua psiche da una sua coetanea che a quattordici anni vinse un torneo professionistico e due anni dopo uno slam, senza che il mondo finisse. Nel 1994, dopo gli slam (e l’accoltellamento) di una giovanissima Monica Seles, la WTA introdusse una age eligibility rule, un’idoneità a scaglioni d’età che stabilisce a quanti eventi del tour si può accedere, per tutelare la salute fisica e mentale delle atlete. Soglie di età che permettono comunque di arrivare a vincere uno slam prima dei 18 anni, come hanno dimostrato Hingis, Serena Williams, e Sharapova. Ma l’elenco si è chiuso lì, e nel corso del tempo la WTA ha avviato una transizione importante nell’allungare la carriera delle atlete nell’altra direzione, quella di giocare più a lungo, e fare in modo che la maternità non rappresenti la fine.
Mirra Andreeva è precoce e può arrivare lontanissimo. Ha già realizzato molto di quanto altre hanno solo promesso negli ultimi anni. Emma Raducanu nel 2021 ci regalò uno US Open da sogno, quando vinse il suo primo slam a diciotto anni partendo dalle qualificazioni - ma nei quattro anni successivi il suo tennis si è perso in cambi di allenatori e infortuni, travolto dalla difficoltà di gestire le pressioni dentro e fuori il campo. Brenda Fruhvirtova è una coetanea di Mirra, nata in Repubblica Ceca, sorella minore di un’altra tennista di talento, Linda, e cresciuta in accademie francesi come una predestinata: nel 2023 diventava la più giovane ad aver vinto 10 titoli ITF, nel 2024 si affacciava per la prima volta tra le prime 100 del mondo. Fa però ancora molta fatica a trovare continuità nel circuito maggiore. Le migliori diciassettenni si sono conquistate un posto tra le prime 300 del ranking WTA, l’unica altra teenager in top 100 è Maya Joint, a breve diciannovenne, ottantesima. Arriveranno, ma questo è il momento di Mirra, e lo sarà ancora a lungo.