Micol Di Segni è una fighter italiana di arti marziali miste, l’ultima in ordine cronologico a essere arrivata a un passo da UFC, l’organizzazione di MMA più importante del mondo.
Di Segni vanta un record di 8 vittorie (5 ottenute prima del limite per KO tecnico o sottomissione) e 3 sconfitte. Campionessa in carica della promotion spagnola AFL nella categoria dei pesi paglia femminili e vincitrice da dilettante del mondiale IMMAF nel 2015, Micol ha combattuto in quattro continenti (Europa, America, Asia e Africa) e in organizzazioni di primissimo livello, tra cui il Cage Warriors e il Brave CF.
Ad agosto 2019 Di Segni è stata chiamata al Dana White’s Contender Series, promotion che porta il nome del Presidente di UFC. White infatti al termine di questi eventi decide a quali fighter offrire l’agognato contratto che potrebbe portarli sul tetto del mondo. La fighter italiana ha però perso ai punti contro Mallory Martin, che ha preso così il suo posto in UFC.
Di Segni tornerà a combattere sabato 30 ottobre contro Adriana Fusini (3-1, 1 pareggio) in un evento della promotion italiana Venator Fighting Championship, la stessa in cui Marvin Vettori ha disputato cinque match (tutti vinti) tra il 2015 e il 2016, prima di approdare in UFC.
La locandina del match che attende Di Segni (via Instagram, @venatorfc_official)
Ma Micol non è solo una fighter, anzi. La sua è una personalità complessa, poliedrica, artistica, che in altre interviste ha più volte definito “terreno di grandi contrasti”. Per riuscire a capirla fino in fondo, quando la chiamo al telefono le chiedo di partire dal principio, cioè dal periodo dell’infanzia. La sua voce suona allegra e squillante: «Sono nata alla Balduina, un bel quartiere a Nord di Roma, dove ho frequentato scuole private sia alle elementari che alle medie. Ero una bambolina, una bimba vivace con una chioma di ricci biondi e gli occhioni verdi, vestita sempre da principessa, perché mi piaceva il mondo delle fiabe. Quando avevo 12 anni i miei genitori hanno deciso di separarsi, ed è stato un momento difficile per me, perché ho dovuto cambiare casa e abitudini. Per di più stavo entrando nell’adolescenza, che non è mai facile, e infatti lì ho cominciato a scoprire il mio lato da ribelle. Anche perché il divorzio tra i miei è stato tribolato e ha creato una situazione spiacevole, tanto che i rapporti con mio padre e la sua famiglia si sono rovinati parecchio».
Micol è anche una modella alternativa, professione intrapresa diversi anni fa con lo pseudonimo di “Eden Von Hell” (un gioco di parole tra i vocaboli “paradiso” e “inferno”): «Ho scoperto il sito Suicide Girls (che ha dato il nome a quella tipologia di modelle, ragazze in stile dark, punk, indie o alternative in generale ritratte in pose softcore, nda) quando ero ancora minorenne, e mi ha subito incuriosito. Ho aspettato di compiere i 18 anni e sono entrata in contatto con una fotografa americana che scattava per Suicide Girls e frequentava Roma. Era una ragazza come me: amava viaggiare, le piacevano i tatuaggi, i capelli tinti in modo stravagante, così ho posato per la prima volta e mi sono trovata subito a mio agio. Sai, sono alta 1.60 e peso 52 chili, sicuramente non rientro nei canoni della moda classica. Quando ho scoperto che anche una come me avrebbe potuto fare la modella, sono rimasta sospesa tra stupore e felicità».
«Per i miei genitori invece è stata una scelta difficile da digerire» continua Micol. «In particolare papà l’ha sfruttata per cercare di infastidire e provocare mia madre. Durante le sedute in tribunale per il divorzio arrivò a definirmi una pornostar, ci ha fatto una pessima figura. Anche mamma era preoccupata, mi diceva: “Se a 18 anni pensi che questo possa essere il tuo lavoro per tutta la vita, ti sbagli. Fare la modella è un’occupazione a breve termine, come camperai dopo?”. La sua ossessione è sempre stata che io studiassi, perché un titolo di studio ti assicura una posizione, ti dà possibilità che altrimenti non avresti. Infatti le sono grata, è grazie a lei se mi sono prima diplomata e poi iscritta all’università dove, dopo qualche indecisione, ho scelto Scienze motorie. Oggi mi mancano pochi esami alla laurea. È un investimento per il mio futuro, ma mi è già servito per essere un atleta più consapevole, e quando mi ritirerò avrò le carte in regola per diventare anche una coach preparata».
Un’altra grande passione di Micol sono i tatuaggi. «Contestualmente all’attività da modella in quel periodo ho cominciato a lavorare come body piercer in diversi studi di tatuaggi di Roma, guadagnavo bene. E ho iniziato a tatuarmi anche io, e pure tanto. È stato un periodo folle, divertente. Insomma tra tatuaggi, piercing e servizi fotografici da modella alternativa, mia madre pensava che il passo successivo fosse la tossicodipendenza (ride, nda)».
Di Segni in posa durante uno shooting (via Instagram, @edenvonhell)
Quando le chiedo da dove è nato in lei il desiderio di combattere, Micol resta in silenzio per qualche secondo. «Non so risponderti, però ricordo il momento in cui ne ho sentito il bisogno. Avevo 25 anni ed ero persa, non sapevo cosa fare da grande. Mi ero resa conto che non avrei potuto fare la piercer per tutta la vita, perché era un lavoro di moda e le mode passano. Ho fatto l’educatrice cinofila per un periodo, ma avevo capito che non era la strada giusta per me. Insomma, ero parecchio confusa. Mi sono fermata a pensare, e ho realizzato che innanzitutto avevo un gran bisogno di sfogarmi. Così tramite conoscenti sono entrata in palestra per la prima volta. Quando mi sono accorta che era un ambiente quasi esclusivamente maschile sono rimasta incuriosita, ho realizzato che potesse essere un’altra occasione di percorrere una strada poco battuta da altri».
Le domando come hanno reagito i suoi cari: «Erano increduli perché non sono mai stata una sportiva, anzi. Ero pigra e poco dotata atleticamente, impedita a fare qualsiasi sport. Quindi quando ho annunciato che volevo lanciarmi nelle MMA professionistiche, per di più a 28 anni, sicuramente sono sembrata ridicola, poco credibile. In tanti erano scettici, pensavano quasi a uno scherzo. Poi ho vinto il mondiale da dilettante, e mi sono ritrovata a passare al professionismo. È successo in modo naturale, senza tanti programmi. Ho iniziato con le MMA solo per mettermi alla prova, e ho continuato spinta dai buoni risultati in gabbia. Quando mi hanno proposto di debuttare da pro ho pensato: “Tanto le botte sono sempre quelle, perché non provare?”. Combattere è la sensazione più bella del mondo. Ah, e a quel punto tante persone si sono ricredute sul mio conto».
Un tema ricorrente nella vita di Micol è la sua determinazione nel compiere scelte poco convenzionali, senza farsi condizionare dalle possibili incomprensioni che sarebbero potute nascere con le persone che l’hanno sempre circondata. «Non mi è mai importato più di tanto del giudizio altrui, quello che conta è che io sia felice. Il denominatore comune di tutte le esperienze della mia vita è stata la capacità di lasciarmi trasportare dal flusso degli eventi, e il coraggio di assecondare le mie inclinazioni e passioni, a prescindere da qualsiasi condizionamento esterno. Ho sempre programmato poco e ho vissuto appieno le mie scelte, fino in fondo. Tanti tasselli si sono incastrati da soli, le cose giuste capitano sempre al momento giusto, ne sono convinta».
«Mi sono capitati anche parecchi episodi negativi» riprende Micol, «di cui ho capito il senso dopo diverso tempo, rielaborandoli, e allora si sono trasformati in benedizioni o in opportunità di crescita. Ho trovato aspetti positivi anche nel male. Penso a quando è mancato il mio cane, che per me era la mia migliore amica. È successo quando ero già in crisi con il mio compagno e con il team in cui mi allenavo allora, e venivo dal primo KO subìto in carriera, un momento davvero difficile. Ero molto confusa, non stavo bene. Nei giorni in cui il mio cane stava morendo per una malattia fulminante è arrivata la proposta per il match alle Dana White’s Contender Series. L’ho presa come un segno del destino, ho pensato: “Adesso che sono rimasta sola posso trasferirmi in America, è l’occasione giusta per entrare in UFC”».
«Quell’incontro l’ho preparato negli Stati Uniti, dove ero già stata in passato, alla Jackson Wink MMA, lo stesso team di Jon Jones (anche se al momento ne è stato allontanato dopo i recenti fatti di cronaca che lo hanno coinvolto, nda) e Holly Holm, tra gli altri» prosegue Micol. «Nonostante mi fossi impegnata moltissimo, durante il camp ero distratta, pensavo alla situazione che avevo lasciato a Roma. Non ero lucida, e a posteriori sento di aver gettato l’occasione della vita, ma sono treni che passano una volta sola. Dopo la sconfitta è stato terribile», e qui si incupisce, anche se non perde la sua parlantina. «Sarei voluta rimanere in America, dove avevo trovato una mia dimensione, ma mi è scaduto il visto il giorno dopo l’incontro, per cui sono dovuta ripartire subito. Mentre l’aereo decollava su una Las Vegas addormentata, guardavo fuori dal finestrino e pensavo al mio sogno in frantumi e alla situazione che avrei ritrovato a casa, dove non ci sarebbe più stato il mio cane ad accogliermi. È stato pesante, l’unico momento in cui ho pensato di ritirarmi dall’attività agonistica. Invece mia madre – proprio lei – mi ha spronata a tornare in palestra, e una volta lì poi giorno per giorno riprendi la solita routine e ci metti una pezza».
Le faccio notare come la figura di sua madre ritorni spesso nei suoi racconti. «Viviamo insieme e mi fa sentire sempre il suo appoggio, sin dalle piccole cose» risponde. «Mi aiuta nella dieta pesandomi gli alimenti prima di cucinarli, e quando torno dagli allenamenti mi fa trovare la cena pronta. Praticamente è come se fosse un membro del team (ride, nda). Poi è stata una sportiva di alto livello, nazionale di scherma, quindi sa cosa vuol dire sacrificarsi, fare la vita da atleta».
«Mi piace molto il contrasto tra la figura di una fighter e invece la dimensione da barbie, che mi riporta alla mia infanzia» mi dice quando le chiedo come coniuga le diverse sfaccettature della sua personalità. «È il modo in cui esprimo me stessa, il risultato del mio percorso. Mi piace truccarmi, mettermi i tacchi e vestirmi bene, ma anche uscire in tuta e sudare in palestra. Sono due mondi che convivono dentro di me, a cui do sfogo posando da modella e combattendo in gabbia. Le MMA mi hanno reso più donna, nel senso che mi hanno aiutato ad esplorare tanti lati di me che non conoscevo, a scoprirmi a fondo. Mi hanno dato consapevolezza e sicurezza, che si trasformano in vibrazioni positive percepibili dalle persone intorno a te. Mi hanno aiutato a capire chi ero e a non vergognarmene. Mi hanno arricchito a livello umano, cambiandomi profondamente».
Ma cos'è che rende femminile il combattimento? «Le donne e gli uomini combattono in maniera completamente diversa, ci sono tante differenze stilistiche: ad esempio le ragazze hanno percentuali maggiori di riuscita in alcune tipologie di takedown. Valentina Shevchenko è una delle fighter più violente mai esistite, ma mantiene sempre la sua femminilità, che non le toglie efficacia in gabbia, anzi». Certo che farsi spazio in un mondo ancora a fortissima prevalenza maschile non dev’essere stato facile. «Sul tatami le differenze si assottigliano, ma riemergono appena finisce l’allenamento» mi spiega Micol, «quando tocca sentire spesso la battuta o il commento fuori luogo. In Italia le donne che combattono sono poche. Negli Stati Uniti invece fare la fighter è una professione più comune, nei team ci sono tante ragazze che fanno gruppo, perciò le dinamiche sociali e relazionali all’interno delle palestre sono diverse, è più difficile trovare quello che cerca di fare lo stupido. L’ho visto con i miei occhi allenandomi con Holly Holm, che era in grado di mettere in difficoltà anche gli atleti negli sparring misti, guadagnandosi il loro rispetto».
Di Segni posa con Jon Jones alla Jackson Wink MMA di Albuquerque, nel New Mexico (via Instagram, @edenvonhell).
«Nelle palestre italiane invece di solito le donne sono i pesi più leggeri che non servono a nessuno, perché quando si allenano con i ragazzi giustamente devono essere trattate con le pinze per via dello squilibrio fisico e di forza» prosegue. «Insomma, rubano tempo e spazio, salvo rare eccezioni. Questo accade soprattutto se la fighter in questione è l’unica donna del suo team. Quando all’ex Gloria Fight Center, prima che me ne andassi, è arrivata Gloria Peritore (campionessa di kickboxing che si è cimentata anche nelle MMA, nda), per me è cambiato parecchio, in positivo. Altrimenti prima dovevo sempre chiedere un round a qualcuno dei ragazzi, che così doveva rinunciare a una delle sue riprese per trascorrere tre o cinque minuti con me, che non ho la stazza giusta per dare un round di qualità a un Alessio Di Chirico che pesa 84 chili, e infatti mi chiedeva che senso avesse. Ma ne sono convinta: più che una questione culturale, si tratta di numeri. Servirebbero più fighter donne per cambiare le cose, e il progresso sarebbe naturale».
Essere una ragazza che combatte in gabbia ha però dei riflessi anche nella quotidianità. «Andare a cena con gli amici e ritrovarsi l’unica donna in una tavolata di uomini non è semplice. A me è capitato spesso di trovarmi in mezzo tra il tavolo delle mogli e quello dei compagni di palestra. Io non ero la moglie di nessuno ma ero una donna, ed ero una fighter ma non un uomo. Dove mi sarei dovuta sedere? E se avessi avuto un fidanzato, lui dove si sarebbe accomodato non essendo un fighter? Sono situazioni particolari, tipiche della mia vita».
Mi domando se ci possano essere ripercussioni anche sul piano sentimentale. Micol mi risponde: «Gli uomini che frequento vengono dal mio ambiente, anche perché è difficile uscire con qualcuno di esterno. Da atleti facciamo una vita di sacrifici: sono sempre a dieta, quindi niente cene fuori, la sera sono stanca e vado a dormire presto, perciò niente discoteca, non bevo alcool e via così. Poi molti tentano l’approccio con la battuta: “E allora che fai, mi meni?”, e mi passa subito la voglia di parlarci. Invece con un mio collega è più semplice, anche se bisogna evitare con cura i compagni di palestra per ovvi motivi. Insomma, è un’arma a doppio taglio». Prendo coraggio e le faccio una domanda molto delicata, che ha a che fare con la scarsità di tutele di cui categoria dei fighter in generale soffre: «No, non ho nessuna intenzione di avere un figlio, a prescindere dalla mia carriera» mi risponde Micol, un po’ stranita. «È una convinzione che ho da quando ero piccola, poi pensavo cambiasse crescendo, ma non è successo».
I due modi d’essere di Micol riassunti in una foto (via Instagram, @edenvonhell).
Un altro tema che affrontiamo insieme è quello dell’omosessualità. «Quella femminile nelle MMA è molto più tollerata rispetto a quella maschile, credo sia perché le persone vedono atlete che spesso considerano mascoline mentre praticano uno sport ritenuto da uomini. Non so invece come reagirebbe la massa davanti a un fighter, magari famoso, che fa outing. Ho sentito spesso tanti amici omosessuali che temono di andare a lottare in palestra per paura di essere guardati male. Anche perché spesso in Italia tanti team, specialmente in passato, hanno avuto tendenze di estrema destra, per cui ci può stare questa preoccupazione da parte di un ragazzo omosessuale, che teme ad avvicinarsi a un certo ambiente. Con l’aumento dei praticanti la situazione cambierà per questioni statistiche, ci vorrà più apertura mentale e spero di vedere presto un fighter urlare al mondo di essere gay. Resta il fatto che al momento l’ambiente intorno alle MMA le ha rese uno sport sessista».
L’intervista sta per finire, ma c’è ancora una questione molto delicata da affrontare. Micol in passato è stata accostata al movimento politico di estrema destra CasaPound: «Non ho mai fatto parte di CasaPound, non ci sono mai stata neanche lontanamente vicina» chiarisce. «Sono totalmente estranea a quel mondo».
Micol rientrerà in gabbia a giorni, in un incontro inizialmente programmato per lo scorso giugno, ma che è saltato all’ultimo momento. «Sono stata malissimo» spiega, «ho contratto un’infezione da stafilococco in palestra. Mi hanno operata sette volte dietro al collo per incidere una specie di foruncolo enorme che continuava a rigenerarsi. È successo durante la fight week, mentre stavo finendo il taglio del peso, quindi avevo le difese immunitarie quasi a zero. Per fortuna l’antibiotico ha fatto effetto, e sono guarita. Adesso sto bene, ho recuperato totalmente. Il camp è andato alla grande, ancora meglio di quello svolto prima di ammalarmi. Fusini è un’ottima striker e una grande incassatrice, sarà un match molto duro. So che vorrà vincere a tutti i costi, è una sfida che ho voluto fortemente. Non vedo l’ora di offrire al pubblico lo spettacolo che merita. E poi spero di difendere presto la cintura AFL».