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Eravamo pronti per celebrare Modric
23 giu 2018
Anche se i tifosi croati non gli perdoneranno alcune controverse giudiziarie, la prestazione contro l'Argentina potrebbe essere ricordata come il momento in cui Modric è diventato una leggenda del calcio slavo.
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Prima di parlare di Luka Modric, lasciatemi parlare dell’importanza di un pezzo di pietra trovato in Tanzania risalente a quasi un milione e mezzo di anni fa.

L’ascia “di Olduvai” è uno degli oggetti più antichi che siano arrivati fino ai nostri giorni. Un pezzo di pietra scheggiato piuttosto grande, costruito con uno scopo pratico - staccare la carne dalle ossa delle prede, ad esempio - ma seguendo anche un senso estetico (per questo molto diverso dagli utensili più primitivi). Per Neil MacGregor, direttore del British Museum, che ne ha scritto nel libro La Storia del Mondo in 100 oggetti, al di là della tecnica necessaria per produrre un oggetto del genere, è interessante il processo cognitivo: la capacità di “immaginare in una pietra grezza la forma che le si darà, esattamente come uno scultore, in un blocco di marmo, riesce a vedere una statua”.

Tenete presente che una pietra scheggiata resta una pietra scheggiata. Non è una statua. Né tanto meno una frase. Eppure secondo alcuni studi nella costruzione di un’ascia di questo tipo vengono coinvolte le stesse parti del cervello attivate dal linguaggio: “Con tutta probabilità, se si è in grado di dare forma a una pietra si è anche in grado di costruire una frase”.

Adesso parliamo di Modric.

E di come il suo gioco sia fatto di oggetti semplici, di pietre scheggiate, che però contengono in sé la creatività necessaria a creare arte, la capacità di proiettarsi nel mondo e di modificarlo, di chi vede un pallone vagante ed è in grado di immaginare l’azione che ne può nascere. Se il calcio moderno è disegnato da archi-star megalomani che trasformano il paesaggio con i loro artefatti, la creatività di Modric è più essenziale. Più vicina all’origine stessa della creatività.

Dobbiamo essere grati a Modric, perché anche se ha 32 anni ed è coetaneo di Messi e Cristiano Ronaldo, e se continua così forse smetterà anche prima di loro, il suo modo di interpretare il ruolo di campione, stella della squadra, giocatore più forte in campo, potrà esserci utile a sopravvivere quando Messi e Cristiano non ci saranno più. Un tipo di campione che potrà più facilmente fare da esempio a futuri fenomeni che vogliano avere una vita nel calcio, rispetto a due mostri che hanno fatto a gara a chi è più inimitabile.

E se qualcuno un giorno vorrà capire in che modo Modric usava il suo talento da fenomeno, potrà guardare la partita tra Argentina e Croazia, giocata nel contesto dei Mondiali 2018 e finita 3-0 per la squadra balcanica. Una delle migliori partite dell’anno di Modric, forse una delle sue migliori in assoluto.

Modric e Messi però hanno una cosa in comune. Entrambi, pur essendo troppo piccoli in teoria (sono alti quasi uguale, tutti e due intorno al metro e 70) per gli standard della selezione calcistica contemporanea, brillano in contesti ostili. Non evitano lo scontro, la violenza degli avversari - che se possono avere un vantaggio su di loro sarà solo fisico - entrambi proliferano nelle difficoltà. Messi correrebbe dentro le fiamme con la palla al piede, solo per il gusto di sbucare dalla parte opposta senza un graffio; Modric accetta qualsiasi livello di intensità, sopravvivendo e anzi proliferando nei centrocampi più intasati, anche lui accarezzando con dolcezza i palloni che scottano di più.

Se Messi è stato salvato dalla lungimiranza del Barcellona, Modric si è dovuto fare le ossa nel campionato bosniaco, con il Mostar, prima di convincere i dirigenti della Dinamo Zagabria, che già avevano creduto in lui più di quelli dell’Hajduk, per cui tifava e che l’aveva scartato. E poi è stato il campionato inglese a testarne la tempra. Messi gioca come chi sente di dover ripagare un debito che per sua natura è inestinguibile, Modric come chi è stato gettato nella fossa dei leoni ed è sopravvissuto.

Cresciuto nel calcio dei primi anni del duemila, Modric ha sintonizzato il suo gioco di controlli e passaggi di prima sulle frequenze altissime del calcio della decade successiva. È uno dei migliori prodotti del calcio iperintenso di questi anni, e al tempo stesso l’antidoto a un calcio in balia delle onde del pressing, in cui per rallentare, per controllare il ritmo e la direzione del gioco, devi essere un mostro fisico e tecnico (Pogba e Milinkovic-Savic) o accontentarti di un ruolo marginale.

Contro l’Argentina, Modric ha recuperato meno palloni (5) solo di Brozovic (8) e intercettato meno passaggi (3) solo di Vrasljko (5). Tutte le sue azioni difensive si basano sulla sua capacità di leggere l’azione.

La partita di Modric contro l’Argentina è fatta di palloni vaganti recuperati e controllati con una qualità che non ha nessuno in quelle situazioni, passaggi intercettati con astuzia (due volte Modric ha letto un passaggio filtrante della difesa argentina in anticipo, ma ha aspettato l’ultimo momento per accelerare e allungare la gamba sul pallone) e giocate a pochi tocchi, se non di prima, per assecondare la tendenza esclusivamente verticale della Croazia di Dalic.

Per come gioca la sua nazionale, Modric non può fare sfoggio della sua arte del cambio di campo (fondamentale invece per il Real Madrid) né può gestire troppo il ritmo senza mettere a disagio Perisic e Rebic. Ma anche giocando quasi solo in avanti - da regista offensivo, come ingranaggio di passaggio da Brozovic all’attacco - è diverso da chiunque altro.

Nel secondo tempo ha intercettato un passaggio di Meza da fondo campo per Perez al limite dell’area (che sarebbe andato al tiro), ha accelerato tagliando la traiettoria ed è arrivato sulla palla già coordinato per colpire di esterno, per prolungare il passaggio di Meza verso Rebic che parte in contropiede. Lo dico più chiaramente: a un certo punto del secondo tempo Modric ha usato un passaggio di un avversario per lanciare in verticale, di prima intenzione, un suo compagno.

Per Modric non c’è grande differenza tra difendere e attaccare, dato che gli strumenti che usa sono gli stessi: la tecnica e le letture di gioco. Con la visione di gioco riesce ad arrivare per primo anche sulle seconde palle, anticipando i colpi di testa della difesa croata sui lanci lunghi per farsi trovare dove la palla ricade. Ha finito la partita, sul 3-0, pressando la costruzione argentina. Ed è così a suo agio con il pressing che quando finta con l’avversario davanti, con doppi passi o sterzate dell’ultimo momento, non cerca per forza di cose di saltare l’uomo ma vuole attirare la pressione per poi scaricare la palla su un compagno libero.

Anche senza tenere conto del fatto che Modric ha nell’esterno del piede una sensibilità superiore a quella che molti uomini hanno nei polpastrelli delle mani - anziché scheggiare pietre, per tornare all’immagine iniziale, potrebbe già intagliare renne e rinoceronti - considerate per un attimo l’eccezionalità di un centrocampista alto un metro e settanta che non si isola, che non si libera del pallone sempre e comunque, ma che nel cuore dell’azione attira e assorbe l’aggressività per rivoltarla contro i suoi avversari.

Foto di Martin Bernetti / Getty Images

Il gol del 2-0, che ha chiuso la partita con l’Argentina di Messi (in equilibrio fino al clamoroso errore di Caballero), pur essendo un tiro da fuori, non era potente, né imparabile.

Intelligente, più che altro, sia per come si libera di Otamendi con due finte, sia per come infila il coltello nella piaga psicologica di Caballero, che fatica a leggere il tiro e arriva in ritardo sul palo. Il tiro di un giocatore con una presa perfetta sulla realtà e sul contesto della gara, che approfitta di due giocatori - e di una squadra - totalmente allo sbando.

Modric brilla per il contrasto con le ruvidezze e la sciatteria del gioco di quasi ogni altro centrocampista al mondo, ma sa essere violento e duro a sua volta. Ha vinto quattro Champions League in cinque anni e, anche senza vincerlo, ma magari replicando il cammino della Croazia nel ‘98 (terza, eliminata in semifinale dalla Francia), questo Mondiale sarebbe l’opportunità di diventare un’icona immortale del calcio slavo.

Se solo le ombre del processo di Mamic non avessero compromesso il suo rapporto con il pubblico croato.

In estrema sintesi: Mamic da dirigente della Dinamo Zagabria firmava accordi con i giocatori per dare loro il 50% dei guadagni successivi alla vendita del loro cartellino, ma da persona privata (non aveva neanche la licenza da agente) firmava altri accordi secondo cui quasi tutto quel 50% gli veniva rigirato. Il tribunale cercava di dimostrare che gli accordi tra la società e i giocatori erano successivi alla loro vendita (con documenti retrodatati, l’unico reato di cui accusarlo a parte l’evasione fiscale) e Modric in un primo momento lo aveva confermato, salvo poi tornare indietro in un secondo momento.

Mamic derubava la Dinamo, cosa che i tifosi non perdonano, ma anche gli stessi giocatori, e Modric dopo il passaggio al Tottenham è dovuto andare più volte a ritirare cash i soldi da dare al figlio o al fratello di Mamic. E invece non solo a suo tempo non ha contrastato la rete di potere mafioso di Mamic, come invece ha fatto Kramaric (pagandone le conseguenze: svenduto dopo aver segnato più di 400 gol nelle giovanili) ma adesso non fornisce ai giudici la prova che lo schiaccerebbe.

È ironico, ma la cosa che probabilmente Modric ricorderà più a lungo (oltre all'accusa per falsa testimonianza) di tutta la vicenda sarà proprio quel: “Non ricordo” con cui ha ritrattato, che già adesso i tifosi mettono sulla 10 della Croazia al posto del suo nome. Come lo ha definito Alex Holiga: “Un’istantanea caduta di stile, per giunta registrata dalle telecamere”.

Persino sull’hotel in cui la sua famiglia è stata ospitata negli anni ‘90, nella cittadina costiera di Zadar, dove ha mosso i suoi primi passi calcistici, sono comparse scritte contro di lui.

Difficilmente il suo talento e i risultati in campo potranno far dimenticare le sue scelte fuori, in tribunale. Ed è un paradosso per un giocatore che si è formato proprio resistendo alle difficoltà, senza mai snaturarsi o rifugiarsi nella codardia del 10 delicato e sensibile.

Ecos del Balon ha scritto che “Luka Modric prova piacere dove (e quando) i comuni mortali se la passano peggio”. Con il suo calcio pulito, elegante e mai banale, ha riportato l’essenza del calcio nel cuore del centrocampo. L’intelligenza là dove le tibie fanno scintille.

Dai suoi gesti si intuiscono tutte le potenzialità del calcio dei più grandi: anche se siamo abituati a fenomeni con una loro lingua, che scrivono frasi e racconti interi in un campo da calcio, che costruiscono statue e dipingono scene mettendocisi al centro, incredibilmente sappiamo riconoscere il genio di Modric nelle congiunzioni, nella sua punteggiatura calcistica fatta di controlli e passaggi di prima con cui mette in collegamento i suoi compagni.

Il talento di Modric sta nella discrezione con cui lo esercita, nel contrasto con il rumore di fondo in cui si muove. Finalmente, adesso che ha più di trent’anni, potremmo celebrare un campione che non ha bisogno di essere al centro dell’attenzione. A maggior ragione peccato che ci sia finito per le ragioni sbagliate.

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