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Diamo troppo per scontato Mohamed Salah
02 set 2024
02 set 2024
L'ultimo anno al Liverpool è cominciato come sempre: con fuoco e fiamme.
(copertina)
IMAGO / PanoramiC
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Un’altra estate è passata e il primo settembre, nel giorno in cui cerchiamo di riconoscere le cose che si rinnovano, Mohammed Salah è ancora uno dei migliori giocatori della Premier League.

Salah scende ancora sulla fascia destra col suo piede sinistro. Avanza ancora a piccoli tocchi d’esterno e, uno alla volta, cerca di individuare lo spazio della porta avversaria e la strada più breve per arrivarci. Attorno a lui, ancora, le maglie del Liverpool sciamano come intorno all'ape regina. I difensori avversari lo hanno visto convergere verso il centro un miliardo di volte, eppure ogni volta è diverso: c’è qualcosa di intrinsecamente disorientante in Salah che si ferma, riparte, accelera, decelera, manipola tempo e spazio. Le variabili che sembrano poche diventano all'improvviso troppe da gestire.

Salah non ha più il cespuglio ispido di ricci, tiene i capelli corti che gli danno un aspetto più asciutto e affilato (“sharp” dicono gli inglesi). Ha 32 anni e quasi 700 partite tra i professionisti, ma il suo gioco sembra non essersi appannato di una virgola. È ancora capace di essere il migliore in campo a Old Trafford, di offrirsi come l’enigma irrisolvibile per la difesa del Manchester United.

Abbiamo persino l’illusione, a tratti, di star vedendo il miglior Salah possibile. Per questo è stato ancora più triste ascoltare le sue parole a fine partita: «Come sapete, questo è il mio ultimo anno al club». Ce lo eravamo dimenticati e oggi, pur mancando tanti mesi, ci sembra una prospettiva non solo poco auspicabile, ma anche assurda. Come se dovesse farsi da parte lui, per porre fine al suo dominio sulla Premier. A mettere un termine alla sua eccezionalità.

Da quando lo abbiamo visto comparire in Europa con la maglia del Basilea, Salah non ha mai smesso di migliorare. Sembrava solo una biglia impazzita sulla fascia, una palla che si muove sulla destra assecondando l’istinto del suo piede sinistro. Anzi, un giocatore ridotto interamente al piede sinistro, non pensante, da armare come si fa con un ordigno, un braccio meccanico. Un giocatore forte perché incompleto, non autosufficiente, che ha bisogno di giocatori cerebrali attorno per funzionare. In Italia abbiamo iniziato ad ammirare il suo atletismo fuori scala, la sua generosità, il suo tempismo nei movimenti in profondità senza il pallone.

Abbiamo visto Luciano Spalletti andare in conferenza a mostrare i suoi recuperi come lezione morale. I 42 milioni spesi dal Liverpool per acquistarlo sembravano un buon affare per la Roma, un paio di mesi dopo sembravano già il miglior affare della storia dei "Reds". Abbiamo conosciuto un Salah diverso, capace di incidere in ogni partita: il braccio armato della squadra furiosa di Klopp. L’unico finalizzatore possibile per una squadra che gioca dentro una realtà accelerata. Salah è come la tigre: non lo vedi, e quando lo vedi il danno è già fatto. Ne fa 44 in una sola stagione e ci sembra un exploit irripetibile. Poi ne segna 27 l’anno dopo, poi 23, poi 31, poi altri 31, poi 30, poi 25. Ora sono 3 in 3 partite. Gli assist sono 70: 15esimo nella storia della Premier. Nel frattempo, nel corso degli anni, Salah ha lasciato per strada frazioni di velocità. Ogni anno il suo gioco ha impercettibilmente decelerato. Come tutti i grandi sportivi Salah ha affrontato il proprio declino fisico non come un problema ma come l’occasione per poter diventare qualcosa d'altro. Se la sua velocità di gambe diminuiva, quella di pensiero aumentava. Diventava più lucido, capace di vedere le cose in anticipo.

Il cambiamento è avvenuto con una progressività tale che non ci siamo accorti di niente, e Salah è rimasto una presenza costante e silenziosa di quell’appartamento di lusso che è la Premier League. I suoi assist sono diventati sempre più preziosi - d’esterno, d’interno, persino di destro- ma abbiamo iniziato a darli per scontati. Lo scorso anno è stato nel 99esimo percentile sia per Open Play Assist che per gli xG.

È diventato un regista, anche se non nel senso convenzionale che intendiamo - il generale che dal centro del campo dirige movimenti e sventaglia cambi di gioco da un lato all’altro. Piuttosto, un regista di transizioni: il giocatore con l’intelligenza più sviluppata nel capire i tempi e gli spazi delle transizioni corte con cui il Liverpool ha incendiato la Premier degli ultimi anni. Da finalizzatore Salah si è trasformato in rifinitore, o manovratore, e il suo contributo è diventato sempre più sottile. Eppure è in tutte le azioni pericolose del Liverpool: in tutte le mareggiate rosse che piovono sulle difese. I movimenti senza palla sempre esatti, i tempi di scarico sempre puntuali. Segnare in transizione sembra più facile per il Liverpool. Una sensazione che esisteva con Klopp e che sembra essere tornata con Arne Slot, ancora più rafforzata. Gli spazi sono più grandi, le difese avversarie più sguarnite e sempre, perennemente, in ritardo. Gli assist sembrano facili, i gol sempre a un centimentro dalla riga. I tiri si trasformano in semplici appoggi, i giocatori arrivano sempre in corsa, le difese avversarie sono sempre prese in controtempo. Salah, da destra, dirige i flussi.

Come quello di Klopp, anche il Liverpool di Slot crea densità sul lato destro, quello di Salah, facendogli crescere attorno la rete delle connessioni: Alexander-Arnold, Szoboszlai che si defila dal centro, Gravenberch che si inserisce. Ieri ha servito due assist e segnato un gol. Forse è il passaggio per Luis Diaz, d’esterno, che restituisce meglio il senso di questa ineluttabilità: un calcio semplificato, alla portata di tutti, in cui la palla viene attirata nella porta avversaria come dal Maelstroem di Edgar Allan Poe.

Dopo la partita Salah ha detto quella cosa ricordandoci che tutto ha un termine. Lo ha detto per chiedere un rinnovo di contratto o per ricordarci che anche il suo tempo, che ci sembra infinito, è destinato a finire?

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