Utrecht non è di certo una città di primo livello nelle gerarchie della Eredivisie. La squadra locale, fondata nel 1970, non ha mai vinto il campionato ed è nota nel resto del continente per un paio di partecipazioni all’Europa League. Un ruolo trascurabile, nobilitato da qualche giocatore che riesce ad affermarsi anche all’estero, come Strootman o Mertens. Tutt’altro peso ha però la città per la nazionale olandese. A Utrecht sono nati Marco van Basten e Wesley Sneijder, leader di alcune delle spedizioni più importanti della storia degli Oranje. Alla fine dello scorso decennio la centralità di Utrecht per la nazionale sembrava una certezza anche per il futuro. Sneijder aveva già raggiunto Madrid, ma alle sue spalle scalpitavano altri due talenti purissimi della sua stessa città, Afellay e Aissati. Trequartisti dal tocco raffinato, di origine marocchina, esplosi giovanissimi al PSV. La loro carriera purtroppo non ha rispettato le attese, ma dieci anni più tardi la storia sembra ripetersi: un altro ragazzo di origine marocchina, nato a Utrecht, trequartista con i piedi di seta, si è imposto da minorenne al PSV: Mohammed Ihattaren.
“Motje”, come lo chiamano affettuosamente amici e parenti, ha esordito in Eredivisie lo scorso gennaio contro il Groningen. È del febbraio del 2002, ma il suo talento era così fuori scala che van Bommel lo ha mandato in campo senza farlo passare dalla squadra B. Oggi è titolare fisso del PSV e si allena quotidianamente con Afellay, tornato quest’estate a Eindhoven. Per chi vede per la prima volta Ihattaren con la maglia a strisce biancorosse, è impossibile non pensare all’ex Barcellona: la carnagione olivastra, il modo di aggiustarsi il pallone per preparare il dribbling, il naso aquilino ed il viso infantile (che Afellay conserva tutt’oggi, a trentatré anni). Bastano le parole di Henry Vermeulen, suo istruttore prima del trasferimento al PSV, per dare un’idea di quanto sia spontaneo e diffuso in Olanda il paragone tra i due trequartisti di Utrecht: «Nei report delle partite per lui usavamo sempre il soprannome “Ibi” (vezzeggiativo per Ibrahim, nome di Afellay, ndr)». Secondo Aad de Mos, ex allenatore del PSV e opinionista, addiriturra «Ihattaren è meglio di Afellay alla sua età. Più sofisticato, più bello da vedere, più aggraziato».
La qualità di Ihattaren nei passaggi
È sempre difficile istituire un paragone tra due giocatori, per quanto simili, specie se hanno quasi vent’anni di differenza. Di certo, di per sé, Ihattaren è davvero un giocatore sofisticato, capace di influenzare la manovra a partire dalle associazioni coi compagni.
In campo il ragazzo di Utrecht occupa con intelligenza lo spazio ed è libero di migrare lungo tutta l’ampiezza della trequarti. Una libertà che deriva da una tecnica davvero da predestinato. Se i tratti somatici e alcuni dettagli dei dribbling ricordano Afellay, la disinvoltura con cui alterna destro e sinistro non possono che ricordare l’altro grande figlio di Utrecht, Wesley Sneijder. Il rapporto di Ihattaren col pallone è eccellente in ogni sua sfumatura, da quelle più sgargianti come i primi controlli a quelle più tenui, come il modo in cui la palla esce dal piede e raggiunge i compagni: un giocatore raffinato sia se si tratta di tenere il possesso, sia se si tratta di liberarsene.
Se Ihattaren già da oggi può esplorare soluzioni complicate, che danno continuità e imprevedibilità alla rifinitura del PSV, è anche per il modo in cui distribuisce il pallone. Intendiamoci, non è un enganche che ordina la squadra, né gli piace abbassarsi troppo per costruire, però sa sostenere il palleggio anche a ritmi alti e cerca di mettere il ricevente nelle condizioni migliori per controllare. Ad esempio, se arretra per giocare fronte alla porta e un compagno si muove verso l’interno con l’uomo addosso, Ihattaren evita di dargli la palla sui piedi ma gliela serve leggermente avanti, in modo da farlo controllare in corsa, fronte alla porta e senza farsi tamponare dall’avversario.
Un’accortezza nell’esecuzione valida anche spalle alla porta. Sia per il fisico, sia per l’età non è ancora un trequartista in grado di tenere palla con l’uomo dietro, tuttavia ama giocare di parete ed è il partner perfetto per triangolare tra le linee. Anche con l’uomo addosso e una postura non perfetta, o col pallone che arriva dall’alto, Ihattaren trova il modo di scaricare la palla e di far progredire il compagno. Merito, come detto, della sensibilità dei piedi, quello debole (il destro) compreso. È impossibile però non soffermarsi sul mancino, sulla varietà di modi e di angolazioni con cui lo flette per eseguire il passaggio, d’interno ma soprattutto d’esterno, la prerogativa dei giocatori più tecnici.
Ihattaren e l’istinto
A Ihattaren dunque piace dialogare su brevi distanze, di solito segno di una gestione paziente del pallone, ma in realtà anche negli scambi corti è visibile la sua tensione verticale verso la porta. Le scelte di passaggio invece di ordinare l’attacco servono a creare squilibri nella difesa. Ihattaren nella manovra del PSV è l’enzima che accelera le reazioni chimiche tra i giocatori offensivi. Ogni filtrante, ogni parete ha l’ambizione giocare alle spalle degli avversari, anche in condizione di inferiorità numerica rispetto ai difensori: segno evidente della fiducia che ripone in sé stesso e nei compagni, come traspare dalle sue dichiarazioni. «Al PSV abbiamo tanti attaccanti che giocano secondo l’istinto. Spesso ci basta solo un’occhiata. […] Sul campo nessuno riesce a controllarci. […] Se pensi troppo, poi commetti degli errori. Io voglio seguire il mio intuito. Un allenatore non dovrebbe sovraccaricare di troppi compiti un giocatore come me».
Il rischio insito in un calcio troppo istintivo è di scegliere soluzioni fallaci per le esigenze della squadra. Il repertorio dell’olandese sembra proprio quello di un trequartista incline a scelte frettolose o troppo complicate. Ad esempio la continua ricerca della triangolazione di prima non può avere sempre successo e non a caso è il secondo giocatore del PSV per passaggi corti sbagliati ogni 90’ (9). Per fortuna la tecnica e la visione riducono di parecchio il margine d’errore e dotano di senno anche le sue giocate più istintive.
Ihattaren è un giocatore estremamente creativo, capace di percorrere i sentieri meno battuti sotto la guida dell’estro e di prendere decisioni che noi dal nostro divano neanche immaginiamo. Come i passaggi dietro la difesa, sia alti che rasoterra, questi sì degni di un’idea platonica di numero dieci. Ihattaren legge i movimenti dei compagni e la traiettoria da far percorrere al pallone anche a parecchi metri di distanza, ed è quindi il compagno perfetto per che gli gioca vicino, come Malen e Dumfries, giocatori dalla corsa esplosiva e capaci nell'attaccare la profondità. Ihattaren con loro può sbizzarrirsi e inventare di continuo filtranti alle spalle della difesa, da qualsiasi posizione del campo. Come nell’assist per Malen all’esordio in Europa League contro lo Sporting Lisbona, una parabola d’esterno alta e sulla corsa degna del miglior Luka Modric.
O ancora, l’assist sprecato dallo stesso Malen contro L’Herenveen, un lancio dal coefficiente di difficoltà ancora più alto, che dimostra come il piede di Ihattaren calcoli al millimetro le curve da far percorrere al pallone.
Ihattaren abbozza uno scatto in profondità e riceve sulla destra. Col primo controllo indietreggia rispetto al terzino e si crea lo spazio per giocare a palla scoperta. Si ritrova largo all’altezza del centrocampo e mentre si gira Malen gli indica il lancio in profondità col braccio. Il centrale di sinistra scruta il movimento dell’attaccante e corre all’indietro per assorbirne il taglio. Il portiere intanto scatta in avanti per l’anticipo: lo spazio utile per l’assist sulla punta si riduce progressivamente, per questo il lancio è una soluzione con alte probabilità di fallimento, soprattutto da quella posizione. È difficile eseguire un filtrante sulla corsa dalla fascia: se è troppo lungo si trasforma in un cross dalla trequarti in bocca al portiere; se è troppo orizzontale diventa facile da intercettare per la difesa. Ihattaren si rende conto di avere pochissimo tempo, così alza appena la testa e legge il punto in cui far cadere il pallone per servire Malen e superare la difesa. La parabola viaggia a mezz’altezza, a rientrare, e passa beffarda pochi centimetri davanti al centrale che stava chiudendo la profondità. Anzi, gli rimbalza proprio accanto e arriva a Malen, che tira all’ingresso dell’area. Il portiere esce bene e nega il gol, ma quel tipo di assist è una giocata per pochi eletti, sia per la velocità con cui viene pensata, sia per la qualità del calcio. Solo i fuoriclasse colpiscono il pallone così bene, solo i migliori sanno combinare potenza, effetto e tensione della traiettoria. Potrebbe essere benissimo un assist di De Bruyne, invece è il filtrante visionario di un minorenne con meno di trenta partite in Eredivisie.
Ihattaren in dribbling
Ihattaren però non è un giocatore speciale solo per il modo in cui si connette coi compagni. Il talento dell’olandese, per la percentuale elevatissima di tecnica da cui è costituito, è autosufficiente e in grado di creare vantaggi anche senza associarsi con nessuno. Le pareti sono certamente un tratto distintivo del suo calcio e i lanci a effetto lo rendono già da ora un rifinitore eccezionale, tuttavia è impossibile non innamorarsi di lui per il modo in cui controlla palla e supera gli avversari, sia nello stretto che nello spazio. In Eredivisie completa tre dribbling ogni 90’, mentre ne fallisce solo 1,6.
Non è solo questione di piedi ma anche di un corpo agile e slanciato. La combinazione di fisico e tecnica è il motivo per cui Ihattaren può dominare il contesto attraverso il pallone su qualsiasi lato della trequarti. Grazie all’ambidestria può ricevere su entrambe le fasce per poi decidere che tipo di dribbling eseguire.
Sui primi passi è esplosivo e riesce sempre a staccare il marcatore. Quando punta il fondo sembra davvero di tornare indietro di dieci anni e rivedere il miglior Afellay, quello che sverniciava Marcelo e metteva il cross per l’1-0 di Messi in semifinale di Champions al Bernabéu. Proprio come l’ex Barcellona, Ihattaren si avvicina a piccoli passi al terzino, prima di andargli troppo sotto sposta leggermente il pallone verso la fascia e poi lo tocca per scattare definitivamente verso il fondo; il primo tocco laterale crea un cuscinetto di spazio che impedisce al difensore di prendere contatto e trasforma l’isolamento in una corsa verso il fondo che ovviamente Ihattaren, palla al piede, vince.
Purtroppo la prospettiva della telecamera è diversa, ma è impossibile non avere l’impressione di essere davanti a un’imitazione ben riuscita.
C’è una giocata, una finta, che esegue soprattutto sulla sinistra e si può già definire la sua signature move. Faccia a faccia col difensore avvicina il piatto al pallone come se volesse toccarlo verso l’interno. Il movimento di gamba, piede e bacino è così veloce e credibile da spingere il difensore a spostarsi per coprire quel lato. Ovviamente resta scoperto il corridoio opposto. Con una rapidità fulminea Ihattaren ritrae gamba e piede e sposta davvero il pallone, con l’esterno, stavolta verso il fianco rimasto libero, per lasciare sul posto l’avversario. Un trucco da illusionista: il piede è più veloce dell’occhio.
Se sulla fascia parte del suo rendimento è merito del fisico, tra le linee invece mantiene il possesso e dribbla solo grazie alla tecnica. Ha una frequenza di tocco elevata e per questo riesce a mantenere il contatto con la palla anche se circondato da difensori. Collo, esterno e interno trattano con cura il pallone e lasciano di sale i difensori, ma molte volte è la sensibilità fuori dal comune con cui usa la suola a creargli lo spazio per la giocata successiva. In questo pezzo Emanuele Atturo dice che Ihattaren «porta la palla col sinistro come se dovesse farci l’amore» ed è proprio questa la sensazione che restituiscono le sue pettinate di suola, carezze sensuali con cui seduce il difensore e lo porta fuori posizione. Nasconde la palla sotto i tacchetti, indietreggia leggermente e invita l’avversario ad affrontarlo. Così si ricava lo spazio per il dribbling alla Busquets, col primo tocco di suola che attrae l’avversario e il secondo, senza staccare il piede dalla palla, che lo supera sul fianco libero.
In conduzione invece, se vede che troppi uomini lo stanno circondando, usa la suola per arrestare la corsa e capire in quale strettoia sia possibile liberarsi degli avversari. Un po’ come se la suola, in situazioni di emergenza, si trasformasse nel cervello di Ihattaren, la parte razionale del suo piede e del suo calcio, che lo invita a ragionare, a leggere le mosse dei difensori e a capire quali opzioni siano percorribili. Anche perché nella ripartenza è sempre più rapido del marcatore. La gestione di pallone, spazi e avversari nello stretto serve non solo a preparare il dribbling, ma anche a individuare le linee di passaggio con cui scambiare tra le linee e dare continuità al possesso nell’ultimo terzo di campo, aspetto fondamentale per van Bommel, che punta molto sulle connessioni tra i talenti del parco offensivo.
Non sempre però Ihattaren gestisce in maniera razionale gli isolamenti. Da certe scelte emerge tutta l’immaturità dei suoi diciassette anni, il lato più acerbo del suo istinto. Delle volte se non vede soluzioni immediate invece di rallentare e dare una pausa alla manovra, magari di suola, preferisce abbassare la testa e continuare la corsa. La tecnica gli permette di saltare il primo uomo, ma in inferiorità numerica finisce per sbattere contro un muro. Oltretutto quando corre con la palla non la copre benissimo e rischia di perderla con un banale spalla a spalla.
È un paradosso per un giocatore in grado di muoversi con disinvoltura anche in mezzo a una foresta di avversari. Per ora Ihattaren alterna grandi momenti di lucidità in inferiorità numerica e nello stretto ad altri in cui cade preda della verticalità e agisce come se gli avversari non esistessero. Nutrire il lato cerebrale del suo calcio, per quanto spontaneo e legato più alla sensibilità dei piedi che al cervello, è un processo necessario per affermarsi ad alti livelli.
Road to EURO 2020?
Mentre scrivevo quasi dimenticavo di riferirmi a un ragazzo di diciassette anni e a rileggere le precisazioni dell’ultimo paragrafo mi sembra un po’ ingiusto pretendere così tanto da un calciatore minorenne. Il talento di Ihattaren però è troppo evidente, capace di assumersi le responsabilità di un giocatore al picco della carriera. Per questo, nonostante tutto, è lecito attendersi netti miglioramenti negli aspetti più grezzi del suo repertorio.
È lui a esigere molto da sé stesso nei prossimi anni: «Ovviamente sogno una grande carriera. Io la vedo così: a ventiquattro anni devi essere un giocatore pronto. A quell’età non devi più avere aspetti negativi nel tuo gioco, devi essere tecnicamente, tatticamente e fisicamente così preparato da non dover più migliorare. Devo investire il più possibile su me stesso nei prossimi sette anni. Entro sette anni voglio far parte di un top club straniero».
La sensazione degli appassionati e dei tifosi del PSV è quella di essere davanti a un potenziale fenomeno, come traspare dall’entusiasmo con cui a inizio campionato gli hanno dedicato un coro, sulle note di quello intonato a Manchester per i fratelli Touré.
Sembra pensarlo anche la federazione olandese. Koeman ha agito in prima persona per convincerlo ad abbracciare gli Oranje, senza farsi attrarre dal richiamo del Marocco. Sono molti negli ultimi tempi i giocatori di formazione olandese che hanno preferito i “Leoni dell’Atlante”: Ziyech, Idrissi, Labyad, Amrabat. La nazionale africana ha cercato di accaparrarsi anche Ihattaren. Si dice addirittura che gli abbiano proposto la proprietà di un Hotel, un ottimo modo per investire i soldi e impiegare la famiglia. La questione ha scatenato grandi polemiche, Gullit aveva addirittura suggerito di chiudere le porte delle nazionali giovanili ai ragazzi di origine berbera se il trequartista del PSV non avesse giocato per l’Olanda.
Ihattaren ha mantenuto il silenzio fino all’inizio di novembre. Suo padre aveva il cancro e si è spento proprio lo scorso mese. Dopo il funerale, Motje ha dato il suo assenso a Koeman. D’altronde ha sempre vissuto tra Utrecht e Eindhoven, ma probabilmente non gli sarà piaciuto il poco tatto della federazione marocchina, che aveva inviato una delegazione al funerale del padre per provare a convincerlo: «Siamo stati schietti con i rappresentanti del Marocco. Gli abbiamo detto: “se siete qui per il funerale, per le condoglianze, ne siamo onorati”. Ma siccome erano venuti per parlare di calcio e della scelta di Mo, noi non ne volevamo che sapere», ha raccontato il fratello.
Quindici anni fa l’Olanda si presentava a EURO 2004 dopo aver saltato il Mondiale nippocoreano. Quella volta, accanto a van Nistelrooy e Seedorf, Advocaat si era affidato alla freschezza di due ventenni, Robben e Sneijder. Anche quest’anno gli Oranje affrontano l’Europeo dopo aver mancato un Mondiale, e la speranza per Ihattaren è quella di seguire le orme di due tra i più grandi giocatori olandesi degli ultimi anni.