Il panorama hip hop, italiano e internazionale, ha vissuto grande fermento negli ultimi giorni e in questo Natale agli appassionati non mancherà di certo la musica da mettere in sottofondo mentre cucinano o sistemano casa. Nella notte tra giovedì e venerdì c’era attesa per il joint album di Snoop Dogg e Dr Dre, a 21 anni di distanza da Doggystyle, in un periodo di renaissance della West Coast, che in poche settimane ci ha regalato gli album di Kendrick Lamar e Tyler the Creator, oltre che il ritorno di Ice Cube. I cultori dei freddi inverni newyorkesi, invece, avranno dedicato gli ultimi giorni al genio musicale di Roc Marciano e Alchemist, con un altro disco pieno di sample assurdi scovati chissà dove.
E in Italia? L’attenzione dei media è stata monopolizzata dall’uscita a sorpresa dell’album di Marracash, che ormai riesce a generare un clamore degno dei grandi nomi della musica italiana: non a caso il suo è un lavoro molto più vicino al cantautorato e ad altri generi che non all’hip hop. Se però siete alla ricerca di qualcosa in italiano di leggero, anche ignorante, ma meno cattivo rispetto a ciò che propongono di solito rap e trap, allora il nuovo disco di Moise Kean potrebbe fare per voi.
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Che l’attaccante della Fiorentina fosse un appassionato di hip hop era noto. Quest’estate aveva svelato l’esistenza di un pezzo insieme a Leão che però non ha ancora visto la luce e qualche giorno fa, su Instagram, ha annunciato che il disco era pronto. Ieri, finalmente, l’album è stato pubblicato.
In una copertina dalle tonalità violacee (nessuno potrà accusare Kean di riferimenti alla lean visto che gioca letteralmente in una squadra viola) si vede il protagonista seduto su una specie di colonna, a petto nudo, con un vistoso crocifisso e una sorta di kilt, che non è ispirato a Roddy “Rowdy” Paper visto che non si tratta del primo rapper indossare un indumento del genere. In alto campeggia il titolo, Chosen, scritto in caratteri gotici, font piuttosto comune nell’hip hop ma che ci piace pensare sia in realtà un tributo al Chievo di Campedelli.
Che il primo album di Moise Kean sia uscito proprio adesso non è una casualità. Nel 2023, alla domanda della rivista francese Views circa le sue aspirazioni nella musica, Kean aveva detto che aveva bisogno di «trovare il momento giusto» per trasformare la passione in qualcosa di più concreto. Evidentemente, non c’era periodo migliore di questo per pubblicare un lavoro ufficiale.
Kean è il terzo miglior marcatore della Serie A con 9 reti e la Fiorentina è quarta in classifica: nessuno può rimproverargli di aver trascurato il calcio per pensare ad altro. Sarebbe stata un’accusa stupida anche se la Fiorentina fosse stata più in basso in classifica e se Kean avesse segnato di meno, me ne rendo conto. Ma in Italia funziona così, e Kean per esprimere la sua vena artistica ha dovuto aspettare la migliore annata della sua carriera, altrimenti questo Paese moralista e di gente cresciuta ascoltando gli Articolo 31 non gliel’avrebbe perdonato.
D’altra parte, per quanto si stia diffondendo, l’hip hop non fa parte del nostro corredo genetico, motivo per cui conserva pochi punti di contatto anche col calcio. Anzi, se si considera il calcio solo da un punto di vista popolare, l’estetica del mondo del tifo si colloca proprio agli antipodi di quella del rap. Anche il calcio e lo stadio hanno una propria cultura. Per la sacralità con cui noi europei trattiamo quei codici, certi eccessi del mondo del rap non possono essere visti di buon occhio. Per questo motivo Kean ha sempre dichiarato di sentirsi attratto dagli Stati Uniti: «Loro sono molto più liberi di noi. Hanno un altro mindset, possono fare più cose», ha dichiarato in un’intervista.
Quella libertà Kean ha dovuto guadagnarsela con i gol e imparando a fare spallate con i difensori. Ma anche adesso che chiunque si è convinto del suo valore ci tiene a rivendicare la sua diversità: «Dicono che son strano perché son libero e loro no», sussurra in Nobody, il secondo brano, fiero di essere così poco convenzionale per il calcio italiano.
In generale, si percepisce come Chosen sia un album scritto per divertirsi. Di situazioni pesanti Kean ne deve affrontare ogni fine settimana, visto che ormai si è cucito il ruolo di attaccarnte spigoloso, pronto a ingaggiare il duello in qualsiasi situazione. Per questo con la musica ha bisogno di evadere.
Kean si muove con naturalezza sul beat, non è per niente monoflow, e qua e là ci lascia qualche punchline. Quelle classiche sulle donne che vorrebbero diventare le sue baby mama, oppure quelle sui gioielli: «fanno bling-bling ma la tua so che l’hai resa», afferma sulle collane dei suoi haters in Celebrate.
È un disco spensierato, lo si capisce anche dalle scelte musicali. Nonostante il viola cupo della copertina, il primo lavoro di Moise Kean assume tonalità piuttosto chiare. E, nonostante sia stato presentato più o meno da tutti come un disco trap, in realtà le sue sonorità sono eterogenee.
La trap resta uno sfondo, certo, ma non mancano un paio di pezzi dal sound UK, tra cui Celebrate, che è forse il passaggio più riuscito dell’album e che Kean ha definito “l’inno del disco”. Oppure gli accenti simil-dancehall di Jah Chosen, non di certo il primo tributo di KMB (questo il suo nome d’arte, acronimo del suo government name, per dirla con Rondo, rapper che Kean ha detto di ascoltare) alla cultura giamaicana: qualche giorno fa, nella gara di Coppa Italia contro l’Empoli, le Adidas F-50 che indossava erano stilizzate con la faccia di Bob Marley sullo scarpino destro. Sul sinistro, invece, figurava Tupac, definito dall’attaccante «GOAT del rap» su Radio Deejay.
Per il resto, l’album è disseminato dei suoi riferimenti, quasi esclusivamente americani (nella già citata intervista a Radio Deejay ha detto di non ascoltare quasi nulla di italiano e infatti non sapeva nemmeno chi fosse Geolier, il che è abbastanza strano, visto che l’anno scorso Geolier è diventato il cantante preferito anche di mia madre, che di certo non è una testa hip hop). Kean ha dichiarato che il suo album preferito di sempre è Championships di Meek Mill, ma dell’influenza del rapper di Philadelphia non vi è particolare traccia. Più tangibile, invece, la sua predilezione per Kodak Black, il rapper che ascolta di più al momento.
In un paio d’occasioni ripete l’espressione Money on my mind, che è piuttosto comune nell’hip hop USA ma che potrebbe essere una citazione dello storico pezzo di Lil Wayne del 2005, visto che Kean ha dichiarato di essere fan del rapper di New Orleans.
Una foto di Kean – insieme a Bobby Shmurda – con una T-Shirt raffigurante Lil Wayne ai tempi degli Hot Boys.
Il penultimo pezzo, intitolato Icone, purtroppo è solo autocelebrativo, non è una dedica agli errori sotto porta del suo compare Ikoné, che provenendo dai sobborghi di Parigi avrà di certo una solida cultura Hip Hop.
Inequivocabile, invece, la reference a NBA Youngboy nel pezzo di chiusura dell’album, Tutta la Night/I feel Like, dove riprende il ritornello della sua Make no sense: se lì Youngboy si sentiva come Gucci Mane nel 2006, oggi MKB dice di sentirsi come Moise Kean nel 2016, quando iniziava a comparire nelle nostre vite e prometteva di diventare uno dei giocatori italiani più forti. Proprio ciò che sembra essere effettivamente diventato.