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E se l'attaccante dell'Italia del futuro fosse Moise Kean?
13 nov 2024
Il grande inizio di stagione con la Fiorentina ha aperto nuove possibilità.
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7 min
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IMAGO / NurPhoto
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Come ci si deve sentire a giocare in attacco e a non riuscire a fare gol in partite ufficiali per più di un anno? Come ci si deve sentire ad essere uno degli attaccanti più dotati della propria generazione e ritrovarsi, a 23 anni, a un punto della propria carriera in cui c’è persino chi pensa che possa essere già finita, che tutto quello che dovevi far vedere, beh, lo hai già fatto vedere, ed era anche poca cosa? Come ci si deve sentire, a 23 anni, a non segnare per un anno e quattro mesi e poi, quasi all’improvviso, ricominciare a fare gol come se fosse la cosa più facile del mondo? Ritrovarsi, dopo tre mesi della nuova stagione, con 11 gol segnati tra campionato e coppa, di cui addirittura 6 nelle ultime tre giornate di Serie A?

Moise Kean nelle ultime tre settimane ha segnato una doppietta (contro la Roma), un gol vittoria (contro il Torino) e una tripletta (contro il Verona). Non troppo tempo fa Emanuele Mongiardo scriveva che l’obiettivo di Kean, dopo un buon inizio di stagione, era dimostrare che “questa sua versione settembrina non è solo un’illusione”. Oggi Luciano Spalletti si ritrova a dover rispondere a chi gli chiede se in Nazionale ci può essere posto per lui insieme all’attaccante al momento più overperformante d’Europa, Mateo Retegui. Come se fosse un peccato rinunciare a questo Moise Kean. Torniamo indietro alla scorsa estate: chi avrebbe scommesso un solo euro su una sua rinascita così repentina?

A settembre, quando Kean si era appena sbloccato, la Fiorentina doveva ancora vincere la sua prima partita in Serie A e Raffaele Palladino era l’allenatore più in bilico del campionato. Due mesi dopo la Viola viene da sei vittorie consecutive in Serie A, nelle ultime 10 partite di campionato ha vinto 7 volte, pareggiato 2 e perso una volta. Moise Kean è un fattore determinante, anche se non l’unico, certo, di questo momento d’oro (vi risparmio ogni battuta possibile sul Rinascimento e Firenze). Spalletti in conferenza stampa ha elogiato le sue doti fisiche in campo aperto, e la tecnica nella protezione del pallone - «può tenerla lì anche due minuti» - ma ha anche sottolineato come, contro il Verona, abbia dimostrato di saper segnare in tutti i modi. Di come «quei tre gol dicono che è completo». Moise Kean, completo, scusate se mi ripeto, ma, sul serio, chi lo avrebbe detto?

Dei tre gol al Verona la cosa più interessante è il rapporto di Kean con i difensori che lo marcano. Nel primo arriva in area con un taglio profondo e Magnani incollato: lo tiene a distanza con un braccio e nel frattempo si coordina per il tiro. Nel terzo, lanciato in un’intera metà campo vuota da De Gea, sterza verso l’interno, sul piede destro, mentre Reda Belhayane prova a fermarlo con una scivolata direttamente sulle gambe: anche qui è come se non esistesse l’avversario.

Ma il più impressionante è il secondo gol, quello che segna deviando un bel calcio d’angolo di Adli con la suola. Coppola - 192 centimetri - lo cintura da dietro ma Kean prende posizione, si pianta, e anche se non ha la libertà di colpire la palla di testa ci arriva con il piede. Segna, quindi, su una gamba come un fenicottero con un difensore grosso che lo spinge da dietro. È un gol zlatanesco, o se preferite haalandesco.

È un gol che richiede anzitutto la capacità di tenere il duello fisico con l’avversario - come ha scritto Mongiardo due mesi fa, è anche merito della gavetta degli ultimi anni: “la seconda esperienza in bianconero, dove ha dovuto indossare i panni del centravanti sgobbone, gli è servita a esplorare aspetti del suo repertorio che non aveva considerato abbastanza” - e, poi, in seconda battuta, la creatività tecnica per trovare una soluzione originale, inusuale, non ortodossa. Sono le due caratteristiche necessarie agli attaccanti di alto profilo per eccellere in area di rigore, oggi.

In un certo senso è come se ciò che di Kean non convinceva prima adesso gli stia tornando utile per essere finalmente efficace. Parlo della ricerca ostinata di uno stile personale, in campo e fuori, di quell’eccesso di swag che lo rendeva inconcludente, a cui adesso ha sovrapposto un filtro di realismo che lo aiuta a spingere di più, o meglio, una concretezza che gli dà una direzione in cui andare.

Prendiamo il gol segnato in amichevole, ad agosto, contro il Friburgo. Colpani porta palla in transizione dalla metà campo difensiva della Fiorentina fino al limite dell’area avversaria, poi scarica a Kean che si è allargato a destra. Kean controlla e subito punta il diretto avversario per entrare in area di rigore: suola, doppio passo e accelerazione verso il fondo. Il difensore non cade in nessuna sua finta ma cade, letteralmente, quando entra in contatto con Kean, gli si prova a mettere davanti ma Kean un po’ si scansa, un po’ gli passa sopra. Quando poi prova a rientrare verso l’interno dell’area arriva un secondo difensore, Kean vince di nuovo il duello, anche con un po’ di fortuna, aggiudicandosi il rimpallo, poi è rapidissimo a coordinarsi per calciare di sinistro sotto le gambe del portiere.

È un gol difficilmente ripetibile in cui Kean ha indovinato la giusta sequenza di gesti tecnici per costruirsi un tiro difficile, ma è frutto soprattutto della sua forza fisica e del modo in cui sa adattare la propria tecnica alle richieste del momento. Lasciandosi cadere in torsione, ad esempio, per calciare il più velocemente possibile dopo essere uscito da un contrasto. Ed è merito, anche, del suo passato da esterno d’attacco. Forse un fraintendimento tattico - questo possiamo dirlo oggi che lo stiamo vedendo diventare un centravanti quasi in tempo reale - che però oggi lo rende a suo agio anche in zone periferiche della trequarti. Un centravanti che, all’occasione, può trasformarsi in un esterno che dribbla e crossa.

Questo, in un certo senso, ce lo potevamo aspettare. Quello che è meno banale è che Moise Kean sia diventato un centravanti a cui lanciare la palla lunga. Alzare campanili nella metà campo avversaria con la fiducia che lui possa non solo controllarli ma anche resistere al duello con i difensori più fisici della Serie A e girarsi verso l’area grazie a una tecnica magari non da vero numero dieci, o da esterno dribblomane, ma comunque piuttosto rara negli attaccanti grandi e grossi.

Kean 1

Qui Kean si gira come un serpente mentre lo marca Hien.

Moise Kean è cresciuto in un contesto ostile, tra razzismo e richieste tattiche che non facevano per lui. Ovunque sia andato (Hellas, PSG, Everton) sembrava sempre un po’ smarrito, o meglio: alla ricerca di se stesso. Forse bisogna perdersi per potersi ritrovare, come bisogna sbagliare per imparare. Di certo Kean è più maturo di prima, finalmente ha imparato come usare le su qualità, ma è anche il calcio contemporaneo che sembra essere andato incontro alle sue doti.

In un calcio in cui è sempre più importante vincere i duelli individuali, vuoi per l’intensità sempre maggiore, vuoi per l’attenzione di sempre più squadre e allenatori per le marcature, soprattutto in Serie A, non sempre è possibile smarcarsi (anche se ci sono specialisti come Retegui), un attaccante deve saper fare due cose contemporaneamente. Lottare con i difensori e cercare la palla, difendere la propria posizione con la forza dei quadricipiti e intanto coordinarsi per calciare. Inoltre, i giocatori che hanno qualcosa in più dal punto di vista tecnico non sono particolarmente puliti, o precisi, piuttosto hanno tempi di reazione brevissimi, sanno giocare con i rimpalli.

È richiesta l’immaginazione di un ragazzino, quel tipo di fantasia che fa storcere il naso a molti ma senza la quale, oggi, è difficile fare la differenza tecnicamente. Sto parlando di giocatori come Cole Palmer, Musiala, Wirtz, persino Haaland: Moise Kean non è ancora al livello di questi giocatori, e magari non lo sarà mai, ma condivide con loro un’immaturità di fondo, un approccio infantile al calcio. Uno spirito un po’ spavaldo, leggero e provocatorio, che è quello che gli veniva criticato fino a poco tempo fa. Sì certo, sono giocatori che sembrano subito maturi, ma che al tempo stesso conservano lo spirito dell’esordiente il più a lungo possibile.

Sono anni che sogniamo un attaccante italiano che sia in grado di vincere duelli fisici ma che tecnicamente non sia ruvido. Aspettiamo la definitiva esplosione di Scamacca da quando ha 16 anni, proprio per la promessa di un centravanti ingiocabile nei duelli corpo a corpo e geniale nelle conclusioni (e prima dello scorso Europeo, Scamacca aveva persino iniziato a mantenere quelle promesse). E se invece quell’attaccante fosse Moise Kean?

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