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Il Mondiale dei rimpianti
30 set 2019
La vittoria dell'Italia alla prova maschile Elite è sfumata all'ultimo secondo.
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Quella dei Campionati del Mondo di ciclismo è stata innanzitutto una settimana caratterizzata dal maltempo. La variabile metereologica ha stravolto la cronometro Under 23, poi ha costretto l’organizzazione a tagliare circa 20 chilometri del percorso della prova in linea Elite.

Anche per via del maltempo quello appena passato è stato un Mondiale pieno di colpi di classe impensabili, di vittorie sorprendenti e di grandi polemiche. Anche prima della la prova in linea degli uomini Elite - la gara più attesa e importante, che analizzeremo più approfonditamente dopo.

Cosa è successo prima della prova Elite

La prima notizia di questo Mondiale è stata infatti la vittoria di Chloe Dygert nella cronometro femminile, con un vantaggio di oltre un minuto e mezzo sull’olandese Anna van der Breggen. Alla vittoria di Dygert è seguita la fuga solitaria di Annemiek van Vleuten nella prova in linea, con un attacco frontale a circa 100 chilometri dal traguardo.

Per quanto riguarda l’Italia, invece, questo Mondiale ha significato sia luci che ombre. Le prime rappresentate dalla medaglia d’oro di Tiberi nella cronometro maschile Juniores e da quella di bronzo di Ganna in quella Elite, a 1’55” dal dominatore australiano, Rohan Dennis, che ha corso con una bici senza marchio visto che, dopo la rottura con la Bahrain-Merida, è senza contratto dal 13 settembre scorso (una rottura ufficializzata solamente dopo il ritiro di Dennis dalla prova in linea, in modo da non disturbare la preparazione dell’australiano in vista dei mondiali).

Le ombre sono invece rappresentate dall’amaro secondo posto nella prova maschile Under 23 di Samuele Battistella. Un argento deludente, sotto certi punti di vista, conquistato dopo un lungo attacco in un gruppetto di quattro fuggitivi ripreso all’ultimo da un terzetto all’inseguimento. Proprio uno di quei tre inseguitori, ha beffato Battistella allo sprint.

Una volata che, c’è da dire, Battistella ha gettato al vento attendendo troppo a lungo il momento giusto per partire. Un’incertezza che l’ha fatto scivolare nelle retrovie del gruppetto e l’ha costretto a una straordinaria rimonta compiuta solo a metà.

In realtà, la delusione è durata poco, perché 15 minuti più tardi la giuria di gara ha squalificato il vincitore, l’olandese Eekhoff, per aver sfruttato troppo a lungo la scia della propria ammiraglia per rientrare da una caduta. Una decisione che ha scatenato un putiferio di polemiche, che possono essere ben riassunte dal tweet del direttore sportivo della EF, Jonathan Vaughters: “Ecco il paradosso della situazione Eekhoff: meritava di vincere? Sì, è stato il migliore durante la corsa. Ha sfacciatamente infranto le regole? Sì, l’ha fatto. E queste regole vengono sfacciatamente infrante spesso? Sì”.

Resta aperta la questione del tempismo: è davvero necessario attendere la fine della gara per squalificare un ciclista che ha commesso un’infrazione? Forse l’Unione Ciclistica Internazionale dovrebbe essere più attenta a stare al passo coi tempi e adeguarsi alla tecnologia per evitare di dare delusioni così cocenti e inutili a chi ha appena tagliato il traguardo. Per lo stesso motivo, anche la vittoria di Samuele Battistella sembra leggermente beffarda, sia perché arrivata dopo la squalifica sia perché, quella vittoria, avrebbe potuto raggiungerla in gara con un briciolo di coraggio in più.

La prova in linea Elite maschile

Amara è stata anche la prova in linea maschile Elite. Il percorso originale prevedeva 284,5 chilometri con una lunga parte di avvicinamento al circuito finale da percorrere sette volte. Con il diluvio che ha colpito lo Yorkshire nella notte (e che poi è proseguito per tutta la giornata successiva), sono saltati parecchi chilometri del percorso iniziale, comprese due delle tre salite previste in quella fase di trasferimento, e l’organizzazione ha optato per l’aumento dei giri del circuito finale da sette a nove con un chilometraggio comunque ridotto di una ventina di chilometri complessivi.

Una notizia che, a dire la verità, è arrivata alle squadre solo pochi minuti prima della partenza, anch’essa posticipata di quasi un’ora rispetto al previsto. Non una grande figura per l’organizzazione della rassegna britannica, ma niente in confronto al buco nero della copertura televisiva, saltata per un’ora abbondante perché l’aereo-ponte (ovvero l’aereo che prende il segnale e lo ritrasmette) aveva finito il carburante.

È proprio in quelle fasi della corsa non coperte dalle immagini televisive che è caduto Philippe Gilbert, uno dei grandi favoriti di questi Mondiali. Il belga si è attardato per via della caduta, e con lui si è fermato il giovane Remco Evenepoel, forse illudendosi di riuscire a riportare Gilbert nel gruppo facilmente a quel punto della gara, sottovalutando le condizioni meteo e le caratteristiche del percorso. Mentre i due provano a rientrare, in testa al gruppo altri due ciclisti belgi (Tim Declercq e Greg Van Avermaet) hanno fatto partire il forcing - inspiegabilmente, vista la fatica con cui stavano cercando di rientrare Evenepoel e Gilbert. Difficile dare una spiegazione univoca a questa strana strategia suicida: forse è mancata comunicazione, visto che ai Mondiali non ci sono le radio; o forse è stato un calcolo cinico di Van Avermaet, che magari voleva eliminare definitivamente il pericolo Gilbert.

Fatto sta che pochi chilometri dopo il ritiro di Gilbert ed Evenepoel, si è fermato anche il campione del mondo uscente, Alejandro Valverde. La lista dei ritirati, alla fine, è lunghissima: dei 197 iscritti, due non sono partiti e solo 46 sono riusciti ad arrivare al traguardo. Sono numeri che danno l’idea della durezza della gara, più di sei ore al freddo, tormentati da pioggia e vento su strade spesso inadeguate.

I grandi favoriti, a parte Philippe Gilbert, sono comunque tutti nel gruppo principale quando la corsa entra nel vivo. Ci sono Julian Alaphilippe e Greg Van Avermaet, Peter Sagan, Michael Matthews, Alexander Kristoff. Ma soprattutto c’è un duello che va avanti da un anno e mezzo, e che sarà il cuore anche di questa gara: quello tra Matteo Trentin e Mathieu van der Poel.

Breve storia del duello van der Poel-Trentin

Facciamo un attimo un passo indietro. Era il 12 agosto 2018 quando a Glasgow si correva la prova in linea dei campionati europei: una giornata bagnata dalla pioggia, anche quella, anche se in modo molto più contenuto. Nel finale rimangono in cinque a giocarsi la maglia di campione d’Europa: gli italiani Cimolai e Trentin, lo spagnolo Herrada e quei due ragazzi venuti dal ciclocross. Uno, il belga Wout Van Aert, è il campione del mondo in carica di ciclocross e si è già fatto vedere su strada nelle classiche del Nord. L’altro è olandese, di pochi mesi più giovane, ed è un ciclista molto più poliedrico. Da Juniores nel 2013 ha vinto sia il Mondiale su strada di Firenze che quello di ciclocross a Louisville, e fra i professionisti ha provato anche a cimentarsi nella Mountain Bike, vincendo il bronzo mondiale nel 2018 (oro a Nino Schurter, una leggenda vivente dello sport con i suoi 8 trionfi mondiali e le 3 medaglie olimpiche) con l’obiettivo delle Olimpiadi di Tokyo 2020.

Stiamo ovviamente parlando di Mathieu van der Poel. Il padre, Adrie, è olandese ed era un ciclista di buon livello a cavallo fra gli anni ‘80 e ‘90, con all’attivo anche un’Amstel Gold Race, un Fiandre e una Liegi, oltre al titolo mondiale nel ciclocross del 1996. La madre, Corinne, è francese ed è la figlia di Raymond Poulidor, forse il ciclista più amato di sempre in Francia.

Van der Poel e Van Aert dominano il ciclocross in lungo e in largo dal 2015 in poi. Il belga è più precoce, l’olandese è nettamente più forte e i veri valori si cominciano a vedere proprio in quell’inverno 2017-2018 quando lo score finale della stagione ciclocrossistica segna un impietoso 34 a 9 in favore di van der Poel che poi sbarca su strada e vince il campionato nazionale olandese il 1° luglio 2018, diventando così campione nazionale in tre diverse discipline contemporaneamente: strada, ciclocross e mountain bike.

Mathieu van der Poel quel campionato olandese non si limita a vincerlo: lo domina. Sull’ultima salita di giornata parte dietro allo sprint, rimane chiuso lungo le transenne, si ferma, sposta col braccio il ciclista che gli chiude la strada, riparte, stacca tutti e arriva praticamente da solo in cima, a braccia alzate, un po’ come Usain Bolt a Pechino nel 2008. Ho usato Bolt come termine di paragone sportivo forse in maniera un po’ forzata ma non in maniera casuale: per la straordinaria struttura fisica, l’esplosività dello scatto e la determinazione nel distruggere ogni speranza nella mente dei suoi avversari, van der Poel, con tutte le proporzioni del caso, assomiglia davvero a quel tipo di atleta dominante.

Agli Europei di Glasgow, quindi, Matteo Trentin se la gioca in volata contro questi due ciclocrossisti, decisamente più giovani di lui ma probabilmente ancora poco esperti. E infatti, lanciato da uno splendido Cimolai, Trentin li batte entrambi: oro all’italiano, argento a van der Poel, bronzo van Aert.

Matteo Trentin non è nuovo a vittorie di questo tipo, è un ciclista ormai pienamente maturo (è nato nell’agosto 1989) e ha vinto molte corse importanti come la Parigi-Tours, pur senza mai riuscire a imporsi davvero fra i più forti nelle grandi classiche. Ma in questi arrivi in volata ristretta, Trentin è indubbiamente uno dei migliori al mondo. In quel momento in pochi si rendono conto della portata di quella vittoria. Van Aert e van der Poel sono praticamente due sconosciuti per il grande pubblico, solitamente poco attento a ciò che succede nel mondo del ciclocross, e la vittoria di Trentin sembrava quasi scontata.

Basteranno pochi mesi per ribaltare completamente le prospettive. Più precisamente dobbiamo andare a mercoledì 17 aprile 2019: mancano 18 chilometri dal traguardo della Brabantse Pijl (la “Freccia del Brabante”, in italiano), una semi-classica che è il preludio del trittico delle Ardenne e si corre proprio il mercoledì prima dell’Amstel Gold Race. Ai piedi dello strappo di Hertstraat parte l’attacco di Julian Alaphilippe subito seguito da Tim Wellens. Più indietro, nel gruppo, Mathieu van der Poel è rimasto bloccato nel lato chiuso.

In blu: Alaphilippe. In rosso: van der Poel. In nero: Matthews.

Alaphilippe insiste, Wellens tiene, Matthews rimane a metà strada mentre dietro il campione nazionale olandese si fa spazio e parte per la rimonta. In poche pedalate raggiunge e lascia sul posto Matthews e in cima allo strappo è già a ruota del francese. La facilità con cui van der Poel si riporta su Alaphilippe è devastante: rimangono in quattro e vanno via fino al traguardo.

Matthews è bravissimo a lasciarsi sfilare lasciando davanti van der Poel a prendere la volata in testa. Alaphilippe è pronto a saltarli da dietro, ma l’olandese imposta la volata come se gli altri non esistessero. E gli altri non gli recuperano neanche un centimetro, anzi, perdono terreno in modo inspiegabile mentre van der Poel sembra volare fino al traguardo come un’astronave aliena. Quella che van der Poel assesta ai suoi avversari è soprattutto una mazzata psicologica, in particolare per Julian Alaphilippe che fino a quel momento era universalmente considerato il più forte al mondo su questi terreni. Forse è anche per questa mazzata psicologica che, quattro giorni dopo, quando si trova in testa all’Amstel Gold Race in coppia con Fuglsang, e con Mathieu van der Poel dietro a inseguire, qualcosa nella sua mente si blocca e lo manda in tilt.

Quella domenica 21 aprile, Alaphilippe e Fuglsang sono davanti insieme all’ultimo chilometro dell’Amstel Gold Race ma ormai si sono praticamente fermati. Da dietro rientra veloce Kwiatkowski che prova a rilanciare in contropiede ma i due non si fanno sorprendere. Dopo pochi secondi alle loro spalle compare un gruppetto di una manciata di uomini con in testa la maglia di campione olandese di Mathieu van der Poel che si lancia in una lunga e disperata volata. Circa cinquanta metri più avanti Alaphilippe, voltandosi, vede l’azione dell’olandese e parte a sua volta con a ruota Jakob Fuglsang. Van der Poel va al doppio: prima li raggiunge e poi con un secondo rilancio lascia lì tutti e due.

Mathieu van der Poel ha un’incredibile percentuale di vittorie su strada con 10 vittorie su 28 giorni di gara nel 2019. Ha vinto in ogni modo possibile: attaccando da lontano come al GP di Denain, rimontando da dietro come all’Amstel, in volata ristretta come alla Freccia del Brabante, o addirittura in volate di gruppo al Tour of Britain. È proprio nella corsa a tappe d’oltremanica che si rinnova il duello fra Trentin e van der Poel. I due si incrociano in vari arrivi di tappa ma ad avere la meglio è sempre l’olandese. Matteo Trentin, però, da quelle sconfitte impara una cosa molto importante: quando van der Poel parte, seguilo.

Qui van der Poel attacca come sempre, Trentin gli torna sotto con forza e sembra quasi fatta. Poi l’olandese riparte, e lì non c’è niente da fare.

La gara di ieri

Forse è per questo che ieri, quando Mathieu van der Poel attacca a poco più di 33 chilometri dall’arrivo, Trentin è il primo a seguirlo. Alaphilippe prova inizialmente a tenere il passo ma rimbalza, ancora una volta. Gli altri neanche ci provano: Sagan non si fida delle sue possibilità, Van Avermaet rimane immobile nel gruppo. In quel momento, Trentin capisce che è l’azione buona e rilancia. Van der Poel e Trentin, insieme, vanno così a raggiungere in testa alla corsa Moscon, Kung e Pedersen.

A quel punto della gara, dopo 230 chilometri sotto la pioggia, le energie residue nelle gambe dei ciclisti sono poche ed è molto difficile organizzare un inseguimento per bene. Perché i gregari non ci sono più e nel migliore dei casi sono stanchi. Così, mentre davanti tirano tutti e cinque insieme e con convinzione, dietro in testa al gruppo si piazza uno spento Tim Wellens stoppato da Fuglsang e Colbrelli che coprono la fuga dei rispettivi compagni di squadra (Mads Pedersen per la Danimarca, Moscon e Trentin per l’Italia). Il vantaggio sale in poco tempo a 40”, poi anche Wellens molla e i cinque davanti schizzano a oltre un minuto.

Si va verso una volata a cinque, con due azzurri in gruppo che devono tenere a bada Mathieu van der Poel, sicuramente l’avversario più temibile dei tre visto che Kung e Pedersen sono due bei passisti ma non certo famosi per lo spunto veloce. La faccia di van der Poel sembra pulita, quasi inespressiva.

Improvvisamente, però, Mathieu van der Poel, che era in ultima posizione nel quintetto, si sposta sulla destra e si pianta. China il capo più volte, si guarda le gambe come a cercare una risposta alla sua crisi repentina. Da un momento all’altro, l’uomo bionico in grado di vincere su ogni terreno, di battere ripetutamente un campione come Wout van Aert nel ciclocross e poi di annichilire Julian Alaphilippe nelle classiche su strada, capace di staccarsi di ruota tutti i più forti ciclisti del mondo con una sola sparata, si inceppa. Arriverà 43° con un ritardo di 10’52”.

A quel punto Trentin sembra non avere più avversari. È nettamente il più forte nel quartetto dei superstiti. L’unico modo per batterlo è partirgli in contropiede, prendere 5-10 metri e andare via col passo. Non è una paura irrazionale, perché Kung è un signor cronoman e il giovane Mads Pedersen è uno che l’anno scorso ha fatto 2° al Giro delle Fiandre andando in fuga da lontano e resistendo al ritorno del gruppo. Non sono proprio i primi arrivati, anche perché, è bene ricordarcelo ogni tanto, se dopo più di 6 ore di gara sotto la pioggia sei lì davanti a giocarti un Mondiale, è segno che qualcosa di buono c’è.

«Nell'ultimo giro sono stato lì a pensare alla volata, sulla carta ero il più veloce ma dopo una gara così dura la carta non conta nulla», dirà Trentin all’arrivo. E infatti a quella volata forse ci pensa anche troppo.

Ora, ci sono diversi modi per affrontare una volata ristretta: il primo e più comune è mettersi a ruota dell’avversario più pericoloso, aspettare che parta lui per primo e provare a saltarlo negli ultimi metri; oppure, se sei il più forte, partire al momento giusto, impostando la volata con decisione e affrontare così gli avversari a viso aperto giocando d’anticipo. Van der Poel, di solito, opta per la seconda opzione, come ci ha fatto vedere anche alla Freccia del Brabante. Trentin, che forse ha imparato dalle sconfitte contro van der Poel, ci prova. Dopo il crollo dell’olandese e l’attacco di Kung sull’ultimo strappo che aveva tagliato fuori Gianni Moscon, i tre sopravvissuti imboccano il rettilineo d’arrivo con Pedersen davanti, Trentin a ruota e Kung a chiudere. Al cartello che indica i 200 metri dal traguardo, parte deciso Matteo Trentin, Kung prova a seguirlo ma non ce la fa, Pedersen gli prende la ruota. Sembra fatta per gli Azzurri, perché l’avversario scomodo, visto l’attacco precedente, sembrava essere proprio lo svizzero Kung. Invece, pochi secondi dopo lo scatto, l’azione di Trentin si blocca improvvisamente e Pedersen si rifà sotto, lo affianca, lo supera. Trentin prova a rilanciare ma è come se pedalasse a vuoto.

Mads Pedersen è il nuovo campione del Mondo, il primo nella storia della Danimarca. Non uno sconosciuto qualunque, sicuramente, perché Pedersen è un ciclista giovane, di buone prospettive anche se un po’ discontinuo, e che ha spesso dimostrato di saper andar forte quando la corsa si fa veramente dura.

L’argento di Trentin è insomma una beffa, perché arrivato proprio nel momento in cui la vittoria sembrava ormai a portata di mano. Non è solo la delusione della gara a bruciare ma la sensazione di un’opportunità unica e irripetibile vanificata per sempre. Perché Matteo Trentin ha appena superato i trent’anni ed è nel pieno della sua maturità sportiva. È un ciclista con un talento non straordinario, ma che è riuscito a ritagliarsi negli anni un ruolo importante per sé stesso nel ciclismo. Soprattutto in questo momento di ricambio generazionale in cui i vecchi sembrano pietrificati e i giovani ancora non sono arrivati nel pieno del loro potenziale, Trentin ha saputo inserirsi con prepotenza in questo vuoto di potere. Ma quella di ieri è un’occasione che difficilmente si ripresenterà e che per questo lascia un sapore ancora più amaro dentro.

Per Mathieu van der Poel, invece, la gara di ieri ha rappresentato un brusco risveglio, la ridiscesa nel mondo reale dopo quasi due anni di dominio assoluto su ogni terreno. «È un Mondiale che ricorderò per molto tempo», ha detto van der Poel alla fine «Tutti i ciclisti in gara lo ricorderanno per molto tempo. Ero nel gruppo buono e avevo fatto tutto nel modo giusto, e poi all’improvviso non avevo più niente».

A dire la verità, non è la prima volta che gli succede di perdere un Mondiale a cui arrivava da grande favorito: era già accaduto ai Mondiali di ciclocross di Valkenburg 2018, persi proprio contro Wout van Aert. Da quell’esperienza ne uscì inizialmente devastato, ma successivamente gli servì per crescere, forse non solo come ciclista. Alla luce del suo talento e della personalità dimostrata finora, c’è da scommettere che tornerà ancora una volta a monopolizzare i nostri racconti.

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