Barbara Bonansea, Italia
di Emanuele Atturo
«Segnare di testa alla fine per me è pazzesco. Quando eravamo in svantaggio ci siamo parlate, eravamo spaventate» ha dichiarato Barbara Bonansea al termine della mozzafiato vittoria dell’Italia contro l’Australia all’esordio dei mondiali. Bonansea ha realizzato una doppietta e ha vinto il premio di miglior giocatrice in campo.
Ma se abbiamo tutti negli occhi il suo colpo di testa al novantacinquesimo minuto, segnato indietreggiando e tenendo a distanza il marcatore, è il primo gol a rappresentare meglio le caratteristiche di Barbara Bonansea. Ha rubato palla in pressing all’Australia, è entrata in area di rigore, ha sterzato con l’esterno e tirato di collo sul secondo palo. Bonansea nasce come attaccante centrale ma per sfruttare la sua velocità viene utilizzata come esterno offensivo. La leggerezza della sua corsa, la forza negli appoggi, la tecnica in conduzione palla al piede rendono Bonansea una giocatrice temibile soprattutto negli spazi, quando può puntare l’avversaria in velocità fronte alla porta. La fluidità con cui si sposta la palla con l’esterno per tirare sbilancia la maggior parte delle avversarie. Quando poi arriva al tiro può scegliere sia la soluzione di collo di potenza che quella di precisione a girare sul secondo palo. Non è propriamente una finalizzatrice ma il mix delle sue qualità tecniche e fisiche la rende comunque molto prolifica. Anche per il tempismo con cui scatta in profondità - come visto nel gol annullato ieri all’Italia. Nelle ultime due stagioni, quelle giocate con la maglia della Juventus, ha realizzato 37 gol in 50 partite.
Bonansea è una delle calciatrici più vincenti del calcio italiano. Ha vinto 4 scudetti, 3 Coppe Italia e 3 Supercoppe italiane e a 28 anni è una delle calciatrici di maggiore spessore della Nazionale italiana. Nel 2012, quando giocava nel Torino, era stata intervistata da Repubblica e aveva dichiarato che i suoi sogni erano di giocare in Champions League e di trovare un posto fisso in un’azienda, «Onestamente, con i tempi che corrono, non so quale possa essere il sogno più grande».
Delphine Cascarino, Francia
di Daniele Manusia
Il calcio può essere considerato una forma di espressione? Difficile dirlo guardando quello maschile. La competizione fisica è spinta all’estremo, quindi più che degli artisti i calciatori, oggi, sono soprattutto degli atleti. I ritmi sono così asfissianti che anche i più talentuosi faticano a trovare letteralmente pochi secondi per respirare con la palla tra i piedi, per ragionare e scegliere la giocata che esprime la loro unicità. La giocata che avrebbero fatto solo loro. Qualcuno ci riesce, ovviamente, i calciatori più grandi tra quelli comunque grandi. Per questo ci piacciono così tanto, non per la fama che li circonda o per i successi che hanno accumulato, ma perché riescono ad essere inconfondibili anche in mezzo a quelle trincee. Perché ci ricordano che sì, il calcio è anche una forma di espressione.
Il calcio femminile, lo sanno tutti, è meno intenso di quello maschile. Meno esplosivo. Almeno qui il fatto che il calcio è una forma di espressione è evidente praticamente in tutte le giocatrici talentuose. Al posto dell’esplosività c’è ancora più stile. Per cui vi basta vedere anche solo una partita di Delphine Cascarino per ricordarvela, e riconoscerla ogni volta che alza la gamba per fintare a mezz’aria, e la scuote come il fazzoletto del rubabandiera. Delphine Cascarino è semplicemente una delle calciatrici con più stile di questo Mondiale (e, che sia detto di passaggio, considerando che le calciatrici sono molto meno egocentriche dei calciatori, lo stile in campo è rafforzato dal contrasto con la timidezza o comunque con la naturalezza rilassata delle interviste fuori).
Certo, non è proprio una giocatrice qualsiasi: gioca nella squadra migliore del mondo (il Lione) e da quando è adolescente è convocata in tutte le Nazionali giovanili francesi. Al tempo stesso è un nome relativamente poco conosciuto, e non è detto neanche che parta sempre titolare nella Francia.
Delphine Cascarino si è assicurata solo di recente un posto tra le titolari, o tra le possibili titolari, della Francia di Corinne Diacre. E ci ha messo sopra una piccola ipoteca quando ha segnato una doppietta contro la Danimarca, nel 4-0 dello scorso aprile. È stata campione del mondo Under 17 (2012), campione d’Europa Under 19 (2016) e vicecampione del mondo U20 (2016). Con il Lione, a 22 anni, Cascarino ha già vinto 4 Champions e 5 Ligue 1, anche lì però da co-protagonista, dandosi il cambio con l’olandese van de Sanden o la compagna di Nazionale Le Sommer. Questo, invece, può essere il suo Mondiale.
Basta poco, in fondo, perché si creino i presupposti giusti per Cascarino. Basta un po’ di spazio in cui puntare la terzina avversaria e una palla in profondità per attivare la sua elasticità e la sua fantasia. Cascarino ha la velocità per arrivare sempre prima sulla palla, e la tecnica per tenerla con sicurezza anche quando lo spazio si restringe verso la linea laterale o di fondo. C’è qualcosa di sempre sfacciato, anzi, nel modo in cui tiene occupate le sue avversarie con continue finte e tocchi di palla che servono solo a ingannarle sulla direzione che vuole prendere davvero palla al piede. A Cascarino piace avere la palla tra i piedi, influenzare il gioco della sua squadra anche venendo dentro al campo, più di quanto farebbe una semplice ala dribblomane. Tanto lei sa che per toglierle la palla l’avversaria deve rivelarsi o molto eccezionale o molto fortunata. Cosa che non capita quasi mai nel club, ma che può capitarle spesso al Mondiale.
Insomma per lei potrebbe essere il Mondiale della maturità. Dovrà anzitutto conquistare definitivamente la fiducia della sua allenatrice, ancora alla ricerca dell’undici ideale. E dovrà poi prendersi le partite che contano. Il talento di Delphine Cascarino, tecnico e fisico, creativo e determinante, è esattamente il tipo di talento che qualsiasi spettatore cerca nel calcio femminile. Quel tipo di talento, anzi, che nel calcio maschile in pochissimi riescono a esprimere, e solo in alcuni momenti, Cascarino lo mette in mostra invece con la leggerezza di chi non ha niente da perdere. E in fondo non pensa solo a guadagnare.
Shanice van de Sanden, Olanda
di Jacopo Piotto
Shanice van de Sanden è una metafora del calcio femminile. Ha lavorato nell'ombra, è cresciuta, si è temprata. Ha fatto la gavetta, è andata all'estero per fare esperienza. Poi le hanno dato un palcoscenico: boom.
Nel 2017 van de Sanden aveva 25 anni, alle spalle già alcune presenze in Nazionale ma poche nei tornei di rilievo: aveva giocato un singolo minuto ad EURO 2009, aveva ottenuto appena una convocazione nelle qualificazioni al mondiale 2015, nel torneo aveva poi presenziato per 9 minuti nella fase a gruppi, e infine tre presenze ed un gol nel playoff di qualificazione alle Olimpiadi 2016.
Di EURO 2017 l'Olanda era il paese ospitante, quindi non ha bisogno di qualificarsi, e la prima partita che conta è già nel torneo principale. van de Sanden nel frattempo ha conquistato un posto da titolare, che non ha più mollato fino ad oggi. Dopo 26 secondi del primo match contro la Norvegia, è già sul fondo a mettere un cross sul quale Martens costringe il portiere ad un miracolo.
Van de Sanden è un'ala destra classica, che gioca sul lato del proprio piede forte per andare sul fondo e mettere cross. Per Vivianne Miedema in Nazionale e per Ada Hegerberg al Lione, una specie di investimento assicurato. Shanice è probabilmente la calciatrice più veloce palla al piede che potrete vedere in azione ai Mondiali. E poi crossa di prima, teso. Il meccanismo “lancio in profondità-cross-tiro” è così rapido che chi riceve l'assist non può che essere in corsa, cercando di arrivare su quell'assist prima che abbia attraversato l'area. Vedere van de Sanden che parte sulla fascia è come sentire la metro arrivare quando devi ancora scendere le scale. I suoi cross non li aspetti mai da ferma.
La numero sette ha giocato per anni in dei club olandesi di poco rilievo: Utrecht, Heerenven, Twente. Poi una stagione al Liverpool in cui il titolo non è mai stata neanche un'opzione. Nel frattempo si è lentamente guadagnata un posto nella rosa della nazionale, ma senza mai incidere in eventi importanti. Poi è arrivato l'Europeo da giocare in casa.
Dopo che Martens aveva dilapidato l'assist che van de Sanden le aveva fornito, nel secondo tempo le parti si sono invertite. Cross che viene da sinistra, taglio da destra in area di Shanice impossibile da seguire e impatto di testa puntuale per l'1-0. Non si ferma neanche un secondo. La palla entra, lei fa una piroetta per scartare le compagne, continua la corsa verso la tribuna, si bacia la mano - forse un anello. Non riescono a prenderla neanche per esultare. Ha segnato a Utrecht, ha segnato il primo gol olandese nell'Europeo olandese nella sua città. È nata una stella.
Ai quarti di finale fa la sua solita sgroppata a destra per servire a Miedema il gol del vantaggio, facendo sbloccare l'attaccante che era rimasta a secco per il tutto il girone (ne farà 4 nelle ultime 3 partite), in finale il copione è lo stesso per il gol dell'1-1 che propizia la rimonta sulla Danimarca.
L'Olanda vince gli europei con varie individualità, ma mentre Martens e Miedema sono già conosciute, lei si afferma per la prima volta a questi livelli. Tanto che a fine agosto 2017 le squilla il telefono e dall'altro capo c'è Jean-Michel Aulas, il presidente dell'Olympique Lyonnais.
Il Lione vince il campionato francese ininterrottamente dal 2007 e all'epoca ha appena vinto la sua quarta Champions League. Le francesi sono la squadra più forte d'Europa, e van de Sanden è chiamata a far parte del progetto per mantenere lo status quo.
Il primo campionato francese non è folgorante. Il Lione lo vince con 8 punti di distacco sulla seconda e segna 104 gol in 22 partite, ma il bottino di Shanice è solo di due reti in 16 presenze (Hegerberg ne fa 31, Le Sommer 17). In Champions League il club arriva per la terza volta consecutiva in finale, contro le storiche rivali del Wolfsburg. van de Sanden parte in panchina, e ci rimane per tutti i novanta minuti, che finiscono 0-0.
Al terzo minuto supplementare Harder porta in vantaggio le tedesche e sembra poter interrompere il dominio continentale francese. Al minuto 95 entra van de Sanden e il Lione alza la pressione.
Prima Henry pareggia al minuto 98, poi Shanice serve un assist a testa a Le Sommer e Hegerberg per chiudere il primo supplementare avanti 3-1. Al 115esimo sempre lei prepara il gol di Abily che chiude la partita. Venti minuti di fuoco in cui serve 3 assist (chiuderà a sei totali in tutto il torneo) e rovescia la gara.
La stagione successiva non ci sono molti dubbi: il Lione torna in finale ma stavolta van de Sanden è titolare. E infatti dopo 14 minuti l'OL è già avanti 2-0 e lei ha già messo a referto due assist. Finirà di nuovo 4-1.
Shanice van de Sanden è una figura di spicco del club più forte del mondo e della nazionale campione d'Europa in carica. Possiede una corsa irresistibile, che combinata con la capacità di crossare teso la rendono un'ala difficile da marcare, da contenere, da far sbagliare. Ha così tanta energia che le brucia dentro che la vedi come scalpita quando aspetta di partire su una palla in profondità. La regola del fuorigioco deve sembrare quasi ingiusta dal suo punto di vista.
È incontenibile anche fuori dal gioco. Il suo profilo instagram farebbe invidia al collega Hector Bellerin. Nella vita il rossetto è un optional, in campo è sempre molto evidente. I suoi capelli si tingono di colori diversi, adesso sono corti e di un biondo spudoratamente artificiale. La guardi e sembra un fiammifero. Pronto ad accendersi.
Mallory Pugh, USA
di Camilla Spinelli
Nel 2015, a diciassette anni, Mal Pugh è già la next big thing del calcio statunitense. In quell’anno l’attaccante esterno vince lo U.S. Soccer Young Female Player of the Year e riceve sia il Golden Ball come miglior giocatrice che il Golden Boot come miglior marcatrice della Concacaf Under 20. Tutti in America parlano di questa ragazzina di un metro e sessantacinque con una cicatrice in mezzo alla fronte che corre, dribbla e segna in mezzo ad avversarie decisamente più grandi di lei.
Nel Gennaio del 2016, quando frequenta ancora il liceo, viene convocata per la prima volta con la Nazionale maggiore ed esordisce contro l’Irlanda al minuto 58 prendendo il posto di Alex Morgan segnando anche un gol; da quel momento non esce più dalle convocazioni del commissario tecnico Jill Ellis. Diventa poi la più giovane calciatrice americana a giocare e a segnare durante i Giochi Olimpici; l’edizione è quella di Rio 2016 e Mal Pugh è una delle pochissime note positive della spedizione statunitense, visto che quel gruppo dato per favorito dopo il Mondiale vinto l’anno prima in Canada, si ferma mestamente ai quarti di finale. La giovane attaccante diventa così il simbolo del rinnovamento della gestione Ellis: tra Rio 2016 e Francia 2019, la ct inglese convoca 61 giocatrici diverse (30 delle quali alla loro prima convocazione assoluta) con l’obiettivo di svecchiare quella rosa che ormai stava vivendo gli ultimi sussulti di un ciclo glorioso.
Oggi le 23 giocatrici impegnate in Francia sfiorano in totale le duemila presenze con la nazionale e Pugh, a soli 21 anni, ne ha già collezionate da sola cinquanta; insomma, non è un caso se lo scorso anno il Los Angeles Times abbia soprannominato Pugh “the LeBron James of women’s soccer prospects”.
Pugh però non è certa di essere in campo dal primo minuto in Francia; Ellis infatti ha convocato più attaccanti che centrocampisti e questo, se da una parte la dice lunga sul tipo di approccio che le statunitensi vorranno esprimere in campo, dall’altra suggerisce l’abbondanza di calciatrici di alto livello nel reparto d’attacco.
Oggi Pugh viene vista dalla sua allenatrice soprattutto come un’arma da utilizzare in corsa, magari per prendere gli avversari sulla stanchezza: «Sei al 70esimo, sei molto stanco e improvvisamente Mal Pugh corre verso di te in contropiede», racconta la ct in questo lungo pezzo di Espn dedicato a Mal. Insomma, Pugh potrebbe partire spesso dalla panchina, non sarà lei a doversi caricare la squadra sulle spalle e nessuno glielo chiederà visto che il tridente titolare dovrebbe essere composto da attaccanti imprescindibili come Rapinoe-Morgan-Heath che, presumibilmente per ragioni d’età, giocheranno il loro ultimo Mondiale da protagoniste.
Dzenifer Marozsán, Germania
di Roberta Decarli
Dzenifer Marozsán è una delle star indiscusse di queste. La centrocampista tedesca è una giocatrice chiave nella nazionale allenata da Martina Voss-Tecklenburg. È stata determinante nella finale vinta dalla Germania alle Olimpiadi del 2016 e ha avuto un ruolo anche nelle vittorie dell’Olympique Lyonnais, dove gioca dalla stagione 2016/17.
Ultima in ordine di tempo, la sua rete nella finale di Champions League a Budapest è stata il primo tassello della vittoria per 4 a 1 sul Barcellona, consolidata poi da una tripletta di Ada Hegerberg. Non erano ancora passati cinque minuti dal fischio di inizio quando Marozsán si inserisce in area, raccoglie un passaggio della compagna di squadra Shanice van de Sanden a pochi centimetri dall’area piccola e lo trasforma: il busto teso leggermente all’indietro, il piede destro che accoglie il pallone schiacciandolo in porta.
Marozsán sembra in ottima forma: oltre a questo gol nella stagione appena conclusa ha segnato altre tredici reti con la maglia dell’Olympique Lyonnais, superando il bottino degli anni precedenti. Tutto questo, però, è avvenuto dopo un inizio di stagione da dimenticare: in seguito a un’embolia polmonare avuta in luglio, Marozsán è stata costretta a stare a riposo per diverse settimane, senza poter giocare o allenarsi. A partire da metà ottobre è rientrata gradualmente in campo sia con la squadra francese che con la Nazionale tedesca.
Il riposo forzato non le ha impedito di tornare a giocare ad alti livelli e di vincere, per la terza volta di seguito, il premio UNF per la migliore calciatrice del campionato francese. Come ha sottolineato in un’intervista all’Independent la sua compagna di club Isobel “Izzy” Christiansen, «È una delle persone più umili che io abbia mai incontrato, eppure lei può fare assolutamente qualsiasi cosa con un pallone da calcio».
Grazie alla sua abilità e alla sicurezza che dimostra nella gestione del pallone, Marozsán riesce a essere decisiva anche con il sinistro, che sulla carta dovrebbe essere il suo piede più debole. Nella goleada che il Paris Saint Germain (secondo in classifica nel campionato francese) subisce da parte dell’OL alla ventesima giornata di campionato, Marozsán segna un gol proprio con il sinistro, anticipando e stupendo il difensore del PSG Ashley Lawrence.
Numero 10 spettacolare fin dai tempi dell’1. FFC Frankfurt, Marozsán gioca efficacemente da trequartista sia all’Olympique Lyonnais, sia in nazionale, facendo leva sullequalità tecniche e atletiche che le sono riconosciute da anni. Da ragazzina era una sorta di enfant prodige del calcio tedesco: a 14 anni ha esordito in Bundesliga con l’1. FC Saarbrücken e a 15 anni ha segnato il suo primo gol, detenendo ancora oggi i record come giocatrice e marcatrice più giovane di sempre nel massimo campionato tedesco.
Nulla impediva una sua convocazione nelle rappresentative giovanili tedesche, tranne un piccolo particolare: la sua cittadinanza. Sebbene fosse cresciuta in Germania, il 18 aprile 1992 Dzenifer Marozsán era nata a Budapest da una famiglia ungherese. Seguendo gli impegni calcistici del padre, approdato a fine carriera a Saarbrücken, nel 1996 la famiglia si era trasferita in Germania e lì era rimasta. In seguito alla naturalizzazione dell’intera famiglia, Marozsán è stata convocata a cadenza regolare nelle nazionali giovanili della Germania, con le quali ha vinto l’Europeo U-17 nel 2008 e il Mondiale U-20 nel 2010.
Veterana delle competizioni internazionali, dotata di una tecnica ineguagliabile nel calcio femminile, da Marozsán dipende il valore di questa Nazionale tedesca ai Mondiali.
Asisat Oshoala, Nigeria
di Daniele V. Morrone
Asisast Oshoala è stata la prima giocatrice africana ad arrivare a giocare nella Premier League. Prima aveva vinto il premio di miglior giocatrice del Mondiale U-20 del 2014 e della Coppa d’Africa 2014 (vinta proprio dalla Nigeria) ed era stata nominata membro dell’ordine del Niger per i suoi successi.
Ha 20 anni quando si trasferisce in Inghilterra, lasciandosi alle spalle una famiglia benestante, che avrebbero voluta vederla studiare per poi intraprendere una carriera nell’industria della moda. Oshoala invece ha abbandonato gli studi e si è dedicata al calcio, lasciando la Nigeria. «All’inizio non hanno apprezzato il fatto che volessi fare la calciatrice. Volevano che andassi a scuola. Però gli ho detto che questo è quello che volevo io, che il calcio mi rendeva felice. Quindi non avevano altra possibilità che supportarmi.» Oshoala ha un carattere forte e non ha paura di nessuno: nell’ultima Coppa d’Africa non ha avuto problemi a criticare apertamente la federazione per la loro mancata organizzazione: «La squadra non è stata insieme per circa due anni, questo ha reso le cose più difficili perché non siamo riuscite a fare allenamenti adeguati, siamo stati insieme per circa due settimane prima del torneo ed è stato quindi difficile».
Dopo solo due anni in Premier League (uno passato al Liverpool e uno all’Arsenal) non si è fatta problemi ad andare a guadagnare più soldi in Cina, prima di spingere per trasferirsi al Barcellona non appena si è prospettata la possibilità. Il movimento africano ha bisogno di creare uno star-system che possa trainare un calcio privo di infrastrutture e risorse e con Oshoala ha la propria stella. Una giocatrice titolare del Barcellona a 24 anni e che arriva a segnare in finale di Champions League contro le invincibili del Lione. Una calciatrice apertamente musulmana.
Non c’è ambiguità nel talento di Oshoala: è una giocatrice atleticamente dominante e che sa sfruttare questo vantaggio per trovarsi nella migliore condizioni per calciare in porta. Ha un calcio forte e abbastanza preciso per non preoccuparsi neanche della posizione del portiere. Stessa cosa nel colpo di testa, fondamentale nel quale eccelle per altezza dello stacco e forza della conclusione, talmente tanto da non aver problemi a salire a contestare con la testa l’uscita del portiere avversario. Il suo atletismo si misura nella reattività e nell’equilibrio sempre perfetto dei sui gesti, così anche un buon primo controllo può risultare comunque correggibile nelle sue imperfezioni perché arriverà prima dell’avversario a calciare comunque.
La forza del suo scatto la mette in condizione di fare tagli profondi, giocando al ridosso della linea avversaria, sul lato esterno di uno dei due centrali, dando sempre l’opzione profonda alle compagne e allungando quindi la difesa avversaria, impaurita dal suo scatto. Oshoala è quindi sia un’ottima finalizzatrice della manovra che a tutti gli effetti un’arma tattica.
Con Oshoala parliamo insomma di un talento generazionale per l’Africa. Da giovanissima giocava sulla trequarti e per questo veniva chiamata “la Seedorf femmina”, anche se il suo idolo era Jay Jay Okocha. Ora che gioca come punta si fa chiamare Superzee e la Nigeria con lei ha vinto le ultime tre coppe d’Africa. Arriva a questo Mondiale con una squadra che ha la sola ambizione di provare a passare un girone difficile, con l’allenatore che ha detto apertamente di provare a fare comunque dai 3 ai 5 punti. Con questa esigenza i gol do Oshoala saranno più che fondamentali.
Wendie Renard, Francia
di Dario Saltari
Wendie Renard è il filo rosso che unisce tutti i successi dell’incredibile dominio del Lione sul calcio europeo femminile negli ultimi 13 anni. Da quando ha iniziato a vestire la maglia del club francese, Renard ha vinto tutti gli ultimi 13 campionati nazionali (per ritrovare una squadra diversa dal Lione come campione di Francia bisogna tornare proprio al 2006, quando vinse il Juvisy), nonché 8 Coppe di Francia e 6 Champions League, le cui ultime due finali sono terminate con uno scarto di tre gol (4-1 sia al Wolfsburg che al Barcellona).
Renard è la capitana del Lione e sul campo è la perfetta espressione del dominio tirannico che la sua squadra esercita su tutte le altre: una centrale di quasi un metro e novanta piuttosto veloce anche nella copertura della profondità, che ha una superiorità fisica tale nei confronti delle proprie avversarie da farla assomigliare a volte a un adulto in mezzo a 21 bambini.
Il suo talento, però, non è una semplice espressione del suo dominio fisico. Renard ha infatti un destro dolcissimo che trova la sua massima espressione soprattutto nel gioco lungo, e una tranquillità nel resistere alla pressione avversaria che la porta spesso a tentare giocate rischiose anche in zone di campo dove il buon senso consiglierebbe una maggiore accortezza. La centrale del Lione, insomma, ha una sensibilità tecnica e una capacità di leggere il gioco fuori scala rispetto alla stragrande maggioranza di compagne e avversarie. Un aspetto che è particolarmente evidente anche in fase difensiva, senza palla, dove a volte è fin troppo sicura nella gestione dei tempi di attesa e intervento, risultando quasi sbadata o poco aggressiva nell’intervenire sul pallone. Non è un caso che la sua venga spesso scambiata per arroganza, per una giocatrice che sembra non abbia fatto alcuna fatica ad arrivare settima nella graduatoria della prima edizione del Pallone d’Oro femminile.
L’ambiguità dietro al gioco di Renard risiede più che altro nella sua inestricabilità con il dominio che il Lione collettivamente esercita sulle altre squadre – una squadra che nell’ultima stagione ha vinto tutte le partite disputate tra campionato e Champions League tranne tre, senza mai perdere.
In questo senso, il Mondiale della Francia sarà interessante soprattutto per capire quanto i successi del Lione possano trainare anche una Nazionale che non è mai andata oltre il quarto posto raggiunto nel 2011 in Germania. Quello fu il primo Mondiale di Renard, che allora aveva appena 21 anni e veniva ancora schierata da terzino destro. Dopo quattro anni, al suo secondo Mondiale, in Canada, Renard era diventata non solo titolare ma anche capitano della Francia, che venne eliminata ai quarti di finale solo ai calci da rigore dalla Germania. Nonostante questo, fu l’unica di quella squadra a essere inserita nella Top XI del torneo.
Se riuscisse a trovare il giusto coronamento del suo talento anche in Nazionale vincendo questo Mondiale, Renard si affermerebbe definitivamente come una delle giocatrici più forti e vincenti del calcio contemporaneo. E sarebbe una grande storia da raccontare per una ragazza nata in Martinica, rimasta orfana di padre a otto anni, cresciuta tra mille difficoltà in una famiglia poverissima, con otto sorelle maggiori e una carriera iniziata in una squadra maschile, con tutto ciò che immaginiamo possa comportare.
Samantha Kerr, Australia
di Camilla Spinelli
Sam Kerr ha 25 anni, porta la fascia di capitano dell’Australia e sembra destinata ad essere una delle protagoniste di questo Mondiale. Complice l’assenza di due attaccanti fenomenali come Pernille Harder, che non ha raggiunto la qualificazione con la sua Danimarca, e Ada Hegerberg, il Pallone d’Oro che però non indosserà la maglia della Norvegia perprotesta con la sua federazione accusata di non investire abbastanza nel calcio femminile, Kerr ha la possibilità di far parlare di sé anche in Europa dopo essere diventata una stella assoluta della NWSL, il campionato femminile americano, e della W-League, quello australiano. Nell’esordio sfortunato contro l’Italia ha sbagliato il rigore, ma è comunque riuscita a ribadire in porta il suo primo gol al Mondiale.
Nel suo paese ha già vinto il Golden Boot per due stagioni di fila e il Women’s Footballer of the Year, mentre negli Stati Uniti è diventata la giocatrice ad aver segnato più gol nella storia della NWSL, oltre ad aver ricevuto il Golden Boot. La classe ’93 è alla sua terza partecipazione ad un Mondiale, dopo quello del 2011 in Germania e quello del 2015 in Canada. Le sue straordinarie qualità sono emerse fin dai primi anni della sua carriera: parliamo di una ragazza che ha esordito con la maglia della propria nazionale addirittura a 15 anni, proprio contro l’Italia, che incontrerà di nuovo il 9 giugno a Valenciennes.
Le Maltidas non hanno mai superato i quarti di finale in un mondiale, ma da quando Ante Milicic è stato nominato ct nello scorso febbraio è cambiata la percezione intorno a questa squadra tanto che in molti pensano sia non solo la favorita del Girone C ma addirittura la possibile sorpresa dell’intero torneo. L’Australia ha vinto 3 delle ultime 5 amichevoli giocate (le due sconfitte sono arrivate contro gli Stati Uniti e contro l’Olanda campione d’Europa), Kerr ha segnato 4 gol ed è diventata la leader indiscussa anche grazie alla nuova idea di calciopromossa da Milicic: «Vogliamo dominare il gioco, vogliamo che l’avversario ci venga a prendere. Le nostre ragazze si divertono a giocare in questo modo».
Kerr è il punto di riferimento dell’Australia perché sa fare tutto: pressa i difensori avversari alla ricerca del pallone, aiuta la squadra a risalire il campo ed è micidiale in area di rigore. Anche se non è altissima - non arriva al metro e settanta - riesce facilmente a colpire di testa in area sfruttando un grande senso della posizione, caratteristica che le torna utile anche quando deve sfruttare i palloni bassi. Non è un classico attaccante da area di rigore perché tende a muoversi continuamente nella trequarti costringendo le avversarie a seguirla ovunque e a controllarla da molto vicino; è istintiva e sa giocare anche in velocità a ridosso della linea del fuorigioco, un’arma che probabilmente l’Australia cercherà di usare molto in Francia.
Lucy Bronze, Inghilterra
di Roberta Decarli
Negli ultimi sei mesi Lucy Bronze ha vinto la Women's Champions League, la Coppa di Francia e la Division 1 Féminine – il campionato della prima divisione del calcio femminile in Francia – con l'Olympique Lyonnais, oltre a vincere la SheBelieves Cup con l'Inghilterra. Assieme a Wendie Renard, compagna di reparto all'Olympique Lyonnais, è stata uno dei due difensori in lizza per il Pallone d'Oro. Non è poco, ma a Lucy Bronze non sembra bastare, visto che da tempo è concentrata sulla prossima sfida.
L'obiettivo che si è preposta è quello di vincere il Mondiale, giocando praticamente in casa. «Guardo lo stadio e penso "qui vinceremo la Coppa del mondo. Qualcuno segnerà per l'Inghilterra proprio in questa porta, solleveremo quel trofeo e per me sarà tutto". Ogni giorno mi passa per la testa tutto questo», haraccontato a Sky Sport News in aprile, riferendosi allo stadio dell'OL che sarà il campo della finale dei Mondiali.
Non soltanto nella preparazione delle sfide, ma anche sul terreno di gioco Bronze è spesso proiettata in avanti, interpretando in chiave moderna il ruolo di terzino destro: oltre a essere impegnata nella fase difensiva, spesso assume un ruolo importante nelle transizioni e nella fase di attacco sia nel club francese, sia in Nazionale, con e senza palla.
Questa sua capacità di spaziare muovendosi sulla fascia ha fatto sì che in alcune partite di questa primavera, come per esempio contro il Canada, Phil Neville l'abbia testata a centrocampo e ritenga possibile giocare questa cartaanche in futuro, specialmente in seguito all'assenza del vice-capitano inglese Jordan Nobbs. Secondo il tecnico dell'Inghilterra, Bronze è una delle migliori giocatrici in assoluto e una persona che «vuole essere sfidata. Se le dici che non è in grado di fare qualcosa, lei proverà a farla».
È in difesa, comunque, che Bronze si è affermata come una delle giocatrici più forti degli ultimi anni. Ha vinto gli ultimi tre campionati inglesi, due francesi e due Champions League, affermandosi per quattro volte come migliore calciatrice del campionato inglese e venendo inserita nelle rose delle migliori giocatrici UEFA. Bronze è apprezzata anche dagli sponsor, fa parte del team VISA, e dai tifosi, tant'è che nel 2018 ha vinto il premio di migliore giocatrice dell'anno assegnato dagli spettatori della BBC: «Giocando in difesa è più difficile ricevere un riconoscimento», affermaalla BBC, «le altre ragazze sono state nominate soprattutto per i loro gol e per essere delle forze nell'attacco dei loro team. E giustamente, sono delle grandi giocatrici. Non penso di essere la giocatrice più tecnica al mondo, e probabilmente nemmeno la più tattica o intelligente, ma probabilmente sono una di quelle che lavorano più duramente per fare quello che fanno».
Vivianne Miedema, Olanda
di Emanuele Atturo
«Fondamentalmente ho iniziato a giocare a calcio perché non avevo scelto» ha dichiarato Vivianne Miedema, che a 23 anni ancora da compiere è già da tempo considerata una delle migliori calciatrici del pianeta. Quest’anno ha segnato 20 gol con la maglia dell’Arsenal, superando di 4 il record assoluto di reti nel campionato inglese. Ha vinto il titolo con la sua squadra, è stata votata miglior giocatrice dell’anno e alla cerimonia di presentazione ha posato, elegantissima, insieme al connazionale Virgil Van Dijk.
Miedema è cresciuta in una famiglia di sportivi, suo padre e suo fratello erano o sono calciatori mentre sua madre ha giocato ad hockey ad alti livelli. Nella sua formazione dice che è stato fondamentale crescere giocando con i maschi, alcuni molto forti, i quali oggi sono diventati professionisti: «C’è una grande differenza nel giocare con maschi o con femmine e io consiglio alle ragazze sempre di giocare con i maschi».
Miedema gioca punta centrale, nell’Arsenal come nell’Olanda, e la sua supremazia fisica e tecnica sulle avversarie è così evidente che può decidere di muoversi dove vuole per offrire superiorità alla propria squadra. Può abbassarsi sulla trequarti per funzionare da rifinitore, dove mostra una visione di gioco non banale, può allargarsi sulla fascia per partire in velocità senza che riescano a fermarla. Ma è nei pressi dell’area di rigore che Miedema fa davvero la differenza. È alta un metro e 75, ha una struttura pesante, ma è più veloce di quanto possa sembrare, anche nel muoversi negli spazi stretti, dove può spostarsi la palla e tirare con entrambi i piedi.
Il mix delle sue qualità tecniche e fisiche la rende difficilmente marcabile, anche nel gioco aereo e Miedema oggi ha dei numeri semplicemente assurdi per il calcio contemporaneo, più simili a quelli dei calciatori di un’era calcistica remota, tipo Pelè. Ha quasi più gol che presenze in tutte le squadre in cui ha giocato - Heerenveen, Bayen Monaco, Arsenal, Olanda - e forse è arrivata persino ad essere anestetizzata rispetto alla propria superiorità nel contesto del calcio femminile. Quando segna Miedema non esulta e si limita ad avvicinarsi annoiata alle compagne per permetterle alle altre di celebrarla ed essere felici. Interrogata sulla questione precisa che è una questione di rispetto e non di freddezza: «Sono felice quando segno ma penso anche ci sia bisogno di mostrare rispetto alle proprie avversarie».
Ai Mondiali Miedema ha la possibilità di battere il record assoluti segnati con la maglia dell’Olanda, ma non sembra sentirlo come un traguardo di cui preoccuparsi: «Ho 22 anni, il record arriverà per forza. So che lo batterò ai Mondiali».