Nel corso dell’ultimo ventennio di evoluzione tattica, gli appassionati si sono trovati a dover mettere in discussione più volte la loro concezione di centrocampista, in generale, e di creatore di gioco, in particolare. Abbiamo assistito gradualmente alla scomparsa dei trequartisti classici, in favore di uno spostamento della componente creativa nelle seconde punte, in un tipo di trequartista più verticale adatto al calcio di questi anni, e soprattutto sulle fasce, con la riscoperta di ali capaci di rifinire l’azione in maniera dinamica, spesso venendo all’interno della trequarti partendo dall’esterno.
Se inizialmente la creatività in fase di costruzione era soprattutto delegata al centrocampista centrale che si abbassava a togliere la palla dai piedi della difesa (con o senza "salida lavolpiana"), tanto da rendere diffusissimo l’appellativo di regista per chiunque ricoprisse tale posizione (a volte anche impropriamente, per giocatori privi di quella visione di gioco necessaria per essere definiti tali), con l'affinamento dei sistemi di pressing degli ultimi anni, e l’aumento progressivo dell’intensità che ha ristretto gli spazi in zone centrali, i creatori di gioco hanno dovuto spostarsi sempre più esternamente, in avanti o indietro.
Ci sono ovviamente delle eccezioni. Calciatori in grado di "resistere" alle pressioni con la tecnica e che tatticamente hanno trovato dei compromessi che non li hanno del tutto snaturati. Per fare un esempio che tutti conoscono, Xavi è stato un regista vecchia maniera, senza ricoprire la posizione "classica" di vertice basso nel centrocampo a 3, ma senza neanche allontanarsi troppo, giocando da mezzala, in quella zona d’azione intermedia tra il centro del campo e l’esterno più idonea a interscambi con altri giocatori della catena laterale, in cui con semplici rotazioni riusciva a trovare la zona giusta in cui ricevere alle spalle delle linee di pressione avversarie.
In controluce Xavi ci mostra anche qual è stata la conseguenza più diretta dell'aumento di pressing e intensità: la posizione centrale oggi è occupata sempre di più da profili dotati fisicamente e atleticamente, a cui è richiesta un'abilita nella lettura tattica delle diverse situazioni di gioco che garantisca il mantenimento dell’equilibrio complessivo. Giocatori e in grado di fornire un adeguato supporto anche in termini tecnici, quantomeno alla prima costruzione della manovra (in alcuni casi parliamo di giocatori eccellenti da questo punto di vista, come Sergio Busquets, per restare in tema Barcellona) ma che raramente sono registi veri e propri (forse l'eccezione più recente potrebbe essere quella dell'ultimo Pirlo nella Juventus di Allegri).
In alcuni casi, però, i giocatori con maggiori capacità in impostazione vengono spostati in difesa - di nascosto, con difensori che sono in grado di effettuare filtranti e cambi di campo con precisione assoluta, oppure esplicitamente, come nel caso di Mascherano al Barça - e la qualità tecnica dei centrali dei mediani può avere un peso anche molto minore nello spettro delle sue qualità rispetto a quelle atletiche e da equilibratore.
Nel Mondiale ancora in corso abbiamo visto Fernandinho e Casemiro, due degli esempi più chiari di quest'ultima evoluzione. Nei rispettivi club fanno da veri e propri aghi della bilancia, che si muovono facendo da perno centrale in un centrocampo a 3, all'interno di sistemi di gioco prettamente propositivi (anche se in modo diverso). Sono entrambi abili nel posizionarsi in mezzo alla difesa in fase di costruzione e soprattutto a coprire i buchi lasciati dai compagni in uscita, sia in fase di possesso che senza palla, rammendando gli strappi con una gestione tecnicamente sicura e letture difensive fuori dal comune. Fernandinho nel Brasile ha occupato un ruolo minore rispetto a Casemiro, adattandosi quasi sempre da mezzala tranne che contro il Belgio, in cui la sua minore capacità difensiva si è fatta sentire. Sottolineando, amaramente per Tite che ha costruito le fortune recenti del suo Brasile proprio sulla solidità e l'equilibrio del centrocampo, quanto sia delicata e fondamentale la posizione di mediano oggi.
Va detto anche, però, del fatto che l'elevata dinamicità delle situazioni di gioco, con un'importanza sempre più accentuata delle fasi di transizione, espone le squadre al rischio di allungarsi eccessivamente o di spezzarsi in due. Per questo nel ruolo di mediano vengono scelti molti centrocampisti di quantità, con il rischio di influenzare, in negativo, la qualità complessiva di una squadra. E il Mondiale russo segna, in questo senso, un punto di arrivo nell'evoluzione del ruolo in atto da molti anni. Con risultati, ovviamente, altalenanti.
Il buco nero argentino
L’Argentina di Sampaoli è stata forse la squadra che in questo Mondiale ha evidenziato la maggior parte delle sue contraddizioni tattiche nella coppia di centrocampisti. Mascherano è stato prima affiancato da Biglia e poi da Enzo Perez, in parte perché con il giocatore del Milan formava una coppia di giocatori di possesso (e per di più fisicamente non di alto livello) che paradossalmente, per il gioco di Sampaoli, doveva vivere per gran parte del tempo senza il pallone (contesto più adatto al dinamismo del giocatore del River).
Il rendimento è stato ben al di sotto delle aspettative e l’Argentina si è ritrovata ad essere una squadra incapace di costruire la manovra sia quando veniva pressata alta, sia quando l’avversario si rinchiudeva nella propria area. Nei frangenti in cui è stato impiegato, Banega ha portato maggiore qualità ed imprevedibilità alla circolazione del pallone, ma l’Albiceleste è rimasta una squadra fortemente incompleta ed incostante, che ha finito per vanificare l’enorme talento a disposizione nel reparto offensivo, con Messi che era costretto ad abbassarsi per facilitare l’uscita del pallone da dietro.
Anche dal punto di vista prettamente difensivo, Mascherano e Biglia (e poi Perez) non sono stati all’altezza, sia nelle letture che nell’esecuzione dei movimenti. Le complicate scalate di Sampaoli che vedevano l’ex Barça disporsi in mezzo alla linea difensiva che da 3, facendola passare a 4, in entrambe le fasi, ha ulteriormente peggiorato le cose.
Tutte queste incongruenze fanno ancora più rumore se si pensa che il CT non ha convocato dei mediani difensivamente performanti come Ascacibar (o più abili nella gestione del possesso corto, come Paredes) e che lo stesso Enzo Perez era stato incluso nella lista solo in extremis, dopo l’infortunio di Lanzini. Insomma, sottovalutare sia la composizione che il comportamento del suo centrocampo è costato parecchio caro a Sampaoli, che si è poi ritrovato una squadra totalmente sfiduciata ed ammutinata, capace di far sussultare l’orgoglio contro la Francia, ma quando ormai era inevitabilmente troppo tardi.
La Germania senza equilibrio
Chi ha avuto ancora più difficoltà a centrocampo dell'Argentina (che comunque era messa malissimo anche negli altri reparti) è stata la Germania. I campioni uscenti hanno fallito la qualificazione agli ottavi di finale nonostante un girone relativamente abbordabile, che però aveva la caratteristica peculiare di essere composto da squadre che avevano in comune la capacità di attaccare ricercando la verticalità immediata in transizione.
Già dalla gara di esordio contro il Messico è apparso lampante come la coppia Khedira–Kroos, titolare durante il trionfo del 2014, andasse in enorme difficoltà nella copertura degli spazi ampi e non riuscisse minimamente a sostenere il baricentro della squadra, con gli esterni sempre molto alti a dare ampiezza ed i meccanismi di riaggressione a palla persa che sistematicamente fallivano la riconquista.
Khedira e Kroos, entrambi mediani dalla mentalità offensiva (seppur il primo più verticale, e principalmente senza il pallone), hanno mostrato il fianco non solo nel coprire ampie zone di campo ma anche quando c’era da difendere con il corpo, accorciando rapidamente verso il portatore o anche solo sporcando il possesso avversario con l’utilizzo del fisico o di falli tattici. Questa vulnerabilità è stata particolarmente esposta contro il rapidissimo Messico, ma ha trovato filo da torcere anche contro squadre meno tecniche come Corea del Sud e Svezia. Löw, non potendo contare su Emre Can, come alternativa “difensiva” aveva il solo Rudy, che però si è infortunato contro la Svezia (dopo un avvio comunque non entusiasmante).
Oltre ad essere inaffidabile dal punto di vista difensivo, Khedira ha giocato un brutto Mondiale anche per quanto riguarda il suo coinvolgimento nelle fasi di possesso. Löw ha provato ad aggiustare questa situazione con una serie di soluzioni cervellotiche (come l’abbassamento di Özil in mediana per dare più imprevedibilità alla costruzione) ma senza successo. Al di là delle ragioni di motivazione che hanno contribuito al fallimento della Germania, l’equivoco tattico più consistente è parso proprio essere quello a centrocampo.
La Spagna post-Xavi piena di incertezze
L'ultimo esempio "negativo" è quello della Spagna. Con l’arrivo di Hierro sulla panchina della Spagna, il 4-3-3 consolidato da Lopetegui si è trasformato via via in un sistema di gioco prevedibile e poco intenso. È indicativo, in questo senso, che nell’ultima partita del Mondiale contro la Russia ci sia stata una netta discontinuità con quanto visto fino a quel momento, con il passaggio al 4-2-3-1 con Busquets schierato in coppia con Koke, con Isco e Asensio sulle fasce e David Silva trequartista.
Anche se Koke si abbassava spesso a prendere palla dalla difesa, Busquets è stato il regista imprescindibile della squadra, fondamentale per l’equilibrio del gioco della Nazionale, improntato sulla ricerca della superiorità numerica, posizionale e qualitativa attraverso l’utilizzo di rotazioni costanti e scambi di possesso rapidi. Il centrocampista catalano era fondamentale per arrivare con qualità agli spazi di mezzo, con coinvolgimento delle mezzali, delle ali, dei terzini e a volte anche delle punte nell’occupazione della trequarti.
Busquets era l’equilibratore con la palla, ma non si è fatto mancare anche degli inserimenti senza palla in verticale, per sovraccaricare la difesa avversaria e creare spazio per i compagni.
In questa passmap è evidente il ruolo centralissimo di Busquets in fase di possesso.
Il suo polo di influenza centrale non era solo una risorsa per il riciclaggio dei possessi ed un appoggio forte per l’uscita dalla difesa, ma anche una vera e propria arma difensiva: oltre all’arte del possesso difensivo, Busquets maneggia alla perfezione anche la lettura del gioco, che utilizzava per accorciare verso il portatore in fase di transizione negativa, sfruttando l'elevata densità dei compagni in zona palla per il recupero immediato. Busquets è davvero un maestro nel sapere quando salire per intercettare la linea di passaggio e quando invece scappare verso la propria porta.
Essendo abituato a giocare in squadre dal baricentro medio-alto e ricche di talenti offensivi schierati spesso come mezzali di possesso, che limitano le loro competenze difensive alla capacità di riaggressione collettiva a palla persa, il centrocampista del Barcellona era ormai abituato a fare da ultimo scoglio prima dell’attacco alla linea difensiva, nel caso in cui il gegenpressing della sua squadra fosse finito in un nulla di fatto. I margini di errore sono sempre stati molto bassi, e nonostante fosse chiamato poche volte all’intervento in tackle si faceva trovare sempre pronto grazie ad una soglia dell’attenzione altissima.
Il percorso della Spagna è stato però un lento declino, e nonostante l’ottimo esordio contro il Portogallo la confidenza nel piano di gioco è scemata sempre più. Insieme al possesso della Spagna, si è sgretolato anche l’apporto di Busquets, a causa sia della staticità dei compagni che della gestione dei ritmi. In un contesto che sembrava dipendere sempre più dall’intuizione individuale si sono intraviste alcune inedite difficoltà nella gestione dei possessi e delle letture difensive.
Busquets ha sofferto l’orizzontalità del palleggio, la difficoltà nel pescare l’uomo tra le linee a causa della macchinosità delle rotazioni, e difensivamente ha pagato la non sempre puntuale efficacia della riaggressione in transizione difensiva. Un giocatore abituato a trovare la sua forza dalla stile di gioco sicuro e chiaro della propria squadra (a prescindere dai risultati che quello stile può aver ottenuto nel corso degli anni), è finito così per farsi influenzare da una sofferenza di gruppo, inaspettata a giudicare dalle prime partite. Da fulcro equilibratore, Busquets, in questa spirale negativa, è diventato il vortice che ha trascinato la propria squadra negli abissi.
L’inversione di tendenza del Belgio
Chi è riuscito a trovare un suo equilibrio a centrocampo, seppur in corsa, è stato invece il Belgio. Ha destato parecchia curiosità la scelta iniziale di Martinez di estromettere del tutto dai titolari Moussa Dembelé, pilastro del Tottenham e profilo complementare alla impressionante batteria di mezze punte, ali e trequartisti a disposizione dell’allenatore spagnolo. Nelle prime partite la scelta è ricaduta sulla coppia Witsel-De Bruyne, scelta cervellotica che ha causato diversi imbarazzi al centrocampo belga, soprattutto nella gestione delle distanze tra i reparti e nella copertura sugli inserimenti avversari tra le linee.
Per queste ragioni, il Belgio è sembrato soffrire un po’ troppo anche nelle partite terminate con un risultato a suo favore, e si apprestava a subire altrettanto intensamente contro il favoritissimo Brasile. Invece Martinez ha finalmente deciso di modificare l’assetto, optando per un centrocampo a 3 composto da Witsel come vertice basso, Fellaini come mezz’ala destra e Chadli in una posizione ibrida tra la mezz’ala sinistra e l’esterno di fascia.
Questa disposizione ha consentito di difendere in maniera nettamente più efficace sia nelle transizioni difensive, grazie ad uno scaglionamento più comodo a palla persa che ha consentito di ridurre le distanze tra i reparti, che nelle fasi di difesa posizionale bassa, in cui i giocatori del Belgio hanno saputo schermare alla grande il corridoio centrale neutralizzando ogni tentativo del Brasile.
.
Le consegne di Martinez ai suoi due mediani. Dembelé accompagna l’azione, mentre Fellaini diventa parte attiva dell’offensiva. Con Witsel a ricoprire la posizione di mediano di copertura e De Bruyne quella di “jolly” era stata evidente la mancanza di solidità.
Dopo anni travagliati sia a livello di club che di Nazionale, Fellaini è stato decisivo sia da subentrato nell’ottavo contro il Giappone che da titolare contro il Brasile, dimostrando di poter essere non solo una risorsa nella vittoria dei duelli aerei ed un riferimento per l’uscita della palla dal basso attraverso verticalizzazioni lunghe e sponde, ma anche uno scudo adeguato sulle zolle interne attraverso un utilizzo efficace del fisico e della posizione: 3 tackle vinti (è stato saltato una sola volta), 2 intercetti, 3 spazzate ed 1 tiro bloccato, il tutto senza perdere un singolo pallone. Che i passaggi completati siano stati solo 27 (il 79% del totale) dà la misura dei compiti assegnatigli da Martinez.
Insomma, l’aver affiancato a Witsel un riferimento fisicamente più prestante di De Bruyne ha consentito sia di liberare quest’ultimo nell’ultimo terzo di campo che di subire decisamente meno di quanto fatto vedere durante il girone. In vista della semifinale contro la Francia, data la pesante assenza di Meunier, Martinez ha optato per una difesa a 4 e l'inserimento di Dembelé vicino a Witsel, con un'attenzione particolare del giocatore del Tottenham ai raddoppi sul lato di Vertonghen, dove giocava Mbappé. La Francia ha lasciato il possesso al Belgio che però ha faticato a trovare il penultimo e l'ultimo passaggio con fluidità, con De Bruyne costretto spesso ad abbassarsi e le fasce come sbocco naturale del proprio gioco. Nonostante ciò, le manipolazioni di Martinez restano una delle cose più interessanti, dal punto di vista tattico, di questo Mondiale e mostrano bene come la ricerca dell'equilibrio sia un processo continuo.
L’equilibrio di Casemiro
Come accennato all'inizio, un’altra squadra che ha basato una fetta consistente della sua solidità complessiva sulle qualità del suo mediano è stato il Brasile di Tite, che si poggiava sulla corsa infaticabile di Casemiro. Forse il giocatore che più di ogni altro al giorno d’oggi rappresenta nell’immaginario collettivo l’archetipo del centrocampista che regge ogni equilibrio - colui al quale bisogna riconoscere una parte dei meriti dell’era d’oro del Real Madrid in Europa, nonostante non abbia le qualità degli interpreti migliori: l’uomo che ha trasformato la squadra leggera ed approssimativa di Benitez in quella spregiudicata e letale di Zidane.
L’intoccabilità nei “blancos” gli ha fatto ovviamente guadagnare l’imprescindibilità anche in nazionale, squadra che così come i madrileni ha una grossa percentuale di giocatori titolari dall’orientamento prettamente offensivo, e che necessita di qualcuno che sappia sobbarcarsi un lavoro difensivo adeguato con un elevato livello di attenzione nel corso dei 90 minuti.
A differenza della situazione tattica che abitualmente trova nel club, in nazionale è stato affiancato nella coppia da un altro giocatore di quantità come Paulinho per gran parte del 2018, complice anche l’infortunio di Neymar, che ha portato Tite a schierare un 4-2-3-1 in cui Coutinho fungeva da collante tra centrocampo ed attacco, gravitando nella zona di centro sinistra. Con il ritorno del numero 10, Tite talvolta ha prediletto un centrocampo ulteriormente muscolare, aggiungendo Fernandinho ai due.
In questo modo, Casemiro è stato coinvolto maggiormente in fase di costruzione: se al Real è visto come l’anello debole, e gli avversari puntano a pressarlo quando riceve per spingerlo all’errore, nel Brasile si avvicina più spesso ai centrali difensivi per aiutarli nella risalita, e spesso rimane alla loro altezza anche con il pallone tra i piedi, non limitandosi ad un lavoro di appoggio e scarico rapido, ma essendo parte attiva nella costruzione del gioco, pur mostrando ancora il fianco sotto questo aspetto in termini di velocità di esecuzione e smarcamento.
In fase di costruzione talvolta si posiziona in mezzo ai centrali, diventando il giocatore più arretrato.
Insomma, non si tratta di mansioni radicalmente differenti da quelle affidategli da Zidane negli ultimi 3 anni, ma di piccole sfumature. Se da una parte Casemiro può essere agevolato in fase difensiva dalla presenza di altri centrocampisti muscolari, dall’altro il maggiore coinvolgimento in possesso può rivelarne alcune debolezze che sono state ben mascherate nel sistema del Real Madrid. In ogni caso, il posto da titolare del centrocampo verdeoro non è mai stato in discussione, e la sua assenza nell’ultima partita contro il Belgio è stata per certi versi determinante, con il Brasile spesso in balia delle transizioni avversarie e Fernandinho vittima sacrificale sull'altare del talento di Eden Hazard.
L'importanza di Kanté
Al contrario del Brasile, la Francia di Deschamps è una squadra che non ha ancora trovato un vero e proprio sistema di gioco di riferimento, nonostante il nucleo sia praticamente lo stesso da diversi anni. Il CT alterna 4-2-3-1 e 4-3-3, la manovra non è particolarmente fluida e spesso si finisce per attaccare con la palla lunga alla ricerca di Giroud. Di conseguenza, il numero di seconde palle vaganti è abbastanza elevato, e la voracità di Kanté diventa fondamentale per poter garantire ai “Bleus” un’aggressione efficiente e limitare i danni della lunghezza media tra i reparti.
Quando gioca in coppia con un altro centrocampista, Kanté è a suo agio quando è affiancato da un giocatore che ne compensi gli inevitabili limiti in costruzione, al contrario di quanto successo per esempio agli Europei del 2016 con Matuidi, con cui formava una coppia estremamente aggressiva ma anche incredibilmente farraginosa nella gestione del possesso.
La coppia con Pogba, invece, sembra rappresentare un buon mix, tra recupero del pallone e creatività anche se a volte il centrocampista del Manchester United sembra penalizzato dai compiti di protezione in un centrocampo a due. Ciò ha fatto sì che la coppia non si consolidasse come scelta principale nel corso degli anni e di conseguenza il centrocampista del Chelsea ha dovuto adattarsi più volte in un centrocampo a tre.
All’inizio sembrava che Kanté dovesse dividersi con Matuidi per la posizione di mezzala “di quantità” ma, come analizzato da Fabio Barcellona, già prima dell’inizio del Mondiale, Deschamps ha cambiato idea: Kanté è partito sempre come vertice basso di un centrocampo a tre, in cui però, in fase di costruzione, veniva esonerato da ogni responsabilità in appoggio alla difesa e si posizionava subito oltre la linea di pressione, con i compiti di risalita del campo che venivano affidati ai due interni (di solito Pogba e uno tra Tolisso e Matuidi). La Francia, grazie a questa mossa, ne ha guadagnato molto in dinamismo in entrambe le fasi, anche se poi, nel corso del Mondiale, questo assetto è stato più volte un ibrido, più vicino ad un 4-2-3-1 che a un 4-3-3.
I “Bleus” difendono in maniera abbastanza posizionale e statica, limitando parzialmente il valore aggiunto in aggressività di Kanté, che rimane però una risorsa fondamentale per poter garantire un cambio di inerzia improvviso nelle fasi senza palla. Guardando il bilancio complessivo del suo Mondiale, Kanté è stato fondamentale anche nelle fasi di possesso, effettuando 60.6 passaggi a partita con una percentuale di successo dell’89%.
L’influenza positiva di Kanté nel possesso della Francia è evidente anche nel quarto gol segnato all’Argentina: con la palla al portiere, il centrocampista funge da vertice alto di un rombo formato insieme a Lloris e i due centrali, che si mantenevano in posizione molto larga. Tutto il resto della Francia era già proiettato in avanti, dalla cintola in su, mentre l’Argentina era spaccata in due, con i soli Messi ed Agüero ad ostacolare la costruzione. Kanté riceve palla centralmente e pesca Griezmann in verticale, riuscendo a connettere i due tronconi.
Il nuovo corso inglese passa anche dal mediano
L’Inghilterra di Southgate, con il suo innovativo 3-5-2, ha scelto invece di giocare con quello che gli inglesi chiamano holding midfielder, con Jordan Henderson, già abituato a reggere i ritmi del frenetico calcio di Klopp, titolare e Eric Dier, ormai definitivamente trasformato in centrocampista dopo essere cresciuto da difensore centrale, pronto a prenderne il posto.
Il CT inglese ha escluso l’utilizzo dei due in coppia, tuttavia non scartando l’ipotesi di vederli comunque giocare insieme, adottando Henderson da interno difensivo o Dier da centrale nella difesa a tre. In ogni caso, Southgate ha ritenuto imprescindibile l’utilizzo di un pivot di centrocampo unico, per agevolare la formazione del rombo in fase di costruzione con i difensori, che serve ad attirare il pressing avversario senza rischiare la perdita del possesso. In questo senso, per l’Inghilterra era cruciale la capacità del mediano di smarcarsi per ricevere palla direttamente dai difensori, o per fargli spazio portandogli via un uomo in modo che possano salire in conduzione (Walker e Stones si distinguono in questo caso).
Il rombo inglese in costruzione e l’atteggiamento posizionale del mediano, impostato col busto aperto sia per agevolare la ricezione che per un eventuale controllo a seguire verso la porta avversaria.
Pressare alto l’Inghilterra, con il rombo basso di costruzione che gli garantisce sempre la superiorità in fase di prima costruzione, è molto difficile, anche grazie alla sua elevata flessibilità, resa possibile sia dalle qualità dei difensori che dal carisma e le doti di lettura del mediano. Nonostante ciò, si è visto quanto anche difensori selezionati per le loro qualità con la palla (come John Stones, autore di un ottimo Mondiale fino all'errore che è costato la finale all'Inghilterra) possano andare in difficoltà se pressati con aggressività, come ha fatto la Croazia nella seconda parte di gara, costringendo spesso l'Inghilterra al lancio a scavalcare il centrocampo.
Con un modulo come quello di Southgate sono fondamentali anche le doti di conduzione e distribuzione a centrocampo: una volta ricevuto il pallone, Henderson si ritrova spesso in una situazione in cui il resto dei compagni dalla mediana in su sono già tutti proiettati in avanti, dagli esterni che danno ampiezza, agli interni che attaccano la profondità, agli attaccanti che cercano di smarcarsi con movimenti ad elastico. Il compito del pivot è dunque quello di legare il blocco arretrato con quello avanzato non solo attraverso passaggi corti e lunghi ma anche con la conduzione palla al piede.
Henderson, o Dier quando ha giocato, sono stati chiamati a rimanere ancorati al trio difensivo, muovendosi orizzontalmente in base alla posizione della palla per poter accorciare in avanti in caso di perdita del pallone. Nelle fasi di non possesso, l’Inghilterra adottava un approccio volto al controllo dello spazio, con la formazione di un solido 5-3-2 raccolto nella propria metà campo.
Il blocco formato dai 3 mediani e dai 2 centrocampisti in quelle situazioni doveva essere guidato con vere e proprie doti di regia difensiva, poiché l’orientamento era sempre verso il pallone e il pressing veniva attivato solo quando la sfera andava verso l’esterno. In quanto giocatore più centrale del blocco, il mediano centrale era chiamato a questo delicatissimo compito di guida per i suoi compagni.
Per caratteristiche tecniche e fisiche, Dier ed Henderson non era troppo simili. Anzi, il giocatore del Tottenham ha uno stile difensivo più volto al controllo posizionale, meno avvezzo ai contrasti diretti, più dominante sulle palle aeree grazie alla stazza. Di contro, Henderson ha un approccio più fisico ed aggressivo ed anche più dinamico. Il secondo è stato impiegato con più continuità da Southgate, risultando praticamente sempre tra i migliori in campo. Dier si è invece preso la maglia da titolare solo contro il Belgio, ed è subentrato contro la Colombia al posto di Alli (quindi in posizione di mezz’ala), togliendosi anche la soddisfazione di calciare il rigore decisivo, poi contro Svezia (a cinque minuti dalla fine) e Croazia (nei supplementari) al posto proprio di Henderson.
Un Mondiale difensivo?
In questa Coppa del Mondo quasi tutte le nazionali di minor rilievo hanno optato per un approccio del tutto reattivo, che minimizzasse i rischi, e con grande successo non solo per squadre che non avessero molto materiale tecnico offensivo da ottimizzare (oltre a Svezia e Russia, anche il Messico si è trovata molto a suo agio in un sistema di gioco simile).
Tra le grandi, invece, sono saltate immediatamente all’occhio tutte le difficoltà incontrate da chi ha provato a mettere in campo uno stile più propositivo, senza riuscire però a garantire il giusto equilibrio (Germania) o ad ottimizzare la mole di gioco prodotta (Spagna). C’è chi è riuscito ad introdursi al tavolo dei grandi grazie ad un percorso più agevole e a correttivi al momento giusto (Belgio) e chi aveva messo su un impianto produttivo che però faceva affidamento soprattutto alla capacità di uno o più giocatori che potessero sobbarcarsi la responsabilità di coprire tutte le falle (come il Brasile di Casemiro). Se contiamo anche Francia e Inghilterra tra le squadre che hanno poggiato il proprio equilibrio su mediani in grado di coprire ampie zone di campo in maniera prettamente fisica (Kanté, Henderson), praticamente solo la Croazia è riuscita ad arrivare fino in fondo con un centrocampo quasi esclusivamente tecnico (e l'esclusione del principale recuperatore di pallone, Badelj, rimpiazzato nel compito però da un ottimo Brozovic contro l'Inghilterra), pur senza vivere in funzione del pallone.
Sarebbe azzardato provare a trarre conclusioni sullo zeitgeist calcistico basandosi su questi Mondiali, ma sembra essere chiaro che nessuna squadra è riuscita davvero a portare una proposta di gioco propositiva senza sbilanciarsi, e chi lo ha fatto è stato dipendente dalle prestazioni dei singoli davanti alla difesa. Senza cadere nel tranello di immaginare un calcio fatto ancora di ruoli e non di compiti e posizioni, è probabile che il 2018 sarà ricordato come l'anno in cui abbiamo rivalutato l'importanza dei mediani.