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Il Mondiale U20 del 2009, dieci anni dopo
07 ott 2019
Dove bisogna arrivare per non considerare una carriera "deludente"?
(articolo)
11 min
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Il 24 settembre 2009, dieci anni fa, cominciava la fase finale dei mondiali Under 20 in Egitto. Non coinvolgeva l'Under 21 né tantomeno la Nazionale maggiore, ma il torneo biennale è pur sempre una vetrina di rilievo, un'occasione importante.

La cerimonia del sorteggio aveva avuto luogo, in aprile, nella cornice strabiliante del tempio di Luxor. L'assente d'eccellenza era l'Argentina campione in carica, che aveva mancato la qualificazione dopo aver presentato nel 2007 prospetti come Agüero, Banega e Di María.

Nell'autunno di dieci anni fa, i vivai dei club più prestigiosi portavano in Egitto i loro ragazzi più promettenti. Oggi, buona parte dei loro nomi ci suona sconosciuta. Il tedesco David Vržogić del Borussia Dortmund è diventato un pilastro dell'SV Meppen, nella terza serie del suo Paese. Il nigeriano Harmony Ikande del Milan, oggi all'Al-Jabalain in Arabia Saudita, è passato per Monza, Poggibonsi, la Bosnia, il campionato cipriota e la serie B israeliana. Jan Sebek, portiere ceco del Chelsea, nel 2015 ha addirittura smesso con il calcio professionistico.

La formazione tedesca, con i fratelli Bender. (Foto di CRIS BOURONCLE/AFP/Getty Images)

Egitto 2009 ha la sua stella. È un ragazzo che trascina la Nazionale ghanese all'impronosticabile vittoria finale, si porta a casa il titolo di capocannoniere e il premio come miglior giocatore del torneo, assegnato nelle edizioni precedenti tra gli altri a Agüero, Messi, Prosinečki e Maradona. Deve ancora compiere vent'anni, si chiama Dominic Adiyiah. Gioca nel piccolo Fredrikstad, nella Eliteserien norvegese, dopo essersi distinto nel campionato ghanese.

Al Mondiale, è capace di inanellare tre doppiette (all'Inghilterra nel girone, poi ai Quarti e in Semifinale) e di segnare 8 gol complessivi nelle 7 gare del suo Ghana.

Esattamente tre settimane dopo la finale del Cairo, il Fredrikstad perde lo spareggio retrocessione e scende nella seconda serie norvegese. Su Dominic Adiyiah piombano club importanti come il Chelsea e il CSKA. E il Milan, che supera la concorrenza e acquista il ragazzo per 1,4 milioni. Galliani dichiara: «L'abbiamo preso perché è una punta esterna che può giocare al posto di Pato e Ronaldinho». Adiyiah non giocherà neanche un minuto in prima squadra.

24 settembre 2012. Sono passati tre anni dal mondiale egiziano, con la maglia di club Adiyah ha fatto tre gol in gara ufficiale. Due con la Reggina, dove ha giocato in prestito nel 2010/11: contro il Frosinone in coppa Italia e contro il Grosseto in B. L'altra rete l'ha segnata al Metalurh Zaporizhya, in Ucraina, vestendo i colori dell'Arsenal Kiev. In mezzo ci sono stati i deludenti prestiti al Partizan Belgrado e al Karşıyaka nella seconda serie turca.

Almeno ha la nazionale, stavolta quella maggiore, con cui Adiyiah aveva esordito già prima del Mondiale U20. Il suo impiego è saltuario ma ininterrotto negli anni. Giocherà qualche minuto della finale di coppa d'Africa persa nel 2010. Sarà lui a calciare il pallone parato sulla linea da Luis Suárez ai supplementari dei Quarti del Mondiale 2010, e ai rigori finali sarà lui a farsi parare da Muslera quello che manda l'Uruguay in Semifinale.

Nell'autunno 2013, a ventiquattro anni, viene convocato dal Ghana per l'ultima volta, dopo 20 presenze e 4 reti. Parallelamente, nelle stesse settimane, l'Arsenal Kiev fallisce e il contratto di Adiyiah viene rescisso. Si ferma per sei mesi poi va in Kazakistan, all'Atyrau. Altri sei mesi di inattività e a gennaio 2015 la firma con il Korat, nel campionato thailandese.

Gennaio 2018, Adiyiah con la maglia degli Swat Cats del Korat, in Thailandia (Foto di Pakawich Damrongkiattisak/Getty Images).

Tra i già pochi nomi che sarebbero emersi in modo significativo, alcuni in quell'edizione del Sub 20 ebbero poco spazio.

Giacomo Bonaventura poté iniziare e finire una sola partita delle cinque che impegnarono l'Italia, per il resto dovette accontentarsi (addirittura appena 8 minuti agli Ottavi contro la Spagna). Ander Herrera ebbe a disposizione solo spezzoni con la Spagna, riuscendo comunque a brillare. E nel Brasile sconfitto in finale, Douglas Costa giocò una sola partita intera e per tre volte non si alzò nemmeno dalla panchina.

Il capitano della Germania, Florian Jungwirth, avrebbe passato l'intera carriera nelle serie inferiori tedesche, tranne due stagioni in Bundesliga col Darmstadt, e oggi gioca a San Jose, California.

Il capitano dell'Inghilterra, Josh Walker, avrebbe fatto un percorso simile tra Inghilterra e Scozia, prima di azzardare due stagioni nella neonata Bengaluru FC in India, tornare nella quarta serie scozzese e ritirarsi per i troppi infortuni a trent'anni.

Il capitano della Spagna invece era César Azpilicueta.

Azpilicueta aveva alzato da capitano anche il trofeo dell'Europeo U19 vinto dalla Spagna nel 2007 (Foto di SAMUEL KUBANI/AFP/Getty Images).

Non c'era l'Argentina. Non c'erano la Francia e la Croazia, cioè le finaliste dell'ultimo mondiale per nazionali maggiori. Si fermarono ai Quarti la Germania dei fratelli Bender, di Zieler e di Vrančić, e addirittura agli Ottavi la favorita Spagna.

Il Sub 20 è sempre stato capace di sorprendere, nell'uscire dal solco delle tradizioni e dalle logiche del blasone. In semifinale nel 2009, oltre al Brasile, arrivarono Ungheria, Ghana e Costa Rica. Ma il Sub 20 è sorprendente anche per la varietà dei successi che vede consumarsi, benché le edizioni siano biennali. Nel 2007 propose una semifinale Cile-Austria, nazionali che due anni dopo neanche si sarebbero qualificate. E nel 2011, dietro al Brasile campione, sarebbero arrivate nell'ordine: Portogallo, Messico e Francia, tutte fuori dalla fase finale solo due anni prima.

La finale del 16 ottobre si risolse ai calci di rigore, con la prima vittoria ghanese in un Sub 20. Il rigore decisivo lo realizzò Emmanuel Badu, poi colonna della nazionale maggiore e nome familiare alla serie A italiana. In trionfo fu portato Adiyiah più del capitano André Ayew, che avrebbe presto avuto una carriera ben più soddisfacente (oggi è allo Swansea e ancora capitana la nazionale maggiore).

Tolti loro tre, i campioni del Mondiale che quel giorno erano in campo da titolari oggi giocano in Bulgaria (Inkoom), negli Stati Uniti (Mensah), in India (Addo), in Etiopia (Agyei), in Finlandia (Addy). Quansah è tornato in patria. Rabiu e Osei sono senza squadra.

Foto di CRIS BOURONCLE/AFP/Getty Images

Il Costa Rica cavalcò una serie di incroci fortunati: migliore terza nel girone, avversari come l'Egitto agli Ottavi ed Emirati Arabi Uniti ai Quarti. Tra quei giovani promettenti, sarebbero comunque emersi due futuri pilastri della nazionale maggiore come Bryan Oviedo e Cristian Gamboa.

Tutto diverso il discorso per l'Ungheria, che arrivò prima nel girone ed eliminò in serie la Repubblica Ceca e l'Italia. Dieci anni dopo, l'unico nome noto è quello del portiere Gulácsi. Eppure una stella c'era: Vladimir Koman, secondo goleador del mondiale.

Aveva già esordito in serie A con la Sampdoria, Koman, ad appena diciotto anni. In Egitto fu capace di guidare la squadra da capitano e leader tecnico, con 5 reti e 2 assist in sei gare, fino al bronzo conquistato nella “finalina” con il Costa Rica. Su di lui piombò il Liverpool, ma non se ne fece niente. Il suo talento ha continuato a riverberare per anni, con lampi tanto evidenti quanto brevi: in prestito all'Avellino e soprattutto al Bari, poi al Monaco e al Krasnodar. Si è preso la nazionale maggiore, al punto di poter vantare 36 presenze, ma aveva venticinque anni quando è stato impiegato per l'ultima volta. Dopo di allora, il Diósgyőr in patria, l'Adanaspor in Turchia e adesso il Sepahan in Iran.

L'Inghilterra di Brian Eastick naufragò già nel girone, perdendo con Ghana e Uruguay, non andando oltre l'1-1 con l'Uzbekistan. In pochi avrebbero raggiunto la Premier. L'unico di quella spedizione che sarebbe arrivato ad alti livelli di club è Kieran Trippier.

Chi giocò tutte le gare per intero fu Alex Nimely, autore della sola rete inglese nel torneo. Nimely sì, può dire di aver giocato in Premier League: pochi mesi dopo il mondiale egiziano, col Manchester City in cui era cresciuto, schierato da Roberto Mancini per 7 minuti in sostituzione di Tévez. Da allora è passato per la Championship, per la massime serie di Romania, Norvegia e Finlandia, e lo scorso agosto è stato acquistato dal Kettering Town, nella cosiddetta non-league inglese.

Il suo partner d'attacco era Febian Brandy, allora stella delle giovanili del Manchester United, autore di un gol decisivo in finale di Youth League contro la Juventus. Dopo molta Championship e League One, nel 2015 sarebbe arrivato a una nazionale maggiore, ma quella di Saint Kitts e Nevis (2 presenze). Poi la firma con un club thailandese, il ritorno alla non-league inglese, fino all'addio al calcio giocato.

Lo scorso febbraio, Febian Brandy pubblicava questo ricordo.

Una parte dei protagonisti di Egitto 2009 non ha mai lasciato il proprio Paese. Una buona rappresentanza ha compiuto percorsi nelle massime serie europee e oggi, a trent'anni, e magari già da un po', gioca in Cina, negli emirati, negli Stati Uniti. In quelle che il senso comune riduce a pensioni dorate, destinazioni da ultratrentenni al tramonto inoltrato.

A ventisei anni, Alex Teixeira ha lasciato lo Shakhtar per trasferirsi al Jiangsu Suning, disposto a investire cinquanta milioni per il cartellino. A ventisette la punta di quel Brasile, Alan Kardec è stato ingaggiato dai cinesi del Chongqing Lifan. A ventotto, il capitano Giuliano dopo una buona carriera (Gremio, Zenit, Fenerbahce) ha scelto l'Al-Nassr e l'Arabia Saudita. In Cina ci sono anche Salomón Rondón (Dalian Yifang), bomber del Venezuela U20 e poi miglior marcatore nella storia della nazionale maggiore, e il riferimento offensivo della giovane Germania del 2009, Sukuta-Pasu (al Guangdong Southern Tigers, nella serie B cinese).

Negli Stati Uniti è arrivato a ventisette anni e ha trovato la sua dimensione Nicolás Lodeiro, capitano dell'Uruguay U20 e intoccabile della maggiore (60 presenze), dopo aver peregrinato tra Ajax, Botafogo e Boca Juniors.

In Qatar ci sono l'uruguaiano Abel Hernández e Koo Ja-cheol, capitano della selezione sudcoreana U20 e poi della nazionale maggiore, l'uno senza aver mai espresso il suo talento e l'altro dopo una buona carriera in Bundesliga.

Probabilmente la sintesi migliore è nella storia di Krisztián Németh, la punta dell'Ungheria U20 che eliminò l'Italia ai supplementari: cresciuto nel Liverpool, dopo il mondiale Németh girò per le massime serie di Grecia e Olanda, prima di scegliere a neanche ventisei anni gli Stati Uniti (Kansas, poi New England Revolution) e farsi un intermezzo anche lui in Qatar.

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Discovering Isfahan 🧐

Un post condiviso da Vladimir Koman ®️ (@kvoli) in data: 11 Dic 2018 alle ore 12:48 PST

Vladimir Koman e la sua famiglia, lo scorso inverno, a Isfahān, Iran.

L'Italia non arrivava tra gli squilli di tromba, eppure si fece valere.

Il Ct Francesco Rocca non disponeva di Balotelli e Okaka, che per età avrebbero potuto far parte della spedizione ma già erano nel giro dell'Under 21. Tra i giocatori più attesi quindi c'erano il “nuovo Buffon” Vincenzo Fiorillo (oggi al Pescara), Mattia Mustacchio (al Crotone) e Fabio Sciacca (in Eccellenza al Palazzolo) che già avevano esordito nella massima serie, o ancora il predestinato Michelangelo Albertazzi (oggi svincolato).

L'abbordabile girone fu superato da terza, il cammino si interruppe ai tempi supplementari dei Quarti con l'Ungheria.

L'unico che ha raggiunto la Nazionale maggiore è stato Bonaventura. Oggi in A, con lui, troviamo solo Vasco Regini e i neopromossi Alessandro Crescenzi e Marco Calderoni.

Fu questa Italia a buttar fuori dal torneo la squadra più talentuosa, vincitrice preannunciata, i cui giocatori, più o meno tutti, oggi sono tra Liga e Premier League. La Spagna di Dani Parejo e Azpilicueta, di Sergio Asenjo e Jordi Alba.

Ma a spiccare nell'attacco della giovane Roja era un ragazzo cresciuto nella cantera del Valencia. Chiuse il mondiale con 4 gol e 2 assist nelle quattro gare che impegnarono la Spagna. Più che con il nome di Aarón Ñíguez, oggi è più facile presentarlo come il fratello di Saúl. Nel suo caso intervenne un fatto traumatico, quando si ruppe il crociato appena un mese dopo l'eliminazione dal Mondiale. Cosa sarebbe successo, altrimenti? Perse l'intera stagione e si avviò a una carriera di Segunda División spagnola, con l'eccezione di un biennio in Liga da panchinaro all'Elche (1 gol, 2 assist e 11 ammonizioni) e di un anno ancora più incolore al Braga.

Da febbraio Aarón Ñíguez è svincolato, dopo tre mesi in Malesia al Johor Darul Ta'zim FC. In Indonesia si è vociferato di un interesse del Persija Jakarta.

Aarón Ñíguez e Mattia Mustacchio ai Giochi del Mediterraneo del 2009, poche settimane prima di incontrarsi agli Ottavi del Sub 20. (Foto Getty Images).

L'ala di quell'Italia U20, Claudio Della Penna, oggi gioca al Tor Sapienza in D. Nella stessa categoria c'è il terzino titolare di allora, Francesco Bini, che oggi è allenato da Adaílton al Vigor Carpaneto.

Dominic Adiyiah è rimasto in Thailandia, dallo scorso dicembre gioca al Sisaket FC, nella seconda serie. Il simbolo del club è un grosso bove, il kouprey, che vive nel Sud-Est asiatico e presenta negli esemplari maschi grosse corna ricurve. A novembre Adiyiah compirà trent'anni.

Alla vetrina dei talenti del Sub 20 del 2009 avevano partecipato ventiquattro nazionali. Ognuna portava in Egitto ventuno ragazzi. In quelle 504 storie individuali, sembra facile riconoscere il successo e il fallimento, guardandole da qua – da lontano nel tempo e nella conoscenza. Probabilmente tutto è più sfumato di così e bisogna affrontare le diverse domande che restano in piedi.

Essere tra i presunti migliori ventenni del mondo, cosa promette? E dove una carriera deve necessariamente arrivare, partendo da quel livello, per non essere considerata deludente? Basta diventare professionisti, occorre stabilirsi in una massima serie e/o in Nazionale maggiore, è necessario spostare volumi importanti sul mercato? Bisogna confermarsi tra i migliori del mondo?

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