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7 giocatori interessanti al Mondiale Under-20
31 mag 2019
I talenti da seguire con particolare attenzione al Mondiale che si sta giocando in Polonia.
(articolo)
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Questo articolo è uscito originariamente sul blog di Wyscout in inglese. Ne riportiamo la traduzione in italiano.

Luca Pellegrini, Italia (AS Roma)

di Daniele Manusia

La prima volta che ho visto Luca Pellegrini in azione non avevo idea chi fosse. Ormai più di tre anni fa, stavo assistendo a un allenamento della Primavera di Alberto De Rossi per scrivere un articolo su un giocatore che sarebbe poi rimasto anonimo, per raccontare il punto di vista di un ragazzo che si avvicinava al professionismo ma che ancora non era arrivato. Durante la partita di allenamento a un certo punto la palla arriva al terzino sinistro dalla parte opposta del campo rispetto alla mia visuale. Su di lui va in pressing Edoardo Soleri (‘97) che in quel periodo aveva esordito in Champions League, e il terzino lo scavalca con un tocco sotto la palla, quello che a Roma chiamiamo “cucchiaio” in onore di Francesco Totti, gli gira attorno e va a riprendersi la palla alle sue spalle. Edoardo Soleri è alto più di un metro e novanta. Ricordo di aver sussultato in panchina e di aver chiesto come si chiamasse quel terzino. Era Luca Pellegrini, ovviamente.

I ragazzi della Primavera della Roma mi erano parsi tutti ansiosi di emergere, presi a capire che posto avevano o avrebbero potuto avere nel mondo del calcio. Luca Pellegrini, che aveva due anni in meno rispetto ai compagni con cui si allenava (è nato a marzo del ‘99), girava per la sala pranzo con aria leggera e qualcuno mi aveva detto di averlo visto con l’autobiografia di Mike Tyson sotto braccio. Adesso, in che modo la storia di Tyson abbia ispirato quel ragazzo con l’aria sicura, fino quasi a sembrare presuntoso, non posso saperlo, né sono sicuro di aver capito cosa significasse quel dettaglio agli occhi di chi si era sentito di raccontarmelo, ma tre anni dopo Luca Pellegrini può dire di aver già superato ben due infortuni gravi al ginocchio sinistro (crociato e rotula) e di essere andato avanti per la sua strada.

Gli infortuni che gli hanno fatto saltare quasi tutta la stagione 2017-18, e quest’anno Pellegrini ha giocato la sua prima stagione intera (con piccoli problemi, tipo una distorsione alla caviglia) in Serie A. Prima da riserva nella Roma di Di Francesco, poi titolare nel Cagliari di Rolando Maran. Per incassare colpi del genere ci vogliono qualità tecniche e fisiche, certo, ma anche molta forza mentale.

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Un esempio del controllo e dell’intelligenza di Pellegrini, che dopo essere uscito con un gioco di gambe dalla pressione di due avversari ed essersene andato di potenza sulla fascia triangolando con un compagno, rallenta la corsa e alza la testa. Potrebbe crossare in area, dove i compagni sono in inferiorità, allora preferisce servire l’inserimento da dietro rasoterra. Per farlo però deve aspettare che l’avversario continui la sua corsa fino a liberare la linea di passaggio. Quanti terzini hanno questa visione di gioco e questa gestione del ritmo e della “pausa”?

Adesso Luca Pellegrini sta giocando il Mondiale Under-20 a centrocampo, come mezzala, e difficilmente chi non lo conoscesse potrebbe dire che quello non è il suo ruolo. Grazie, soprattutto, al suo piede sinistro. La qualità tecnica di Pellegrini è altissima, il controllo che ha della palla in tutti i momenti e la duttilità con cui usa interno ed esterno indifferentemente gli permettono di giocare anche nello stretto, anche di prima con l’uomo alle spalle. Peccato solo il suo tiro non sia all’altezza della qualità che ha nei passaggi, altrimenti potrebbe davvero avere un futuro da mezzala.

Certo, Pellegrini dà il meglio quando ha campo davanti a sé, e la tecnica palla al piede si combina con un atletismo eccezionale (a quanto pare non intaccato dagli infortuni). Pellegrini può andarsene in velocità, semplicemente allungandosi la palla nello spazio, o con un dribbling creativo, verso l’esterno o anche verso l’interno (usando il tacco sinistro, come vediamo spesso fare a trequartisti puri, a gente come Cristiano Ronaldo). Arrivato sul fondo mette in area cross sempre precisi. Soprattutto, prima di crossare alza la testa, guarda dove sono i compagni e sceglie quello che vuole servire.

Di Francesco lo ha escluso dalle sue rotazioni dopo che nella partita con la Spal ha procurato un rigore per un’ingenuità difensiva. E se un minimo di inesperienza è normale per un ragazzo che ha da poco compiuto 20 anni e ha già saltato una stagione intera, è vero che le doti di Pellegrini sono molto più utili in fase offensiva che in quella difensiva. Ci sta lavorando, però, e il suo atletismo gli può permettere di fare la differenza anche vicino alla propria porta. Sempre contro la Spal, ad esempio, ma con la maglia del Cagliari, ha salvato un’occasione da gol con una chiusura perfetta al centro dell’area, e dopo aver spazzato la palla in tribuna ha anche esultato.

Insomma a Luca Pellegrini non manca niente e oltre alla gambe e a un gran piede sinistro sembra avere anche una testa fuori dal comune. Il Mondiale Under-20, in una squadra ricca di giocatori con un possibile futuro in Serie A (come Scamacca, un altro giocatore del vivaio della Roma che oggi però è di proprietà del Sassuolo, che si è già messo in mostra con 2 assist in 2 partite) può essere il trampolino ideale per la stagione 2019-20. In teoria, dovrebbe essere chiamato a dare il suo contributo nella rivoluzione che aspetta la Roma, e dipenderà soprattutto dall’allenatore che siederà sulla panchina che fino a pochi giorni fa era di Claudio Ranieri. Le qualità e la duttilità di Luca Pellegrini lo rendono utile praticamente in qualsiasi schieramento, la sua intelligenza però può portarlo tra i migliori terzini del campionato italiano in pochissimo tempo.




Lee Kang-in, in Spagna detto Kangin, Corea del Sud (Valencia)

di Emiliano Battazzi

La storia di Kangin è tutto ciò che non dovrebbe essere permesso a un bambino, ma allo stesso tempo tutto ciò che un bambino, e una famiglia, possono fare per realizzare un sogno. Kangin ha circa sei anni quando partecipa a un popolare reality show calcistico coreano - la sua squadra vince e lui va a Manchester per girare uno spot pubblicitario insieme a Park Ji-Sung. A 10 anni arriva dall’altra parte del mondo, in Spagna, per un provino: al Valencia. Una città che in comune con la Corea ha probabilmente solo l’elevato consumo di riso. A causa di problemi linguistici - nessuno capisce niente - il piccolo Kangin effettua il provino con i ragazzi del 2000, più grandi di un anno rispetto a lui: in quel gruppo ci sono Ferran Torres e Abel Ruiz. Kangin dimostra tutte le sue qualità, il Valencia è convinto ma ha un problema gigante, ovviamente: non si può acquistare un bambino di 10 anni. L’unica possibilità è che tutta la famiglia si trasferisca a Valencia, per motivi di lavoro. Una risposta che dal club avevano dato con la certezza che il trasferimento non si sarebbe mai potuto realizzare.

E invece 7 anni dopo Kangin esordisce in amichevole con il Valencia, e poi segna addirittura di testa nel Trofeo Naranja - dopo aver già giocato con la squadra B. Molto apprezzato da Marcelino che preferisce giocatori rapidi e capace di saltare l’uomo sugli esterni, Kangin esordisce ad ottobre in Coppa del Re, a gennaio nella Liga e a febbraio in Europa League.

Sono pochissimi i giocatori in Europa, soprattutto a quell’età, ad avere una tecnica e una velocità come quella di Kangin nello stretto: certe volte i raddoppi degli avversari sembrano quasi un incentivo ad inventare un nuovo trick. Nonostante abbia giocato spesso da trequartista nelle giovanili, per ora il ruolo affidatogli da Marcelino sembra quello più adatto a lui per il calcio professionistico. Kangin ha ancora bisogno di svilupparsi fisicamente, nonostante un notevole treno inferiore gli permetta di rimanere sempre in controllo della palla anche quando attaccato; ma soprattutto ha bisogno di sviluppare la sua visione di gioco, ancora troppo grezza e individualista. Nel frattempo, Kangin sta facendo passi da gigante: nella pazzesca (e decisiva per il trofeo, a posteriori) rimonta di Coppa del Re contro il Getafe, i due gol necessari al passaggio del turno sono arrivati nei minuti di recupero a seguito di due suoi splendidi hockey pass (passaggi che precedono l’assist). Kangin aveva un sogno, lo sta realizzando: con un atteggiamento definito militare dall’ambiente valenciano, ma che è semplicemente educazione coreana.


Mickaël Cuisance, Francia (Borussia Mönchengladbach)

di Daniele V. Morrone

Negli ultimi anni la scuola calcistica francese si è rivelata probabilmente la migliore nello sviluppare giocatori dalla tecnica purissima e dalla spiccata dinamicità. Mickaël Cuisance è l’ultimo di una lunga serie di questa tipologia di giocatori. La prima cosa che colpisce di Cuisance è la sua pulizia tecnica in ogni fondamentale con il pallone (dal controllo orientato al calcio puro) e a spiccata creatività. Cuisance grazie alla sua tecnica nel controllo del pallone, si trova perfettamente a suo agio anche negli spazi più stretti al limite dell’area. Lì l’ultimo passaggio è la sua specialità: ha una visione di gioco che va oltre l’opzione più semplice e ha una sensibilità nel piede sinistro che gli permette di trovare il tocco perfetto per ogni tipo di passaggio che vuole effettuare. Riuscendo a mantenere la freddezza e la precisione anche Qualche anno fa aveva detto di ispirarsi addirittura a Zidane: «Sono un grande fan di Zinedine Zidane, è il mio modello da quando gioco a calcio».

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Cuisance riceve al limite e attira l’attenzione di tutta la difesa, così da servire con un passaggio filtrante il compagno libero in area.

Grazie a un fisico ben sviluppato e a un ottimo equilibrio però non ha problemi a giocare con più campo davanti. La sua visione periferica e la capacità di stare al posto giusto al momento, lo rendono perfettamente in grado di giocare anche più arretrato, per aiutare la costruzione della manovra. In questo caso Cuisance si muove continuamente per aiutare l’avanzamento del pallone sul campo: idealmente forma triangoli di prima, ma può anche lanciare lungo o liberarsi con una una giocata se necessario. Per questo nella Francia U-20 viene schierato come mezzala con ampie libertà di movimento, così da sfruttare la sua tecnica praticamente da area ad area. Ed è sempre a centrocampo che ha giocato di più anche con il Gladbach in Bundesliga, solitamente in coppia con un altro giocatore più statico.

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Cuisance supera con un dribbling l’avversario e porta avanti il pallone, per poi servire con un lancio preciso il compagno che corre largo.

Nato e cresciuto a Strasburgo nel 1999, quando a 13 anni l’RC Strasbourg Alsace fallisce ed è costretta a chiudere le giovanili, Cuisance deve ripiegare quindi per una squadra minore della città per continuare a giocare. Da lì in poco tempo però passa al Nancy, uno dei migliori vivai della regione e famoso per aver sviluppato tra gli altri sua maestà Michel Platini. Regolarmente selezionato nelle giovanili della Francia fin dall’U-16, non fa in tempo ad arrivare in prima squadra che nell’estate del 2017 il Gladbach lo acquista per 250 mila euro. È in Germania che a sorpresa pochi mesi dopo debutta con i professionisti a 18 appena compiuti.

La scorsa stagione doveva essere quella solo del debutto, Cuisance invece si è ritrovato a giocare più partite del previsto per il Gladbach, finendo per essere parte integrante della formazione titolare. Nella stagione 2018-19 il Gladbach ha però sorpreso nuovamente facendolo tornare tra le riserve della squadra: Cuisance è partito titolare solo in una partita in questa Bundesliga, giocando un totale di 312 minuti, praticamente 1000 minuti in meno della scorsa stagione. Proprio il Mondiale U-20 dove sta giocando come una delle stelle della Francia potrebbe essere la vetrina giusta per convincere la sua squadra che è pronto per essere considerato un titolare, o forse trovare l’offerta giusta per farlo da un’altra parte visto l’enorme talento.


Leonardo Campana, Ecuador (Barcelona di Guayaquil)

di Fabrizio Gabrielli

L’esplosione di Leonardo Campana, punta centrale dell’Ecuador U20 e del Barcelona de Guayaquil, più che a un processo di meticolosa pianificazione della capitalizzazione del talento sembra rispondere a quelle - sempre più rare - dinamiche che trovano l’innesco in un’epifania: al Sudamericano Sub20 giocato in Cile a Gennaio, infatti, Campana non partiva titolare. Una serie di contingenze, però, hanno sovvertito le gerarchie (Stiven Plaza, che era stato acquistato da poco dal Valladolid, aveva ricevuto dalla nuova squadra il veto alla partecipazione alla competizione e Djorkaeff Reasco si era seriamente infortunato): Campana ha segnato 6 reti (esattamente quante il Brasile), e si è laureato capocannoniere del torneo vinto - un po’ a sorpresa - per la prima volta nella sua storia dall’Ecuador.

Campana risponde perfettamente all’identikit del nueve moderno: dotato di una presenza fisica imponente, per quanto ancora la massa muscolare non sia del tutto sviluppata, è soprannominato La Torre nonostante il suo gioco non aderisca poi molto ai cliché del centravanti svettante (al Sudamericano, per esempio, non ha mai segnato di testa), e prediliga usare il fisico soprattutto nella copertura della palla propedeutica al tocco che fa progredire il gioco. Grazie alla longilineità, flessibile come canna di giunco, Campana ha le sue caratteristiche migliori nella reattività e nell’esplosività. Un’altra abilità che lo caratterizza è l’aggressività: di media recupera 2.3 palloni per partita nella metà campo avversaria, e la sua zona di influenza principale è esattamente quella terra di mezzo tra il centrocampo e il posto che normalmente occupa il centravanti, in cui scende spesso per recuperare palla, anticipare il portatore e far ripartire l’azione.

Campana si distanzia dagli stereotipi anche dal punto di vista della formazione: non proviene da un contesto in cui l’affermazione calcistica è il grimaldello dell’emancipazione sociale, è per molti versi un privilegiato visto che è il figlio di Pablo Campana Sáenz, ex tennista con partecipazioni alle Olimpiadi e alla Coppa Davis e attualmente Ministro per il Commercio Estero dell’Ecuador. Allo stesso tempo, dal padre ha imparato dedizione e costanza nel miglioramento della propria condizione fisica. Ed è uno dei pochi a poter vantare di aver segnato il primo gol in carriera tra i professionisti (un mese fa, con il Barcelona ecuadoriano) in uno stadio intitolato al nonno materno.

La prolificità nel Sudamericano (e nelle giovanili, in cui ha segnato 35 gol in 35 presenze tra Sub16 e Sub18; anche in prima squadra è già a 2 reti in poco più di 200 minuti complessivi) ci restituisce l’immagine di un grande capitalizzatore (tira in media 1.80 volte a partita con un tasso di conversione del 60%), che è veritiera ma non completa: Campana è soprattutto un calciatore molto tecnico, con un ottimo dribbling nello stretto, e soprattutto ricco in inventiva, che si diverte a cercare soluzioni imprevedibili come dribblare aiutandosi con il tacco, o con primi controlli a seguire. A volte è un po’ troppo solipsistico, fa sfoggio eccessivo delle sue skills tecniche, fino a risultare arrogante; le sue giocate, però, sono sempre esteticamente pregevoli e in qualche modo iconiche, come la rovesciata con il Venezuela o lo spunto con il Perù del video qui sopra.

A Marzo ha già esordito nella Tri maggiore, e Felipe Caicedo sembra non avere dubbi su chi potrà raccogliere la sua eredità al centro dell’attacco ecuadoriano nei prossimi anni.


Gedson Fernandes, Portogallo (Benfica)

di Marco D’Ottavi

Aiuta guardare dei video di Gedson Fernandes fuori dal campo, come questo in cui sfida a un quiz l’altra stellina del Benfica Joao Felix, per capire che ha appena 20 anni. Perché in campo è il classico esempio di giocatore “più maturo della sua età”. Arrivato in Portogallo giovanissimo dalla piccola isola di Sao Tome e Principe, dopo una rapidissima ascesa nel vivaio del Benfica, Fernandes è entrato in pianta stabile in prima squadra da questa stagione, riuscendo a collezionare al primo anno un totale di 46 presenze, tra cui 16 tra Champions ed Europa League. Una rara considerazione per un giocatore così giovane in una squadra importante come il Benfica, che lo ha portato già ad esordire con la Nazionale maggiore, dandogli ancora di più le stimmati del predestinato di talento.

Gedson è un centrocampista che sa fare molte cose, 10 anni fa l’avremmo probabilmente etichettato come “box-to-box”, oggi gli calza a pennello il ruolo di mezzala dinamica in un centrocampo a 3. Grazie ad un fisico importante e delle gambe lunghissime, Fernandes riesce ad essere incisivo nelle due fasi di gioco in maniera non convenzionale: quando si tratta di difendere riesce a strappare il pallone all’avversario anche in situazioni improbabili, usando le gambe come un lungo compasso (esegue 3.4 contrasti ogni 90’, uscendone vincitore oltre il 70% delle volte); in fase offensiva, invece, usa l’ampia falcata per generare vantaggi grazie ad un dribbling non sempre preciso (prova circa 2 dribbling e mezzo ogni 90 minuti, con il 50% di riuscita), ma potenzialmente letale, che gli consente di spezzare le linee in conduzione con apparente facilità, grazie anche ad una mobilità non comune per un giocatore di 184 centimetri.

Alcuni esempi del dribbling di Gedson Fernandes, magari non elegantissimo nell’esecuzione, ma sempre verticale.

Senza palla è un giocatore molto propositivo, dimostrando un istinto naturale verso l’inserimento offensivo, forse per via del suo passato da attaccante, che lo porta spesso nei pressi dell’area di rigore, tanto che Bruno Lange ogni tanto lo ha schierato anche da trequartista. In fase realizzativa deve però migliorare: in stagione ha segnato 3 gol (di cui curiosamente 0 in campionato e 2 in Champions League) da 1.5 tiri ogni 90 minuti. Con il pallone tra i piedi sembra più a suo agio quando può attaccare spazi aperti con la sua velocità che quando deve associarsi con i compagni, preferendo sempre la soluzione più semplice.

A 20 anni appena compiuti Gedson Fernandes è uno dei giocatori di punta di questo mondiale, in una delle squadre favorite. In estate, poi, dovrà decidere il suo futuro: diverse squadre di Premier League sembrano interessate al giocatore che dovrà decidere se provare subito il salto in un campionato più competitivo o affinare il suo gioco già ben costruito nel Benfica, una delle migliori realtà dove crescere per un giovane con così tanto talento.


Boubacar Kamara, Francia (Marsiglia)

di Dario Saltari

Non che sia sempre un parametro utile a giudicare la qualità assoluta di un giocatore, ma Boubacar Kamara è senza ombra di dubbio un talento incredibilmente precoce. Praticamente un 2000 (Kamara è nato il 23 novembre del 1999), il centrale del Marsiglia è già alla terza stagione nelle rotazioni dei titolari del club francese e il suo esordio in prima squadra risale ormai a quasi due anni e mezzo fa.

Quando non aveva ancora 19 anni, Kamara si è preso la titolarità in una delle squadre più importanti di Francia, e lo ha fatto in una stagione difficilissima, chiusa con il quinto posto, l’esonero di Rudi Garcia e 52 gol subiti (appena sei squadre in Ligue 1 ne hanno subiti di più). È una nota di merito emergere tra le difficoltà o le imperfezioni difensive del Marsiglia erano anche dovute ai suoi limiti? Essendo il calcio uno sport di squadra, è ovviamente impossibile dare una risposta netta a questa domanda. Quel che è certo è che Kamara non gioca come un giocatore di nemmeno 20 anni, in tutti i sensi.

Kamara ha innanzitutto un’interpretazione molto tecnica del ruolo: preferisce le letture difensive all’utilizzo del corpo, e l’intervento mirato rispetto al dominio fisico. Il suo gioco, però, non è solo un’ostentazione di maturità, ma anche una necessità: Kamara non è particolarmente veloce, né particolarmente alto o forte fisicamente, e in questo senso leggere prima il gioco diventa un modo di ridurre un gap che il più delle volte lo divide dagli attaccanti avversari.

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In una delle ultime partite di campionato, contro il Tolosa, Kamara si pianta in mediana e aspetta che il suo diretto avversario faccia la prima mossa senza togliere gli occhi dal pallone.

Per gli stessi motivi, il gioco di Kamara è anche molto rischioso: il confine che divide un anticipo brillante da un intervento a vuoto è molto sottile, soprattutto a un’età in cui l’esperienza non aiuta a decidere quando sia meglio tentare il tackle e quando invece è più saggio temporeggiare e cercare di difendere la zona. Quando gli riescono le cose, però, Kamara è senza ombra di dubbio un difensore esaltante da guardare, per la pulizia e il tempismo con cui entra sul pallone e l’eleganza che contraddistingue anche il suo gioco senza palla.

L’aspetto più luminoso del suo gioco, però, è sicuramente l’impostazione dal basso. Kamara ha un destro di zucchero filato, con cui riesce a trovare i compagni sia con lanci lunghi che con precisissimi passaggi in verticale, a tagliare le linee di pressione avversarie. Il centrale del Marsiglia non ha paura nemmeno di tentare un’uscita palla al piede da ultimo uomo, e in questo senso rappresenta un antidoto modernissimo ai meccanismi di pressing sempre più sofisticati che caratterizzano il calcio contemporaneo. Kamara, in buona sostanza, aspira ad essere un centrale moderno, che si esalta in una squadra proattiva che difende in avanti, a molti metri dalla propria linea di porta.

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Le abilità da regista di Kamara.

Non a caso Kamara sta brillando anche al Mondiale Under-20, schierato da centrale di destra accanto a Zagadou, contro squadre che per inferiorità tecnica gli hanno permesso di avanzare fino alla trequarti e di agire praticamente da regista (un ruolo che secondo Rudi Garcia potrebbe ricoprire davvero). A meno che non ripeta l’incredibile carriera di Varane, un difensore che per certi versi ricorda, però, Kamara dovrà lavorare sui suoi limiti per poter sopravvivere nel calcio sempre più veloce e verticale che sembra aver preso piede in Europa.

Secondo la stampa francese, per via di problemi legati al rinnovo del contratto Kamara potrebbe partire già quest’estate per un grande club, e i nomi che si fanno sono del calibro di Chelsea e Milan. Per uno abituato a bruciare le tappe, non c’è molto tempo per crescere ancora.


Erling Haaland, Norvegia (Red Bull Salisburgo)

di Emanuele Atturo

Se la precocità è un valore per stabilire l’hype attorno a una giovane promessa, Erling Haaland a 15 anni ha già messo insieme 16 presenze con la maglia del Bryne, una piccola società sulla costa norvegese in cui è cresciuto. A 17 anni è stato acquistato dal Molde, il club in cui è cresciuto Ole Gunnar Solskjaer, e in poco più di un anno ha segnato 14 gol in 39 partite. La rapidissima scalata di Haaland al grande calcio è proseguita con il passaggio al Red Bull Salisburgo nell’estate del 2018, in un momento in cui era stato accostato anche a Manchester United e Juventus. Haaland ha preferito uno step intermedio forse per non correre il rischio dell’altra promessa norvegese, Odegaard, che passando al Real Madrid sta girovagando in prestito per trovare spazio per giocare.

Erling è figlio di Alf Inge, l’Haaland che giocava nel Manchester City e che era stato protagonista dell’intervento più famoso di Roy Keane. Come quasi tutti gli enfant prodige, Haaland è stato avvantaggiato anche da un fisico impressionante. Il suo allenatore al Molde ha dichiarato che gli ricorda Romelu Lukaku. Per il modo in cui corre, tocca palla e cerca lo spazio per concludere in porta, Haaland risponde all’archetipo del centravanti possente e in grado di dominare fisicamente le difese.

Quando porta palla col sinistro ama allungarsela in avanti di qualche metro, perderne un po’ il controllo, ingobbirsi con la schiena e andarla a riprendere con una velocità impossibile per la sua stazza. Pur non avendo un controllo così sensibile, Haaland è rapido con i piedi ed è temibile anche in spazi stretti, trovando spesso soluzioni creative per saltare gli avversari anche utilizzando solo il suo piede sinistro.

Lo scarso uso del piede debole è per ora il difetto più grande del suo repertorio tecnico, specie per il suo ruolo di centravanti. In più, nonostante il fisico potente, Haaland non brilla nel gioco spalle alla porta. Non ama giocare a muro in appoggio ai compagni ma preferisce manipolare la linea difensiva per cercare lo scatto in profondità, spesso defilandosi sulla sinistra per attaccare in profondità lo spazio che si apre tra il terzino e il centrale avversario. Queste caratteristiche lo rendono potenzialmente adatto sia a giocare come unica punta - in una squadra che non usa molto la punta centrale per risalire il campo - che in un attacco a due.

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Uno smarcamento tipico di Haaland. Prende spazio dal difensore defilandosi a sinistra per poi attaccare la porta con uno scatto centrale.

La sua verticalità nei movimenti, col pallone e senza, la tendenza a giocare alla massima intensità e l’agonismo con cui attacca in pressing la costruzione avversaria, sono probabilmente i motivi che hanno convinto il Red Bull Salisburgo a investire su di lui. La squadra austriaca è una delle realtà tattiche più interessanti degli ultimi anni, con un’identità di gioco estremamente chiara e definita. Haaland troverà uno dei sistemi più interessanti per sfruttare al meglio i pregi che lo rendono uno dei giovani più originali e interessanti dei prossimi anni.




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