Si è chiuso un Mondiale Under 20 agrodolce per l’Italia. Da una parte la squadra di Nunziata ha messo in mostra un calcio divertente e propositivo che li ha portati fino alla finale, dall’altra vedersi scappare il trofeo all’ultimo atto, in una partita giocata su un campo di patate, contro un avversario che ha stritolato gli azzurri con il loro atletismo è stato un po’ triste. In ogni caso queste competizioni non servono solo a vincere o perdere trofei, quanto piuttosto a mettere in luce talenti, prepararli al futuro. Sempre rimanendo nel nostro giardino, ci sarebbe l’imbarazzo della scelta: Casadei - scarpa d’oro e miglior giocatore del torneo - su tutti, ma anche Baldanzi e Pafundi, tre talenti che abbiamo imparato a conoscere e di cui si è parlato e si parlerà ancora molto. Noi allora abbiamo deciso di scegliere 5 calciatori che si sono messi in luce al Mondiale, ma magari che vi sono sfuggiti. Sono i migliori? Probabilmente no, ma quelli che - per un motivo o per l'altro - hanno attirato la nostra attenzione.
Yaser Asprilla - Colombia - 2003
di Emanuele Atturo
Abbiamo visto Yaser Asprilla sui campi della Championship, con la maglia del Watford che gli cade larga, troppo piccolo per i suoi avversari. In difficoltà a resistere ai contrasti, traballante nel corpo a corpo spalle alla porta. A nemmeno 20 anni, appena arrivato nella dimensione ultra-fisica del calcio inglese, ha avuto le sue difficoltà. Al Mondiale Under 20 è stato strano vedere un altro Asprilla con la maglia della Colombia, per di più da numero 10 e leader tecnico. Sembrava uno scherzo, un meme, finché non lo abbiamo visto accarezzare la palla col suo mancino. Senza la pressione atletica degli avversari inglesi, è stato più a suo agio nell’esprimere un repertorio tecnico vastissimo.
L’elettricità delle sue gambe in spazi stretti gli offre possibilità col dribbling quasi infinite. È pericoloso quando è lanciato in velocità, specie nel mezzo spazio di destra, e corre verso la porta; ma è preciso ed elegante anche in spazi stretti, dove usa bene la suola e trova soluzioni di dribbling difensivo da calcio di strada.
Non è stato così sorprendente vedere Yaser Asprilla dominare. È pur sempre da anni considerato uno dei più fulgidi talenti sudamericani: uno dei più forti, uno dei più belli, dei più entusiasmanti da veder giocare. Oggi ha 19 anni e un anno fa è stato comprato dal Watford. Si è già fatto 6 mesi di prestito all’Udinese e chissà se l’universo Pozzo non gli riservi altre gite.
Ha segnato con un bell’inserimento contro il Giappone. Agli ottavi contro la Slovacchia ha segnato con un missile di destro, il suo piede debole. Un tiro poderoso con cui ha coronato un uno-due molto tecnico al limite dell’area. Contro l’Italia non ha fatto gol ma ha più volte seminato il panico dribblando un paio di avversari alla volta. Se c’è un difetto di Asprilla, che sicuramente aggiusterà a contatto prolungato col calcio europeo, è capire quando deve passare il pallone. La sua capacità di fare cose palla al piede forse gli dà la falsa sicurezza di poter fare tutto da solo.
È mancino come gli altri grandi 10 colombiani - James Rodriguez, Juan Fernando Quintero - ma Asprilla è certamente meno raffinato. Il suo rapporto col pallone è meno sensuale, il suo gioco più diretto. Essere andato così giovane in Inghilterra lo aiuterà a sgrezzarsi su alcune tendenze infantili - sperando che non diventi un giocatore più anonimo, meno riconoscibile. Pur essendo magrolino, appare meno alto di quanto non sia in realtà: è registrato come 1,86.
Ha già un suo sito personale, dove sono raccolte anche le sue statistiche, e sui media si parla di lui già per i grandi club (ma di chi non si parla nel discorso calciomercato? Tutti sono sempre in ballo). Quest’anno però ha segnato un solo gol: strano per un giocatore che calcia la palla così bene come lui. Può solo migliorare.
Intanto ha già esordito con gol in Nazionale maggiore. Due presenze e un gol.
È stato un Mondiale Under-20 in cui è tornato di moda il numero dieci, il trequartista creativo - Baldanzi, Pafundi, Franco Gonzalez, Joon-ho Bae, Ran Binyamin - e Asprilla è stato senz’altro uno di quelli che più ci ha rubato l’occhio. Un numero 10 dal potere incantatorio, in grado a tratti di mettere in ginocchio intere difese con le sue finte.
Joon-ho Bae - Corea del Sud - 2003
di Dario Saltari
Ci sono poche cose che mettono più in crisi il mio punto di vista occidentale della tecnica dei giocatori coreani (anche nordcoreani, se qualcuno ha ancora negli occhi, come me, le partite al Cagliari e al Perugia del povero Han Kwang-song). È possibile che giocatori che non abbiamo mai sentito nominare in Europa, di cui non sappiamo quasi niente, cresciuti in squadre universitarie, sappiano giocare così bene a calcio? Nel 2023 è una domanda ridicola: ovviamente sì, è più che possibile, e la Corea del Sud Under 20 in questo torneo argentino ce l’ha ricordato un’altra volta. La squadra allenata da Eun-joong Kim è stata una delle sorprese di questo Mondiale. È arrivata quarta dopo aver battuto all’esordio la Francia ed essersi presa lo scalpo dell’altra grande sorpresa di questo Mondiale, la Nigeria. E uno dei suoi giocatori, Lee Seung-won, ha vinto il pallone di bronzo come miglior terzo giocatore del torneo, grazie a tre gol e quattro assist.
Anche contro l’Italia, in semifinale, la Corea del Sud ha fatto un’ottima figura costringendo la Nazionale di Nunziata a pescare dal cilindro il gesto tecnico con cui forse ricorderemo questo torneo, cioè la punizione dal limite di Pafundi. È stata una di quelle partite che, come si dice, è stata decisa dagli episodi: prima del gol del 2-1, infatti, la Corea del Sud aveva avuto almeno un paio di grosse occasioni per passare in vantaggio e inclinare forse definitivamente la partita dalla propria parte. Gran parte dei problemi sono arrivati dalla fascia sinistra, dove si agitava come un demone Joon-ho Bae. Al 70esimo, ad esempio, ha ricevuto sul lato corto dell’area di rigore, ha difeso palla con il corpo in mezzo a tre giocatori, è quasi finito a terra per una spallata da dietro di Faticanti, ma poi con velocità sorprendente, si è rimesso in piedi per eludere il ritorno di Zanotti con una finta e mettere in mezzo un cross a mezza altezza deviato a fatica da Desplanches. All’83esimo, dopo una partita di abnegazione difensiva e sacrificio, Joon-ho Bae aveva ancora la forza mentale per cercare nuove soluzioni: si porta Zanotti fin dentro la sua area di rigore, rientra con il destro, finta il cross per andare sul fondo e poi serve al centro dell’area Young-jun Lee, che da ottima posizione spara alto. È stato questo il suo massimo sforzo per permettere alla sua squadra di vincere, dopo una partita in cui in fazzoletti di campo aveva fatto impazzire i nostri difensori con un controllo tecnico impressionante su entrambi i piedi. Sua anche la furbizia di prendersi il fallo che porterà al rigore del momentaneo pareggio, al 23esimo, non scontata per un giocatore di questa età.
Joon-ho Bae aveva mostrato lampi di genio anche nelle partite precedenti. Contro l’Ecuador, agli ottavi di finale, aveva messo Young-jun Lee da solo davanti al portiere con un arcobaleno partito dal centro-sinistra della trequarti. Pochi minuti dopo ha indirizzato definitivamente la partita dalla parte della Corea del Sud. Ha ricevuto centralmente, ai limiti dell’area, ha fintato di voler difendere la palla con il corpo e invece ha lasciato scorrere la palla intorno al diretto marcatore, facendosela rimbalzare sul malleolo. Poi ha fintato di tirare con il sinistro, lasciando di stucco sia il ritorno del difensore che aveva appena gabbato sia l’uscita del portiere, e ha chiuso con un gol di destro. Una rete magistrale.
Joon-ho Bae aveva già fatto vedere ottime cose nella Coppa d’Asia Under 20, incomprensibilmente giocata poche settimane prima di questo Mondiale, e adesso la domanda è se lo rivedremo nel prossimo futuro in Europa, se sarà capace di sopravvivere dentro ritmi più alti, in squadre che probabilmente non gli lasceranno molto margine d’errore. Sulla sua pagina Wikipedia in inglese, una delle poche fonti occidentali esistenti sul suo conto, si può leggere che già nel gennaio del 2022 era stato cercato da alcuni club europei prima che firmasse per la sua attuale squadra, il Daejeon Hana Citizen, dove ha giocato una manciata di partite. Se gli scout servono ancora a qualcosa, è probabile che questo Mondiale argentino abbia fatto aumentare la concorrenza.
Fabricio Díaz - Uruguay - 2003
di Marco D'Ottavi
La faccia da bambino può ingannare, ma Fabricio Díaz era uno dei giocatori più esperti e carismatici del Mondiale U20 e in campo è apparso evidente anche - ahinoi - nella finale contro l’Italia, in cui è stato tra i migliori, praticamente presente in ogni azione dell’Uruguay. Con il Liverpool di Montevideo, dove è arrivato a 13 anni e dove è titolare da quando ne ha 17, ha già messo insieme 116 presenze, diventando addirittura il capitano della squadra. A marzo era stato inserito tra i pre-convocati per il Mondiale in Qatar, senza però superare il taglio, mentre nei giorni scorsi Bielsa lo ha chiamato per le prossime amichevoli della Nazionale maggiore ed è probabile che arriverà il suo esordio.
Ora, sembrerà uno stereotipo o una banalità, ma parlando di lui non si può prescindere da quei discorsi che accompagnano spesso i giocatori che arrivano dall’Uruguay, capaci di mettere in mostra uno spirito battagliero merito di un atletismo fuori scala e un dinamismo di altissimo livello. Cosa ci sarà nell’aria, nell’acqua o nel cibo che mangiano lì? Con un baricentro basso e gambe muscolose e forti, nelle partite dell’Uruguay Fabricio Díaz era praticamente ovunque a strappare palloni agli avversari e ripartire. Una presenza continua in una squadra che è riuscita a imporre la propria superiorità atletica e fisica sugli avversari fino alla vittoria.
Limitarsi però a descrivere Fabricio Díaz come un incontrista tutto cuore e polmoni sarebbe riduttivo. Col pallone tra i piedi ha mostrato grande confidenza, sia nel resistere al pressing degli avversari che nella gestione della manovra, sia nel corto che nel lungo, con una facilità quasi naturale nel lancio. Quello che ha stupito di più, però, è stata la sua capacità di trovare passaggi non banali nella trequarti avversaria. Durante il mondiale ha giocato ben 31 passaggi chiave, praticamente il doppio di chiunque altro, pur giocando da mediano in un 4-2-3-1.
Queste competizioni possono distorcere le possibilità di giocatori come lui, evidentemente più avanti rispetto ai coetanei. Ad esempio è lecito chiedersi quanto riuscirà a portare questa superiorità fisica anche ai livelli più alti: Diaz è alto 176 centimetri e la sua struttura non è di quelle dominanti. A vedere i video delle sue partite con il Liverpool, tuttavia, si può vedere una certa completezza nell’interpretare il ruolo di centrocampista, sia con compiti da mezzala che da regista.
Durante il Mondiale, viste le sue ottime prestazioni, si è iniziato a parlare con insistenza di un suo sbarco in Europa. Tra le tante squadre interessate, anche italiane, si parla addirittura del Barcellona che vorrebbe farne il suo “nuovo Busquets", uno futuro quanto mai azzardato - e forse non del tutto calzante con le sue qualità - ma che lascia intendere bene l’impatto che ha avuto e la varietà del suo talento.
Daniele Ghilardi - Italia - 2003
di Emanuele Mongiardo
Daniele Ghilardi era uno dei ragazzi di Nunziata ad aver disputato una stagione intera tra i professionisti. Il centrale toscano, classe 2003, quest’anno ha giocato al Mantova, girone A di Serie C e, dopo un inizio passato tra tribuna e panchina, da novembre si è imposto come titolare. Non è stato un anno positivo per il Mantova. I virgiliani sono retrocessi in Serie D ai playout, contro l’Albinoleffe. Ghilardi, già in ritiro con l’Under 20, non ha potuto partecipare allo spareggio. Tuttavia, l’esperienza sui campi della Serie C e l’abitudine ad affrontare avversari scomodi ed esperti sono emerse in ognuna delle sue partite al mondiale.
Ghilardi non era tra i nomi più reclamizzati della nostra Nazionale. Tuttavia, è stato forse il giocatore più interessante alle spalle di Pafundi, Baldanzi e Casadei. Nato e cresciuto a Lucca, si è formato nelle giovanili di Fiorentina e Verona. Sua madre racconta come, da ragazzino, si alternasse tra porta e attacco. Il Ghilardi di oggi, però, è un difensore con qualità davvero interessanti, insolite per le ultime nidiate di centrali italiani. Il problema del nostro Paese con i difensori non riguarda solo il livello dei singoli, ma anche il grado eccessivo di specializzazione: siamo l’unico sistema calcio che produce centrali capaci di rendere solo con la difesa a tre e solo con le marcature a uomo. D’altra parte, in Italia, gli unici centrali bravi a giocare in maniera aggressiva sono proprio quelli da difesa a tre. Rispetto alle altre scuole, poi, ci mancano totalmente difensori veloci e in grado di reggere l’uno contro uno in campo aperto.
Ghilardi, da questo punto di vista, è stato davvero una piacevole sorpresa. Quest’anno ha giocato sia con la linea a quattro che con quella a tre. Nell’Italia di Nunziata, poi, ha potuto difendere in maniera aggressiva e con tanto campo alle spalle, situazione in cui è sembrato totalmente a suo agio. Alto un metro e novanta, Ghilardi ha delle spalle davvero larghe, che lo rendono imponente sia quando da dietro esce sull’uomo, sia quando prende contatto con l’avversario che lo sfida in velocità. È dotato di buona corsa, ed è questo il tratto che lo rende così peculiare tra i difensori italiani. Alle qualità fisiche abbina quelle più tradizionali, come la postura e il tempismo nel cercare il corpo a corpo.
Il prossimo anno tornerà al Verona dal prestito e potrebbe avere l’occasione di giocare in Serie A. Sarebbe bello ritrovarlo in un contesto coraggioso, dove possa sviluppare le proprie qualità difensive anche lontano dall’area. Per una volta, l’Italia potrebbe aver prodotto un centrale contemporaneo.
Marcos Leonardo - 2003 - Brasile
di Marco D’Ottavi
Un giovanissimo attaccante brasiliano cresciuto nel Santos e che si mette in luce con le Nazionali giovanili del Brasile? Come non lasciarsi intrigare da Marcos Leonardo, anche solo per la storia che la sua traiettoria si porta dietro. Entrato nel club che fu di Pelè e Neymar quando aveva 11 anni, ha esordito a 16 per poi diventare titolare e numero 9, capace di mettere insieme già più di 40 gol tra i professionisti a 20 anni appena compiuti.
In Argentina è stato tra le note più positive del Brasile: ha segnato 5 gol in 5 partite, tra cui una doppietta contro l’Italia, due gol da centravanti “vero”, uno correggendo un tiro sbilenco dal centro dell’area, l’altro di testa, senza saltare, usando il collo per dare forza e precisione al suo tiro. Il suo gol più bello, dei cinque segnati, secondo solo a Casadei, è però quello contro Israele nei quarti: sempre con un tocco, sempre dal centro dell’area di rigore, questa volta calciando con l’avversario addosso, di sinistro, il piede debole, e mettendo il pallone all’incrocio dei pali, con un tiro inaspettato che ha lasciato fermo il portiere.
Marcos Leonardo è questo giocatore qui, uno che dentro l’area di rigore - a vent’anni - si trova già come nel giardino di casa, che segna gol a un tocco, anticipando avversari, muovendosi verso la palla come se ne conoscesse il destino. Non è una tipologia di attaccante semplice da analizzare e, ovviamente, queste giocate gli riescono più facili tra i pari età per puri motivi atletici e di spazi concessi. Nel campionato brasiliano, in ogni caso, a 23 gol segnati da 23 xG e, insomma, a vent’anni non è poco.
Per il resto, non è un attaccante particolarmente tecnico o fantasioso, ma è comunque cresciuto in una scuola che dà importanza ai fondamentali e si vede. Il meglio rimane la sua tecnica di tiro, soprattutto di prima, capace di trovare angoli e tempi difficili per i portieri, sia calciando di destro che di sinistro.
Nei discorsi di mercato o di futuribilità è chiuso dal fatto che in questo momento in Brasile c'è una nidiata di giovani fenomeni come forse non si era mai vista prima, a partire da Endrick, 17 anni ancora da compiere e già comprato dal Real Madrid, e passando per Vitor Roque, vicinissimo al Barcellona, e Andrey Santos, già del Chelsea. Marcos Leonardo sembra un passo indietro rispetto a loro e, forse proprio per questo, può diventare un'occasione di mercato per qualche squadra non di primo piano. Dopotutto non è facile trovare un calciatore di vent'anni capace di segnare con questa regolarità. Le voci più pressanti lo danno in Premier League, il West Ham ha già provato a prenderlo, che però forse non è il posto migliore dove iniziare la propria avventura, soprattutto quando il tuo sviluppo atletico è tutt’altro che completo. In ogni caso il suo lasciare il Brasile sembra solo questione di tempo: staremo a vedere.