Il cammino del Belgio nel corso di questo mondiale non ha fatto altro che confermare le peculiarità già emerse in questo biennio dall’insediamento del commissario tecnico Roberto Martinez, alcune di queste in continuità con il ciclo del predecessore Marc Wilmots. Anzitutto, la capacità dei suoi talenti offensivi di mettersi in connessione per arrivare al tiro (o di arrivarci da soli), la relativa facilità nell’andare in gol (contro il Giappone, la nazionale belga ha segnato per la 15a volta su 23 gare della gestione Martinez almeno 3 reti in una partita), ma anche la macchinosità delle transizioni difensive e la sofferenza del 3421 nel difendere l’ampiezza del campo.
Del resto è arduo mantenere l’equilibrio tra le due fasi per chi schiera 5 giocatori offensivi contemporaneamente: Ferreira Carrasco a tutta fascia, De Bruyne mediano, Mertens e Hazard sulla trequarti dietro a Lukaku. Giocatori con cui il Belgio è solito creare una densità di uomini in zona palla, nella metà campo offensiva, ma che non pressano né l’inizio azione avversario né a palla persa (36 metri l’altezza media del recupero palla, un dato piuttosto basso), se non con delle uscite individuali o dei tentativi collettivi rudimentali.
Witsel è un problema (anche per De Bruyne)?
Per limitare questi scompensi l’ex allenatore dell’Everton sta cercando da tempo di accorciare lo spazio tra difesa e centrocampo, mantenendo i suoi difensori ad un’altezza medio-alta e dando sempre più spazio ad un mediano fisico e dinamico come Dembélé. Tuttavia, in questo Mondiale, contro Panama, Tunisia e Giappone, il centrocampista del Tottenham ha giocato pochissimo (entrando a partita in corsa solo contro Panama, a un quarto d'ora dalla fine) e il titolare sembra ormai Witsel. L’idea sembra quella di preferire un passatore più pulito (contro nazionali che non erano in grado di contestare il possesso palla al Belgio) in modo da aumentare la qualità della trasmissione della sfera.
In realtà, il numero 6 ha completato il 93% dei passaggi giocando un calcio fin troppo conservativo nelle scelte, specialmente all’esordio con Panama, e raramente ha prodotto dei vantaggi posizionali.
Pass matrix del Belgio contro la Tunisia: i giocatori più serviti da Witsel sono i 3 difensori centrali.
In più ha incrinato il già sottile equilibrio su cui si reggeva il Belgio dell’ultimo anno, con 5 uomini (i tre centrali difensivi e i due mediani) a coprire tutta la fascia centrale di campo. Witsel è un giocatore prettamente posizionale, bravo a contrastare l’avversario in spazi stretti grazie ad un buon uso della parte superiore del corpo, ma che si trova in imbarazzo nel difendere correndo all’indietro o spostandosi lateralmente.
Al contrario, appunto, di Dembélé, molto più abituato a muoversi in spazi larghi e aprirsi per compensare l’inferiorità numerica in fascia patita (per ragioni strutturali) dal modulo scelta da Martinez: il 5-2-2-1.
Allargandosi con i tempi sbagliati, o comunque con un passo inadeguato, non solo Witsel non riesce a raddoppiare l’esterno, ma scopre anche il centro. Un problema che, oltre a peggiorare il filtro della linea mediana, sta penalizzando a stretto giro anche De Bruyne.
Il centrocampista del Manchester City, quando gioca in coppia con Dembélé riesce con una discreta continuità ad accorciare sul centrocampista avversario di riferimento, al fianco di Witsel invece sembra molto meno lucido nel coprire il suo spazio. “Tin Tin” (come è soprannominato per la somiglianza) in fase offensiva ha delegato la gestione dell’uscita palla a Witsel, alzandosi alle spalle del centrocampo avversario, oppure aprendosi in fascia per fornire un’opzione sicura al centrale in possesso della sfera. E nelle transizioni difensive, anziché rientrare in posizione, sta preferendo la riaggressione immediata (sempre senza il sostegno di un’azione coordinata con i compagni).
Sembra quasi che KDB sia costretto ad uno sforzo supplementare per colmare il deficit atletico dell’ex centrocampista dello Zenit (ora in Cina) e che preferisca uscire sul portatore piuttosto che temporeggiare. Una scelta che però non sta pagando: ha recuperato una media di 5,6 palloni a gara a fronte dei 16,3 persi, subendo 2 dribbling p90’ e vincendo soltanto il 43% dei contrasti tentati. Anzi, in questo modo il Belgio si ritrova con un giocatore in meno in fase difensiva, e con le distanze tra i reparti ampliate.
Il più classico dei circoli viziosi: questo eccesso di irruenza produce risultati insufficienti e sembra anche offuscare la fase offensiva di De Bruyne, spingendolo a forzare qualsiasi giocata, come se volesse essere decisivo in ogni momento. Il suo Mondiale ricorda la partita di un ludopatico, che perde il primo giro alla roulette e ogni volta raddoppia la puntata finché non azzera il debito (non che non vinca mai nessuna scommessa, sia chiaro).
Le posizioni medie nel match vinto in rimonta col Giappone sottolineano la scollatura tra Witsel (numero 6) e De Bruyne (7).
Una possibile soluzione per la fase difensiva
Già nel girone eliminatorio il 4-3-3 della Tunisia aveva avuto gioco facile nel risalire il campo sulle fasce, fino ad arriva al cross al centro o allo scarico per un centrocampista libero di andare al tiro. Contro una selezione maggiormente organizzata come il Giappone le difficoltà in fase di non possesso si sono acuite ulteriormente: il 4-2-3-1 nipponico ha bypassato agevolmente la (fiacca) prima linea belga (Hazard, Lukaku e Mertens) creando sistematicamente la superiorità numerica. Sia al centro del campo, con i due centrali più Kagawa, pronto ad allargarsi ai fianchi di De Bruyne e Mertens, che in fascia, con le sovrapposizioni dei due terzini agli esterni, Inui e Haraguchi, fronteggiati da Meunier e Ferreira Carrasco. Quest’ultimo in palese imbarazzo nel difendere lo spazio alle proprie spalle come nel chiudere le diagonali.
I difensori destro e sinistro non hanno lavorato in assistenza né sugli esterni né su Kagawa, che ha banchettato nello spazio tra difesa e centrocampo belga, per timore di scoprire l’area di rigore (solo Kompany ha rotto la linea per seguire Osako), ma in questo modo hanno abbandonato a loro stessi De Bruyne e Witsel, che con l’intera ampiezza del campo da coprire si sono persi, sempre indecisi se restare in posizione o allargarsi.
Se gli uomini di Nishino hanno attaccato soprattutto dal lato di Meunier, i tunisini (pur in una partita vinta agevolmente dal Belgio) avevano sfruttato le difficoltà di un esterno alto come Carrasco a coprire l’intera fascia, costringendo Vertonghen ad allargarsi, formando occasionalmente una linea difensiva a 4, con il centrale del Tottenham e Meunier laterali bassi. Una soluzione che Martinez potrebbe adottare in pianta stabile: trasformare, cioè, in fase difensiva il 3-4-2-1 in un 4-4-2, con le due linee da 4 uomini posizionate su un’altezza medio-bassa e vicine tra loro, in modo da rendere il Belgio più equilibrato e omogeneo a livello di spaziature.
Questo sistema riporterebbe proprio Meunier e Ferreira Carrasco nelle loro posizioni naturali, chiamerebbe Vertonghen ad uno sforzo che ha nelle sue corde (è un giocatore duttile, che ha già ricoperto in nazionale il ruolo di terzino) e manterrebbe Hazard in posizione centrale, sgravato da parte dei compiti difensivi (si potrebbe alternare ad esempio con Lukaku nella schermatura del vertice basso di centrocampo) e pronto ad essere sollecitato in caso di ripartenza lunga.
L’unico incastro forzato, ma fino a un certo punto, considerato che parliamo di quello che in origine era un’ala, risulterebbe Mertens, abbassato sulla linea dei centrocampisti.
Le ipotetiche scalate in fase difensiva.
La staffetta Boyata-Kompany
Oltre allo scarso minutaggio concesso a Dembélé (dopo il quarto d’ora finale contro Panama è stato schierato dal 1’ solo con l’Inghilterra, in un match che però il selezionatore spagnolo ha utilizzato per far ruotare la squadra) la novità delle prime 3 sfide è stata la maglia da titolare al centro della difesa consegnata a Dedryck Boyata, che ha vinto il ballottaggio con Ciman e approfittato degli infortuni di Vermaelen e Kompany.
Il difensore del Celtic, che a dispetto dei 27 anni aveva raccolto in nazionale solo 2 presenze da titolare, è un profilo meno potente ma più mobile e propenso a coprire la profondità rispetto ai due leader difensivi rimasti fuori contro Panama e Tunisia. Malgrado le movenze sgraziate e una certa irruenza, ha una buona reattività che lo rende adatto a difendere in spazi lunghi. Può giocare sull’anticipo e fare leva anche sulla sua abilità aerea. Quando si tratta di stringere la marcatura sull’uomo, invece, paga un uso del corpo rivedibile.
Le sue caratteristiche si sposano bene con quelle di due marcatori più puri come Alderweireld e Veronghen, di cui può compensare eventuali buchi con delle scalate veloci, e in generale con le caratteristiche di una squadra che in fase difensiva porge il fianco all’avversario e che con pochi elementi deve coprire tanto campo in orizzontale e verticale.
Negli ottavi di finale, però, Kompany si è ripreso il suo posto, cambiando nuovamente le carte in tavola. Anche se fisicamente non può contare sulla brillantezza di Boyata, il temperamento e il timing dei suoi interventi (5 palloni recuperati e 9 respinte) si sono rivelati determinanti nel mantenere a galla la sua nazionale, a maggior ragione in una giornata in cui Alderweireld e Vertonghen hanno avuto difficoltà a difendere in campo lungo come negli spazi stretti.
Provvedimenti?
Dopo il 3-2 in rimonta negli ottavi, Martinez ha sottolineato la reazione mentale del gruppo, glissando sulle problematiche emerse in fase difensiva («Non è il momento di parlare di sistemi di gioco»).
Occorrerà comunque una seria riflessione sulla (in)sostenibilità di questa formazione e di questo centrocampo in particolare: i "diavoli rossi" hanno fin qui subito 4 reti e una media di 0,75xG, non un numero elevato ma comunque preoccupante se rapportato al valore delle formazioni incontrate. Un dato che una squadra come il Brasile, in grado di sovraccaricare le fasce e chiudere l’azione al centro con gli inserimenti di Paulinho e Coutinho, non avrebbe problemi a incrementare.
Se passare al 4-4-2 in fase difensiva costituisce un provvedimento troppo brusco per un undici abituato a giocare allo stesso modo da due anni a questa parte, inserire un centrocampista più efficiente nella schermatura come Dembélé al posto di Witsel, oppure tornare al centrocampo a 2+1 (con due mediani e De Bruyne sulla trequarti), potrebbe essere la soluzione più comoda per provare a colmare le criticità nelle transizioni difensive, allo stato attuale ampiamente insufficienti per funzionare contro il Brasile di Tite.
Senza un sistema di recupero palla codificato, il Belgio è obbligato inoltre a lavorare sulla difesa posizionale, contenendo le distanze tra i reparti e preoccupandosi di coprire il centro, posto che inevitabilmente dovrà concedere le fasce. E si tratta comunque di situazioni, quelle senza palla, che non è in grado di sopportare per lunghi periodi, nonostante le qualità nel gioco aereo del trio centrale, e che paradossalmente tornano utili alla squadra di Martinez per far avanzare l’avversario e innescare il contropiede belga, uno dei migliori del torneo.
A maggior ragione contro i verdeoro, che verosimilmente gestiranno il possesso per una fase significativa del match, una buona fase difensiva da parte del Belgio diventerà la condizione necessaria per averne una offensiva ottima. Come si dice, i Mondiali li vincono le difese, no?
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